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CAPITOLO 1: TRA RAFFIGURAZIONI URBANE E QUADRI

1.2. Tra natura e urbanità: l’essenza dei Frammenti lirici

1.2.4. Tra il sogno e l’incubo: il paesaggio al tramonto

Una parte dei Frammenti reboriani presenta un paesaggio vissuto nei toni e nelle sfumature del crepuscolo quando il sole, tramontando sul paesaggio, porta ad oscurità la pianura, lasciando intravedere le prime stelle. Spesso le descrizioni si soffermano sugli elementi del creato, che il poeta dipinge nella loro naturale armonia utilizzando un linguaggio elegante, dalla forte selezione lessicale. Questo espediente permette di creare un quadro concorde, una cornice pittorica dalle tinte multicolori, che talvolta sembra nascere dall’interiorità del poeta. Tali componimenti si ispirano inoltre ad un gusto per le sensazioni ricercate e i sentimenti tenui che ritroviamo nella coeva poesia di Campana e che in parte richiama un filone che dal Decadentismo giunge fino ai crepuscolari. Si tratta di scelte che ben rappresentano le immagini di una natura misteriosa, per certi versi oscura, dove il confine tra ciò che è conoscibile e ciò che non lo è, tra concreto e immaginario, risulta indefinito. Spesso non è facile determinare se si tratti di una realtà oggettiva o di un sogno realizzato dal protagonista, tanto il paesaggio ispira impressioni leggiadre e aggraziate che potrebbe essere interamente oggetto di invenzione della mente. Ciò permette di introdurre più facilmente riflessioni e disquisizioni metafisiche, che spesso muovono a partire da descrizioni paesaggistiche volte a suscitare emozioni squisite, come accade nel Frammento II. Si considerino i seguenti versi:

Nella seral turchina oscurità, pace su neve vaporando il piano sconfina melodioso;

ruscello è il tempo eguale.121

Qui la descrizione spaziale, corredata di un’aggettivazione raffinata, crea un paesaggio fortemente interiore, volto a trasmettere l’armonia degli elementi naturali che nella quiete della sera sembrano convivere in una melodia eterna, dando vita ad un’immagine senza tempo. Ciò viene dichiarato esplicitamente al quarto verso, dove l’io poetico afferma che il tempo sembra quasi un ruscello dalle acque tranquille, colto

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nella calma del momento. Il tutto dà origine ad una sensazione di pace accentuata dalla neve che ricopre il terreno con il suo candido manto, permettendo di attutire i suoni d’ambiente più stridenti e determinando così una sorta di melodia interna. Si noti come la scelta di un paesaggio al crepuscolo permetta più facilmente di creare dei giochi di luce ed ombra che si sposano con il senso di mistero metafisico che pervade l’intero frammento. La scelta di uno spazio quieto come quello che traspare dall’incipit del secondo componimento sembra infatti preparare il lettore alla successiva rivelazione122:

E l’universo ingenuo si rivela

come alla mamma, quando è sola, il bimbo. D’ogni creata cosa io son la vita,

e nelle mani tremano carezze

e fiorisce negli occhi uno sguardo che invita123

Ecco dunque che l’immagine della sera, dalle atmosfere indefinite, favorisce la comprensione del rapporto tra uomo e realtà e chiarisce la comunione degli elementi del creato. Come afferma Gianni Mussini: «Nella piena armonia delle cose è possibile assecondare il ritmo segreto della natura, il cui mistero dapprima indistinto e non

conoscibile si fa passione»124, ovvero permette di comprendere la verità del mondo

lasciandone trasparire la spiritualità. Il crepuscolo diventa dunque attimo di raccoglimento, periodo della giornata che favorisce il fluire dei pensieri, come accadeva già nella poesia romantica, si pensi soltanto ad Alla Sera di Foscolo. Si noti inoltre come lo «slancio di creazione» di cui l’io poetico parla al verso trentacinquesimo sia visibile soprattutto in un ambiente in cui predomina l’elemento naturale, mentre il significato delle cose rimane inespresso e inconoscibile nel contesto urbano. Afferma infatti l’autore:

Slancio di creazione, perché si duro t’incrosti negli urbani viluppi,

122 Cfr. Ivi, p. 73. 123 Ivi, p. 73. 124 Ibidem.

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o men chiaro traluci

o doloroso affondi? 125

L’ambiente cittadino non lascia dunque trasparire l’essenza della realtà; qui la natura e il suo essere in comunione con il creato risultano bloccati dalla vita urbana, quasi l’opaco grigiore cittadino non permettesse alla luce, metafora della verità, di illuminare con il suo raggio pregno di speranza le cose del mondo, relegandola ai margini del contesto urbano. Da notare come il poeta parli di «viluppi» riferendosi alla città, con un’immagine che richiama non qualcosa di piano, chiaro, lineare e quindi autentico ma un percorso attorcigliato, quasi fosse una matassa da sbrogliare. Viluppo letteralmente indica infatti un «ammasso intricato», un «groviglio confuso di cose», quasi la città, nei suoi vicoli o nelle sue costruzioni fosse una sorta di ingarbugliato agglomerato di edifici. Al contrario l’ambiente naturale permette di instaurare quel rapporto di armonia con la creazione che svela la concordia del mondo. Ciò viene dichiarato ai versi 47-50:

Mamma, zolla aria luce, papà tronco puro severo, fratelli miei rami e mio nido,

sorelle, mie foglie e mie gemme126

Qui si può facilmente notare come le parti componenti l’albero vengano additate quali membri della propria famiglia, in un rapporto di stretta fratellanza tra l’io e il mondo che lascia trasparire la divina mano del creatore. Nel considerare gli elementi del mondo come propri fratelli l’io poetico denota infatti l’influenza dei vangeli e delle sacre scritture nell’opera, dato che qui il mondo risulta un unicum concorde in quanto creato da Dio. Si noti come il legame tra le cose, sebbene percepito dall’io poetante, non è comprensibile nella sua totalità, tanto che questi dichiarerà poco dopo «non vi

conosco, non vi inghirlando nell’ora che giunge e dilegua»127. Ancora una volta il

paesaggio al crepuscolo impedisce appieno la vista, in un duplice significato, fisico e metaforico, dato che l’impossibilità di vedere può essere intesa anche come difficoltà

125 Ivi, p. 80. 126 Ibidem. 127 Ibidem.

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di comprendere il senso della realtà. Affermerà infatti l’autore: «simile a chi luce non

vede»128, considerando l’assenza di luce come assenza di comprensione. Ecco dunque

che il tramonto e l’imbrunire del giorno si caricano di profondi significati tanto che, come afferma Mussini: «l’apertura paesaggistica non è fine a se stessa; innesca invece,

come normale nel nostro poeta, un ragionamento sulla vita».129 Si aggiunga inoltre che

la scelta del manto bianco per conferire un’immagine di pace e tranquillità ritorna di frequente non soltanto nella poesia di Rebora, ma anche in quella di autori di poco successivi come Diego Valeri. Ciò accade ad esempio in Dicembre dove il paesaggio appare ricoperto da una cortina di neve che attutisce i rumori del paesaggio, immergendolo in un’atmosfera quasi fiabesca. Si considerino i seguenti versi:

Ora mi sporgo all’attonita pace della grigia mattina: tutto tace. Teso il cielo di pallide bende. […] Non c’è voce umana,

grido d’uccello, rumore di vita, nell’aria vasta e vana.

C’è solo una colomba, tutta nitida e bionda,

che sale a passi piccoli la china d’un tetto, su tappeti

fulvi di lana vellutata130

Si noti come in questo caso Valeri rappresenti un ambiente privo di rumori, il cui terreno sembra ricoperto da un soffice strato di lana, quasi la neve avesse creato sul tetto un morbido manto. Anche per quanto riguarda Dicembre, come accadeva nella poesia di Rebora, si può osservare come tutto sia immerso in una sorta di ovatta bianca, in cui non prevalgono rumori ma la realtà è pervasa da una pacata tranquillità. Il senso di pace è poi accentuato dalla figura della colomba che a passi piccoli sale i tetti bianchi delle case e che, con la sua presenza, conferisce allo spazio un’immagine di quiete e respiro. Questa, nel suo manto bianco, sembra concordare con il colore prevalente del paesaggio, conferendo all’immagine un’aura quasi fiabesca. Ecco

128 Ivi, p. 81. 129 Ivi, p. 73. 130

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dunque che anche nella raffigurazione d’ambiente di Valeri è possibile riscontrare quel gusto per la rappresentazione concorde che prevale anche in molti componimenti di Rebora.

Si consideri ora l’ambientazione del frammento XV, anch’esso collocato nel momento della giornata in cui il sole sta tramontando:

Lontanissimo arpeggia il tramontare al tocco delle nubi

e il nevicato pian con tenerezza par che non visto gli rubi

in luminosa pace ogni dolcezza.131

Anche in questo componimento, come accadeva nel secondo, al tramonto si aggiunge un paesaggio tinto di bianco che conferisce all’ambiente la sensazione di pace ed armonia. La scelta dunque di un piano cosparso di neve, che attribuisce al paesaggio concordia e pace, sembra riproporsi più volte nei frammenti “crepuscolari” reboriani, quasi fosse un leit motiv in questo genere di poesie. Si noti tuttavia come nel frammento XV l’immagine del tramonto diventa anche sinonimo della fine di qualcosa, quasi il declinare del giorno alludesse al termine dell’esistenza. Afferma infatti l’io poetico in chiusura: «Le mete non raggiunte della vita tocche saranno dell’arcana

morte»132, quasi questa si presentasse davanti al cammino del personaggio in una

sorta di relazione tra l’avvento dell’oscurità e le tenebre che cancellano l’esistenza. Interessante come qui Rebora scelga la figurazione, che si presenterà molto frequentata nella raccolta sbarbariana, di un io che cammina, sottolineando il suo procedere a passi schietti sul terreno in una descrizione di un paesaggio vissuto e percorso al ritmo del progredire del personaggio. Si noti inoltre come alla pacata immagine veicolata dall’ambientazione che sembra creare un’armonia generale, si contrapponga infatti la dinamicità del protagonista descritto nel suo ideale combattere contro la sorte. Si può dire che nel frammento XV la natura non sia dunque proiezione dell’animo dell’io, come accade in una parte dei componimenti, ma anzi a questi si

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Clemente Rebora, Frammenti lirici, a cura di Gianni Mussini e Matteo Giancotti, cit., p. 232.

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contrappone creando una sorta di opposizione sensitiva. L’io è descritto nella sua interiore battaglia, non in uno stato di quiete e pace, in contrasto dunque con le sensazioni di tenerezza e raffinatezza veicolate dal tramonto in apertura. Queste erano infatti accentuate dalle scelte figurative, si noti ad esempio la descrizione del «vel d’argento serico» che arriva ad avvolgere il petto del protagonista; esso crea un’immagine di estremo preziosismo e luminosità che conferisce sottili sensazioni

pregne di armonia. Infine, come ha notato Matteo Giancotti133, Rebora in questo

componimento sceglie di conferire alle nubi delle caratteristiche umane, con un espediente che ritorna anche in molti altri frammenti della raccolta e che permette di dare al paesaggio una centralità indiscutibile. Come accade infatti in molte poesie ambientate in montagna, anche qui la natura assume dei tratti antropomorfici, dato che il poeta parla di «tocco delle nubi» come se esse possedessero delle lunghe mani con le quali vanno a sfiorare il tramonto del cielo. Ecco dunque che essa diviene nei frammenti reboriani una sorta di organismo vivente parificabile ad un vero e proprio personaggio dato che si trova ad essere personificata. Si noti come simili sensazioni paesaggistiche vengano evocate dalla coeva poesia cardarelliana che spesso raffigura immagini d’ambiente dal forte preziosismo. Si consideri a questo proposito Settembre

a Venezia, in cui compare un paesaggio al tramonto molto simile a quelli considerati in

Rebora:

Già di settembre imbrunano a Venezia i crepuscoli precoci e di gramaglie vestono le pietre Dardeggia il sole l’ultimo suo raggio sugli ori dei mosaici ed accende fuochi di paglia, effimera bellezza. […] Luci festive ed argentate ridono, van discorrendo trepide e lontane

nell’aria fredda e buona.134

Si noti come, analogamente a quanto compare nel frammento reboriano, anche qui l’autore mira a collocare l’insieme in un paesaggio affettato, fiabesco, dalle intense

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Matteo Giancotti in op. cit., p. 233.

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sensazioni cui riconducono le «luci festive ed argentate», gli «ori dei mosaici», dove la scelta dei due metalli crea un ambiente profondo ed elegante, più interiore che esteriore. Anche in questo caso inoltre, il paesaggio sembra dipingersi di una luminosità accesa, cui riconducono le luci tenui del creato in un generale senso di armonia. «Dardeggia il sole» «più vive lor luci» dichiara infatti il poeta al verso quarto e al verso sedici, nei quali l’accento viene appunto posto sulla lucentezza e le sfumature di colori che il paesaggio al tramonto arriva a creare. Si può dire dunque che lo spazio di Cardarelli si collochi facilmente in una dimensione di sogno, l’io poetico stesso dichiara che l’immagine di queste sere sono il frutto di un ricordo, che ora appare distante dalla propria persona. L’immagine del ricordo e della memoria a ben vedere ritornava anche nel frammento XV di Rebora dove l’autore affermava «il ricordo è come gorgo» alludendo dunque ad un riferimento temporale del componimento. Ecco dunque che, in entrambi i componimenti, la scelta di termini e immagini che sembrano alludere al lontano riconducono non all’ hic et nunc ma ad una realtà distante, fittizia che l’io momentaneamente rievoca. Da questo punto di vista si potrebbe pensare che in entrambi i casi gli autori vogliano mostrare che soltanto nel passato è possibile la concordia tra gli elementi; il presente non lascia spiragli di speranza, di qui la necessità di evadere in qualche modo verso altre dimensioni. Si noti infatti come, sia nel testo di Rebora che in quello di Cardarelli, ad un’iniziale descrizione segue una riflessione più profonda legata alla condizione del presente. Essa si presenta come un momento di nostalgia, quasi l’io fosse consapevole dell’impossibilità di riprodurre la perfetta armonia nel mondo a lui contemporaneo. Ecco dunque che le difficoltà della realtà contemporanea impediscono un paesaggio come quello presentato in alcuni componimenti, paesaggio in cui il creato vive in una sorta di concordia ma che ormai sta letteralmente tramontando.

Si consideri ora il frammento XXIV; qui la scelta del tramonto si carica di una forte sensualità quasi le ombre della sera accentuassero le immagini sinuose dando a queste un respiro voluttuoso. L’ambientazione diventa dunque il contesto in cui i personaggi instaurano una relazione amorosa:

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Sui fianchi ondano avvinti gli amatori in bisbiglio

nel languor sciolto dell’estiva sera; […] ma donne a veder sole più mi accora chè nulla ad esse tranne amor par vita; nel frantumo del giorno,

nel vuoto della sera

giuocan l’attesa a rimando 135

Qui il paesaggio al tramonto diviene dunque luogo di incontro tra amanti, voluttuoso momento di scambio di effusioni, che tuttavia presenta qualcosa di costruito e poco autentico. Ecco dunque che la scelta di un cielo al crepuscolo, di un sole che sta morendo lasciando il posto al «vuoto della sera», come afferma il poeta al verso nono, diventa l’immagine di un amore che decade della sua luminosità; che si frantuma a pezzi come la luce del giorno si sta scomponendo nelle diverse sfumature lasciando spazio ad immagini d’ombra. La scelta dunque di un ambiente al vespero crea una sensazione di decadenza, di fine, cui si aggiunge quella di mistero accentuata dal gioco di ombre sinuose che evidenzia e nasconde le forme della realtà. Da notare come l’ombra alluda forse a qualcosa di oscuro, quasi fosse una voragine sinistra che sovrasta il paesaggio. Ancora una volta ritorna inoltre l’idea di un tempo sospeso sottolineato dal verso «giuocan l’attesa a rimando», quasi l’immagine si fosse fermata al momento del crepuscolo. Tali figurazioni si possono analogamente trovare nella parte finale del frammento XVII. Si considerino i seguenti versi:

S’annidò il cielo corto

e si fece uno spento braciere; languì alla terra il piacere, e si fece la spoglia di un morto: strisciò la notte,

scivolò la partenza,

s’aprì la voragine della città rombante. Si lasciarono

e lasciarono la giovinezza. 136

Anche in questo caso l’io poetico parla di una voragine oscura che si manifesta non appena il sole tramonta, quasi fosse un fuoco che si spegne e lascia soltanto la cenere

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Clemente Rebora, Frammenti lirici, a cura di Gianni Mussini e Matteo Giancotti, cit., p. 303.

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nera. Si noti come all’oscurità della notte venga associata l’immagine della «spoglia di un morto» quasi il sole, fonte di vita, avesse cessato di esistere e, con il suo spegnersi, avesse estinto anche il paesaggio. Ecco che, non appena la natura muore, ha il sopravvento la città, qui descritta nei suoi suoni più ostili e artificiosi. Sembra quasi che Rebora voglia rappresentare la nascita del contesto urbano sulla morte della natura, come a dire: estinta ogni immagine di pace e tranquillità sopraggiunge la città nera che della natura si nutre inglobando il creato. Si può aggiungere inoltre che, nei versi sopra citati, ritorna, come accadeva nel frammento XXIV, l’allusione al binomio città - eros, dove quest’ultimo diventa di difficile realizzazione nel contesto cittadino. Ecco dunque che il paesaggio diviene non solo sfondo, ma nucleo essenziale che prelude alle azioni dei personaggi. Come afferma infatti Matteo Giancotti:

l’amore[…] giunge quasi ad essere pronunciato, incoraggiato dal grande antropomorfico abbraccio tra il sole e la terra, e scivola invece sotto il silenzio e la timidezza, mentre la sera obbliga alla separazione i due giovani, ringoiati dalla voragine

della città rombante.137

La scelta di una figurazione al tramonto anticipa dunque l’incontro tra le due figure quasi il sole e la terra rappresentassero il maschile e il femminile che si fondono nel momento in cui si arriva alla fine della giornata. Con l’avvento della notte invece, il rapporto tra i due si raffredda, spegnendo quelle prime luci di sentimento appena nato. L’ambiente dunque risulta il vero centro della vicenda, esso, con il suo alternarsi dei momenti della giornata, scandisce il componimento, costruito sull’avvicendarsi dei tempi determinati da questo.

Si consideri ora il frammento XXVI, descrizione di un tramonto tra le vette della montagna dove l’autore arriva a costruire una rappresentazione elegante dalle raffinate immagini, costruite su giochi d’ombra. Si tratta di una figurazione che vuole accentuare l’armonia della natura dato che i suoni e i colori producono contrasti di luce tenui. Si analizzino i seguenti versi:

Giù, nella conca del lago, si fonde

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l’ambrata sera che intorno le vette ancora non raggiunse, sitibonde

dell’ultimo balen che il sol perdette138

Qui il poeta descrive una sorta di scambio tra la luce che il sole perde e quella che le vette acquisiscono, quasi i due elementi naturali personificati si stessero passando qualcosa dall’uno all’altro. Al contrario la sera, ultima a partecipare a questa sorta di convivio naturale, non è ancora riuscita a raggiungerli, ma arriva in ritardo sulle cime dei monti. Si noti il gioco di colori che Rebora riesce a costruire attorno a queste poche immagini, in una descrizione davvero preziosa del momento del tramonto che occupa quasi l’intero componimento. Prosegue infatti l’autore:

E qui le vigne foggiano ricami sul vago ordir delle pendici perse, e i silenzi sonori come sciami ronzano eguali con virtù diverse. Ma quasi fiume che rigiri lento, in una blanda opacità di perla

l’ombra procede con liscio fermento:

e il plenilunio in luce sembra berla.139

Qui le pendici ricoperte da vigne sembrano costruire l’ordito di un ricamo fatto d’ombra, tanto il sole che tramonta crea una raggiera di colori e di sfumature sul terreno che rende il paesaggio di una straordinaria bellezza. Ancora una volta inoltre, come era accaduto in molti altri componimenti, compare l’immagine di un tempo immobile, sospeso, vago. Il tutto favorisce l’idea di una realtà più immaginaria che concreta quasi il tempo si fosse improvvisamente fermato per lasciare posto all’immaginazione del protagonista. Si noti tuttavia, come una leggera nota malinconica compaia nell’immagine dell’ombra che procede sinuosa, «con liscio