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SOLUZIONE PARERE 7

Cassazione civile, sez. II, 03/05/2018, (ud. 28/02/2018, dep.03/05/2018), n. 10512

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.G. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'appello di Venezia n. 2451/2012.

La ricorrente aveva convenuto in giudizio D.R.A., D.R.M.S., D.R.L., A.E., A.D., D.R.E., D.R.M.L., D.r.R. e D.R.T., chiedendo che fosse dichiarato il suo acquisto per usucapione degli immobili siti in (OMISSIS), in catasto al (OMISSIS).

Aveva dedotto che i beni risultavano intestati a T.R., suocera della P., che, fino al suo decesso, avvenuto l'(OMISSIS), se ne era sempre disinteressata mentre essi erano stati utilizzati esclusivamente dalla ricorrente e dal coniuge, d.R.G., dal 1958 e continuativamente anche dopo il decesso della T., senza alcuna opposizione degli eredi e dei loro successori e ciò fino alla proposizione del giudizio.

Successivamente l'attrice aveva chiesto di dichiarare l'usucapione anche degli immobili siti in (OMISSIS), facenti parte dell'asse ereditario. I convenuti avevano contestato la domanda, asserendo che gli immobili erano stati abitati anche da altro erede, D.R.A., fino all'1.1.1984 e che comunque l'attrice e D.R.G. avevano utilizzato i beni per ragioni di ospitalità e in virtù del vincolo di parentela con la proprietaria; che anche dopo il decesso della T. essi avevano occupato l'immobile senza compiere atti di interversione e per mera tolleranza degli altri eredi. Avevano chiesto di respingere la domanda e di procedere alla divisione dell'asse ereditario.

In corso di giudizio era stato integrato il contraddittorio nei confronti degli altri figli di D.R.G., in quali avevano chiesto l'accoglimento della domanda formulata dall'attuale ricorrente, o, in via subordinata, di partecipare alla divisione dell'asse.

La causa è stata definita dal tribunale di Treviso con pronuncia non definitiva di rigetto della domanda di usucapione.

Su impugnazione della P., la Corte territoriale di Venezia ha confermato la sentenza di primo grado, asserendo che D.R.G. e la P. non avevano appreso il bene in via originaria ed autonoma ma avevano iniziato ad occuparlo quali detentori, ossia dapprima quali ospiti della T. e quindi, dopo la morte di quest'ultima, avvenuta in data (OMISSIS), per mera tolleranza degli altri eredi; che non erano provati atti di interversione nel possesso prima dell'apertura della successione e, successivamente, di estensione del possesso all'intero nei confronti degli altri eredi.

Ha infine accertato che fino al 1984 l'immobile era stato occupato anche da D.R.A. e da D.R.D. e che altri chiamati avevano accettato l'eredità, acquisendo di diritto il possesso dei beni rientranti nell'asse.

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Ha ritenuto che correttamente il tribunale avesse accertato che, a seguito dell'apertura della successione della T., la sussistenza di una situazione di compossesso tra tutti gli eredi, concludendo che la ricorrente non aveva usucapito l'immobile, non avendo esteso il proprio possesso all'intero.

Il ricorso si sviluppa in 6 motivi.

D.R.A., P.M.S., P.L., A.E., A.D. hanno depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo censura la violazione degli artt. 1141,1144,2728 e 2729 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di dibattito tra le parti, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La sentenza avrebbe errroneamente ritenuto che D.R.G. e la P. avevano detenuto l'immobile, coabitando con la T., benchè nessuna prova fosse stata acquisita in proposito e senza che la Corte di merito abbia dato conto delle fonti del proprio convincimento; che il rapporto con i beni poteva essere iniziato solo a titolo di possesso pieno in virtù della presunzione dell'art.

1141 c.c., non occorrendo atti di interversione, considerato che il coniuge della resistente era nel possesso dei beni dal 1979 - o al più tardi dal 1984 - quale unico erede accettante; che la sentenza sarebbe errata anche laddove ha ritenuto che il godimento dei beni dopo l'apertura della successione fosse avvenuta a titolo di tolleranza e comunque in modo non esclusivo.

Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 1141 c.c., comma 1, artt. 2728,2729 e 1144 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo oggetto di dibattito tra le parti ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza asserito che il possesso ad usucapionem fosse stato interrotto dalla coabitazione con gli altri eredi della de cuius, non considerando che tale interruzione poteva aver rilievo solo ove protratta per almeno un anno; che la dimora saltuaria presso l'immobile da parte dei coeredi, anche ove provata, non avrebbe potuto escludere il possesso esclusivo della ricorrente o condurre a riconoscere un possesso in capo agli altri chiamati prima che questi ultimi avessero accettato l'eredità.

Il terzo motivo censura la violazione degli artt. 459,294,2697 c.c., artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè l'omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso per il giudizio ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza asserito che dopo la morte della T. si fosse instaurata una situazione di compossesso benchè gli altri chiamati all'eredità avessero accettato l'eredità solo con la costituzione in giudizio e con la proposizione della domanda di divisione, non essendo anteriormente a tale data - allorquando l'usucapione era però già maturata - succeduti nel possesso; che la Corte di merito avrebbe anche asserito che la qualità di erede in capo ai convenuti era incontestata o comunque riconosciuta già dalla stessa chiamata in giudizio di questi ultimi mentre tale

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qualità era stata negata già nella comparsa conclusionale di primo grado; che infine non vi era prova che i convenuti avessero più volte richiesto la divisione dell'asse, essendo pervenuta una sola istanza nel 1983 e solo da parte della madre di uno dei chiamati alla successione.

Il quarto motivo censura l'omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per aver la sentenza sostenuto che la straordinaria manutenzione effettuata presso l'immobile da parte della ricorrente integrasse un mero atto di gestione della massa, inidonea ad estendere il possesso all'intero, non considerando che non poteva esserci alcuna massa ereditaria prima del decesso della T., mentre, per il periodo successivo all'apertura della successione, tali attività costituivano atti di signoria esclusiva sull'immobile.

Il quinto motivo censura la violazione dell'art. 112 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all'art.

360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 per aver la Corte distrettuale omesso di pronunciare sulla domanda di usucapione dei beni diversi da quelli siti in (OMISSIS), ritenendo detta domanda abbandonata e comunque asserendo che anche tali beni ereditari fossero stati usati dagli altri coeredi, non considerando che questi ultimi non avevano accettato l'eredità di T.R.. Il sesto motivo censura la violazione dell'art. 101 c.p.c. e dell'art. 111 Cost., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza omesso di valutare adeguatamente le tesi difensive articolate nell'atto di gravame, proponendo una propria lettura dei fatti di causa, sganciata dalle risultanze processuali ed appiattita, sulle tesi del giudice di primo grado.

2. Vanno esaminati congiuntamente il primo ed il terzo motivo di ricorso, che vertono su questioni parzialmente identiche.

2.1. Le censure sono infondate.

La sentenza ha desunto dai rapporti di stretta parentela intercorrenti tra d.R.G. e la T. che la ricorrente ed il coniuge avevano acquisto la disponibilità dell'immobile non in forza di un atto di apprensione autonoma, ma per ragioni di solidarietà familiare e di ospitalità.

Ha, di conseguenza, escluso che potesse invocarsi la presunzione di possesso pieno ai sensi dell'art. 1141 c.c., la quale, difatti, non opera quando la relazione con il bene derivi da un atto o da un fatto del proprietario a beneficio del detentore, poichè in tal caso l'attività del soggetto che dispone del bene cosa non corrisponde all'esercizio di un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario. La ricorrente solleva contestazioni alla pronuncia della Corte distrettuale laddove ha ritenuto provato che la P. ed il coniuge avessero iniziato ad utilizzare l'immobile non a titolo di possesso pieno, ma in virtù di una concessione della titolare, illustrando censure che attengono alla valutazione delle risultanze istruttorie e a profili di merito che non possono trovare ingresso.

In tal modo, in luogo di prospettare una violazione di legge sindacabile in sede di legittimità, si sottopone a critica la valutazione delle risultanze processuali e la formazione del convincimento del giudice di merito, ossia una questione di merito non deducibile come

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motivo di ricorso ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La norma si riferisce invece al tipico "error in iudicando" e, nel menzionare la violazione o falsa applicazione di legge, sintetizza i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto, cioè quello concernente la ricerca e l'interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso esaminato e - il secondo - l'applicazione della norma alla specifica fattispecie concreta, una volta correttamente individuata ed interpretata.

Per contro, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e invade la tipica valutazione del giudice di merito. A quest'ultimo è difatti rimessa l'indagine volta a stabilire, alla stregua delle prove acquisite al processo, se determinate attività siano idonee a concretare situazioni tutelabili in sede possessoria, o non lo siano, per essere dovute alla mera tolleranza di chi potrebbe opporvisi (Cass. 6.1.1979, n. 50; Cass. 19.7.1973, n. 2119; Cass. 22.3.1972, n.

880).

2.2. Una volta stabilito - quindi - che il potere di fatto era iniziato a titolo di detenzione, correttamente la sentenza ha ritenuto necessario un atto d'interversione idoneo a provare, con il compimento di idonee attività materiali, il possesso utile "ad usucapionem" in opposizione al proprietario concedente, atto di cui ha però escluso che vi fosse prova (Cass. 124.10.2014, n. 21690; Cass. 15.3.2005, n. 5551; Cass. 13.9.2004, n. 18360; Cass. 22.1.1994, n. 622; Cass.

4.12.1995, n. 12493).

Non poteva rilevare il lungo protrarsi dell'occupazione dell'immobile sin dal 1957, posto che, per accertare se la relazione di fatto con il bene costituisca una situazione di possesso ovvero di semplice detenzione dovuta a mera tolleranza di chi potrebbe opporvisi, come tale inidonea, ai sensi dell'art. 1144 c.c., a fondare la domanda di usucapione, la circostanza che l'attività svolta sul bene abbia avuto durata non transitoria e sia stata di non modesta entità, cui normalmente può attribuirsi il valore di elemento presuntivo per escludere che vi sia stata tolleranza, è destinata a perdere tale efficacia nel caso in cui i rapporti tra le parti siano caratterizzati da vincoli particolari, quali quelli di parentela o di società, ed il relativo apprezzamento attiene al fatto ed è demandato al giudice di merito (Cass. 27.4.2006, n. 9661;

Cass. 18.6.2001, n. 8194; Cass. 22.5.1990, n. 4631).

2.3. La ricorrente sostiene di aver utilizzato l'immobile unitamente al coniuge sin dal 1958 ed ininterrottamente anche dopo la morte della proprietaria T.R. nel disinteresse degli altri chiamati alla successione, i quali, non avendo anteriormente accettato l'eredità, non avevano composseduto l'immobile; che, pertanto, anche a ritenere che gli occupanti avessero esercitato il possesso pieno solo dal momento dell'apertura della successione o al più tardi a partire dal 1984, l'usucapione era già maturata al momento in cui gli altri chiamati, con la richiesta di divisione dell'asse, avevano manifestato la volontà di accettare l'eredità di T.R..

La Corte distrettuale ha, però, accertato, sulla base delle risultanze di causa, che anche gli altri

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chiamati avessero compiuto atti di accettazione tacita per effetto delle reiterate richieste di divisione dei beni ereditari, ritenendo che gli immobili fossero stati composseduti da tutti ed utilizzati dalla ricorrente e dal coniuge esclusivamente per mera tolleranza degli altri coeredi.

Tale accertamento non è sindacabile, per le ragioni già dette, sotto i profili indicati in ricorso, poichè l'indagine circa il perfezionamento di atti di accettazione tacita dell'eredità è rimessa al giudice di merito (Cass. 17.11.1999, n. 12753; Cass. 19.10.1988, n. 5688; Cass. 17.10.1978, n. 4639).

In ogni caso, non è decisivo che fosse pervenuta una sola richiesta di divisione nel 1983, ossia da epoca anteriore al decorso del termine per l'usucapione, e solo da parte della madre di una dei chiamati, poichè, avendo la Corte stabilito che detta richiesta valeva come accettazione tacita dell'eredità con conseguente acquisto de iure del possesso, ciò era sufficiente per escludere che la ricorrente ed il coniuge avessero, dopo il 1983, posseduto a titolo esclusivo i beni facenti parte dell'asse ereditario e avessero potuto usucapirli.

Per altro verso, la sentenza ha stabilito che, dopo il decesso di T.R., sopraggiunto l'(OMISSIS), l'immobile era stato abitato dal figlio D.R.A. fino al gennaio 1984 e che anche dopo tale data, altro coerede, D.R.D., lo aveva utilizzato come studio professionale per gli anni successivi: tale circostanza di fatto, oltre a poter integrare un'accettazione pura e semplice dell'eredità da parte di questi ultimi (quali chiamati nel possesso dei beni del de cuius al momento dell'apertura della successione), non poteva che impedire l'usucapione dell'intero, mancando l'esercizio del possesso dell'immobile in forma esclusiva.

Difatti, il coerede che dopo la morte del "de cuius" sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso ma a tal fine, egli, che già possiede "animo proprio" ed a titolo di comproprietà, è però tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando egli goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus", non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall'uso della cosa comune (Cass. 25.3.2009, n. 7221).

Tale volontà non può desumersi dal fatto che egli abbia utilizzato e amministrato il bene ereditario, sussistendo al riguardo una presunzione "iuris tantum" che abbia agito nella qualità e che abbia operato nell'interesse anche degli altri, ma ha l'onere di provare che il rapporto materiale con il bene si è verificato in modo da escludere, con palese manifestazione del volere, gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare analogo rapporto con il medesimo bene ereditario (Cass. 12.4.2002, n. 5226; Cass. 7.7.1999, n. 7075; Cass. 26.11.1997, n. 11842).

Di conseguenza l'accertata insussistenza di atti di estensione del possesso all'intero era di ostacolo alla maturazione dell'acquisto, avendo la sentenza stabilito che il bene era stato utilizzato con modalità compatibili con il paritario possesso e la contitolarità degli altri eredi

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che avevano parimenti accettato l'eredità di T.R..

3. Il secondo motivo è inammissibile anzitutto perchè non si confronta la reale ratio decidendi della pronuncia.

La Corte ha ritenuto incontestato e comunque provato dalla documentazione in atti, richiamata più nel dettaglio nel controricorso, che gli attori avessero iniziato a detenere l'immobile per spontanea concessione della proprietaria e che non avessero posseduto in forma esclusiva neppure dopo l'apertura della successione di T.R..

Solo da tale momento la Corte d'appello ha asserito che D.R.G. avesse acquistato il possesso quale erede accettante, e limitatamente alla quota ereditaria, mentre ha escluso che questi (ed in seguito la ricorrente) avesse esteso il possesso all'intero sì da usucapire le altre quote.

La sentenza non asserisce, in definitiva, che l'usucapione non era maturata a causa dell'interruzione del possesso, ma sostiene che al contrario - il possesso non era stato esercitato in modo esclusivo e che non erano stati compiuti atti di estensione del possesso nei confronti dei compossessori.

Di conseguenza, mancando un possesso esclusivo, non veniva in rilievo la durata dell'interruzione del possesso e, quindi, correttamente la sentenza ha omesso di prenderla in considerazione. In ogni caso, poichè la sentenza è stata pubblicata in data 15.11.2012, non è ammissibile il sindacato di insufficienza della motivazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con L. n. 134 del 2012.

La disposizione censura l'omesso esame di un fatto materiale, principale o secondario, risultante dagli atti ed avente carattere decisivo, ossia un vizio della sentenza che non ha attinenza all'insufficienza o all'illogicità della motivazione, contemplata dalla precedente formulazione della disposizione, introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006m art. 2.

Per contro, il sindacato sulla motivazione è attualmente consentito ai sensi dell'art. 132 c.p.c.

in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e nelle sole ipotesi di motivazione carente dal punto di vista grafico e materiale, di motivazione apparente o contraddittorietà insuperabile che non consenta di individuare l'iter logico della pronuncia.

3. Il quarto motivo è inammissibile.

In primo luogo la censura, pur sostenendo che l'effettuazione di lavori di straordinaria amministrazione da parte della ricorrente e del coniuge dovesse apprezzarsi come atto di estensione del possesso all'intero immobile, non specifica di quale tipologia di lavori si trattasse ed in quale data siano stati realizzati, nè spiega perchè essi dovessero comportare necessariamente l'imposizione di una signoria sull'intero, incorrendo in un evidente difetto di autosufficienza del ricorso.

In ogni caso, come detto, la sentenza è stata depositata in data 15.11.2012 e pertanto ricade nel testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54,

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comma 1, lett. b) convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134, essendo quindi precluso il sindacato sulla sufficienza della motivazione.

5. Il quinto motivo è infondato.

La Corte ha espressamente statuito sulla domanda di usucapione dei beni siti in (OMISSIS), asserendo che il possesso degli immobili e delle suppellettili era stato contestato e che anche gli altri eredi avevano usato e prelevato i beni mobili ricadenti nell'asse.

In ogni caso, la sentenza ha accertato che l'eredità era stata accettata anche dagli altri eredi e che comunque alcuni di essi erano rimasti nel possesso degli immobili, e ciò era sufficiente ad escludere che la P. ed il coniuge potessero considerarsi possessori esclusivi delle altre consistenze e delle relative dotazioni.

Difatti, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione dei giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 6.12.2017, n. 29191; Cass. 13.10.2017, n. 24155; Cass. 4.10.2011, n.

20311). 6. Il sesto motivo censura la violazione dell'art. 101 c.p.c e dell'art. 111 Cost., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, asserendo che la sentenza di secondo grado non abbia neppure preso in considerazione le tesi difensive articolate nell'atto di gravame, proponendo una personale lettura dei fatti di causa, sganciata dalle risultanze processuali ed appiattita sulle tesi del giudice di primo grado.

Il motivo è inammissibile, poichè si risolve in una censura del tutto generica, prospettando vizi non individuati in modo specifico e con il necessario richiamo ai contenuti della decisione, alle risultanze di causa e alle vicende processuali, indicazioni indispensabili anche quando la sentenza d'appello sia censurata per vizi che attengano alla violazione dell'obbligo di motivazione, di imparzialità del giudice o nel caso in cui la motivazione sia formulata solo per relationem alla pronuncia di primo grado (Cass. s.u., 20.3.2017, n. 7074).

Nella fattispecie, la Corte distrettuale, senza alcun acritico appiattimento sulla decisione del tribunale, ha mostrato di aver valutato in modo autonomo le vicende processuali, ha chiarito, per i motivi già detti, le ragioni per cui ha ritenuto di escludere che la ricorrente avesse usucapito i beni ereditari, evidenziando, in modo ragionato, l'adesione a quanto statuito dal primo giudice, il che rende la censura infondata anche nel merito.

In ogni caso, anche quando la motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte o di altri atti processuali o di provvedimenti giudiziari, senza niente aggiungervi, la sentenza non può reputarsi nulla, se le ragioni della decisione siano attribuibili all'organo giudicante,

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siano frutto di un riesame critico delle risultanze processuali e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo (Cass. s.u., 16.1.2015, n. 642).

7. Il ricorso è quindi respinto anche agli effetti delle spese processuali, che si liquidano come da dispositivo.

Sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al .R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13.

PQM P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si