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SOLUZIONE TRACCIA 9

Cassazione civile, sez. II, 04/10/2018, (ud. 19/04/2018, dep.04/10/2018), n. 24365

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 16.3.2001 P.V. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli, Sezione di Casoria, T.A., per sentirla condannare, ai sensi dell'art. 936 c.c. in relazione all'art.

1150 c.c., al pagamento del valore dei materiali, del prezzo della mano d'opera e delle altre spese effettuate sul terreno di proprietà della convenuta, oggetto di locazione non abitativa.

L'attore deduceva di aver condotto in locazione dal 1984 la nuda area sita nel Comune di (OMISSIS), onde adibirla a officina meccanica, subentrando nel rapporto locatizio del proprio genitore P.G. con T.A. e che, nel corso di detto rapporto, aveva realizzato sull'area, senza alcuna opposizione della locatrice, un capannone di ferro di 112 mq, un locale adibito a ufficio di 10 mq e posti macchina coperti per 148 mq, tanto da essere sottoposto a procedimento penale per averli realizzati senza concessione edilizia e per i quali la locatrice, in data 28.2.1995, aveva presentato domanda di concessione in sanatoria.

Si costituiva in giudizio T.A. deducendo di non aver mai autorizzato detti lavori, nè di esserne venuta mai a conoscenza, se non dopo aver ricevuto un verbale dai Vigili Urbani di Casavatore in ordine ai manufatti realizzati sul proprio terreno per cui, solo per evitare conseguenze penali, aveva presentato domanda di condono edilizio, provvedendo al pagamento della relativa oblazione. La convenuta spiegava domanda riconvenzionale onde essere risarcita dei danni patiti in conseguenza dell'attività edilizia realizzata dall'attore, in considerazione della natura residenziale della zona in cui è ubicato il terreno di sua proprietà.

La causa era istruita mediante espletamento di prova testimoniale e CTU. Il giudizio veniva interrotto per il decesso della convenuta e quindi riassunto nei confronti di PE.RA., il quale si costituiva in proprio e quale erede di T.A., deducendo l'inammissibilità dell'azione.

Con sentenza n. 73/2008, depositata in data 25.2.2008, il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda e condannava il convenuto al pagamento della somma di Euro 64.229,58, oltre interessi dall'11.11.2005 al soddisfo e al pagamento delle spese di lite.

Pe.Ra. impugnava la pronuncia davanti alla Corte d'appello di Napoli, chiedendo il rigetto della domanda e la restituzione, nell'ipotesi di pagamento, di tutto quanto incassato dal P. in esecuzione della sentenza impugnata.

Si costituiva Vincenzo P. deducendo l'infondatezza in fatto e in diritto dell'avverso gravame, di cui chiedeva il rigetto.

Con sentenza n. 823/2014, depositata il 25.2.2014, la Corte d'Appello di Napoli accoglieva l'appello e, per l'effetto, rigettava la domanda proposta da Vincenzo P., condannandolo al

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pagamento delle spese di lite del doppio grado e a quelle della CTU.

Avverso detta sentenza P.V. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi; cui resiste Pe.Ra. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - Con il primo motivo, il ricorrente deduce la "violazione della norma di cui all'art. 936 c.c.

e falsa applicazione della norma di cui all'art. 1593 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", nella parte in cui il giudice di appello ha erroneamente ritenuto che nel caso di specie l'edificazione da parte del conduttore di nuovi manufatti sul terreno in locazione non integrasse un'ipotesi di accessione ex art. 936 c.c. e ss., bensì di addizione, ai sensi dell'art.

1593 c.c., anche nel caso in cui le addizioni abbiano dato luogo a un radicale mutamento della struttura del bene e della sua destinazione.

1.1. - Il motivo non è fondato.

1.2. - La Corte di merito ha richiamato e fatto proprio il costante orientamento di questa Corte, secondo il quale "la disciplina dell'accessione di cui all'art. 936 c.c. è applicabile esclusivamente quando le opere siano state realizzate da un soggetto che non abbia con il proprietario del fondo nessun rapporto giuridico, di natura reale o personale, che gli conferisca la facoltà di costruire sul suolo, mirando la norma a regolare la ricaduta patrimoniale di un'attività di costruzione su suolo altrui che coinvolga soggetti fra loro terzi"

(Cass. n. 1378 del 2012; Cass. n. 12550 del 2009). Ed ha, coerentemente, applicato il principio per cui l'edificazione da parte del conduttore di nuovi manufatti sul terreno locato non integra una ipotesi di accessione ai sensi degli artt. 936 c.c. e segg., ma deve essere qualificato come addizione ai sensi dell'art. 1593 c.c. (anche nel caso in cui le addizioni apportate dal conduttore abbiano dato luogo ad un radicale mutamento della struttura del bene e della sua destinazione); e, in quanto tale, dà al conduttore la specifica azione prevista dalla legge, per ottenere la corresponsione del relativo indennizzo (cfr. Cass. n. 7550 del 2009).

In ragione di ciò, la Corte territoriale ha affermato che, essendo incontrastati l'esistenza di un contratto di locazione tra le parti e la costruzione sul terreno locato di un capannone e di altri manufatti minori, fosse da rigettarsi la domanda ex art. 936 c.c. avanzata dal conduttore, potendo egli esperire altra azione specifica ai sensi degli artt. 1592 e 1593 c.c. Infatti, l'art.

936 c.c. ha carattere generale e non può ricevere applicazione in tutte quelle ipotesi in cui, in dipendenza della preesistenza di rapporti giuridici tra il proprietario e colui il quale voglia eseguire migliorie o addizioni, la legge predisponga una disciplina particolare (cfr. Cass. n.

3844 del 1954), come nel caso della locazione.

1.3. - Come detto, la Corte d'appello si è uniformata all'insegnamento consolidato di questa Corte per il quale la disciplina di cui all'art. 936 c.c. si applica solo quando l'autore delle nuove opere sia realmente terzo, ossia non abbia con il proprietario del fondo alcun rapporto

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giuridico di natura reale o personale che lo legittimi a costruire sul fondo medesimo (ex multis, Cass. 27900 del 2017; Cass. n. 4148 del 2012; Cass. 1378 del 2012; Cass. n. 11835 del 2003; Cass. n. 4623 del 2001; Cass. n. 2998 del 2001; Cass. n. 9872 del 2000).

Peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la veste di terzo ai sensi dell'art.

936 c.c. non si acquista (da parte del conduttore) in ragione del fatto che alla regolamentazione delle addizioni contemplate dall'art. 1593 c.c. non possa farsi riferimento quando si tratti di alterazioni profonde, che abbiano come conseguenza la trasformazione, anche di una parte soltanto, della cosa locata (ex multis, Cass. n. 5747/1988; Cass. n.

4706/1984); nè che assuma rilevanza il principio richiamato dalla Corte di merito secondo cui l'applicazione della norma di cui all'art. 1593 c.c. è subordinata alla concessione al conduttore dello ius aedificandi (Cass. n. 7550 del 2009). Tali circostanze involgono l'operatività o meno della disciplina speciale delle addizioni di cui all'art. 1593 c.c. e non già l'affermazione della configurabilità della posizione del soggetto (conduttore) quale terzo, tanto da legittimare l'applicazione dell'art. 936 c.c.

2. - Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la "omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5", nella parte in cui la Corte di merito non rileva che, nella fattispecie in esame, il contratto di locazione non solo non consente la costruzione, ma non attribuisce neppure tale facoltà al conduttore, prevedendone, anzi, il suo palese divieto; sicchè nulla esclude che egli possa considerarsi terzo, ai sensi della prescrizione di cui all'art. 936 c.c., quando lo stesso contratto preveda il divieto di costruire senza consenso espresso e scritto da parte del locatore.

2.1. - Il motivo è inammissibile.

2.2. - Esso, come formulato, non risulta riconducibile al modello introdotto dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 25 febbraio 2014. Prevede, infatti, il nuovo testo che la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso di "omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti". E' noto come, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 e n. 8054 del 2014), la norma consenta di denunciare in cassazione - oltre all'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione - solo il vizio dell'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali,

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che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, i ricorrenti avrebbero dovuto specificamente indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il

"come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua

"decisività" (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

5.3. - Orbene, della enucleazione di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde poter procedere all'esame del denunciato parametro, non v'è traccia. Laddove, le censure mosse si risolvono tutte, in buona sostanza, nella richiesta generale e generica al giudice di legittimità di una (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in partibus quibus della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018).

3. - Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la "violazione dell'art. 936 c.c. - Falsa applicazione dell'art. 1593 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", nella parte in cui la Corte di merito non avrebbe osservato che nel contratto di locazione è espressamente prevista una clausola di divieto alla realizzazione di nuove opere, omettendo di qualificare come terzo il ricorrente.

3.1. - Il motivo è inammissibile.

3.2. - Esso, come proposto è carente di autosufficienza, in mancanza di una esatta indicazione e doverosa trascrizione del contratto di locazione tra le parti, in cui il ricorrente asserisce essere prevista la predetta clausola. Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo cui, qualora il ricorrente per cassazione si dolga dell'omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito, ha l'onere (che nella specie non risulta assolto) di indicare nel ricorso il contenuto rilevante dello stesso, fornendo alla Corte elementi sicuri per consentirne il reperimento negli atti processuali (cfr. altresì Cass. n. 22576 del 2015;

n. 16254 del 2012); potendo solo così reputarsi assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (a pena di inammissibilità) e dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso).

Il ricorrente non ha rispettato il dovere di evidenziare mediante anche l'integrale trascrizione, ove occorra, di detti atti nel ricorso - la risultanza che asserisce essere decisiva e non valutata o mal valutata, o insufficientemente considerata, ed i canoni che in concreto assumono violati, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell'atto, senza necessità di indagini integrative (Cass. n. 2093 del 2016; cfr., tra le molte, Cass. n. 14784 del 2015; n.

12029 del 2014; n. 8569 del 2013; n. 4220 del 2012).

4. - Con il quarto motivo, il ricorrente, deduce la "omessa statuizione in violazione di legge ed

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eccesso di potere sul secondo motivo di appello proposto dall'appellante", con il quale il Pe.

chiedeva la restituzione di quanto pagato in esecuzione della sentenza impugnata; a fronte di ciò, il Giudice di secondo grado, pur affermando in motivazione di non poter decidere per mancanza di prova del pagamento, nel dispositivo ha omesso ogni statuizione sul punto.

4.1. - Il motivo è inammissibile.

4.1. - La Corte argomenta sul fatto che "nulla può essere disposto in merito alla domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza impugnata non essendo stato provato il pagamento di alcuna somma di denaro a tal titolo".

Orbene il motivo va dichiarato inammissibile, per carenza di interesse, in quanto, ove accolto, non determinerebbe alcun vantaggio per la parte ricorrente, che peraltro non ha indicato le ragioni a sostegno della proposizione del motivo stesso (cfr. Cass. n. 10445 del 2011).

5. - Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art.

13, comma 1 quater.

PQM P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018

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