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SOLUZIONE TRACCIA 4

Cassazione civile, sez. II, 02/03/2018, (ud. 12/01/2018, dep.02/03/2018), n. 5015

Fatto

RILEVATO

che con atto di citazione notificato l'11 maggio 2001 il sig. D'Urso Sebastiano conveniva in giudizio davanti al tribunale di Catania, sez. distaccata di Mascalucia, il sig. P.M., esponendo che il convenuto, proprietario del fondo limitrofo al proprio in Pedara, C.so Area di Giove, aveva eseguito lavori di ristrutturazione del proprio fabbricato senza le dovute cautele e chiedendo che il medesimo fosse condannato alla esecuzione dei lavori necessari all'eliminazione dei danni provocati al fabbricato dell'attore - in particolare la lesione della pavimentazione in prossimità di uno scavo effettuato sotto il piano di campagna al fine di realizzare un cantinato - ed alla esecuzione delle opere necessarie per la messa in sicurezza del proprio immobile, nonchè al risarcimento dei danni "patiti e patiendi";

che il tribunale, istruita la causa a mezzo c.t.u., dichiarava inammissibile la domanda di risarcimento del danno in forma specifica e condannava il convenuto al risarcimento del danno nella misura di Euro 100,00 e al pagamento delle spese processuali nella misura di 4/5, compensando fra le parti il residuo quinto;

che D.S., attore in primo grado, proponeva appello in data 20 aprile 2005 avverso la sentenza del tribunale;

che P.M. si costituiva resistendo al gravame e proponendo appello incidentale avverso il capo relativo alle spese;

che, a seguito di interruzione del processo per il sopravvenuto decesso dell'appellante D.S., il sig. P.S., legatario del de cuius e successore a titolo particolare nel diritto controverso, riassumeva in giudizio con atto di intervento e riassunzione nei confronti dell'appellato P.M. e dell'erede del D., sig. P.R.;

che a seguito della riassunzione effettuata dal successore a titolo particolare dell'appellante, non si costituivano nè l'appellato, nè l'erede dell'appellante;

che la corte d'appello di Catania, con la sentenza n. 558 del 12 marzo 2013, dichiarava la contumacia di P.M. e di P.R. e accoglieva parzialmente il gravame, ascrivendo all'appellato P.M. la violazione della disciplina antisismica di cui alla L. n. 1684 del 1962, art. 9, comma 3, e condannando il medesimo ad eseguire le opere indicate nella relazione del c.t.u. del 22 ottobre 2010;

che il sig. P.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, sulla scorta di quattro motivi; che il sig. P.S. si è costituito con controricorso;

che la causa è stata chiamata all'adunanza di camera di consiglio del 12 gennaio 2018, per la

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quale non sono state depositate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo di ricorso, promiscuamente riferito all'art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 il ricorrente - dopo aver sottolineato che egli si era regolarmente costituito nel giudizio di secondo grado introdotto dall'appello dell' D. - censura la statuizione della corte territoriale che lo ha dichiarato contumace per mancata riproposizione della costituzione a seguito della riassunzione operata da P.S. e denuncia l'omesso esame "di tutte le difese poste in essere da P.M. nelle udienze successive all'atto riassuntivo, ivi comprese le memorie conclusionali e le note di replica");

che il motivo è inammissibile con riferimento ai vizi denunciati in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 giacchè il ricorrente non precisa quali eccezioni, istanze o difese - ulteriori rispetto a quelle già proposte nella comparsa di costituzione conseguita all'appello del D. - egli abbia svolto "nelle udienze successive all'atto riassuntivo, ivi comprese le memorie conclusionali e le note di replica";

che infatti questa Corte ha costante affermato che l'art. 360 c.p.c., n. 4, nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l'interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l'eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo; con la conseguenza che, ove il ricorrente non indichi lo specifico e concreto pregiudizio subito, l'addotto error in procedendo non acquista rilievo idoneo a determinare l'annullamento della sentenza impugnata (cfr. sentt.

18635/11, 15676/14, 22978/15);

che, quanto al profilo di gravame relativo al vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, è sufficiente rilevare che tale disposizione concerne l'omesso esame non di argomentazioni difensive ma di fatti storici, che abbiano formato oggetto di discussione e che appaiano decisivi ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. 23940/17);

che peraltro il motivo in esame è anche infondato, giacchè la statuizione impugnata è conforme al principio che, in seguito alla riassunzione del processo interrotto, la parte già costituita che non rinnovi il proprio atto di costituzione deve essere dichiarata contumace (Cass. 12191/98, Cass. 19613/11, Cass. 26372/14), mentre il precedente giurisprudenziale invocato dal ricorrente (Cass. 12790/12)), non è pertinente, perchè concerne la riassunzione a seguito di sospensione e non la riassunzione a seguito di interruzione;

che con il secondo motivo, riferito all'art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente - invocando il principio che lo ius superveniens in materia edilizia non opera, in caso di maggiore restrittività della nuova normativa, in relazione alle opere già compiutamente edificate - censura la sentenza gravata per aver valutato la conformità del suo manufatto alla normativa antisismica con

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riferimento ai parametri di cui al D.M. 14 gennaio 2008, posteriore alla realizzazione del manufatto medesimo;

che il motivo non attinge specificamente la motivazione della sentenza gravata, la quale si fonda sull' affermazione del consulente (contenuta nello stralcio della relazione peritale del 22.10.10 trascritto a pag. 7, ultimi righi, della sentenza) che il nuovo corpo di fabbrica di P.M.

non era conforme alla normativa antisismica "all'epoca vigente"; nè nel ricorso vengono riportati, come imposto dall'art. 366 c.p.c., n. 6, i passaggi della suddetta relazione peritale del 22.10.10 idonei, secondo il ricorrente, a dimostrare che, in contrasto con l'affermazione trascritta in sentenza, il consulente avesse giudicato il manufatto de quo conforme alla normativa vigente al tempo della sua realizzazione;

che col terzo motivo di ricorso, riferito anch'esso all'art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente censura la statuizione con cui la corte di appello, in contrasto con il tribunale, ha ritenuto che la doglianza relativa alla violazione delle distanze legali dedotta dal D. con memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 costituisse mera emendatio libelli e non mutatio libelli, ritenendola dunque ammissibile e, per l'effetto, accogliendola;

che il motivo va disatteso, in quanto la doglianza non attinge specificamente il rilievo che la domanda rassegnata dal D. nella memoria depositata ai senso dell'art. 183 c.p.c. non deduceva in alcun modo la violazione delle distanze legali (i.e. delle distanze fra costruzioni previste dal codice civile o dai regolamenti locali), ma la mancanza del giunto di dilatazione tra la nuova fabbrica ed il muro comune (pag. 6, primo e secondo capoverso, della sentenza); rilievo da cui correttamente la corte distrettuale ha tratto la conclusione, persuasivamente argomentata nell'ultimo capoverso di pagina 6 della sentenza gravata, della insussistenza di alcuna mutatio libelli nelle difese del D.;

che con il quarto motivo, riferito all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 il ricorrente censura la statuizione con cui la corte distrettuale, fra le varie soluzioni prospettate dal c.t.u. per mettere in sicurezza i fabbricati, ha preferito quella maggiormente onerosa per il convenuto;

che con detta statuizione la corte territoriale, secondo il ricorrente, da un lato avrebbe violato il principio del neminem laedere, il principio di proporzione tra vantaggio di una parte e pregiudizio dell'altra (desumibile dall'art. 833 c.c.) e il disposto dell'art. 41 Cost., comma 2;

d'altro lato, avrebbe omesso l'esame del fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti rappresentato dall'avere il c.t.u. proposto la soluzione poi accolta dalla corte etnea solamente per completezza diagnostica, segnalandone la maggiore invasività ed onerosità per il ricorrente rispetto a quella di cui alla prima parte del punto b) della relazione;

che tanto la denuncia di violazione di legge quanto quella di omesso esame di fatto decisivo sono infondate;

che, quanto alla prima, il Collegio osserva che il principio del neminem laedere e l'art. 41 Cost. non hanno alcuna attinenza alla fattispecie, mentre il principio del divieto di atti

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emulativi, fissato nell'art. 833 c.c., non opera quando sussista un interesse del proprietario (nella specie correttamente individuato dal giudice di merito nell'interesse di P.S. ad evitare il coinvolgimento del proprio immobile); cfr. Cass. 1209/16: "L'atto emulativo vietato ex art.

833 c.c. presuppone lo scopo esclusivo di nuocere o di recare pregiudizio ad altri, in assenza di una qualsiasi utilità per il proprietario, sicchè non è riconducibile a tale categoria un atto comunque rispondente ad un interesse del proprietario, nè potendo il giudice compiere una valutazione comparativa discrezionale fra gli interessi in gioco o formulare un giudizio di meritevolezza e prevalenza fra gli stessi";

che la denuncia di omesso esame di fatto decisivo è pur essa infondata, avendo la corte territoriale esaminato tutte le proposte del c.t.u. e motivato sulle ragioni della propria opzione;

che quindi in definitiva il ricorso va rigettato in relazione a tutti i motivi in cui esso si articola;

che le spese seguono la soccombenza.

che deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.

PQM P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere al contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.500, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell'art. 1 bis dello stesso art.

13.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2018

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5) SPESE URGENTI FATTE DAL CONDOMINO E ARRICHIMENTO SENZA CAUSA.

Traccia.

Nel 2012 i coniugi Mevia e Sempronio, proprietari dell’appartamento all’ultimo piano del condominio Alfa, notarono delle infiltrazioni nel proprio immobile, derivanti dal cattivo stato di manutenzione del terrazzo di copertura condominiale.

Si rivolgevano al Geom. Romolo affinchè, previa convocazione degli altri proprietari, predisponesse progetto, computo metrico della copertura e presentasse altresì le opportune richieste agli organi competenti.

Il Geometra, con raccomandata 19.3.2012, convocava, fra gli altri, il sig. Tizio, proprietario di un appartamento al piano terra che, tuttavia, manifestava la propria indisponibilità a partecipare ai costi manutentivi.

Tenuto conto della grave situazione in cui versava la copertura e degli ingenti disagi che le infiltrazioni provenienti dalla stessa arrecavano all’appartamento sito al piano superiore, gli altri proprietari decidevano di dare esecuzione agli improcrastinabili interventi manutentivi, anticipando i costi relativi con riserva di ripetizione.

In particolare, Mevia e Sempronio, oltre alla quota di spettanza, anticipavano le somme di competenza di Tizio, pari a complessivi Euro 13.558,48.

Alla richiesta di restituzione delle somme anticipate, Tizio eccepiva che nessuna somma era da lui dovuta in quanto gli altri condomini si erano attivati autonomamente per svolgere i lavori di rifacimento della copertura, senza l’autorizzazione dell’assemblea ai sensi dell’art.

1334 c.c. ed in assenza del requisito dell’urgenza.

Attivato un giudizio presso il Tribunale Alfa, valutata la non urgenza di lavori che scontavano invece una incuria di molti anni, venivano rigettate le richieste di restituzione avanzate da Mevia e Sempronio. Tizio veniva però condannato comunque a rifondere i due coniugi dell’esborso effettuato, a titolo di arricchimento senza causa ai sensi dell'art. 2041 c.c., comma 1.

Tizio, si rivolge al vostro studio legale al fine di valutare la opportunità di proporre appello avverso la suddetta sentenza.

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