Local Food: Sostenibilità e Social Innovation della filiera corta
2.2 Sostenibilità locale della filiera corta
2.2.1 Sostenibilità ambientale della filiera corta
Le implicazioni riguardanti la produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti alimentari sono molteplici e varie, principalmente dalla prospettiva della sostenibilità ambientale.
Un primo aspetto di notevole importanza fa riferimento al fenomeno secondo cui le aziende agricole, che aderiscono al modello della filiera corta, tendono ad implementare metodi produttivi più sostenibili, con effetti positivi sulla biodiversità, il paesaggio e le risorse naturali.
La tutela della biodiversità trova conferma nelle analisi di diversi autori sulle tipologie aziendali che si avvicinano alla filiera corta con maggiore frequenza. In Francia, ad esempio, è stato verificato che molti imprenditori agricoli, praticanti la vendita diretta, sono situati in zone marginali in cui il potenziale di conservazione delle risorse naturali è molto elevato.
Ciò indica che lo sviluppo della short chain nelle aree emarginate possa dimostrarsi un’opportunità favorevole per garantire la loro conservazione contro il rischio di abbandono.
55 Curry D., Chairman, farming and food, a sustainable future. Report of the Policy Commission on the Future of Farming and
Food, Londra, 2002.
56 Cfr. Renting H., Marsden T.K., Banks J., Understanding alternative food networks: exploring the role of short food supply
Alcuni studi condotti nel nostro Paese dimostrano come le aziende agricole, che aderiscono alla filiera corta, abbiano la necessità di diversificare la produzione per soddisfare la richiesta di varietà da parte dei consumatori.
Quest’attività, da un punto di vista territoriale, implica un impiego ridotto della pratica di monocoltura, che si traduce nel miglioramento e nella tutela della biodiversità complessiva57.
La volontà di offrire un maggiore assortimento di prodotti prevede, in molte piccole aziende, un recupero delle varietà tradizionali di vegetali, di antiche colture di frutta ma anche di prodotti lattiero-‐caseari che si ottengono da razze animali autoctone.
Uno studio condotto dalla FAO ha stimato che dal 1900 ad oggi si è perso il 75% della diversità delle colture nazionali, non solo a causa del cambiamento climatico, ma anche per effetto degli odierni sistemi di distribuzione organizzata che prediligono tecniche di produzione intensive, ingenti quantità e standardizzazione dell’offerta.
In questo modo si rischia non solo di impoverire la dieta alimentare, ma anche di perdere un importante patrimonio di biodiversità, e con esso l’identità culturale e ambientale di una determinata regione.
Secondo una rilevazione Coldiretti58, in Italia circa cento varietà vegetali definite minori e prodotti ottenuti da trenta razze diverse di animali allevati su scala ridotta, riescono a trovare sbocco solamente grazie all’affermarsi delle filiere alimentari alternative.
La riorganizzazione del processo produttivo è favorita dall’adozione del canale corto, poiché i produttori hanno la possibilità di recuperare il controllo del potere decisionale sulle proprie attività, evitando il cosiddetto squeeze on agriculture59.
Questa situazione si crea nel momento in cui il primo anello della filiera corta è compresso, da un lato, dai costi dei fattori produttivi delle multinazionali fornitrici d’input e, dall’altro, dai bassi prezzi del mercato all’ingrosso al quale vende i propri prodotti.
57 Cfr. Marino D., Cicatiello C., op.cit., p. 121.
58 http://www.campania.coldiretti.it/sparite-‐il-‐75-‐di-‐varieta-‐di-‐frutta-‐le-‐salvano-‐i-‐farmers-‐ market.aspx?KeyPub=10024058%7C10024239&Cod_Oggetto=25687298&subskintype=Detail. 59 Cfr. Van der Ploeg J.D., “Oltre la modernizzazione”, Rubettino editore, Soveria Mannelli (CZ), 2006.
La riorganizzazione produttiva può scaturire, inoltre, dalla propensione all’adozione di tecniche di agricoltura a minor impatto ambientale, come quella biologica, biodinamica60 o di lotta integrata61.
Tali scelte sembrano essere effettuate per garantire in maniera più adeguata le esigenze di qualità e di sicurezza alimentare, richieste in misura crescente dai consumatori.
“In questo contesto, il proliferare delle diverse forme di filiera corta rappresenta una grande opportunità per ridurre le esternalità negative dell’agricoltura sull’ambiente – ad esempio l’impoverimento dei terreni, l’inquinamento delle acque, i problemi legati al benessere animale, la scomparsa di habitat naturali e di caratteristiche particolari del paesaggio – associate ai metodi intensivi dell’agricoltura convenzionale, con indubbio vantaggio per l’ambiente del sistema locale”62.
La short chain, inoltre, rappresenta già di per sé un sistema alternativo più ecologico rispetto a quello tradizionale: i maggiori costi ambientali della filiera agroalimentare – in termini di emissioni di anidride carbonica, inquinamento atmosferico, rischio d’incidenti, inquinamento acustico – sono associati alla produzione su larga scala e alla distribuzione su zone molto distanti dal luogo produttivo.
Una valutazione dei costi ambientali, infine, non è completa se non si considera lo stadio finale della filiera stessa, ossia la gestione dei rifiuti.
La riduzione degli intermediari si traduce, ad esempio, nell’eliminazione di buona parte degli scarti e dei residui associati all’utilizzo del packaging richiesto dalla distribuzione convenzionale.
I rifiuti derivanti dal settore alimentare tradizionale, creati nei processi industriali di preparazione e trasformazione e causati dagli sprechi dei consumatori poco
60 Secondo l’agricoltura biodinamica, le tecniche di concimazione, coltivazione e allevamento rispettano e promuovono la fertilità naturale del terreno, tutelando contemporaneamente le qualità intrinseche delle specie animali e vegetali. I fertilizzanti minerali sintetici e i pesticidi chimici sono vietati e sostituiti con sostanze minerali e vegetali. Il suolo viene lavorato seguendo i cicli cosmici e lunari, e gestito tramite le rotazioni colturali e la lotta antiparassitaria meccanica. 61 La tecnica della lotta integrata in agricoltura, riconosciuta a livello europeo, è una pratica che riduce drasticamente l’uso dei fitofarmaci. È un metodo di coltivazione mista, ovvero utilizza sia la chimica sia i sistemi naturali come difesa dai parassiti. La lotta integrata, però, interviene con soluzioni chimiche solo nel momento in cui il potenziale danno provocato al raccolto supera il costo del trattamento stesso.
responsabili, sono molto elevati: si stima che le perdite complessive di cibo, dal campo al consumo, raggiungano il 30-‐40% della produzione63.
L’impatto di questi sprechi è prevalentemente di natura ambientale: oltre ai costi economici ed ecologici in termini di acqua, di pesticidi e fertilizzanti per la produzione e di petrolio per il trasporto, la decomposizione dei rifiuti contribuisce alla produzione di metano, e quindi all’aumento del livello d’inquinamento atmosferico.