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1. Ogni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire all’uomo che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future.

2. Anche l’attività della pubblica amministrazione deve essere finalizzata a consentire la migliore attuazione possibile del principio dello sviluppo sostenibile, per cui nell’ambito della scelta comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalità gli interessi alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale devono essere oggetto di prioritaria considerazione.

3. Data la complessità delle relazioni e delle interferenze tra natura e attività umane, il principio dello sviluppo sostenibile deve consentire di individuare un equilibrato rapporto, nell’ambito delle risorse ereditate, tra quelle da risparmiare e quelle da trasmettere, affinché nel’ambito delle dinamiche della produzione e del consumo si inserisca altresì il principio di solidarietà per salvaguardare e per migliorare la qualità dell’ambiente anche futuro.

4. La risoluzione delle questioni che involgono aspetti ambientali deve essere cercata e trovata nella prospettiva di garanzia dello sviluppo sostenibile, in modo da salvaguardare il corretto funzionamento e l’evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane. ”

L’auspicio per il futuro è che si attivi un processo globale dinamico ed evolutivo che persegua contemporaneamente la realizzazione, nell’ambito del sistema Terra, di equilibrio ecologico, efficienza economica ed equità sociale.

SOSTENIBILITÀ ENERGETICA E DINAMICHE

GEOPOLITICHE GLOBALI.

Il sistema energetico rappresenta, forse, l’ambito primario in cui si esplicano tutti i nodi critici, sia a livello globale che locale, che hanno indotto a formulare il concetto di sostenibilità. Il settore energetico desta, infatti, crescenti inquietudini per il notevole impatto che ha sia sul sistema ambientale che sui sistemi economico e politico-sociale.

È, ormai, universalmente riconosciuto che il modello attuale di sviluppo del sistema energetico globale, basato sulle fonti convenzionali di energia, non è più sostenibile. Le riserve di combustibili fossili sono destinate a esaurirsi in un futuro più o meno lontano, inoltre, sono ormai scientificamente provati gli effetti nefasti che la loro combustione determina sull’ambiente. Non è pensabile, tuttavia, che gli abitanti del pianeta rinuncino ai numerosi vantaggi, in termini di benessere e di sviluppo economico sociale, che derivano dall’avere a disposizione quantità crescenti di energia.

È stato dimostrato che quanto più elevato è il reddito di un paese o di una regione tanto più alto è il consumo di energia all’interno dell’entità territoriale di riferimento e viceversa. Non si può ignorare, tuttavia, che esiste una parte considerevole degli abitanti del pianeta il cui accesso all’energia è insufficiente o, addirittura inesistente; ciò non è accettabile sotto il profilo della

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sostenibilità sociale; la disponibilità di energia, specialmente di quella elettrica, è fondamentale per spezzare il ciclo della povertà e rafforzare lo sviluppo e il benessere delle popolazioni.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia stima che la domanda globale di energia primaria crescerà del 55% tra il 2005 e il 2030, a una media annua dell’1,8%35.

Le aree più “energivore” del pianeta, costituite da complessi di Paesi designati comunemente con l’aggettivo “sviluppati”, quali ad esempio, gli Stati Uniti, l’Unione Europea o il Giappone, ma anche da Paesi il cui sviluppo economico è in fase emergente, quali Cina e India, sono lontani dall’essere autosufficienti per ciò che attiene all’approvvigionamento di energia e, conseguentemente, non sono in grado di sostenere autonomamente le proprie economie ed elevati livelli del tenore di vita dei loro abitanti. Basti pensare che l’Unione Europea, la cui popolazione è pari a circa il 7,5% di quella complessiva del pianeta36, nel 2008, ha fatto registrare un consumo di energia primaria pari al 15,3% del consumo mondiale37. Molto indicativi risultano essere i dati riguardanti consumo e produzione di fonti fossili nell’ambito dell’UE, i primi mostrano, sempre, cifre nettamente superiori rispetto ai secondi; il consumo di petrolio, nel 2008, è risultato equivalente al 17,9% del consumo mondiale38, mentre la produzione interna è stata pari al 2,7% di quella globale39; per quanto riguarda il gas naturale il divario tra consumo (16,2% del totale)40 e produzione (6,2%)41 è stato di 10 punti percentuali; per quel che concerne il carbone, a fronte di un consumo equivalente al 9,1% del consumo planetario42, la produzione interna è stata del 5,2% rispetto alla produzione complessiva43. L’Unione Europea dispone, inoltre, solamente dello 0,5% delle riserve di petrolio globalmente esistenti sulla Terra44, dell’1,6% delle riserve di gas naturale45 e del 3,6% di quelle di carbone46. A conferma di quanto detto finora, si può aggiungere che, dall’osservazione dei dati storici risulta un trend relativo alla dipendenza energetica dell’Unione Europea dall’estero decisamente crescente. Dal 2004 più della metà del consumo interno lordo di energia nel complesso dei Paesi dell’UE è stato fornito da importazioni nette piuttosto che dalla produzione interna primaria, la qual cosa equivale a dire che la dipendenza dell’Europa dall’estero in termini percentuali è superiore al 50%. Nel 2005 il tasso di dipendenza è aumentato fino ad arrivare al 52,6% e nel 2006 ha proseguito lungo il suo cammino ascendente toccando quota 53,8%.47

I giacimenti energetici convenzionali, specie quelli di petrolio e gas naturale, sono concentrati in aree geografiche politicamente instabili, principalmente nel Medio Oriente e, in misura minore, in

35 IEA - International Energy Agency, World Energy Outlook 2007, Parigi, IEA Publications, 2007.

36 Eurostat-European Commission, Europe in figures. Eurostat Yearbook 2009, Lussemburgo, Office for Official Publications of the European Communities, 18 settembre 2009.

37 BP- Bitish Petroleum (a cura di), Bp Statistical Review of World Energy, Giugno 2009, p. 40. Disponibile on line all’indirizzo:

http://www.bp.com/liveassets/bp_internet/globalbp/globalbp_uk_english/reports_and_publications/statistical_energy_r eview_2008/STAGING/local_assets/2009_downloads/statistical_review_of_world_energy_full_report_2009.pdf (accesso: 22-08-2009). 38 Ivi, p.12. 39 Ivi, p.8. 40 Ivi, p.27. 41 Ivi, p.24. 42 Ivi, p.35. 43 Ivi, p.34. 44 Ivi, p.6. 45 Ivi, p.22. 46 Ivi, p.32.

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altre regioni critiche dell’Africa, dell’America Latina, in Russia e nell’area caspica; ma la stabilità politica dei paesi detentori di fonti energetiche è fondamentale per la fluidità dei flussi energetici e qualsiasi instabilità nell’offerta di energia genera, inevitabilmente, tensioni sul piano economico e sociale.

È palese, pertanto, che le problematiche legate all’energia per loro natura coinvolgono aspetti sia ambientali, sia tecnologici, sia geopolitici; quindi, le questioni ambientali, le criticità tecnologiche e i processi decisionali alla base del raggiungimento o del mantenimento di equilibri internazionali tra Stati o nell’ambito di determinate regioni si intrecciano e si sovrappongono tra loro in un complesso ordito.

Le interazioni tra sistema energetico e ambiente sono molteplici, come svariati sono gli effetti negativi che, secondo una parte preponderante degli studiosi della materia, i cicli energetici esercitano sull’ecosistema planetario, così come sui biosistemi locali. Tuttavia, le problematiche che con più prepotenza sono balzate, negli ultimi anni, agli onori della cronaca sono quelle relative alla qualità dell’aria, all’acidificazione e al cambiamento climatico, principale responsabile delle quali sembra essere, stando alle dichiarazioni di numerosi e autorevoli scienziati, lo sfruttamento delle fonti energetiche fossili da parte dell’umanità48.

Al settore energetico sono attribuite, infatti, le maggiori responsabilità in tema di emissioni in atmosfera di gas climalteranti e di numerose altre sostanze in grado di determinare nell’arco di brevi intervalli di tempo, lo sconvolgimento dell’equilibrio raggiunto dal sistema ambientale in millenni. Le sostanze incriminate sono: il monossido e il biossido di carbonio (rispettivamente CO e CO2), il metano (CH4), gli ossidi di azoto (NOx), gli ossidi di zolfo (SOx), i composti organici volatili diversi dal metano (COVNM), le polveri totali sospese (PST) o polveri aerodisperse. Queste ultime consistono in una miscela di particelle presenti nell’aria49, che può variare per

48 Per dovere di cronaca bisogna dire che esiste un gruppo di studiosi, sebbene non molto numeroso, che negano l’esistenza di un cambiamento climatico in atto o che, nel caso ne riconoscano l’esistenza, ritengono che esso sia dovuto a cause del tutto naturali e indipendenti dall’agire dell’uomo; per tale motivo essi sono detti negazionisti. 49 Una quota delle particelle che costituiscono le polveri sospese in atmosfera, dette particelle primarie sono emesse, come tali, da diverse sorgenti naturali e antropiche; la parte restante, invece, deriva da una serie di reazioni chimiche e fisiche che avvengono nell’atmosfera, tali particelle sono denominate secondarie, esse sono costituite, principalmente, da solfati e nitrati, derivanti dalle reazioni di SO2 e NOx con l’ammoniaca.

Il diametro delle particelle in sospensione nell’aria può variare da un valore minimo di 0,005 µm fino ad un massimo di 100 µm. Nell’ambito di tale range, è classificato come grossolano, il particolato avente diametro compreso tra 2,5 e 30 µm; fine, quello con diametro inferiore a 2,5 µm.

Le particelle grossolane sono generate da combustioni incontrollate, da fenomeni di erosione e disgregazione delle rocce e dei suoli in genere o da eventi biologici, si pensi alla diffusione di spore e pollini.

Le particelle fini sono prodotte, solitamente, dalle emissioni generate dalle attività industriali, dagli impianti di produzione di elettricità e dal traffico veicolare.

La normativa italiana in materia di inquinamento atmosferico distingue tra polveri PM10 e PM2,5, le prime sono caratterizzate da un diametro inferiore a 10 µm e sono dette anche polveri inalabili, in quanto sono in grado di penetrare nel tratto superiore dell’apparato respiratorio (dal naso alla laringe); le seconde hanno un diametro inferiore a 2,5 µm e sono, invece, denominate polveri respirabili, poichè sono in grado di penetrare nel tratto inferiore dell’apparato respiratorio (dalla trachea sino agli alveoli polmonari).

Nonostante tra PM10 e PM2,5 vi sia una certa sovrapposizione dimensionale, si stima, infatti, che la particelle PM10 siano costituite per circa il 60% da particolato PM2,5, le due classi sono solitamente ben distinte, sia in termini di processi di generazione e sorgenti emittenti, sia in riferimento al comportamento fisico in atmosfera e alla composizione chimica. È particolarmente interessante segnalare che le PM2,5, rispetto alle particelle di diametro maggiore, contengono più alte concentrazioni di metalli tossici quali: piombo, cadmio e nichel .

Nell’ultimo ventennio, numerosi studi epidemiologici, portati avanti sia presso centri di ricerca statunitensi che europei, hanno dimostrato l’esistenza di una significativa correlazione fra la concentrazione di polveri sottili in

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composizione, provenienza e dimensione, le più dannose delle quali50 sono le cosiddette polveri sottili; di tali emissioni, se si esclude la quota attribuibile a fenomeni naturali, principali colpevoli sono le, già menzionate, fonti fossili di energia utilizzate massicciamente come combustibili nei diversi settori produttivi.

Anche il fenomeno dell’acidificazione è strettamente collegato all’attività antropica e, in particolare, al massiccio impiego di combustibili fossili; infatti, a innescare il meccanismo in questione sono, principalmente, gli ossidi di zolfo e di azoto51, residui di combustione delle fonti energetiche convenzionali, che a contatto con le molecole di acqua reagiscono formando, rispettivamente, acido solforico e acido nitrico52, responsabili di alterazioni dell’ecosistema forestale, di quello dei corpi idrici sia di superficie che sotterranei, nonché del deterioramento del patrimonio artistico e culturale e dei materiali in genere.

Per ciò che attiene alla problematica del cambiamento climatico è d’uopo porre l’accento sul fatto che nel primo volume del quarto rapporto dell’ Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite risalente al 200753 è confermata la significativa influenza sul clima delle attività antropiche, già affermata nella terza relazione del Comitato Intergovernativo delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, pubblicata nel 200154.

Secondo i dati raccolti, la temperatura media globale degli strati più bassi dell’atmosfera, rispetto alla fine del XIX secolo, ha subito un incremento medio di circa 0,6 °C e, in ogni caso, compreso in un range variabile tra i valori 0,4°C e 0,8°C. Tale riscaldamento globale sembra sia strettamente correlato all’aumento della concentrazione in atmosfera dei famigerati “gas serra” e, stando alle tendenze attuali, si è calcolato che nel 2100 la temperatura media del pianeta subirà un ulteriore incremento stimabile tra i 2°C e i 3,5°C.

A conclusioni ugualmente pessimistiche per quanto attiene al riscaldamento globale giunge anche il Rapporto Stern55, studio pubblicato nell’ottobre del 2006 e condotto da Sir Nicholas Stern, ex capo economista della Banca Mondiale, incaricato dal governo britannico, capeggiato dall’allora Primo Ministro Blair, di analizzare gli impatti ambientali, economici e sociali dei mutamenti climatici.

atmosfera e la presenza di patologie dell’apparato respiratorio o cardiovascolare e mortalità registrate tra la popolazione risiedente in determinate aree geografiche.

Le polveri sospese hanno, inoltre, la capacità di assorbire e deviare la luce, la qual cosa comporta una riduzione della visibilità, che può comportare notevoli problemi in presenza di autostrade o aeroporti.

50 Oltre che per l’ambiente in genere, anche per la salute umana.

51 È doveroso aggiungere che tra i principali responsabili del fenomeno dell’acidificazione vi è anche l’ammoniaca (NH3),che è generata, in prevalenza, da processi agricoli.

52 Per ulteriori approfondimenti si può consultare il sito internet www.nonsoloaria.com (accesso 20-12-2009).

53 Solomon S. e altri (a cura di), Climate Change 2007: The Physical Science Basis. Contribution of Working Group I to the Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, Cambridge, Cambridge University Press, 2007.

54 Nella Sessione Plenaria per l’approvazione definitiva del “Terzo Rapporto IPCC”, tenutasi a Wembley (Londra) tra il 23 e il 29 settembre 2001, l’Intergovernamental Panel on Climate Change ha sottolineato, tra le altre cose, la necessità di ridurre, nell’immediato, le emissioni di anidride carbonica di almeno il 50%, poiché, secondo le stime effettuate, esse risultavano circa il doppio rispetto alla quantità assorbibile naturalmente dal pianeta; in mancanza di interventi determinanti in tal senso, si prevedeva che le riduzioni di biossido di carbonio necessarie sarebbero salite a circa il 60% nel 2010 e all’incirca all’80% nel 2030.

55 Stern N., The Economics of Climate Change: The Stern Review, Cabinet Office - HM Treasury, Cambridge, Cambridge University Press, 2006.

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Secondo Stern, in mancanza di azioni dirette alla riduzione delle emissioni, la concentrazione dei gas serra in atmosfera potrebbe raggiungere, prima del 2035, un livello pari al doppio di quello registrato nel periodo pre-industriale e la temperatura globale potrebbe subire un aumento di oltre 2°C. Nel lungo periodo, le possibilità che l’incremento di temperatura ecceda i 5°C sarebbero maggiori del 50%. Questo aumento sarebbe molto pericoloso; esso corrisponderebbe, approssimativamente, al cambiamento delle temperature medie intercorso dall’era glaciale ad oggi. Inevitabilmente, ciò comporterebbe un mutamento radicale nella geografia fisica del mondo a cui, ineluttabilmente, conseguirebbero profonde mutazioni nella geografia umana56.

Il processo di riscaldamento globale in atto, dunque, secondo la maggior parte dei climatologi e degli altri studiosi del fenomeno non potrà non avere ripercussioni deleterie sull’ambiente planetario; si prevedono impatti notevoli sulle colture agricole, sulla capacità dei sistemi ecologici di conservare il patrimonio di biodiversità esistente e incremento della frequenza di eventi meteorologici estremi quali tempeste, alluvioni, siccità e altre catastrofi naturali. Ma se per quanto riguarda gli effetti nefasti elencati sopra non vi è unanime concordia, si può affermare, senza temere di essere smentiti, che una conseguenza certa del global warming sarà l’aumento del livello dei mari a seguito dello scioglimento, tra l’altro già in atto, dei ghiacciai polari e di quelli di alta montagna. Ciò non potrà non generare, come già accennato, conseguenze irreversibili, oltre che di carattere ambientale, anche di natura territoriale, economica e sociale, come la sparizione, totale o parziale, di diversi Stati insulari. La qual cosa non potrà non riflettersi sui delicati equilibri politici e giuridici internazionali; si paventa, infatti, l’ipotesi di un futuro che vedrà l’esistenza di numerose entità statali prive di una loro componente fondamentale: il territorio.

La sommersione delle terre emerse, minaccia anche numerosissimi centri abitati costieri, tra questi destano enorme preoccupazione le sorti di metropoli e città costiere ad alta densità di popolazione quali: New York, Londra, Tokyo, Mumbai, Buenos Aires, Shangai, Los Angeles, Rio de Janeiro, Osaka e così via. Bisogna, poi, considerare che, importanti infrastrutture di rilevanza mondiale, quali porti, aeroporti, impianti nucleari, raffinerie e altri impianti di trattamento delle materie prime, nella maggior parte dei casi, sono ubicati in prossimità delle coste e che, il disgelo e l’aumento del livello dei mari non potranno non creare complicazioni nell’allocazione delle risorse e nella gestione delle reti logistiche globali, ripercuotendosi, di conseguenza, sulle opportunità di sviluppo di molti paesi del mondo.

Il disgelo dei poli sta, d’altro canto, aprendo nuove prospettive per quanto riguarda le possibilità di estrazione di materie prime; si stima che almeno 10 miliardi di tonnellate di petrolio, attualmente intrappolate sotto i ghiacci artici, potrebbero, nel futuro, rendersi disponibili57. Ciò, ovviamente, minaccia gli equilibri geoeconomici e geopolitici esistenti e determina una corsa per il controllo dell’area geografica in questione e il conseguente incremento delle tensioni tra Stati, in particolare tra Norvegia, Danimarca, Russia, Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti.

La Russia, ad esempio, di recente ha messo in allarme numerosi paesi, riprendendo a effettuare voli strategici, con cacciabombardieri nucleari, sul Polo Nord. Mentre il Canada, nel 2008, ha manifestato la ferma intenzione di potenziare la presenza militare nella propria regione artica mediante una missione straordinaria per la quale sono stati stanziati quasi sette miliardi di dollari. Anche la Comunità Europea non resta a guardare e c’è chi sostiene che la promozione

56 Ivi.

57 Notizia riportata dalla più importante agenzia di stampa della Federazione russa, la ITAR-TASS. http://www.itar-tass.com (accesso 14 gennaio 2010).

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dell’adesione all’Unione, dell’Islanda in bancarotta, sia solo una mossa strategica per accaparrarsi futuri diritti sulle risorse energetiche artiche.

Un’ altra conseguenza molto rilevante del disgelo dei poli, è la graduale apertura, dei cosiddetti passaggi a Nord-Ovest e a Nord-Est.

Il passaggio a Nord-Ovest è una rotta marittima che va dall’Oceano Atlantico all’Oceano Pacifico attraverso l’arcipelago artico del Canada58. L’attraversamento di tale passo permette di ridurre di circa 4.000 chilometri il percorso necessario per andare dall’Europa all’Estremo Oriente, rispetto alle attuali rotte passanti per il Canale di Panamá.

Il passaggio a Nord-Est è invece una rotta passante a nord della Siberia e che al pari del passaggio a Nord Ovest consente di accorciare di oltre 4.000 chilometri le distanze tra i porti di Cina, Giappone e Corea del Sud e quelli di Germania, Olanda o Regno Unito.

Nell’estate del 2000, fu per la prima volta possibile, almeno per quanto riguarda l’era attuale, attraversare, via mare, il passo a Nord-Ovest59.

Nel settembre 2007, l’area coperta dai ghiacci artici aveva toccato i livelli minimi da quando, trent’anni prima, erano cominciate i monitoraggi satellitari della zona.

Nel 2008, è risultato naturalmente libero dai ghiacci il passaggio a Nord-Ovest e contemporaneamente si è reso navigabile anche il passaggio a Nord-Est60.

È inutile dire che l’apertura di queste nuove rotte determinerà mutazioni radicali nelle dinamiche commerciali esistenti su scala globale; la conseguenza più immediata potrebbe essere il ridimensionamento dell’importanza geostrategica di alcune zone fino ad oggi considerate nodi primari nell’ambito del commercio mondiale, quali i canali di Suez e di Panama.

Ma non è solo il disgelo dei poli a creare preoccupazioni per le tensioni geopolitiche che ne potrebbero derivare, ma anche quello dei ghiacciai o delle nevi perpetue d’alta montagna, che rischia, in molti casi, di mutare i confini tra gli Stati. Si pensi, a tale riguardo, agli effetti di destabilizzazione che potrebbe avere lo scioglimento dei ghiacciai al confine tra paesi già attualmente in equilibrio precario quali Cina e India, o tra gli ancora più instabili Afghanistan e Pakistan. Conseguenze notevoli sugli equilibri geopolitici potrebbe avere, anche, lo scioglimento del ghiacciaio di Siachen, situato a quasi settemila metri di altitudine, nel Kashmir, tra India e Pakistan e aspramente conteso tra le due nazioni da più di un quarto di secolo.

Anche nel continente europeo, il riscaldamento globale ha manifestato i sui effetti e ha reso necessaria una ridefinizione dei confini tra alcuni paesi. È il caso della frontiera, delimitata dalle Alpi, tra Svizzera e Italia. In alcune zone di alta montagna, ad esempio sul Bernina e sul Monte Rosa, il confine italo-svizzero non è delimitato da ceppi o da altri segnali, ma dalla linea di cresta o displuviale. Il riscaldamento globale e il conseguente scioglimento dei ghiacciai hanno reso

58 Tale rotta è protagonista di una disputa territoriale tra Canada e USA, questi ultimi considerano il passaggio a