Medicina di genere e sperimentazione clinica
3.2 SPERIMENTAZIONE CLINICA NELLE DONNE
Il bias di genere del quale abbiamo parlato finora trova le sue origini tanto in una non corretta metodologia della ricerca, quanto nel permanere di un pregiudizio ad excludendum delle donne dalle sperimentazioni cliniche.
La sotto-rappresentazione delle donne nelle sperimentazioni cliniche è un problema noto da tempo ed è dovuto a vari fattori:
1. Ragioni biologiche.
Le donne sono state sempre considerate soggetti “difficili” per la sperimentazione a causa della diversità biologica e fisiologica, ma soprattutto enzimatica e ormonale, dovuta alle variazioni in età fertile e non fertile (ciclo mestruale, gravidanza, allattamento, menopausa) e all’assunzione possibile di anticoncezionali a scopo contraccettivo o terapeutico (estrogeni e progestinici modificano il metabolismo delle donne).
Tale variabilità non consente di ottenere “dati puliti” dai trials misti per sesso e diminuisce la rilevanza statistica della sperimentazione. Anche nel caso in cui vi siano donne nella sperimentazione, non è detto che il numero arruolato permetta di vedere eventi significativi.
2. La possibile gravidanza in età fertile.
Una delle ragioni che ha portato le case farmaceutiche ad escludere le donne dalle sperimentazioni è connessa alla possibilità che la sperimentazione di un nuovo
farmaco possa danneggiare il feto nel caso in cui si verifichi una gravidanza. Vi è inoltre la possibilità che il farmaco studiato possa avere effetti negativi a lungo termine (anche a distanza di mesi dopo il termine della sperimentazione). Ciò spiega perché in genere la casa farmaceutica impone l’uso di specifici contraccettivi ormonali come condizione della partecipazione ad una ricerca che non possa considerarsi “senza rischio” per il feto.
3. Ragioni economiche
Il parere del Comitato Nazionale della Bioetica riporta a questo riguardo che l’inclusione delle donne nelle sperimentazioni dei farmaci porterebbe inevitabilmente a una notevole lievitazione dei costi in quanto per correttezza scientifica dovrebbero essere arruolate donne nelle varie fasi della loro vita. L’arruolamento si dovrebbe necessariamente moltiplicare: per stratificare i dati secondo il sesso bisognerebbe reclutare donne e uomini, raddoppiando o quadruplicando gli arruolamenti, aumentando tempi e costi, costi della sperimentazione e costi assicurativi per coprire eventuali conseguenze negative.
4. Fattori socio-culturali
Tali fattori sono rappresentati dalla resistenza delle donne a partecipare a studi clinici, generata, probabilmente, da difficoltà connesse al loro ruolo nella società, quali il tempo richiesto per la partecipazione e una scarsa attenzione da parte dei reclutatori alle necessità pratiche e/o psico-logiche femminili (Baggio 2005).
Alcuni studi hanno evidenziato una maggiore difficoltà e reticenza delle donne a partecipare alle sperimentazioni per carenza cronica di tempo (dovuta al maggior impegno rispetto agli uomini nella cura della famiglia e al doppio ruolo per le donne che lavorano) o per questioni economiche (reddito più basso rispetto ai maschi per la non adeguata partecipazione delle donne al mondo del lavoro e/o per la scarsa retribuzione). In parte sicuramente la maggiore reticenza alla partecipazione femminile agli studi dipende anche dalla scarsa attenzione dei reclutatori alle necessità pratiche e alle esigenze psicologiche femminili.
5. Ragioni ambientali esterne
Lo stile di vita, che include abitudini alimentari o il ricorso a rimedi naturali, può influenzare la risposta della donna alla sperimentazione farmacologica. Le donne
tendono con maggiore frequenza a utilizzare sostanze naturali rispetto agli uomini. Sebbene nelle sperimentazioni cliniche il trattamento sia uguale nei diversi bracci sperimentali, non sempre è possibile monitorare le differenze di stile di vita e di fattori esterni che possono incidere sulla sperimentazione stessa in modo diverso tra i due sessi. I rimedi naturali possono, per esempio, interagire con il farmaco in sperimentazione inficiando i dati.
3.2.1 Arruolamento dei pazienti in AOUP anni 2014-2016
Come già descritto, è nota una sotto-rappresentazione delle donne negli studi clinici. Per capire quale fosse lo stato dell’arruolamento negli studi oncologici condotti presso l’AOUP, abbiamo analizzato i dati in nostro possesso e abbiamo tratto le nostre considerazioni.
Facendo riferimento agli anni 2014, 2015 e 2016, sono state prese in esame le sperimentazioni cliniche che avevano come oggetto di studio farmaci antiblastici da somministrare per via endovenosa. Per ovvi motivi sono stati esclusi gli studi clinici che prevedevano l'arruolamento di soggetti affetti da tumore alla mammella o alla prostata.
Per l'ottenimento dei dati relativi all’arruolamento con la distinzione per sesso, abbiamo fatto riferimento al “Pharmacy Binder” di ciascuno studio, conservato presso l'Ufficio Sperimentazioni dell'U.O. Farmaceutica, in cui sono archiviati tutti i documenti relativi allo studio stesso, comprese le singole prescrizioni per ciascun paziente.
In tutti e tre gli anni presi in esame le donne arruolate sono risultate in numero significativamente inferiore rispetto agli uomini, confermando i dati presenti in letteratura.
Quello che ci stupisce però sono i dati in percentuale, da cui si evince che ancora oggi più della metà dei soggetti arruolati, in una Regione in cui sono state intraprese molte azioni in ottica di genere, risultano essere di sesso maschile.
In particolare, la percentuale di donne arruolate negli studi clinici è stata pari al 38% nell'anno 2014, al 40,3% nell'anno 2015 e al 35% nell'anno 2016 (Figura 1).
Figura 1: Numero di pazienti arruolati negli studi clinici negli anni 2014, 2015 e 2016.
La sotto-rappresentazione delle donne negli studi clinici comporta l’immissione in commercio di farmaci studiati prevalentemente sull’uomo. Oggi sappiamo che donne e uomini rispondono in maniera diversa ai farmaci, pertanto diventa necessario prestare attenzione alle differenze per evitare una minore efficacia nell’uso dei farmaci utilizzati dalle donne e anche effetti collaterali e indesiderati più frequenti e più gravi.
3.2.2 Linee guida bioetiche internazionali
Negli anni ’70 erano emerse esplicite indicazioni che prevedevano l’esclusione delle donne dagli studi clinici allo scopo di preservare la salute del nascituro, dato che si erano verificati casi drammatici di morte fetale e gravi danni ai bambini nati. Nel 1977 la Food and Drug Administration (FDA) nelle General Considerations for the Clinical Evaluation of Drugs raccomandava l'esclusione delle donne in età fertile dalla sperimentazione, soprattutto nelle fasi I e II, non essendo noti i dati sulla teratogenicità, ad eccezione di donne con patologie mortali. Le donne in età fertile potevano partecipare agli studi di fase II e III solo se erano state raccolte informazioni sufficienti sulla sicurezza ed efficacia, anche negli studi su animali, che escludessero interferenze con le funzioni riproduttive. Nel 1982 la World Health Organization emanava le Proposed International Guidelines che affermavano il dovere di escludere
le donne da sperimentazioni non terapeutiche su volontari sani.
Nel 1988 si registra un cambiamento radicale nell’orientamento della FDA che, con la pubblicazione del documento “Guideline for the Format and Content of the Clinical and Statistical Sections of New Drug Application”, rileva la sottorappresentazione femminile nella sperimentazione farmacologica e raccomanda l’analisi di dati differenziati per sesso nei trials clinici. Nel 1993 sempre la FDA emana le “Guideline for the Study and Evaluation of Gender Differences in the Clinical Evaluation of Drugs”, riconoscendo l’inferiorità percentuale di partecipazione delle donne a sperimentazioni cliniche in patologie non tipicamente femminili rispetto agli uomini e auspicando l’inclusione delle donne nei protocolli di sperimentazione al fine di garantire un’eguale rappresentazione. La FDA ammette che tale esclusione possa avere, in modo sottile, suscitato una visione dell’uomo come ‘primary focus’ della medicina e dello sviluppo farmacologico, con una considerazione secondaria delle donne; raccomanda pertanto la rimozione della proibizione della partecipazione delle donne in età fertile nelle prime fasi della sperimentazione al fine di prevenire forme di discriminazione. La FDA ritiene che non sia necessaria l’esclusione della donna a causa dei potenziali rischi al feto, potendo minimizzare i pericoli con un esplicito impegno della donna a non iniziare la gravidanza, oltre che mediante l’uso di test di laboratorio che accertino tali comportamenti. La FDA non impone alcun obbligo di inclusione delle donne nelle sperimentazioni, ma intende rimuovere il ‘non necessario impedimento’, al fine di favorire una maggiore partecipazione delle donne alle sperimentazioni.
Sempre nel 1993 il Council for International Organizations of Medical Sciences (CIOMS) emana le “International Ethical Guidelines for Biomedical Research Involving Human Subjects”, raccomandando ai ricercatori, agli sponsor e ai comitati etici di non escludere donne in età fertile dalla sperimentazione, non ritenendo la potenzialità della gravidanza una ragione sufficiente per precludere o limitare la partecipazione e riconoscendo alle donne la capacità di prendere una ‘decisione razionale’ nella partecipazione alla ricerca. Nel caso di rischio per la salute del feto, la donna deve accettare di sottoporsi al test di gravidanza ed essere disponibile ad accedere ad un ‘efficace metodo contraccettivo’, consentendo, con tali procedure,
anche un arruolamento nelle prime fasi della sperimentazione con dosi controllate della nuova sostanza; si sottolinea come il consenso informato debba essere garantito offrendo alla donna un congruo tempo ed adeguate condizioni per prendere una decisione, ritenendo doveroso un consenso individuale, non sostituibile con quello del partner. Inoltre si ritiene ammissibile (guideline n. 17) come soggetto di sperimentazione anche la donna incinta, subordinatamente alla minimizzazione dei rischi (per la donna e per il feto), lasciando alla donna la decisione anche in caso di incertezza ed ambiguità nella definizione del rischio; la ricerca può essere promossa solo se rilevante per la salute della donna su cui si effettua la sperimentazione e delle altre donne nella medesima condizione; si ritiene che la donna non possa essere reclutata nella ricerca solo nel caso in cui vi siano studi pre-clinici che attestino la teratogenità del farmaco.
Nel 1994 negli Stati Uniti viene istituito presso la FDA un ufficio dedicato denominato “Office of Women’s Health”, con l’obiettivo di favorire l’inclusione delle donne negli studi clinici, valutando le differenti risposte per l’efficacia e la sicurezza dei farmaci. Nel 1995 le indicazioni precedenti vengono ulteriormente rafforzate nel documento “Investigational New Drug Applications” esigendo esplicitamente nella sperimentazione la non discriminazione per sesso, oltre a età e razza. Nel 1998 la FDA emana le “Final Rule on the Investigational New Drug Applications” con lo scopo di intervenire attivamente nei confronti di sponsor che non rispettino le indicazioni di equità nell’ambito della differenza sessuale. Nel 1999 viene istituito un gruppo di lavoro “FDA-MA Women and Minorities Working Group” allo scopo di preparare specifiche linee guida per incentivare la corretta inclusione delle donne e dei soggetti deboli nelle sperimentazioni cliniche.
Nel 1998 l’EMEA (Agenzia Europea per la Valutazione dei Prodotti Farmaceutici) ha emanato la “Note for Guidance on General Considerations for Clinical Trials” ammettendo negli studi clinici le donne in età fertile solo con l’uso di contraccettivi. Sempre l’EMEA nel 2003, a seguito del contributo di un gruppo di lavoro che includeva ricercatrici e rappresentanti delle aziende farmaceutiche provenienti da tutta Europa (XX group), ha pubblicato la “Note for Guidance on the Clinical Development of HIV-Medical Products” raccomandando di elaborare protocolli di studio che
garantiscano la comparazione tra i sessi, con la garanzia di una partecipazione statisticamente significativa di donne ed una formazione medica adeguata.
Nell’ordinamento giuridico italiano manca un esplicito riferimento alla condizione femminile nell’ambito della sperimentazione clinica. Nel decreto legislativo del 24 giugno 2003 n. 211, attuazione della direttiva 2001/20/CE relativa all’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico, all’art. 1 comma 2 si parla di tutela dei soggetti della sperimentazione, con particolare riferimento agli adulti incapaci di dare il proprio consenso informato e ai minori, ma nessun riferimento esplicito alle donne. La nuova normativa sui Requisiti minimi per l’istituzione, l’organizzazione e il funzionamento dei Comitati etici per le sperimentazioni cliniche dei medicinali (decreto ministeriale 12 maggio 2006) non specifica che vi debba essere una rappresentanza equilibrata di entrambi i sessi.
In Italia, secondo i dati dell'AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), la popolazione femminile è pochissimo rappresentata nelle sperimentazioni dei farmaci di Fase I e II, e quasi del tutto esclusa da quelle di Fase IV, cioè le analisi condotte sui pazienti dopo che il farmaco è stato messo in commercio. Tuttavia qualcosa si sta muovendo anche in Italia: dopo l'insediamento nel 2007 presso il Ministero della Salute della 'Commissione Salute delle Donne', nel 2008 l'Istituto Superiore di Sanità ha dato avvio a un progetto strategico incentrato sull'impatto delle terapie a seconda del genere, al fine di arrivare a cure più appropriate e ottenere risparmi per il Servizio Sanitario Nazionale. Nel 2010 poi, nel "Primo rapporto sui lavori della Commissione Salute delle Donne" è stata fatta una fotografia generale sulla salute delle donne cercando di diffondere principi fondamentali, quali la necessità di valutare sempre le differenze di genere negli studi scientifici anche mediante l'utilizzo di modelli di malattia adeguatamente trasferibili in prospettive di genere, modelli sperimentali appropriati per esperimenti in vitro ed in vivo (ad esempio il tipo/sesso degli animali o delle cellule scelte), l'arruolamento delle donne negli studi clinici in particolare per studio dei farmaci in fase clinica I e II. Tali iniziative governative sembrano finalmente manifestare una maggiore attenzione e considerazione della specificità di genere nella sperimentazione farmacologica.