• Non ci sono risultati.

Differenze di genere nella risposta ai farmaci: valutazione dei dati relativi all'arruolamento negli studi clinici e alla manifestazione degli eventi avversi

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Differenze di genere nella risposta ai farmaci: valutazione dei dati relativi all'arruolamento negli studi clinici e alla manifestazione degli eventi avversi"

Copied!
67
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÁ DI PISA

FACOLTÁ DI FARMACIA

Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera

Tesi di Specializzazione:

Differenze di genere nella risposta ai farmaci:

valutazione dei dati relativi all’arruolamento negli studi clinici e alla

manifestazione degli eventi avversi

Relatori: Candidata:

Prof.ssa Maria Cristina BRESCHI Dott.ssa Chiara FALZONE Dott.ssa Maria POLVANI

(2)
(3)

INDICE

 

Differenze di genere nella risposta ai farmaci:

valutazione dei dati relativi all’arruolamento negli studi clinici e alla

manifestazione degli eventi avversi

RIASSUNTO  ANALITICO                   5                

 

1  INTRODUZIONE                     7                                  

1.1   COS’E’  LA  MEDICINA  DI  GENERE?                 8        

1.2   RIFERIMENTI  STORICO-­‐‑CULTURALI                 10                  

1.3   RIFERIMENTI  EUROPEI  E  NAZIONALI                 12                  

1.4  RIFERIMENTI  REGIONALI                   14                      

 

2  MEDICINA  DI  GENERE  E  DIFFERENTE  RISPOSTA  AI  FARMACI             18  

   

  2.1  BIODISPONIBILITA’                   19  

  2.1.1  Tempo  di  svuotamento  gastrico  e  transito  intestinale             19         2.1.2  Enzimi  gastrointestinali                 20     2.1.3  pH  gastrico                       20                                 2.2  DISTRIBUZIONE                     21   2.2.1  Peso                         21   2.2.2  Composizione  corporea                   21     2.3  METABOLISMO                     22  

2.3.1  Metabolismo  di  fase  I                     23   2.3.1  Metabolismo  di  fase  II                   24   2.3.1  Interazioni  farmaco-­‐‑ormoni                   24  

 

2.4  ELIMINAZIONE                     25    

 

3  MEDICINA  DI  GENERE  E  SPERIMETAZIONI  CLINICHE               27  

 

3.1  SPERIMENTAZIONI  CLINICHE  NEI  BAMBINI               28    

3.2  SPERIMENTAZIONI  CLINICHE  NELLE  DONNE               31  

3.2.1  Arruolamento  dei  pazienti  nell’A.O.U.P.  negli  anni  2014-­‐‑2016           33   3.2.2  Linee  guida  bioetiche  internazionali                 34    

3.3  PARADOSSO  DONNA  E  PROSPETTIVA  LIFE  COURSE             38    

3.4  SPERIMENTAZIONI  CLINICHE  NEGLI  ANZIANI               39    

 

4  MEDICINA  DI  GENERE  ED  EVENTI  AVVERSI  AI  FARMACI             41  

 

(4)

 

5  MEDICINA  DI  GENERE  E  DOLORE                   47    

6  MEDICINA  DI  GENERE  IN  ONCOLOGIA                 51    

7  IL  GENERE  COME  DETERMINANTE  DI  SALUTE               58  

   CONCLUSIONI                         62       APPENDICI       RIFERIMENTI  BIBLIOGRAFICI                   64          

(5)
(6)

La medicina di genere è una nuova dimensione della medicina che pone un approccio diverso e innovativo alle diseguaglianze di salute, legate non solo a una differente appropriatezza diagnostico-prescrittiva, ma soggette anche a differenze sociali, culturali ed etniche, psicologiche, economiche e politiche.

In campo sanitario avere una prospettiva di genere vuol dire pertanto rivedere i risultati disponibili in letteratura, ma anche operare un cambiamento culturale attraverso l’attivazione di programmi di prevenzione, formazione del personale, parità di accesso ai servizi sanitari.

L’attenzione al genere è dunque attenzione all’equità, non solo come equità di trattamento, ma anche come adeguatezza e appropriatezza di cura secondo il proprio genere. Solo procedendo in questa direzione si potrà arrivare ad una medicina personalizzata, cioè più aderente alle specifiche necessità di ciascuno, e quindi più efficace ed economica.

Nella parte introduttiva di questa tesi è stato condotto un excursus sulla storia e l’evoluzione della medicina di genere, dal quale emerge che nel nostro Paese si sta facendo molto, ma per il momento mancano ancora strategie di genere a livello sanitario, sociale, culturale e politico.

Nei capitoli successivi sono stati analizzati nel dettaglio le differenze di genere nella risposta ai farmaci, le motivazioni della sotto-rappresentazione delle donne e degli anziani negli studi clinici, il problema etico relativo alla sperimentazione clinica nei bambini e la frequenza delle manifestazioni degli eventi avversi nei due sessi.

L’analisi dei dati, invece, ha riguardato la valutazione dell'arruolamento dei pazienti in relazione al sesso negli studi oncologici condotti presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana e la valutazione della frequenza delle manifestazioni degli eventi avversi, con particolare interesse allo studio della tossicità associata alla somministrazione di 5-FU, che risultano essere molto comuni e più frequentemente riportati nel sesso femminile.

(7)

Capitolo 1

(8)

1.1 COS'E' LA MEDICINA DI GENERE?

La medicina di genere è una nuova dimensione della medicina che pone un approccio diverso e innovativo alle diseguaglianze di salute, legate non solo a una differente appropriatezza diagnostico-prescrittiva, ma soggette anche a differenze sociali, culturali e etniche, psicologiche, economiche e politiche.

Da un lato si tratta quindi di capire se dobbiamo curare in modo differente gli uomini e le donne, dall'altro è un modo per studiare le persone, uomini e donne, non solo biologicamente, ma in maniera più complessa, facendo riferimento al genere.

Lo scopo della medicina di genere è quello di garantire parità di trattamenti e accesso alle cure; tuttavia l'approccio di genere alla salute è anche un percorso culturale che richiede tempo per superare i pregiudizi e le diseguaglianze nella ricerca, nella sperimentazione dei farmaci, nello studio dei fattori di rischio e delle cause di una determinata malattia.

La medicina negli ultimi 50 anni, infatti, ha considerato e studiato i pazienti indipendentemente dal sesso e dalle caratteristiche socio-culturali e ambientali.

La conseguenza è una ridotta personalizzazione delle cure e una loro standardizzazione misurata sul soggetto maschile e senza tener conto di variabili come il sesso, lo status sociale, l’istruzione, la cultura e l’educazione.

Eppure, in un’epoca di spending review come la nostra, applicare una medicina che tenga conto delle differenze sessuali e di genere migliorerebbe la sanità e porterebbe anche a una riduzione dei costi. Garantirebbe infatti ad ogni individuo, maschio o femmina, l'appropriatezza terapeutica portando a percorsi diagnostici e terapeutici, nonché ad interventi mirati e specifici che si tradurrebbero inevitabilmente anche in una riduzione dei costi e in un risparmio di tempo e di risorse.

Riflessioni che potrebbero apparire banali, ma che tuttavia non sono mai state implementate nella pratica clinica.

La medicina di genere parte dall’assunto che esistono delle differenze fra i due generi nella frequenza, nel modo in cui si manifestano le malattie e nella risposta alle terapie, in termini di efficacia e sicurezza dei farmaci.

Differenze che i libri di medicina contemplano quasi esclusivamente per quel che riguarda l’apparato sessuale e la riproduzione.

(9)

Parlando di medicina di genere non si può fare a meno di sottolineare la differenza sesso e genere: il sesso si riferisce alle differenze biologiche, che sono universali e immutabili in quanto geneticamente determinate, mentre il genere si riferisce a caratteristiche psichiche, sociali e culturali, che possono condizionare le differenze biologiche e che possono essere modificate.

Riconoscere le differenze di genere diventa essenziale per delineare programmi, per organizzare l’offerta dei servizi, per indirizzare la ricerca, per raccogliere e analizzare dati statistici, per promuovere la salute, per informare, per garantire appropriatezza, nell’accezione più allargata del termine.

“La dimensione di genere nella salute è una necessità di metodo e analisi, ma diviene anche strumento di governo di sistema”, ha sottolineato il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, all’interno di un editoriale pubblicato sul numero 2, 2015 dell’Italian Journal of Gender-Specific Medicine.

La medicina di genere applica alla medicina il concetto di diversità tra generi per garantire a tutti, uomini e donne, adulti, bambini e anziani, il miglior trattamento in funzione delle specificità di genere.

Medicina di genere non vuol dire, quindi, porre l’attenzione del mondo scientifico e clinico sulle patologie che incidono più frequentemente nell’uomo o nella donna, oppure sulle patologie prettamente femminili, ma significa piuttosto comprendere in che modo le malattie di tutti gli organi e sistemi si manifestino nei due generi e, soprattutto, valutare le differenze di genere rispetto ai sintomi delle malattie, alla necessità di differenti percorsi diagnostici e interpretazioni dei risultati, alle differenze nella risposta ai farmaci o, addirittura, alla necessità di utilizzare farmaci diversi, e ancora alle differenze rispetto alla prevenzione di tutte le malattie (Baggio 2015). Gli uomini e le donne, infatti, pur essendo soggetti alle medesime patologie, presentano sintomi, progressione di malattie e risposta ai trattamenti molto diversi tra loro. Da qui la necessità di porre particolare attenzione allo studio del genere, inserendo questa “nuova” dimensione della medicina in tutte le aree mediche. In quest’ottica, quindi, bisogna tenere conto del fatto che il bambino non è un piccolo adulto, che la donna non è una copia dell’uomo e che l’anziano ha caratteristiche mediche ancora più peculiari. Solo procedendo in questa direzione sarà possibile

(10)

garantire a ogni individuo, maschio o femmina, l’appropriatezza terapeutica, rafforzando ulteriormente il concetto di “centralità del paziente” e di “personalizzazione delle terapie”.

All’inizio del terzo millennio sembra impossibile che sia ancora necessario colmare una lacuna così grande, eppure tutta la prassi medica ormai codificata da importanti linee guida è fondata su prove ottenute da grandi sperimentazioni condotte quasi esclusivamente su un solo sesso, quello maschile (Baggio 2015).

La medicina, infatti, fin dalle sue origini, ha avuto un’impostazione androcentrica: la donna veniva considerata come un “piccolo uomo” e gli interessi per la salute femminile erano relegati ai soli aspetti specifici correlati alla riproduzione.

Occorre arrivare agli anni Ottanta per riscontrare segni di consapevolezza che a causa di queste erronee convinzioni mediche, le donne non ricevevano cure adeguate alle proprie caratteristiche fisico-biologiche, con gravi diseguaglianze di trattamento. Nasce così la “Medicina delle donne”, ovvero una medicina che studia le malattie che colpiscono il sesso femminile e che ha lavorato fondamentalmente sul cancro del seno, dell'utero, sul papilloma virus. Un approccio, questo, definito in seguito col termine “bikini view”.

Ma non è questa la Medicina di genere, come già detto.

La Medicina di genere, che va intesa come un passo verso la medicina individualizzata, tende a considerare tutti i fattori di rischio dell’essere umano, quindi l’etnia, lo stile di vita, la storia personale, i profili di rischio, senza dimenticare le predisposizioni genetiche che hanno peso diverso fra individuo e individuo.

La prospettiva futura è quella di arrivare ad una medicina su misura, ideale sotto tutti gli aspetti, che però non potrà fare a meno di considerare le differenze di genere.

1.2 RIFERIMENTI STORICO-CULTURALI

Negli ultimi anni c'è stato un interesse sempre più spiccato nei confronti della medicina di genere.

La prima descrizione di una differenza di genere intesa in senso moderno in campo medico e più esattamente in campo farmacologico risale al 1932, quando Nicholas e

(11)

Barrow evidenziarono che la dose ipnoinducente di barbiturici nelle ratte femmine era inferiore del 50% rispetto a quella dei maschi. Ma questa importante affermazione non provocò l’attenzione che meritava (Rescigno 2016).

Fu nel 1991, infatti, che per la prima volta venne menzionata in medicina la “questione femminile”. La dottoressa Bernardine Healy, cardiologa americana e Direttrice del

National Institute of Health, pubblicò un editoriale sul New England Journal of Medicine, intitolato “The Yentl syndrome”, nel quale evidenziava la differente gestione

della patologia coronarica nei due generi, con un numero ridotto di interventi diagnostici e terapeutici effettuati sulle donne rispetto agli uomini, a parità di condizioni e, dunque, un approccio clinico-terapeutico discriminatorio e insufficiente se confrontato con quello praticato nei confronti degli uomini.

Nasce così la medicina di genere, il cui obiettivo è comprendere i meccanismi attraverso i quali le differenze legate al genere agiscono sullo stato di salute e sull’insorgenza e il decorso di molte malattie, nonchè sugli outcomes delle terapie. Già durante la IV Conferenza Mondiale sulle donne (Pechino 1995) si affermava che le donne avessero differenti e diseguali possibilità di accesso e di utilizzazione delle risorse sanitarie e differenti e diseguali opportunità per la protezione e il miglioramento della propria salute e che i diritti femminili dovessero essere assicurati durante l'intera durata della vita come per gli uomini. Sono trascorsi più di vent’anni ma già allora si percepiva che fosse necessario mettere al centro delle politiche la reale condizione di vita di donne e uomini, aumentare la capacità delle donne a compiere scelte consapevoli per la loro salute e inserire una prospettiva di genere in ogni scelta politica, in ogni azione di governo, in ogni programmazione.

L’OMS nel 2000 inserisce la Medicina di Genere nel documento “Equity Act”, a testimonianza che il principio di equità implica non solo la parità di accesso alle cure di donne e uomini, ma anche l’adeguatezza e l’appropriatezza di cura secondo il proprio genere.

E sempre l’OMS nel 2002 costituisce il Dipartimento per il Genere e la Salute della Donna. (The Department of Gender Woman’s Health). Attraverso questo dipartimento l’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce l’esistenza di differenze

(12)

significative tra uomini e donne nei fattori che determinano la salute e nei fattori che determinano il carico di malattia e afferma che il sesso (dati biologici) e il genere (dati di ruolo socio-culturale) sono importanti determinanti della salute perché regolano le condizioni di salute e di malattia degli uomini e delle donne. Dunque le differenze di genere e di sesso devono essere inserite e considerate in ogni programma sanitario. Sempre l’OMS stabilisce che le ricerche “Gender Sensitive” devono considerare i ruoli e le responsabilità di uomini e donne nella società, la loro posizione sociale, l’accesso alle risorse, le regole sociali che governano i comportamenti maschili e femminili e che hanno effetto sulla salute e sul benessere.

Nel 2007, nella prospettiva di raggiungere l’equità di genere, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità pone tra gli obiettivi quello di formulare strategie nazionali per includere il genere nei programmi e nella ricerca, quello di sostenere e promuovere la ricerca e la formazione di genere in tutte le sedi istituzionali nazionali e internazionali e quello di favorire lo sviluppo di farmaci e di nuovi approcci terapeutici mirati al genere.

1.3 RIFERIMENTI EUROPEI E NAZIONALI

La Medicina di Genere in Italia comincia a diffondersi quale urgente necessità di una medicina personalizzata: le importanti differenze di genere influenzano e influenzeranno sempre di più il lavoro quotidiano del medico e di conseguenza l’organizzazione sociosanitaria. In questi ultimi anni la diffusione della necessità di una Medicina di genere e la comprensione della sua dimensione è incredibilmente aumentata. L' Istituto Superiore di Sanità, il Ministero della Salute, l'Agenzia Italiana del Farmaco insieme al Centro Studi Nazionale su Salute e Medicina di Genere e al Gruppo Italiano Salute e Genere hanno messo in atto iniziative e ricerche scientifiche che hanno sensibilizzato molte Società Scientifiche, molte realtà politiche regionali. In Italia nel 1999 il Ministero per le Pari Opportunità ha costituito un primo gruppo di lavoro (Medicina Donna-Salute) con l’obiettivo di superare le disparità di genere e ha attivato il progetto “Una Salute a misura di Donna”.

(13)

Nel 2003 un’equipe di specialisti è stata incaricata dal Ministero della Salute a formulare linee guida sulle sperimentazioni cliniche farmacologiche, che tengano conto della variabile uomo-donna.

Nel 2005 è stato istituito l’Osservatorio Nazionale della Salute della Donna presso il Ministero della Salute, con l’obiettivo di studiare, informare e formare ad una grande attenzione sulla salute della donna, attraverso sinergie con tutti gli Istituti che a livello nazionale si occupano del tema.

Nel 2007 presso l’Istituto Superiore di Sanità è stata creata una struttura ad hoc che si occupa delle differenze biologiche e ha coordinato un progetto strategico “Salute Donna” (2008/2012) che ha coinvolto 25 unità operative sparse sul territorio nazionale, su 5 aree di azione prioritaria (Malattie dismetaboliche e cardiovascolari – Immunità ed endocrinologia– Ambiente di lavoro – Malattie iatrogene e reazioni avverse – Determinanti della salute della donna).

Nel 2008 il Comitato Nazionale di Bioetica ha approvato il testo sulla sperimentazione farmacologica sulle donne, affermando il principio della equa considerazione della donna nella sperimentazione.

Il 27 marzo 2012 la Camera dei Deputati del Parlamento Italiano ha approvato all'unanimità una mozione che si pone come obiettivo quello di giungere a garantire a ogni individuo, donna e uomo, la terapia più adeguata, investendo sulla medicina di genere per dare concretezza al concetto di centralità del paziente nella ricerca e messa a punto di trattamenti efficaci e innovativi per la tutela della salute.

Vi sono ad oggi due proposte di legge sulla Medicina di genere che ci auguriamo possano trovare presto uno spazio nei lavori parlamentari. Si tratta della proposta di legge n. 1485 e della proposta di legge n. 3603.

Con la proposta di legge n.1485 “Norme in materia di Medicina di Genere” si intende promuovere il riconoscimento a livello nazionale della medicina di genere avendo come obiettivo la realizzazione di una medicina basata sull'evidenza e personalizzata sulla base di genere, così da assicurare maggiore adeguatezza e appropriatezza delle cure con conseguente riduzione degli aggravi al Sistema Sanitario Nazionale.

(14)

Con la proposta di legge n. 3603 “Disposizioni per favorire l’applicazione e la diffusione della medicina di genere” ci si pone l'obiettivo di promuovere e applicare il tema della medicina di genere attraverso divulgazione, formazione e indicazioni pratiche riguardanti la ricerca, la prevenzione, la diagnosi e cura.

In ambedue queste proposte vi è la promozione dell’inserimento della Medicina di Genere nei programmi dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia e delle Scuole di Specializzazione.

Le iniziative in Italia cominciano, dunque, ad essere molteplici. E’ assolutamente necessario che siano coordinate e che si formi una rete a supporto di questo campo della medicina rimasto così arretrato allo scopo di non disperdere energie, creare delle alleanze scientifiche, arrivare ai finanziamenti europei, trasferire i risultati in azioni, attuare una formazione continua dei medici, e fare pressione politica a tutti i livelli.

1.4 RIFERIMENTI REGIONALI

In Toscana da anni si registra una sensibilità sempre crescente verso le differenze di genere nella salute, dato che già dal 2011 è stata istituita una Commissione permanente per la salute di genere e, dal 2014, un Centro di coordinamento regionale della salute e della medicina di genere.

Ripercorriamo l'iter normativo relativo alla Medicina di Genere nella Regione Toscana:

Legge Regione Toscana n. 66 dicembre 2011: il punto 5.6.1.11 “Diagnostica predittiva e medicina personalizzata”, impegna le strutture regionali a definire

percorsi assistenziali per il singolo utente nei casi in cui sia stato definito un rischio elevato, precisando che la conoscenza di un preciso rischio individuale obbliga a programmi di controllo intensivi diversi da quelli previsti per l’intera popolazione e una maggiore flessibilità clinico organizzativa in grado di attuare procedure personalizzate;

DGR n. 74 del 07/02/2014: approva emendamenti al Piano Sanitario e Sociale

(15)

- punto 1.5, paragrafo “La variabilità dell’offerta sanitaria come risposta per

l’appropriatezza delle cure: a ciascuno secondo il suo bisogno”, si sottolinea

l’importanza della medicina personalizzata e della personalizzazione delle cure, precisando che la sfida dei prossimi anni sarà rappresentata dallo sforzo di garantire ad ognuno servizi e cure basati sul proprio profilo di salute, tenendo conto della variabilità individuale nel rapporto fra struttura genetica, fattori ambientali, stile di vita e storia dell’individuo;

- punto 4.4. “La salute e la medicina di genere” si ribadisce e si innova il concetto di Salute di genere, introducendo fra gli altri, l’obiettivo di promuovere e individuare all’interno delle strutture sanitarie pubbliche percorsi che garantiscano la presa in carico della persona tenendo conto delle differenze di genere al fine di ottenere una maggiore appropriatezza e personalizzazione della terapia;

DGR n. 75 del 07/02/2014: individua alcune priorità di intervento per l’anno 2014 in

ragione del loro particolare impatto sul piano dell’assistenza, dell’innovazione e dell’organizzazione del servizio sanitario, indicando fra queste “lo sviluppo di un approccio di genere alla salute dei cittadini”.

Al punto 5, “lo sviluppo di un approccio di genere alla salute dei cittadini”, specifica che la medicina di genere è ormai una realtà da cui non si può prescindere, che non può e non deve svilupparsi come una specialità a se stante, ma come una integrazione trasversale di specialità e competenze mediche, affinché si formi una cultura e una presa in carico della persona che tenga presente le differenze di genere non solo sotto l’aspetto anatomo-fisiologico, ma anche delle differenze biologiche-funzionali, psicologiche, sociali e culturali, oltre che ovviamente di risposta alle cure, prevedendo a tal fine fra le azioni da realizzare, l’istituzione a livello regionale di un centro di coordinamento che sviluppi, in integrazione e coerenza con le aziende sanitarie, una serie di azioni nell’ambito della Salute di genere.

In attuazione della già citata DGR 75/2014, la Giunta regionale ha istituito con propria

DGR n. 144 del 24/02/2014 il Centro regionale di coordinamento della Salute e

medicina di genere, che costituisce lo strumento di raccordo e integrazione delle azioni e delle iniziative poste in essere dalle Aziende Sanitarie e da tutti i soggetti coinvolti in

(16)

materia sul territorio regionale.

DGR n. 638 28/07/2014 “Centro di coordinamento regionale della Salute e medicina di genere- ex DGR 144/2014: approvazione Programma delle azioni per le annualità 2014 e 2015” prevede la costituzione, in ciascuna Azienda Aanitaria, entro il 15

settembre 2014, di un Centro di coordinamento aziendale per la Salute e medicina di genere, in analogia a quello regionale e sulla base degli indirizzi contenuti nel medesimo documento;

Legge regione Toscana 84/2015 “Riordino dell'assetto istituzionale e organizzativo del sistema sanitario regionale. Modifiche alla L.R. 40/2005”. Inserisce il Centro di

coordinamento regionale per la salute e medicina di genere, insieme al Centro regionale per le criticità relazionali e al Centro regionale per la verifica esterna di qualità dei Laboratori, tra gli organismi di governo clinico a supporto dell’attività della Giunta regionale.

DGR n. 496 del 24/05/2016 “Centro di coordinamento regionale per la salute e la medicina di genere. Definizione composizione, funzioni e modalità operative” che, a

parziale modifica di quanto previsto dalla precedente DGR 144/2014 e tenendo conto del processo di riordino del Servizio Sanitario Regionale avviato dall'entrata in vigore della Legge regionale 28/12/2015 n. 84 (“Riordino dell'assetto istituzionale e organizzativo del sistema sanitario regionale. Modifiche alla L.R. 40/2005”):

1. ridefinisce la composizione, le funzioni e le modalità operative del Centro regionale di coordinamento della Salute e medicina di genere,

2. nell'allegato A), “Centro regionale di coordinamento della Salute e medicina di

genere” descrive in maniera puntuale le funzioni e le modalità operative del Centro

regionale di coordinamento per la salute e medicina di genere, in raccordo con le altre strutture presenti sul territorio.

DGR n. 1194 del 2016: la Regione Toscana ridefinisce la composizione, le funzioni e

le modalità operative del Centro regionale di coordinamento della salute e medicina di genere, nonché l'organizzazione del Centro di Coordinamento dell'Azienda USL di nuova istituzione, approva le relazioni sulle attività svolte nel biennio 2014-2015 e approva il programma per le azioni per le annualità 2016-2017, individuando le azioni

(17)

trasversali, cioè funzionali allo sviluppo e all'integrazione delle politiche di genere all'interno dei percorsi assistenziali e nella programmazione dei servizi, e le tematiche su cui sviluppare azioni prioritarie al fine di giungere alla definizione di indirizzi e buone prassi. Fra le azioni trasversali è previsto specifico supporto del Centro regionale alle aziende USL, alle Aziende Ospedaliere Universitarie e alla Fondazione Gabriele Monasterio, nel definire ulteriori percorsi di sensibilizzazione e formazione degli operatori sanitari verso il determinante di genere da inserire nei piani di formazione e programmazione aziendale 2017.

Molte altre Regioni hanno inserito nel proprio PSSR la Medicina di genere, in particolare Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Marche, Puglia. A Padova l’Università degli studi ha fondato la prima Cattedra in Italia di Medicina di Genere. E’ un buon inizio, anche se la medicina di genere non è una specialità a se stante, ma deve diventare pervasiva in ogni campo della medicina: dalle materie precliniche a tutte le specialità.

A parere di Glezerman, Presidente della Società Internazionale di Medicina di Genere, la medicina di oggi si trova ad un punto di svolta, simile a quello che visse 150 anni fa quando, avendo capito che un bambino non è un adulto in miniatura e che il sistema/corpo del bambino è completamente differente da quello di un adulto, la medicina definì la branca della pediatria. Da qualche anno, in ottica di genere, tutto della medicina viene visto in modo nuovo – egli afferma – e prevede che nel futuro ci saranno due strade diverse, una per la cura dell’uomo, una per la cura della donna con l’attenzione a trovarne differenze e somiglianze in un processo parallelo.

(18)

Capitolo 2

(19)

2. DIFFERENZE NELLA RISPOSTA AI FARMACI Donne e uomini rispondono in maniera diversa ai farmaci.

Le differenze di genere in parte dipendono dagli ormoni, ma è necessario considerare che il genere è una costruzione poliedrica composta dal ruolo sociale, dai comportamenti, dai valori e dalle attitudini, dai fattori legati all’ambiente sociale e dalle interazioni che questi hanno sui fatti biologici, e tutto ciò partecipa alla creazione delle differenze.

Nella farmacocinetica le variazioni correlate al sesso sono state frequentemente considerate come un rilevante potenziale fattore determinante per l'efficacia clinica dei farmaci.

Esistono numerose differenze nelle quattro principali determinanti della variabilità farmacocinetica: biodisponibilità, distribuzione, metabolismo ed eliminazione.

I fattori che determinano queste differenze tra generi sono molteplici e riguardano in gran parte il diverso metabolismo dei farmaci: entrano in gioco l’età, la variabilità ormonale, le diverse situazioni della donna (menarca, età fertile, gravidanza, allattamento, menopausa etc), il peso, la percentuale di grasso corporeo, gli enzimi del fegato, il sistema polmonare, la cute e altre determinanti (Franconi & al. 2006).

2.1 BIODISPONIBILITA'

La biodisponibilità di un farmaco dipende dalla via di somministrazione del farmaco stesso.

Se consideriamo i farmaci assunti per os, la biodisponibilità dipende dal tempo di svuotamento gastrico, dagli enzimi gastrointestinali e dal pH gastrico, fattori strettamente correlati alle differenze fra i due sessi.

2.1.1 Tempo di svuotamento gastrico e transito intestinale

Nelle donne il tempo di svuotamento gastrico è più breve mentre è più lungo il transito nell’intestino. Esso è inoltre influenzato dagli ormoni, pertanto varia durante il ciclo mestruale e la gravidanza.

Se la motilità intestinale femminile è inferiore un farmaco tenderà a sostare più a lungo. Questo potrebbe richiedere un prolungamento dell’intervallo tra cibo e

(20)

l'assunzione del farmaco (Franconi 2011).

Quindi, per i farmaci che devono essere assunti a stomaco vuoto, bisogna prestare attenzione a questo aspetto, in quanto nelle donne potrebbe essere opportuno prolungare l'intervallo fra l'assunzione del cibo e la somministrazione del farmaco.

2.1.2 Enzimi gastrointestinali

Gli enzimi responsabili del metabolismo gastrointestinale dei farmaci differiscono anche in base al sesso. Per esempio, è noto, da molti anni, che le donne hanno un metabolismo dell’etanolo diverso rispetto a quello dell’uomo perché uno degli enzimi coinvolti nel metabolismo dell’etanolo, l’alcoldeidrogenasi gastrica, è meno rappresentato nel sesso femminile rispetto a quello maschile e ciò aumenta la biodisponibilità dell’etanolo, tanto che a seguito dell'assunzione di una medesima bevanda alcolica, nelle donne si riscontrano concentrazioni di alcol più elevate.

Il precedente esempio sottolinea che le differenze di genere non si limitano ai farmaci, ma si estendono a molti xenobiotici, come inquinanti ambientali, metalli pesanti, fumo da tabacco e a molte altre sostanze di abuso, rimedi botanici, supplementi alimentari, ecc. La diversità della risposta ad agenti esterni, quindi, è più vasta di quella pensata fino a pochi anni fa e questo può avere importanti conseguenze sulle interazioni farmaco-farmaco, farmaco-cibo, farmaco-rimedi botanici (Franconi 2011).

Gli enterociti dell'epitelio intestinale esprimono alti livelli di isoenzimi CYP, che contribuiscono in modo significativo al metabolismo di primo passaggio di numerosi farmaci somministrati per via orale.

Alcuni studi hanno dimostrato, per esempio, che il midazolam e il verapamil hanno una maggiore biodisponibilità nelle donne (Franconi 2007).

2.1.3 pH gastrico

La donna ha una minore secrezione gastrica rispetto all’uomo e un’acidità (pH) più elevata. La riduzione di 0,5 unità pH osservata nelle donne aumenta l’assorbimento di medicamenti basici (benzodiazepine, antidepressivi) e modifica la velocità della dissoluzione delle forme farmaceutiche che hanno una dissoluzione pH dipendente (Donovan 2005).

(21)

2.2 DISTRIBUZIONE

La distribuzione di un farmaco è influenzata da numerosi fattori tra cui indice di massa corporea, la composizione e il volume plasmatico.

2.2.1 Peso

Il peso delle donne è in genere inferiore a quello degli uomini. Normalmente una donna sana pesa in media il 25-30% in meno di un uomo. Se il fattore peso non viene considerato nel dosaggio di un farmaco ecco che, a parità di dosaggio, la quantità di principio attivo che assume una donna in proporzione al peso è maggiore. Un esempio di questo tipo di problematiche è legato alla quantità e qualità degli effetti avversi che si osservano nelle donne.

Per contro, per i soggetti in sovrappeso, la somministrazione di dosi studiate su un individuo maschio di 70 Kg potrebbe risultare inefficace.

2.2.2 Composizione corporea

Il corpo femminile e maschile differiscono anche per la composizione: quello femminile ha una quantità superiore di massa grassa (25%) e una minore quantità di massa muscolare (10%) e di acqua totale (15-20%) avendo anche organi più piccoli. Questi parametri variano con l’età. Infatti, il grasso cresce dal 33% delle donne adulte e fertili al 48% delle donne in menopausa, negli uomini si passa invece dal 18% al 36% (Franconi 2011), mentre l’acqua e il volume degli organi diminuiscono. Inoltre, l’acqua extracellulare e gli elettroliti variano in funzione del ciclo mestruale; infatti, l’acqua è massima durante la fase follicolare e ovulatoria.

Per ridurre, almeno in parte, le differenze dovute alla dimensione e alla composizione corporea si potrebbe normalizzare la dose dei medicamenti per il peso corporeo o per la superficie corporea.

Ad esempio, in America il farmaco Zolpidem viene prescritto a dosaggio diverso nei due sessi: 1,75 mg per le donne e 3,5 mg per l'uomo. Questa differenza nasce dalla più bassa clearance riscontrata nel sesso femminile, secondo i dati raccolti dall’FDA, ed è uno dei primi casi di “gender pharmacology” applicata all’ approvazione di un farmaco.

(22)

Per quanto riguarda i farmaci del sistema cardiovascolare ci sono raccomandazioni relativamente alla normalizzazione del peso per la digossina, per alcuni antiaritmici, per l’eparina e i trombolitici, anche se esse non sono sempre applicate nella pratica clinica.

Riassumendo, le donne hanno un volume di distribuzione minore per quanto riguarda i farmaci idrofili, mentre il contrario si realizza con i farmaci lipofili e questo appare importante e rilevante per i farmaci a basso indice terapeutico.

Le differenze di dimensione potrebbero essere in parte corrette somministrando una dose corretta per il peso corporeo o per la superficie.

Le differenze di genere nell’assorbimento si estendono ad altri sistemi importanti per l’assorbimento dei farmaci come il sistema polmonare e la cute. Il sistema polmonare è sessualmente dimorfico (Franconi & al. 2011); e ciò, anche in assenza di dettagliati e puntuali studi specifici, ci porta a ipotizzare un differente assorbimento dei farmaci come è stato descritto per la ciclosporina; infatti essa, quando somministrata per via inalatoria, è meno assorbita nelle donne che negli uomini (Rohatagi & al. 2000). La via transdermica è molto utilizzata, ma solo pochi studi hanno focalizzato la loro attenzione sulle possibili differenze di genere con questa via di somministrazione. Purtroppo essi non permettono nessuna conclusione; tuttavia, viste le differenze di genere esistenti a livello cutaneo, non appare improbabile la possibilità di differenze genere specifiche.

2.3 METABOLISMO

La superfamiglia del CYP450 è uno dei principali sistemi responsabili del metabolismo dei farmaci: circa il 50% dei farmaci sia nella donna che nell’uomo viene metabolizzato dal sistema enzimatico CYP450 che comprende numerosi enzimi la cui singola attività può variare in base al sesso.

Sono state dimostrate delle differenze fra i due generi nell'attività degli enzimi del CYP450. Tali differenze possono essere attribuite a cambiamenti nella regolazione della loro espressione e della loro attività, dovuti molto probabilmente a fattori ambientali (induttori e inibitori) e a influenze di ormoni endogeni.

(23)

Queste differenze possono influenzare la maggiore o minore efficacia (o tollerabilità) di un determinato farmaco nei due sessi.

Il metabolismo epatico dei farmaci è rappresentato da due reazioni enzimatiche, che in genere avvengono in sequenza: le reazioni di fase I, che includono ossidazione, riduzione e idrolisi che sono mediate dal sistema del citocromo P450 (CYP) e le reazioni di fase II, che includono glucuronidazione, solfatazione, acetilazione, metilazione del farmaco originale o del suo metabolita frutto della reazione di fase I, per formare coniugati che vengono poi escreti per via renale.

2.3.1 Metabolismo di fase I

Le differenze importanti fra i due sessi di alcuni degli enzimi chiave del citocromo P450 sono state dimostrate da alcuni degli studi riassunti di seguito.

Il CYP3A4, è l'enzima principalmente responsabile del metabolismo dei farmaci. Esso metabolizza circa il 50-60% dei farmaci.

E' stato dimostrato da vari studi che questa isoforma è: 1)   più manifesta nelle donne (Gandhi & al. 2004);

2)   indotta dagli xenobiotici (rifampicina, fenobarbitale, corticosteroidi, estrogeni, testosterone, cibi, rimedi botanici, contaminati ambientali) in maniera genere-specifica (Waxman & al. 2009).

In linea generale, molti substrati di CYP3A4 hanno una maggiore clearance di circa 15-30% nelle donne anche dopo correzione per il peso corporeo, il che implica la possibilità di interazioni genere-specifiche.

Infine, sono possibili interazioni dinamiche per gli stessi substrati con la P-glicoproteina, un trasportatore che facilita l’efflusso dei farmaci dalle cellule, e quindi regola la disposizione e la concentrazione intracellulare dei medicamenti genere-dipendenti, perché l’espressione epatica della P-glicoproteina è minore nelle donne (Bebawy & al. 2009). Queste ultime, quindi, accumulano più farmaco a livello epatico dove può essere metabolizzato più rapidamente.

Le altre isoforme del CYP450 maggiormente coinvolte nel metabolismo dei farmaci sono la CYP2D6, la CYP2E1, la CYP1A2, la CYP1A6 e la CYP2B6.

(24)

maggiore clearance nell’uomo. Questo enzima metabolizza farmaci importanti come antiaritmici (encainide, flecainide, mexiletine, propafenone), beta-bloccanti e antidepressivi. È per questo che i livelli ematici di questi farmaci sono più alti nelle donne rispetto agli uomini e ciò si accompagna anche a una maggiore frequenza di effetti avversi (Franconi & al. 2011).

Fra i beta-bloccanti, il metoprololo e il propranololo presentano livelli maggiori nella donna. Per altri, come il carvedilolo, nebivololo, alprenololo, non si osservano significative differenze (Flockhart 2009), altri ancora come l’atenolo non sono substrati dell’enzima. Le differenze appena elencate sono anche alla base delle maggiori reazioni avverse viste con beta-bloccanti substrati della CYP2D6 nelle donne.

Le CYP2E1 e la CYP1A2 sembrano essere più espresse nell’uomo mentre la CYP1A6 e la CYP2B6 sappiamo essere più attive nella donna che non nell’uomo (Waxman & al. 2009).

2.3.2 Metabolismo di fase II

Specifiche differenze di genere sono presenti anche con gli enzimi responsabili del metabolismo di fase II.

Ad esempio, la sulfotransferasi, la glutatione-S-transferasi e la UDP-glucuronsil-transferasi sono più espresse nelle donne; la glucoronidazione del paracetamolo è più alta negli uomini (Franconi & al. 2007).

E' stato dimostrato che le COMT (catecol-O-metiltrasferasi) hanno nelle donne un'attività di circa il 25% inferiore rispetto a quelle delle uomini (Boudikova & al. 1990). Tali variazioni possono essere di notevole importanza per i farmaci che hanno un basso indice terapeutico, ma sono importanti anche perchè influenzano il metabolismo dei neurotrasmettitori che, a sua volta, influenza l'effetto di farmaci che agiscono a livello del sistema nervoso centrale.

2.3.3 Interazioni farmaco-ormoni

(25)

di arrivare a conclusioni generali, per cui diventa necessario studiare ogni singola molecola, se non il singolo enantiomero, considerando addirittura ogni singolo periodo della vita. Inoltre, le differenze nel metabolismo possono dipendere dall’etnia del soggetto, dall’uso di associazioni estroprogestiniche, dalle condizioni del paziente. L’uso massiccio da parte delle donne di estrogeni e progestinici rende indispensabile conoscere le interazioni fra questi e gli altri medicinali. Interazioni che possono aumentare e/o diminuire l’attività degli ormoni oppure possono diminuire o aumentare l’attività del farmaco associato. Si crea, infatti, una sorta di influenza incrociata: gli ormoni influenzano i farmaci e i farmaci influenzano gli ormoni. Gli estrogeni dei contraccettivi orali possono determinare un debole effetto di inibizione degli enzimi del sistema dei citocromi con conseguente potenziale inibizione del metabolismo di altri farmaci.

Questo effetto si manifesta, ad esempio, con le benzodiazepine che vanno incontro a idrossilazione epatica (per esempio alprazolam, clordiazepossido, diazepam, nitrazepam e triazolam). L’uso contemporaneo di questi farmaci con i contraccettivi orali potrebbe aumentare gli effetti sedativi e ipotensivi delle benzodiazepine, situazione di rischio soprattutto durante la guida di veicoli e per le donne che svolgono lavori in cui sono richieste attenzione e vigilanza continua (Nobili & al. 2004).

Gli esempi, comunque, sono moltissimi: i contraccettivi orali determinano una riduzione dell'efficacia degli antidepressivi triciclici, degli anticoagulanti orali, degli antidiabetici, degli ACE-inibitori, di alcuni analgesici come il paracetamolo e dei beta-bloccanti.

Prendiamo l’esempio del paracetamolo: nella donna che assume la pillola l’efficacia di questo farmaco viene ridotta del 50% rispetto alla donna che non assume contraccettivi orali.

2.4 ELIMINAZIONE DEI FARMACI

L’eliminazione dei farmaci avviene più lentamente nelle donne.

La principale via di eliminazione dei farmaci è l'escrezione renale. Essa è determinata dal tasso di filtrazione glomerulare (GRF), che è proporzionale al peso corporeo. Generalmente il GRF ha un valore maggiore negli uomini rispetto alle donne, per cui

(26)

si potrebbe pensare che le differenze di genere che si osservano siano esclusivamente dovute al differente peso corporeo e che sarebbe sufficiente fare un aggiustamento con il peso corporeo per non osservare le differenze.

In realtà la velocità di filtrazione glomerulare e il flusso sanguigno renale sono più bassi nella giovane donna che non nell’uomo giovane. La velocità di filtrazione renale rimane più bassa (10%) nelle donne anche dopo la correzione per il peso (Franconi & al. 2007).

Anche il sistema renale che funziona da filtro del nostro organismo, è diverso tra uomini e donne. In queste ultime, la filtrazione renale, che determina la velocità con cui viene eliminato un farmaco, è più lenta di circa il 10% rispetto a quella degli uomini.

La velocità della filtrazione glomerulare e il flusso renale decadono con l’età in maniera maggiore nell’uomo che non nella donna e all’età di 70 anni essi sono uguali nei due sessi. Ciò suggerisce che l’eventuale correzione della dose e/o del regime terapeutico deve essere fatta attraverso algoritmi che considerano la clearance della creatinina, l’età, il sesso, la creatinina sierica (Franconi 2011).

In conclusione, è arrivato il momento di iniziare a pensare che la biodisponibilità del farmaco possa dipendere dal genere senza dimenticare che tali differenze potrebbero essere funzione del singolo farmaco, dell’età, della via di somministrazione utilizzata e della politerapia.

(27)

Capitolo 3

(28)

3.1 SPERIMENTAZIONE CLINICA NEI BAMBINI

La sperimentazione clinica pediatrica pone una sorta di paradosso: da un lato la società vuole salvaguardare i minori dai rischi presenti in ogni studio clinico; dall’altro gli stessi bambini sono esposti a pericoli quando ricevono farmaci studiati per gli adulti e insufficientemente testati nella popolazione pediatrica.

L’ampia esposizione dei bambini ai farmaci è un fenomeno spesso poco considerato, ma documentato. I minori presentano caratteristiche particolari che rendono complesso il trasferimento a loro di risultati clinici ottenuti nell’adulto. Nonostante ciò, a causa di problemi etici, pratici ed economici, la maggior parte dei farmaci oggi sul mercato sono stati sperimentati solo nell’adulto e sono privi dell’autorizzazione per l’uso specifico nei bambini. La legislazione italiana ed europea consente in questi casi il cosiddetto uso off-label: ovvero la prescrizione ai bambini di farmaci senza licenza d’uso per l’età pediatrica, in condizioni diverse da quelle autorizzate e riportate nelle schede tecniche in termini di età, posologia, indicazione terapeutica, via di somministrazione.

Come abbiamo visto, i bambini sono ampiamente esposti all’uso di farmaci, che non sempre però sono testati su popolazioni pediatriche. Di conseguenza la somministrazione avviene in mancanza di specifiche conoscenze sul profilo rischio/beneficio dei farmaci in questi pazienti, in cui le potenziali reazioni avverse possono essere molto diverse rispetto all’adulto, e anche fra le diverse fasce di età. Ad esempio nei neonati, specialmente se prematuri, il fegato ha una scarsa capacità di eliminare i farmaci, e la funzione renale è ancora immatura. Questi fattori determinano una ridotta eliminazione dei farmaci nei neonati e rendono quindi necessaria un’ulteriore diminuzione dei dosaggi rispetto al semplice valore “aggiustato” in base al peso. Al contrario, i bambini in età prescolare possono avere un’aumentata capacità metabolica e richiedono quindi dosi più alte di quelle calcolate solo in base al peso. Inoltre il rapporto superficie corporea/peso nei bambini può essere fino a tre volte maggiore che negli adulti, provocando un maggiore assorbimento dei farmaci per somministrazione topica. Questi fattori fanno sì che i dati di sicurezza per i bambini non possano essere estrapolati dagli adulti, e richiedono che i farmaci siano testati direttamente sui bambini al fine di dimostrarne sicurezza ed efficacia (Kimland 2012).

(29)

L'età evolutiva risulta caratterizzata dal continuo modificarsi di organi e funzioni che rispondono, di volta in volta, in maniera assai diversa al contatto con il medicamento a seconda della fase di maturazione o della diversa “età” pediatrica. In particolare, nel soggetto sotto i 16 anni cambiano di continuo:

- le modalità con cui un farmaco entra nell'organismo: caratteristiche di assorbimento, la distribuzione nell'organismo, caratteristiche farmaco- cinetiche;

- la qualità e la quantità delle trasformazioni nelle cellule con cui viene a contatto: caratteristiche farmacometaboliche, il modo in cui viene eliminato dagli organi emuntori (ad esempio rene o fegato), caratteristiche di eliminazione, il tipo e l'entità dei cosiddetti “organi bersaglio”, ossia di quegli organi sui quali, in particolar modo, l'effetto del farmaco si manifesta, sia in termini di efficacia, sia in termini di tossicità.

I bambini presentano quindi caratteristiche particolari che rendono complesso il trasferimento di risultati clinici ottenuti nell’adulto. In molte circostanze però questi farmaci rappresentano l’unica opzione terapeutica disponibile e spesso hanno alle spalle lunghi periodi di utilizzo che ne supportano efficacia e sicurezza. Per questi motivi la legislazione italiana ed europea consente in questi casi il cosiddetto uso off-label.

Secondo il decreto legislativo 211 del 2003, la sperimentazione clinica sui minori può essere intrapresa soltanto se esistono le seguenti condizioni:

a) sia stato ottenuto il consenso informato dei genitori o dell'altro genitore, in mancanza di uno di essi o del rappresentante legale nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia; il consenso deve comunque rispecchiare la volontà del minore e deve poter essere ritirato in qualsiasi momento senza che ciò comprometta il proseguimento dell'assistenza necessaria;

b) il minore abbia ricevuto, da personale esperto nel trattare con minori, informazioni commisurate alla sua capacità di comprensione sulla sperimentazione, i rischi e i benefici;

c) lo sperimentatore o lo sperimentatore principale tenga in considerazione la volontà esplicita del minore di rifiutare la partecipazione alla sperimentazione o di ritirarsene in qualsiasi momento, se il minore stesso è capace di formarsi un'opinione propria e di

(30)

valutare le informazioni ricevute;

d) il gruppo di pazienti tragga dalla sperimentazione clinica qualche beneficio diretto e solo se la ricerca è essenziale per convalidare dati ottenuti in sperimentazioni cliniche su persone in grado di dare il loro consenso informato o ottenuti con altri metodi di ricerca; inoltre, la ricerca deve riguardare direttamente uno stato clinico di cui soffre il minore o essere di natura tale da poter essere intrapresa solo su minori;

e) siano state seguite e linee guida scientifiche pertinenti, adottate dall'Agenzia europea di valutazione dei medicinali (EMEA);

f) le sperimentazioni cliniche siano state concepite in modo da ridurre al minimo il dolore, il disagio, la paura e ogni altro rischio prevedibile, in relazione alla malattia e allo stadio di sviluppo del minore; la soglia del rischio ed il grado di malessere devono essere definiti specificamente e continuamente monitorati;

g) il protocollo sia stato approvato da un comitato etico con competenza anche pediatrica o che si sia preventivamente avvalso di una consulenza in merito alle questioni cliniche, etiche e psicosociali in ambito pediatrico;

h) l'interesse del paziente prevalga sempre sugli interessi della scienza e della società. E' fondamentale notare come, alla luce degli esiti del dibattito bioetico contemporaneo e in un'ottica di buona pratica, si deve rendere partecipe il bambino nei colloqui e nella comprensione dello studio che lo potrebbe coinvolgere, in armonia con il suo stadio evolutivo e la sua volontà di essere informato. Alla luce degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali più autorevoli, il minore ha oggi un vero e proprio diritto ad essere ascoltato e la sua opinione riveste gradi di vincolatività differenti a seconda della sua capacità di discernimento; tuttavia la sua volontà necessita, formalmente, dell'avallo dei genitori che, in qualità di esercenti la patria potestà, rilasciano il consenso o il rifiuto alla partecipazione ipotizzata e/o richiesta.

Aderendo all'indirizzo ormai consolidato del Comitato Nazionale di Bioetica in relazione allo sviluppo cognitivo del bambino, si ritiene che, dopo i sette anni, vada ricercato il suo consenso (se in grado di prestarlo in modo compiuto) e quello dei suoi genitori, e dopo i quattordici sia considerato prioritario il consenso dell'adolescente. Nella documentazione scritta proposta, dovranno perciò essere previsti:

(31)

-   uno spazio al termine della sezione informativa per la sua firma, affinchè sia esplicito il riconoscimento di come si valuti determinante informarlo e coinvolgerlo attivamente.

In questa prospettiva, si sottolinea nella “Buona pratica del Medico nell'esecuzione della sperimentazione clinica di medicinali ad uso umano”, che se il minore è capace sia di formarsi un'opinione propria, sia di valutare compiutamente le informazioni relative alla sperimentazione, ai rischi e ai benefici della medesima, lo sperimentatore dovrà perciò tenere in considerazione la sua volontà esplicita di rifiutare la partecipazione allo studio o di ritirarsene in qualsiasi momento.

3.2 SPERIMENTAZIONE CLINICA NELLE DONNE

Il bias di genere del quale abbiamo parlato finora trova le sue origini tanto in una non corretta metodologia della ricerca, quanto nel permanere di un pregiudizio ad excludendum delle donne dalle sperimentazioni cliniche.

La sotto-rappresentazione delle donne nelle sperimentazioni cliniche è un problema noto da tempo ed è dovuto a vari fattori:

1. Ragioni biologiche.

Le donne sono state sempre considerate soggetti “difficili” per la sperimentazione a causa della diversità biologica e fisiologica, ma soprattutto enzimatica e ormonale, dovuta alle variazioni in età fertile e non fertile (ciclo mestruale, gravidanza, allattamento, menopausa) e all’assunzione possibile di anticoncezionali a scopo contraccettivo o terapeutico (estrogeni e progestinici modificano il metabolismo delle donne).

Tale variabilità non consente di ottenere “dati puliti” dai trials misti per sesso e diminuisce la rilevanza statistica della sperimentazione. Anche nel caso in cui vi siano donne nella sperimentazione, non è detto che il numero arruolato permetta di vedere eventi significativi.

2. La possibile gravidanza in età fertile.

Una delle ragioni che ha portato le case farmaceutiche ad escludere le donne dalle sperimentazioni è connessa alla possibilità che la sperimentazione di un nuovo

(32)

farmaco possa danneggiare il feto nel caso in cui si verifichi una gravidanza. Vi è inoltre la possibilità che il farmaco studiato possa avere effetti negativi a lungo termine (anche a distanza di mesi dopo il termine della sperimentazione). Ciò spiega perché in genere la casa farmaceutica impone l’uso di specifici contraccettivi ormonali come condizione della partecipazione ad una ricerca che non possa considerarsi “senza rischio” per il feto.

3. Ragioni economiche

Il parere del Comitato Nazionale della Bioetica riporta a questo riguardo che l’inclusione delle donne nelle sperimentazioni dei farmaci porterebbe inevitabilmente a una notevole lievitazione dei costi in quanto per correttezza scientifica dovrebbero essere arruolate donne nelle varie fasi della loro vita. L’arruolamento si dovrebbe necessariamente moltiplicare: per stratificare i dati secondo il sesso bisognerebbe reclutare donne e uomini, raddoppiando o quadruplicando gli arruolamenti, aumentando tempi e costi, costi della sperimentazione e costi assicurativi per coprire eventuali conseguenze negative.

4. Fattori socio-culturali

Tali fattori sono rappresentati dalla resistenza delle donne a partecipare a studi clinici, generata, probabilmente, da difficoltà connesse al loro ruolo nella società, quali il tempo richiesto per la partecipazione e una scarsa attenzione da parte dei reclutatori alle necessità pratiche e/o psico-logiche femminili (Baggio 2005).

Alcuni studi hanno evidenziato una maggiore difficoltà e reticenza delle donne a partecipare alle sperimentazioni per carenza cronica di tempo (dovuta al maggior impegno rispetto agli uomini nella cura della famiglia e al doppio ruolo per le donne che lavorano) o per questioni economiche (reddito più basso rispetto ai maschi per la non adeguata partecipazione delle donne al mondo del lavoro e/o per la scarsa retribuzione). In parte sicuramente la maggiore reticenza alla partecipazione femminile agli studi dipende anche dalla scarsa attenzione dei reclutatori alle necessità pratiche e alle esigenze psicologiche femminili.

5. Ragioni ambientali esterne

Lo stile di vita, che include abitudini alimentari o il ricorso a rimedi naturali, può influenzare la risposta della donna alla sperimentazione farmacologica. Le donne

(33)

tendono con maggiore frequenza a utilizzare sostanze naturali rispetto agli uomini. Sebbene nelle sperimentazioni cliniche il trattamento sia uguale nei diversi bracci sperimentali, non sempre è possibile monitorare le differenze di stile di vita e di fattori esterni che possono incidere sulla sperimentazione stessa in modo diverso tra i due sessi. I rimedi naturali possono, per esempio, interagire con il farmaco in sperimentazione inficiando i dati.

3.2.1 Arruolamento dei pazienti in AOUP anni 2014-2016

Come già descritto, è nota una sotto-rappresentazione delle donne negli studi clinici. Per capire quale fosse lo stato dell’arruolamento negli studi oncologici condotti presso l’AOUP, abbiamo analizzato i dati in nostro possesso e abbiamo tratto le nostre considerazioni.

Facendo riferimento agli anni 2014, 2015 e 2016, sono state prese in esame le sperimentazioni cliniche che avevano come oggetto di studio farmaci antiblastici da somministrare per via endovenosa. Per ovvi motivi sono stati esclusi gli studi clinici che prevedevano l'arruolamento di soggetti affetti da tumore alla mammella o alla prostata.

Per l'ottenimento dei dati relativi all’arruolamento con la distinzione per sesso, abbiamo fatto riferimento al “Pharmacy Binder” di ciascuno studio, conservato presso l'Ufficio Sperimentazioni dell'U.O. Farmaceutica, in cui sono archiviati tutti i documenti relativi allo studio stesso, comprese le singole prescrizioni per ciascun paziente.

In tutti e tre gli anni presi in esame le donne arruolate sono risultate in numero significativamente inferiore rispetto agli uomini, confermando i dati presenti in letteratura.

Quello che ci stupisce però sono i dati in percentuale, da cui si evince che ancora oggi più della metà dei soggetti arruolati, in una Regione in cui sono state intraprese molte azioni in ottica di genere, risultano essere di sesso maschile.

In particolare, la percentuale di donne arruolate negli studi clinici è stata pari al 38% nell'anno 2014, al 40,3% nell'anno 2015 e al 35% nell'anno 2016 (Figura 1).

(34)

Figura 1: Numero di pazienti arruolati negli studi clinici negli anni 2014, 2015 e 2016.

La sotto-rappresentazione delle donne negli studi clinici comporta l’immissione in commercio di farmaci studiati prevalentemente sull’uomo. Oggi sappiamo che donne e uomini rispondono in maniera diversa ai farmaci, pertanto diventa necessario prestare attenzione alle differenze per evitare una minore efficacia nell’uso dei farmaci utilizzati dalle donne e anche effetti collaterali e indesiderati più frequenti e più gravi.

3.2.2 Linee guida bioetiche internazionali

Negli anni ’70 erano emerse esplicite indicazioni che prevedevano l’esclusione delle donne dagli studi clinici allo scopo di preservare la salute del nascituro, dato che si erano verificati casi drammatici di morte fetale e gravi danni ai bambini nati. Nel 1977 la Food and Drug Administration (FDA) nelle General Considerations for the Clinical Evaluation of Drugs raccomandava l'esclusione delle donne in età fertile dalla sperimentazione, soprattutto nelle fasi I e II, non essendo noti i dati sulla teratogenicità, ad eccezione di donne con patologie mortali. Le donne in età fertile potevano partecipare agli studi di fase II e III solo se erano state raccolte informazioni sufficienti sulla sicurezza ed efficacia, anche negli studi su animali, che escludessero interferenze con le funzioni riproduttive. Nel 1982 la World Health Organization emanava le Proposed International Guidelines che affermavano il dovere di escludere

(35)

le donne da sperimentazioni non terapeutiche su volontari sani.

Nel 1988 si registra un cambiamento radicale nell’orientamento della FDA che, con la pubblicazione del documento “Guideline for the Format and Content of the Clinical and Statistical Sections of New Drug Application”, rileva la sottorappresentazione femminile nella sperimentazione farmacologica e raccomanda l’analisi di dati differenziati per sesso nei trials clinici. Nel 1993 sempre la FDA emana le “Guideline for the Study and Evaluation of Gender Differences in the Clinical Evaluation of Drugs”, riconoscendo l’inferiorità percentuale di partecipazione delle donne a sperimentazioni cliniche in patologie non tipicamente femminili rispetto agli uomini e auspicando l’inclusione delle donne nei protocolli di sperimentazione al fine di garantire un’eguale rappresentazione. La FDA ammette che tale esclusione possa avere, in modo sottile, suscitato una visione dell’uomo come ‘primary focus’ della medicina e dello sviluppo farmacologico, con una considerazione secondaria delle donne; raccomanda pertanto la rimozione della proibizione della partecipazione delle donne in età fertile nelle prime fasi della sperimentazione al fine di prevenire forme di discriminazione. La FDA ritiene che non sia necessaria l’esclusione della donna a causa dei potenziali rischi al feto, potendo minimizzare i pericoli con un esplicito impegno della donna a non iniziare la gravidanza, oltre che mediante l’uso di test di laboratorio che accertino tali comportamenti. La FDA non impone alcun obbligo di inclusione delle donne nelle sperimentazioni, ma intende rimuovere il ‘non necessario impedimento’, al fine di favorire una maggiore partecipazione delle donne alle sperimentazioni.

Sempre nel 1993 il Council for International Organizations of Medical Sciences (CIOMS) emana le “International Ethical Guidelines for Biomedical Research Involving Human Subjects”, raccomandando ai ricercatori, agli sponsor e ai comitati etici di non escludere donne in età fertile dalla sperimentazione, non ritenendo la potenzialità della gravidanza una ragione sufficiente per precludere o limitare la partecipazione e riconoscendo alle donne la capacità di prendere una ‘decisione razionale’ nella partecipazione alla ricerca. Nel caso di rischio per la salute del feto, la donna deve accettare di sottoporsi al test di gravidanza ed essere disponibile ad accedere ad un ‘efficace metodo contraccettivo’, consentendo, con tali procedure,

(36)

anche un arruolamento nelle prime fasi della sperimentazione con dosi controllate della nuova sostanza; si sottolinea come il consenso informato debba essere garantito offrendo alla donna un congruo tempo ed adeguate condizioni per prendere una decisione, ritenendo doveroso un consenso individuale, non sostituibile con quello del partner. Inoltre si ritiene ammissibile (guideline n. 17) come soggetto di sperimentazione anche la donna incinta, subordinatamente alla minimizzazione dei rischi (per la donna e per il feto), lasciando alla donna la decisione anche in caso di incertezza ed ambiguità nella definizione del rischio; la ricerca può essere promossa solo se rilevante per la salute della donna su cui si effettua la sperimentazione e delle altre donne nella medesima condizione; si ritiene che la donna non possa essere reclutata nella ricerca solo nel caso in cui vi siano studi pre-clinici che attestino la teratogenità del farmaco.

Nel 1994 negli Stati Uniti viene istituito presso la FDA un ufficio dedicato denominato “Office of Women’s Health”, con l’obiettivo di favorire l’inclusione delle donne negli studi clinici, valutando le differenti risposte per l’efficacia e la sicurezza dei farmaci. Nel 1995 le indicazioni precedenti vengono ulteriormente rafforzate nel documento “Investigational New Drug Applications” esigendo esplicitamente nella sperimentazione la non discriminazione per sesso, oltre a età e razza. Nel 1998 la FDA emana le “Final Rule on the Investigational New Drug Applications” con lo scopo di intervenire attivamente nei confronti di sponsor che non rispettino le indicazioni di equità nell’ambito della differenza sessuale. Nel 1999 viene istituito un gruppo di lavoro “FDA-MA Women and Minorities Working Group” allo scopo di preparare specifiche linee guida per incentivare la corretta inclusione delle donne e dei soggetti deboli nelle sperimentazioni cliniche.

Nel 1998 l’EMEA (Agenzia Europea per la Valutazione dei Prodotti Farmaceutici) ha emanato la “Note for Guidance on General Considerations for Clinical Trials” ammettendo negli studi clinici le donne in età fertile solo con l’uso di contraccettivi. Sempre l’EMEA nel 2003, a seguito del contributo di un gruppo di lavoro che includeva ricercatrici e rappresentanti delle aziende farmaceutiche provenienti da tutta Europa (XX group), ha pubblicato la “Note for Guidance on the Clinical Development of HIV-Medical Products” raccomandando di elaborare protocolli di studio che

Riferimenti

Documenti correlati

Among polymeric materials, liquid crystalline networks (LCNs) present an anisotropic molecular structure that can be exploited to tailor internal strain, resulting in a

Worn surfaces of rails after testing at the (a) room and (b) low temperature, and corresponding wheels at the (c) room and (d) low temperatures.. three kinds of rail materials.

La Medicina di Genere studia e identifica le differenze nella incidenza delle varie malattie nei due sessi, le diversità nei sintomi, nei percorsi diagnostici da seguire,

Per favorire lo sviluppo di pari opportunità tra tutti i lavoratori e incentivare la partecipazione delle donne al mondo del lavoro, è dunque indispensabile l’attua- zione

Soprattutto, aumenta il feno- meno del part-time involontario tanto che, mentre nel 2004 soltan- to il 33% delle donne occupate aveva subito questa “scelta”, nel 2014 e anche per

In particolare, la maggiore competenza delle giovani donne nella literacy è un’altra specificità del nostro Paese: le giovani donne (classe 16-24 anni) hanno in media 8 punti in

Ho iniziato con una citazione di un’autrice psicoanalitica, concludo citando il padre stesso della psicoanalisi, che quando in una conferenza nel 1932 si trovò nella necessità