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sportazioni verso lo stato della Chiesa

Lo Stato Pontificio (752 Chiesa, attorno alla metà del s tutta la penisola italica, attraver crisi economica, la peste non la conformazione stessa del bile una coesione commerciale che avrebbe potuto favo fatti, esso possedeva un territorio molto vasto, difficile d amministrare.

he se lo Stato non era riuscito a stare al passo con i godeva di favore da parte della propria borghe e modo slegata dagli aspetti più mercantili dell’econo va ricompensata spesso con possedimenti terreni o con l famiglie più in vista di posti di spicco all’interno dell’a

gge: di là dal Mincio […] di qua dal Mincio.

pontificio e il movimento riformatore nel Settecento, Milano, Figura 1

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(752 – 1870), o della la metà del settecento, come alica, attraversò un periodo di la peste non aveva aiutato e stessa dello Stato. Non e potuto favorire una ripresa to, difficile da governare, ma

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Nel XVIII secolo, si cercò comunque di rendere più omogenea l’amministrazione del territorio e a tal proposito vennero istituite nuove province. Lo stato venne diviso in dodici di esse: Lazio, Patrimonio di San Pietro, Campagna e Marittima, Sabina, Ducato di Spoleto, Umbria, Marca di Ancona, Montefeltro, Urbino, Bologna, Romagna ed infine Ferrara. Accanto alle dodici province vi erano anche una legazione extraterritoriale ad Avignone e una contea denominata Contado Venassino.205 In questo modo le amministrazioni o meglio legazioni avevano un controllo centralizzato sui propri possedimenti nel quadro di un’organizzazione che consentiva loro di concentrarsi meglio sugli interessi di ogni singola area geografica.

Altro problema per lo Stato Pontificio erano i dazi interni che dovevano essere pagati per commerciare le merci fra le province. Infatti, non era presente un’unità economica e questo sfavoriva largamente gli scambi commerciali. Per porre rimedio a questo problema e per cercare di rimettere in carreggiata un’economia provata dalla crisi, papa Lambertini (Benedetto XIV) decise, nel 1748 emanò una legge che permetteva la libera circolazione di tutte le merci all’interno dello Stato, abolendo le dogane interne.

Probabilmente egli prese questa decisione a seguito della propria esperienza bolognese che lo portò a toccare con mano le carestie dovute appunto alla mancata libertà di circolazione delle merci, in questo caso, soprattutto del grano. Questa riforma modificò solo in parte l’assetto commerciale poiché, anche se la libera circolazione delle merci era un grande passo avanti per l’economia pontificia, rimasero in vigore la maggior parte dei dazi e delle tasse che dovevano essere corrisposte praticamente per tutte le merci, quindi sostanzialmente il problema venne solamente ridimensionato ma persistette nel tempo.

Nei grafici che seguono vedremo come, nel decennio studiato, lo Stato Pontificio sia stato uno dei più grandi importatori di caffè da Venezia. Ovviamente le città che ricevevano più merce erano quelle nelle vicinanze della Repubblica, come Ferrara e Bologna. Si ipotizza quindi che da queste il caffè venisse poi trasferito nelle altre città dello Stato. Anche l’odierna Senigallia, che era sede di una delle più importanti fiere nel panorama della penisola italica. Essa aveva un successo molto elevato, vi partecipavano

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persone da molte parti d’Europa206 e il caffè era sicuramente una delle merci in esposizione e in vendita, come dimostrano i dati raccolti nei manoscritti.

Il primo dei due grafici mostra le esportazioni verso lo Stato pontificio nel corso dei dieci anni studiati:

Come si può vedere dal grafico, l’andamento delle esportazioni è altalenante. L’anno con maggiori esportazioni fu il 1754, mentre quello con minori esportazioni fu il 1759. Il 1760 segna una ripresa, anche perché nel manoscritto sono stati riportati solo i primi sei mesi di traffici. Si può quindi ipotizzare che ci sia stata una nuova impennata nei consumi. Dai dati analizzati si nota che, ad esempio Senigallia ebbe un ruolo decisivo per le esportazioni verso lo Stato della Chiesa: come si è già detto in precedenza, la fiera che si svolgeva in questa cittadina faceva confluire mercanti da tutto il mondo. Ma non solo Senigallia ebbe un ruolo di prim’ordine nelle esportazioni, anche Ferrara possedeva un buon giro d’affari.

La differenza fra le due città era che le esportazioni della prima si concentravano solamente in determinati periodi dell’anno, appunto nei periodi che coincidessero con la

206 F.Bertini (a cura di). Storia delle Marche. Bologna, Poligrafici editoriali, 1995, pp. 124 - 125. 0 5000 10000 15000 20000 25000 1751 1752 1753 1754 1755 1756 1757 1758 1759 1760

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fiera annuale, mentre per la città emiliana le importazioni avevano un andamento lineare lungo tutti i dodici mesi, come del resto per Bologna, altra importatrice abbastanza costante. Evidente è che la vicinanza alla Serenissima portasse le ultime due città ad avere un ruolo di prim’ordine nelle importazioni di caffè verso lo stato Pontificio. Si ipotizza quindi che oltre al consumo cittadino esse poi distribuissero alcune quantità all’interno dei possedimenti papali.

Il grafico che segue, invece, mostra il peso che assunsero le esportazioni verso lo stato Pontificio sulle esportazioni totali per tutta la durata dei dieci anni.

Come mostra la figura, le esportazioni di caffè verso questo Stato ammontavano al 5% del totale. Una percentuale abbastanza alta se si considera che Venezia era una delle città con maggiori esportazioni di caffè in Europa. I motivi potrebbero essere vari, uno su tutti la vicinanza fra i due Stati che rendeva sicuramente lo spostamento delle merci più semplice e lineare. Ma non solo, la vastità dello Stato della Chiesa presupponeva anche una domanda maggiore, dato la maggiore quantità di consumatori, rispetto ad altri stati della penisola italica. A Roma, poi (anche se la città

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