• Non ci sono risultati.

STATIC VERSUS DYNAMIC 153

4. LE TENSIONI PRINCIPALI DELL’APPROCCIO

4.3 STATIC VERSUS DYNAMIC 153

Alcuni autori hanno suggerito che le imprese dovrebbero temporaneamente alternare periodi di esplorazione e periodi di sfruttamento dando origine a ciò che Venkatraman (2007) definisce ambidestrità sequenziale. Tuttavia, la maggior parte degli studi definisce l’ambidestrità come il raggiungimento simultaneo di exploration e di exploitation. Autori come O’Reilly e Tushman (2004) e Gibson e Birkinshaw (2004) hanno presentato delle soluzioni organizzative che consentono alle organizzazioni di diventare ambidestre. Questi studi adottano una prospettiva statica: le organizzazioni diventano ambidestre assumendo una certa struttura organizzativa. Come ben sappiamo però, le imprese devono continuamente riconfigurare le loro attività per andare incontro ai cambiamenti del mercato, soprattutto nella situazione odierna. Perciò è improbabile che certe configurazioni organizzative possano avere sempre una funzionalità adatta ad affrontare tutte le condizioni che l’organizzazione incontra nel corso del tempo.

O’Reilly e Tushman (2008), affermano che l’ambidestrità potrebbe essere vista come una capacità dinamica se il management orchestra intenzionalmente e ripetutamente le risorse dell’impresa. Le capacità dinamiche comprendono al loro interno sia delle componenti statiche sia delle componenti dinamiche. Tuttavia, gestire le organizzazioni cercando di conseguire contemporaneamente exploration ed exploitation sembra un compito dinamico e non di allineamento statico.

Inoltre, se guardiamo all’ambidestrità dal punto di vista strutturale, resta ancora da chiarire in che modo delle unità strutturalmente separate evolvano nel corso del tempo. Come abbiamo visto nel capitolo precedente è possibile che alcune organizzazioni utilizzino delle unità separate solo temporaneamente per poi reintegrarle in un momento successivo. Le unità in questo caso evolvono con il ciclo dell’innovazione. Al contrario alcuni studiosi affermano che le unità separate rimangono autonome anche per molto tempo. Ad esempio Raisch e Birkinshaw (2008) notano che la Nespresso è rimasta un’unità autonoma

all’interno del gruppo leader nel settore alimentare, Nestlé Group, per più di due decenni.

Oltre ai cambiamenti nel rapporto tra le unità separate e l’organizzazione nel suo complesso potrebbero esservi delle trasformazioni concernenti le stesse unità separate. Nel corso del tempo, infatti, queste ultime si muovono in un contesto che dapprima è quasi monopolistico successivamente però si evolve e diventa sempre più popolato e competitivo. Durante questo processo le unità aumentano significativamente le loro economie di scala e di scopo e chiaramente, in queste condizioni di contesto alterate, investono più tempo nelle attività di exploitation. Potrebbe perciò verificarsi che le unità strutturalmente differenziate cambino, orientandosi in un primo momento all’exploration per poi passare nel corso del tempo all’exploitation. In letteratura questa transizione deve ancora essere esplorata.

Anche l’ambidestrità contestuale ha delle componenti dinamiche che raramente sono state trattate. In questo tipo di contesti sono gli individui a scegliere come meglio ripartire il loro tempo tra le attività di alignement e adapatability (Gibson, Birkinshaw, 2004) le quali potrebbero essere svolte in maniera simultanea o sequenziale. Nel primo caso gli individui che svolgono attività di routine possono impegnarsi simultaneamente anche nello svolgimento di quelle non routinarie provando ad identificare nuove opportunità. Nel secondo caso gli individui possono, al contrario, alternare nel corso del tempo attività di alignement e adaptability. Tale alternanza consentirebbe loro di concentrare sforzi e attenzioni su un obbiettivo specifico, riducendo il rischio di inutili confusioni. Questo non significa che l’ambidestrità sequenziale sia più facilmente raggiungibile dell’ambidestrità simultanea a livello individuale. L’adozione della variabile “ tempo” permette in ogni caso un’esplorazione più profonda dei processi dinamici sottostanti all’approccio ambidestro.

In definitiva Tushman e gli altri autori (2009) affermano in primo luogo che la gestione dell’ambidestrità prevede un allineamento dinamico piuttosto che statico. In secondo luogo, per il mantenimento dell’approccio ambidestro nel corso del tempo possono essere richieste sia soluzioni strutturali che

contestuali. Da ultimo l’ambidestrità può nascere sia dall’attenzione simultanea sia da quella sequenziale rivolta alle attività di exploration e di exploitation. Secondo Tushman un contributo valido che affronta la questione è quello di Taylor e Helfat (2009), i quali dimostrano che l’ambidestrità si sviluppa grazie al continuo “alignment” delle attività nelle diverse fasi di un cambiamento tecnologico.

Questi autori sostengono che per lanciare una nuova tecnologia, le unità responsabili dello sviluppo e quelle a capo delle attività complementari debbono essere altamente collegate tra loro. Tale connessione è necessaria affinché un’organizzazione possa resistere alle transizioni tecnologiche dettate dal mercato. È il middle management, a loro avviso, a dover creare e mantenere i collegamenti che sono necessari all’adattamento dinamico in un ambiente in continua evoluzione tecnologica.

Come affermano Taylor e Helfat, una transizione tecnologica rappresenta un cambiamento fondamentale nella natura del prodotto e nella tecnologia che ne sta alla base. In un ambiente caratterizzato da innovazioni discontinue, le organizzazioni dovrebbero abbandonare la tecnologia core del passato per svilupparne una nuova.

Inoltre alcuni studi hanno dimostrato che, quando emerge una nuova tecnologia, le organizzazioni prosperano, se in possesso di asset complementari validi. Tali asset nel modello degli autori sono associati a specifiche funzioni aziendali come la produzione, il marketing, ecc. Perciò il termine “asset” comprende al suo interno non solo le risorse tangibili e intangibili ma anche specifiche capacità organizzative per lo svolgimento delle attività complementari alla tecnologia core. Quando una tecnologia esistente è rimpiazzata da una nuova, gli asset preesistenti possono mantenere completamente la loro utilità, possono richiedere un certo processo di adattamento o addirittura perdere completamente il loro valore.

Il grafico (fig.4.2), rappresenta una situazione in cui le competenze delle funzioni marketing e finance sono ancora utili dopo la transizione tecnologica, mentre quelle di produzione, di distribuzione, dei servizi e delle tecnologie

complementari, devono essere completamente riadattate al cambiamento di mercato.

Figura 4.2

Tecnologia Core e Asset complementari nelle fasi di transizione tecnologica

Fonte: Taylor, Helfat, 2009, p. 720

Come già abbiamo visto nel contributo di Mom, Van Den Bosh e Volderba (2009), le interfacce cognitive tra diverse unità organizzative rappresentano una variabile critica del processo di adattamento. Queste ultime mettono in comunicazione individui con responsabilità e compiti diversi all’interno di un’organizzazione, attraverso i meccanismi di coordinamento e comunicazione. La comunicazione permette alle informazioni di essere condivise mentre il coordinamento permette ai diversi individui di prendere decisioni coerenti tra loro.

Come già sottolineato nella seconda parte di questa trattazione, gli individui che fungono da “boundary spanner” facilitano i flussi di informazione e comunicazione, aumentando la comprensione di tipi di conoscenza diversi. Secondo Taylor e Helfat, quando un’impresa deve affrontare una fase di transizione tecnologica dovrebbe realizzare almeno tre tipi di collegamenti che riguardano gli asset complementari (Fig. 4.3):

 Intracomplementary Linkages: collegamenti tra unità o team incaricati di

esistenti e nuove funzioni che riguardano un particolare tipo di asset complementare.

 Core-complementary Linkages: collegamenti tra le unità complementari

e i team incaricati della nuova tecnologia.

 Intercomplementary Linkages: collegamenti tra unità e team incaricati di

diversi asset complementari.

Figura 4.3

I collegamenti organizzativi richiesti da una transizione tecnologica

Fonte: Taylor, Helfat, 2009, p. 721

Molti studiosi tra cui i padri dell’approccio ambidestro hanno più volte suggerito, studiando l’ambidestrità e le transizioni tecnologiche, di isolare chi è incaricato dello sviluppo del nuovo business e di utilizzare specifici team per connetterlo agli asset complementari. Contrariamente a quanto appena affermato, Taylor e Helfat sostengono che lo sfruttamento della nuova tecnologia necessita dell’interdipendenza di molte funzioni e che gli asset complementari esistenti sono molto utili all’organizzazione.

Chiaramente anche i collegamenti che abbiamo sopra elencato hanno un costo. Le attività di comunicazione e di coordinamento del middle management e quelle d’integrazione dei senior richiedono sforzi di non poco conto per l’organizzazione. Anche in questo caso, infatti, le unità debbono essere opportunamente integrate. Tuttavia, rispetto a quanto affermato negli studi

precedenti, il ruolo dei manager ora non è più solo quello di integrare unità che svolgono attività contrastanti ma anche quello di gestire i collegamenti tra unità e all’interno di esse durante le fasi di transizioni tecnologica. Come affermano Taylor e Helfat :

“The literature on ambidexterity highlights that in a dynamic environment, organizations must make tradeoffs between having well- aligned current businesses and having processes to search for and exploit new business opportunities (Duncan 1976, Tushman and O’Reilly, 1996). Our study extends this research to incorporate the ability of managers not only to manage established and new business units simultaneously (Earley and Gibson 2002, Gibson and Birkinshaw 2004), but also to manage linkages within and across business units during the replacement of a company’s core business with a completely new business”. (Taylor, Helfat, 2009, p. 736)