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Storia politica degli animali e genealogia del discorso etologico

Nel confronto con questi due tipi di difficoltà, epistemologiche e politiche, il problema di una “storia degli animali” si trova ad addensare alcune sfide teoriche cruciali della storiografia contemporanea. Tale questione, che ha fatto la sua comparsa tra le preoccupazioni degli storici negli ultimi quarant'anni,78 viene infatti a

radicalizzare e curvare una riflessione teorica ed epistemologica avviata in seno alle discipline storiche nel secolo appena trascorso. È con una delle più importanti tradizioni storiografiche novecentesche, la Nouvelle Histoire, che si trova non a caso a fare i conti

76 Ibidem, p. 165. 77 Ibidem, p. 166.

78 Nel momento in cui Keith Thomas e Harriet Ritvo introducevano nel mondo anglosassone una storia dei rapporti con la natura e gli animali non umani (Keith Thomas, Man and the Natural World:

Changing Attitudes in England, 1500–1800, Allen Lane, London 1983; Harriet Ritvo, The Animal Estate: The English and Other Creatures in the Victorian Age, Harvard University Press, Cambridge

1987),Robert Delort introduceva a sua volta, già nel 1984, il concetto di “zoohistoire”. Benché non sia ininteressante, il suo approccio resta per molti versi troppo generico, sulla soglia tra una historia

animalium nel senso antico, che mescola notazioni zoologiche e culturali, e una histoire des animaux

in senso moderno, dedita alla ricostruzione dei rapporti sociali uomini-animali: cfr. Robert Delort, Les

animaux ont une histoire, Seuil, Paris 1984, in particolare p. 10. Bisognerà attendere i lavori di Éric

Baratay per uno studio più preciso degli animali nelle società moderne: cfr. Éric Baratay et Élisabeth Hardouin-Fugier, Zoos. Histoire des jardins zoologiques en Occident (XVIe-XXe siècle), La Découverte, Paris 1998. Baratay propone in particolare l'idea di una storia “du point de vue de l'animale”: Éric Baratay, Le point de vue animal. Une autre version de l'histoire, Seuil, Paris 2012. Bisognerà ricordare anche la vasta e imprescindibile opera di Daniel Roche, La Culture équestre de

l’Occident, XVIe-XIXe siècle. L’Ombre du cheval, Fayard, Paris (tome I, Le Cheval moteur. Essai sur l’utilité équestre, 2008; tome II, La Gloire et la puissance. Essai sur la distinction équestre, 2011;

tome  III, Connaissance et passion, 2015). E infine i lavori di Pierre Serna, che propone l'idea di “histoire politique des animaux”, che integra il ruolo degli animali nelle vicissitudini più generali della storia politica e sociale: cfr. in particolare Pierre Serna, L’animale e la Repubblica: 1789-1802, alle

origini dei diritti delle bestie, Mimesis, Milano 2019; Id., Comme des bêtes. Histoire politique de l'animal en Révolution (1750-1840), Fayard, Paris 2017.

chi, come Pierre Serna, si accinge oggi a inaugurare una “storia politica degli animali” in Francia. Il problema fondamentale delle Annales era stato quello di aprire la Storia su nuove temporalità, più lunghe e in ogni caso molteplici, capaci di andare più a fondo dell'“événement explosif”79 dell'“Histoire-bataille”,80 secondo le espressioni di Michel

Vovelle; al di là della cronaca delle vicende degli Stati e delle loro élites politiche. Sprofondare in queste temporalità lente e meno superficiali, aveva significato, per i teorici delle Annales, individuare dei nuovi soggetti dell'agire storico nelle grandi masse anonime, nelle donne, nei lavoratori, nei folli, nei “soldati semplici” della storia, in tutti i marginali esclusi dalla Storia con la S maiuscola. È grazie a questo gesto fondamentale che, oggi, ci è possibile vedere anche negli animali non umani un cantiere nuovo. Si tratta di una radicalizzazione forte, a tratti provocatoria, del gesto della Nouvelle Histoire che si è voluta, secondo la formula di Lucien Febvre, come “histoire des hommes vivants en société”,81 impegnandosi, a fianco delle altre scienze umane, per la

restituzione di una conoscenza totale dell'uomo in tutta la sua fenomenologia. Sottolineiamo quello che a prima vista può sembrare un paradosso: cioè il fatto che, proprio a partire dal dialogo con le scienze umane (la sociologia e l'antropologia in particolare), dialogo che è riconosciuto come uno dei momenti fondanti della Nouvelle Histoire e della storia delle mentalità, ebbene proprio da questo scambio con le altre scienze umane, gli storici siano arrivati ad affacciarsi su ciò che umano non è.82

Sociologi ed etnologi si erano interessati al ruolo sociale e culturale degli animali già nel XIX secolo;83 ma è soprattutto nella seconda metà del XX secolo che il rapporto con

79 Michel Vovelle, Idéologies et mentalités, Gallimard, Paris 1982, p. 216. 80 Ibidem, p. 331.

81 “Que l’historien s’installe au carrefour où toutes les influences viennent se recouper et se fondre: dans la conscience des hommes vivant en société” (Lucien Febvre, Projet d’enseignement pour le Collège

de France, Archives du Collège de France, Paris, 1928, citato in André Burguière, “La notion de

“mentalité” chez Marc Bloch et Lucien Febvre: deux conceptions, deux filiations”, Revue de synthèse, n.. 111-112, juill.-déc. 1983, p. 340).

82 Cfr. Pierre Serna, “La sicuration des animaux ou les fondements d'une République avec les animaux (1792-1802)”, in Fabien Carrié et Christophe Traïni (dir.), S'engager pour les animaux, PUF, Paris 2019, p. 13.

83 Più in generale, nel XIX secolo il confine tra scienze della vita e scienze sociali è notoriamente poroso, e spesso in maniera problematica, come dimostrano i modelli organicistici e sociobiologici. È sufficiente ricordare, tra le opere più interessanti, quelle di Edmond Perrier e Alfred Espinas sulle società animali, o di Eugène Rolland sulla fauna popolare. Anche Dominique Guillo sottolinea la non novità dell'interesse per gli animali delle scienze sociali rivendicato dal XX secolo: Dominique Guillo, “Quelle place faut-il faire aux animaux en sciences sociales? Les limites des réhabilitations récentes de l'agentivité animale”, Revue française de sociologie, n. 56, vol. 1, 2015, p. 135-163.

la natura e le altre specie viene riconosciuto come un aspetto fondamentale dell'esistenza, materiale e simbolica, dell'essere umano e che, in quanto tale, diviene ineludibile per le cosiddette “scienze umane”.84 In tal senso, una storia che si proponga

di abbracciare il fenomeno umano nella sua totalità non potrebbe continuare a omettere gli animali. Nel suo contributo al volume edito da Le Goff, Chartier e Revel sulla Nouvelle Histoire, Michel Vovelle tocca questo problema, in maniera molto generale, ma penetrante.85 Attraverso l'apertura su temporalità più lunghe e attraverso il dialogo

con le altre scienze umane, si scopre quella che Vovelle definisce una “histoire paradoxale, à la fois humaine et échappant à la prise volontaire de l'humanité”. Si aprono allora tutta una serie di “histoires non humaines”, che coinvolgono i “faits physiques, d'ordre biologique ou géologique”:86 “Avec cette histoire, un autre temps se

met en place, qui n'est pas celui des hommes, non qu'ils n'aient aucune prise sur ces conditions physiques ou biologiques qu'ils ont à affronter […]. Mais des rythmes se dessinent, spécifiques, échappant pour l'essentiel au temps humain qu'ils contribuent cependant à façonner.”87

Ecco la tensione, che Michel Foucault ha così efficacemente individuato al cuore delle scienze umane, tra ciò che “échappe à la prise humaine”, come dice Michel Vovelle, e la struttura, o meglio il télos antropologico della storia. Come si è visto, per Foucault, la storia si schiera a fianco delle altre scienze umane nell'ambiguo tentativo di ricondurre l'esperienza umana alle sue condizioni non umane, pur continuando ad avere

84 Si consideri innanzitutto il precoce interesse etnografico di André-Georges Haudricourt, “Domestication des animaux, culture des plantes et traitement d'autrui”, L'Homme, tome 2, n. 1, 1962 pp. 40-50. Negli anni ottanta compaiono i primi studi ad orientamento storico, in particolare quello del sociologo Valentin Pelosse, “Imaginaire sociale et protection de l'animal. Des amis des bêtes de l'an X au législateur de 1850”, première partie, L'homme, n° XXI, vol. 4, oct.-déc. 1981, p. 5-33; e seconda parte, L'Homme, n° XXII, vol. 1, janv.-mars 1982, p. 33-51; e soprattutto quello di Maurice Agulhon, “Le sang des bêtes: le problème de la protection des animaux en France au XIXe siècle”, Romantisme,

n. 31, 1981, p. 81-109. Una delle prime ricche bibliografie di scienze umane sulla relazione con gli animali non umani risale al 1998: Denis Chevallier e Patrice Nottenghem, “Les relations homme- animale: Bibliographie”, Terrain, n° 10, avril 1988, p. 124-131. Per una panoramica critica dei contributi sociologici alla questione animale, cfr. Jérôme Michalon, Antoine Doré e Chloé Mondémé, “Une sociologie a v e c les animaux: faut-il changer de sociologie pour étudier les relations humains/animaux?”, SociologieS, Toulouse, Association internationale des sociologues de langue française, 2016.

85 Michel Vovelle, “L'histoire et la longue durée”, in Jacques Le Goff, Roger Chartier et Jacques Revel (dir.), La Nouvelle Histoire, CEPL, Paris 1978, pp. 316-343.

86 Ibidem, p. 322. 87 Ibidem, p. 323.

come scopo la restituzione, o addirittura la realizzazione, di una “natura umana”. Natura umana che, per Foucault, avrebbe invece potuto trovare l'occasione della propria dissoluzione precisamente in tale gesto di storicizzazione.88 Al di là della pertinenza

generale della critica foucaultiana nei riguardi delle scienze storiche, e in particolare della storia delle mentalità,89 ciò che c'interessa qui rilevare è il fatto che una “storia non

umana” abbia rappresentato una delle poste in gioco teoriche cruciali sulla quale il dibattito storiografico si è attardato negli ultimi cinquant'anni, sollevando un inedito interesse, ad esempio, per la storia delle malattie, per quella del clima e dell'ambiente.90

È al cuore di questa interrogazione che una storia degli animali evidentemente si inscrive: lungi dal rappresentare qualcosa di marginale, se non addirittura eccentrico, rispetto alla “vera storia”, la storia degli animali si situa al contrario là dove affiora uno dei nodi epistemologici cruciali della storiografia contemporanea.

Con o contro le scienze umane, gli storici hanno cominciato, dunque, a guardare al di là delle eloquenti vicende umane. Così come avevano saputo, d'altronde, discernere le masse al di là delle ingombranti figure di strateghi e generali della storia, essi hanno saputo guardare più lontano di questa figura, archetipo di tutte le altre: l'Uomo in quanto unico e indiscutibile protagonista della Storia. In ogni caso, sia che si voglia concepire una storia non più antropologica, centrata su quello “strano allotropo empirico- trascendentale”91 che è l'uomo, il solo che possa essere allo stesso tempo il soggetto e

l'oggetto della propria conoscenza e della propria azione, sia che si decida di comprendere la storia umana attraverso i processi che la oltrepassano, la storia degli

88 Si tratta delle celebri ultime parole dell'opera del 1966 del filosofo francese: “L'uomo è un'invenzione di cui l'archeologia del nostro pensiero mostra agevolmente la data recente. E forse la fine prossima. Se tali disposizioni dovessero sparire come sono apparse […] possiamo senz'altro scommettere che l'uomo sarebbe cancellato, come sull'orlo del mare un volto di sabbia.” (Michel Foucault, Le parole e

le cose. Un'archeologia delle scienze umane, cit., p. 413). Cfr. anche Id., L'archeologia del sapere. Una metodologia per la storia della cultura, cit.

89 Cosa che ha fatto Florence Hulak, “Michel Foucault, la philosophie et les sciences humaines: jusqu’où l’histoire peut-elle être foucaldienne?”, Tracés. Revue de Sciences humaines, n° 13, 2013, p. 103-120. Della stessa autrice, cfr. anche “En avons-nous fini avec l’histoire des mentalités?”, Philonsorbonne [En ligne], n. 2, 2008.

90 Cfr. in particolare le ricerche che Emmanuel Le Roy Ladurie consacrerà al clima a partire dall'Histoire du climat depuis l'an mil, Flammarion, Paris 1967. Per una panoramica su scala mondiale delle diverse prospettive esistenti nell'ambito della storia ambientale, cfr. Fabien Locher et Grégory Quenet, “L'histoire environnementale: origines, enjeux et perspectives d'un nouveau chantier”, Revue

d'histoire moderne & contemporaine, n. 56, vol. 4, 2009, pp. 7-38.

animali fa la sua apparizione. Ed è qui, a confronto con un soggetto radicalmente nuovo come quello degli animali, che tutta una serie di nuovi problemi teorici e metodologici si pongono. In primis, quello con cui la Nouvelle Histoire aveva già avuto occasione di misurarsi, e cioè un profondo e sconcertante “silenzio delle fonti”. Michel Vovelle, tra gli altri, ha a più riprese sottolineato come una storia delle grandi masse anonime fosse intrinsecamente confrontata col problema di tale silenzio: i suoi soggetti sono infatti quelli che non hanno potuto lasciare documenti storici nell'accezione classica del termine, e che nondimeno sono attori storici e sociali. Gli oppressi, i marginali, sono infatti quelli che “n'ont pas pu se payer le luxe d'une expression, si peu que ce soit, littéraire.”, per usare le sue parole.92 Da ciò la necessità di ricorrere a nuovi tipi di fonti,

come quelle iconologiche, orali, rituali e tecniche. Tale silenzio sembra radicalizzarsi di fronte alla storia degli animali, che sono stati concepiti dalla cultura occidentale come i soggetti “muti” per eccellenza, coloro che, almeno dal I sec. a.C., nella definizione degli stoici, si distinguono dagli esseri umani in quanto “aloga”, privi di logos.93 La Nouvelle

Histoire offre ancora una volta, in questo senso, il ricco strumentario di un nuovo uso delle fonti, capace di trovare nelle pratiche e nei comportamenti ciò che non si trova scritto da nessuna parte; e di riconoscere un'agentività al di là del silenzio. O piuttosto, con Michel Vovelle, essa c'insegna ad ascoltare i “silenzi ribelli” e “ostinati”,94 di quei

soggetti che non scrivono la storia ma nondimeno la fanno. È in continuità con tale lavoro che la Nouvelle Histoire ha condotto nel corso del XX secolo sulla possibilità di fare una storia al di là del silenzio dei suoi soggetti, che Pierre Serna, nel suo Comme des bêtes ha potuto scrivere: “Non, les animaux ne sont pas silencieux. Ils font au contraire beaucoup de bruit.”95 Un “rumore” evidentemente significativo, che va a

raggiungere quello delle rivolte popolari, delle grida dissennate negli asili, e di tutti coloro che si trovano al di sotto di qualsivoglia soglia di “veridizione”, per usare un termine foucaultiano.

92 Michel Vovelle, Idéologies et mentalités, cit., p. 98.

93 Cfr. Élisabeth de Fontenay, Le silence des bêtes: La philosophie à l'épreuve de l'animalité, cit.; Pietro Li Causi e Roberto Pomelli (a cura di), L'anima degli animali. Aristotele, frammenti stoici, Plutarco,

Porfirio, Einaudi, Torino 2015.

94 “Au fond des choses, s'inscrit une nouvelle étape de l'interrogation des historiens sur les silences rebelles, ou obstinés, dont les approches de l'histoire sérielle ont représenté un moment.” (Michel Vovelle, Idéologies et mentalités, cit., p. 343).

Dallo stesso orizzonte della Nouvelle Histoire francese viene non a caso uno dei primi tentativi di ricostruzione delle trasformazioni delle logiche di sfruttamento animale: nel 1981 Maurice Agulhon, importante rappresentante della storia delle mentalità, scrive “Le sang des bêtes: le problème de la protection des animaux en France au XIXe siècle”, che rappresenta uno studio pionieristico della storia degli

animali nel XIX secolo.96 Agulhon vi analizza l'emergere di un'idea di governo morale e

paternalistico degli animali, come quello promosso dalle Sociétés protectrices des animaux, e vi vede la metafora di ciò che Marx ed Engels avevano definito l'ideologia del socialismo borghese. Alla metà del XIX secolo, gli zoofili indirizzano la loro critica non tanto verso lo sfruttamento degli animali in sé, quanto piuttosto verso i comportamenti brutali di cui sarebbero responsabili le classi lavoratrici. Questo sarebbe per Agulhon un riflesso del modo in cui le élites progressiste sublimano il conflitto di classe nell'idea di armonia sociale, di cui la domesticazione, in quanto rapporto di sfruttamento consensuale, è la figura allegorica. È per questo motivo che per Agulhon la protezione animale rappresenterebbe, secondo una celebre frase, “un problème de relation à l'humanité, et non de relation à la nature.”97 Si capisce che tale approccio ci

lascia, da dentro la storia delle mentalità, un'eredità preziosa che è quella di riconoscere nelle forme storiche della relazione con gli animali le tracce evidenti e precise della storia politica e sociale. Ma ci lascia anche un interrogativo: è effettivamente possibile ridurre il problema del governo degli animali nella modernità a semplice metafora del governo umano? Non è piuttosto possibile pensare che quella del governo degli animali sia una storia degna di essere considerata in sé e per sé, e che gli animali possano essere concepiti come soggetti a pieno titolo delle trasformazioni storiche?

Nel testo di Maurice Agulhon si delinea quella che, con Pierre Serna, potremmo definire una “storia culturale degli animali”. Nel suo Comme des bêtes, Pierre Serna distingue infatti radicalmente una storia culturale, una storia scientifica e una storia politica degli animali. Laddove la prima considera le figure animali in quanto prodotto della cultura umana, e la seconda al contrario come esseri di natura che la scienza permetterebbe di oggettivare, una storia politica degli animali li considera come soggetti

96 Maurice Agulhon, “Le sang des bêtes: le problème de la protection des animaux en France au XIXe

siècle”, cit. 97 Ibidem, p. 81.

reali di una relazione, socialmente e storicamente costituitasi, con l'essere umano.98 È

solo nell'orizzonte di questo tipo di “storia politica degli animali” ch'essi possono essere concepiti come i soggetti finora ignorati ma indubbiamente presenti, nella loro specificità, nell'agenda politica della modernità. A questo punto, le corrispondenze, che per Agulhon non erano che metafore, segnaleranno dunque la comunicazione e la contiguità tra dispositivi di potere differenziati ma concomitanti.

Se dunque una storia degli animali si è resa possibile anche grazie alla celebre risalita “de la cave au grenier”,99 con cui storici delle mentalità come Agulhon e Vovelle

avevano inteso mobilitare il rapporto tra strutture sociali e modi di pensiero (o tra rapporti di produzione e ideologia, per dirla in termini più classicamente marxiani), oggi è tanto più urgente, con una nuova “catabasi”, seguire gli animali nella cave, dove non sono riducibili a figure fantasmatiche della cultura umana, ma rappresentano, insieme ad altri, gli agenti materiali della struttura sociale. Proprio negli scantinati li collocava d'altronde Max Horkheimer, quando rappresentava la struttura produttiva del capitale come un grattacielo, alla cui base si trovano appunto gli animali.100

98 “Le premier pari [d'une histoire des animaux] consiste à ne pas se positionner dans le travers anthropomorphique qui guette tout chercheur occidental travaillant sur l'animal, lui faisant prendre ce dernier pour un substitut de l'homme: […] l'animal est une image déformée de l'homme, de ses qualités et le plus souvent de ses travers. C'est une icône qui dit de façon drôle, méchante ou mystérieuse une part d'humanité. Ceci n'est pas l'objet de ce livre qui n'est pas une contribution à l'histoire culturelle. […] Ce livre propose une histoire politique des rapports entre les hommes et les animaux. Est tentée une étude sur la façon dont les seconds, bien que manipulés, instrumentalisés ou utilisés, ont pleinement participé à la Révolution et à la construction d'un nouveau système de classement des êtres vivants. […] Hommes et bêtes se voient assigné une place précise dans la nouvelle société, et les seconds ne sont pas moins acteurs de l'invention de la cité régénérée.” (Pierre Serna, Comme des bêtes. Histoire politique de l'animal en Révolution (1750-1840), cit., pp. 12-13). 99 Michel Vovelle, De la cave au grenier: un itinéraire en Provence au XVIIIe siècle. De l' histoire

sociale à l'histoire des mentalités, Serge Fleury éditeur, Québec 1980.

100“Vista in sezione, la struttura sociale del presente dovrebbe configurarsi all’incirca così: su in alto i grandi magnati dei trust dei diversi gruppi di potere capitalistici che però sono in lotta tra loro; sotto di essi i magnati minori, i grandi proprietari terrieri e tutto lo staff dei collaboratori importanti; sotto di essi – suddivise in singoli strati – le masse dei liberi professionisti e degli impiegati di grado inferiore, della manovalanza politica, dei militari e dei professori, degli ingegneri e dei capufficio fino alle dattilografe; ancora più giù i residui delle piccole esistenze autonome, gli artigiani, i bottegai, i contadini e tutti gli altri, poi il proletariato, dagli strati operai qualificati meglio retribuiti, passando attraverso i manovali fino ad arrivare ai disoccupati cronici, ai poveri, ai vecchi e ai malati. Solo sotto tutto questo comincia quello che è il vero e proprio fondamento della miseria, sul quale si innalza questa costruzione, giacché finora abbiamo parlato solo dei paesi capitalistici sviluppati, e tutta la loro vita è sorretta dall’orribile apparato di sfruttamento che funziona nei territori semi-