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CAPITOLO 3. PROGETTO DI ALLESTIMENTO PER IL CENTRO DI DOCUMENTAZIONE

3.1 La storia del territorio

3.1.1 Il periodo medievale e i monaci benedettini

Il primo documento che riguarda il territorio Capanne di Marcarolo risale all’epoca romana. Tale documento (117 a. C ca) racconta dei conflitti delle tribù del luogo che volevano affermare la propria supremazia su queste terre.

Tuttavia, è in epoca medievale che il territorio Capanne di Marcarolo inizia ad acquisire rilevanza economica e commerciale in seguito allo sviluppo delle reti stradali. Infatti, questo territorio viene attraversato dalla cosiddetta “Strada Cabanera”, una via di comunicazione tra la Padania e la costa e attraverso la quale veniva trasportato e commercializzato il sale. Nel contempo, tale territorio cominciò ad assumere importanza anche per il commercio di legname, utile combustibile, ma anche elemento fondamentale per la costruzione di imbarcazioni.

Risalgono all’XI i primi insediamenti da parte di monaci benedettini, che fecero di questo luogo un punto di ristoro per i numerosi viaggiatori, nonché un luogo di preghiera per i devoti. Capanne di Marcarolo, quindi divenne un luogo importante per chi percorreva la via del sale, tanto che vi era un deposito del sale, una cascina che fu soprannominata Salera.

Intorno alla seconda metà del XVI si avviò un processo di rifeudalizzazione che interessò le zone a fondo valle, che si suppone, abbia portato all’insediamento di famiglie contadine su queste zone montane, a causa dell’aggravarsi delle condizioni contrattuali stipulate con i proprietari. La nobiltà del fondovalle doveva sfruttare a pieno questa “corsa alla terra” e le condizioni di sostentamento per le famiglie contadine erano diventate problematiche.

3.1.2 Le famiglie Spinola e Pizzorno e lo sfruttamento del legname Lo sviluppo della domanda di legname fece sì che tra il XVII e XVIII secolo si stabilirono in queste zone delle comunità sotto l’autorità delle famiglie Spinola e Pizzorno.

Gli Spinola erano tra gli esponenti più importanti della nobiltà genovese e si stabilirono in questi territori al fine di ampliare i propri possedimenti che comprendevano anche gli stabilimenti siderurgici di Masone e di Campo Ligure. Il controllo sul commercio del legno sul territorio di Marcarolo forniva loro un ulteriore punto di forza.

I Pizzorno di Rossiglione, invece, vedevano nel legname del territorio boschivo di Marcarolo un utile mezzo di combustione per le proprie attività di lavorazione del ferro e un’importante fonte di guadagno nelle trattative intraprese con gli armatori genovesi.

Il legname che caratterizza la vegetazione boschiva di queste zone fu la ragione per cui a partire dal XII iniziarono a stabilirsi le prime comunità. Il tipo di insediamento rurale utilizzato era caratterizzato da una struttura che aveva la funzione di abitazione e da una cascina che era utilizzata come stalla o fienile. Questo tipo di insediamento, cosiddetto “a case sparse”, sfruttava al meglio attraverso le risorse legate alla vegetazione boschiva tipica di questo territorio.

Intorno alla metà del XVIII si verificò un drastico cambiamento: le famiglie Spinola e Pizzorno avevano in proprietà solo la propria abitazione, mentre le altre le avevano affittate a famiglie contadine. Questo provocò un periodo di sfruttamento intensivo del bosco caratterizzato da un ritmo molto elevato.

Domenico Gaetano Pizzorno ci ha lasciato uno scritto molto importante per capire quanto il legname di questa zona fosse considerato un elemento prezioso e una risorsa economica e di sostentamento. Questo documento fornisce la testimonianza di come la famiglia si fosse adoperata per utilizzare al meglio quello che il bosco poteva offrire. Così, infatti, il legno

aveva un triplice utilizzo. Oltre ad essere utilizzato come combustibile nelle ferriere, il legname veniva impiegato per le costruzioni di naviglio ed infine come fonte di nutrimento per il bestiame.

Infine, nel corso del Novecento il territorio subì un progressivo spopolamento causato dall’impossibilità del bosco di fornire un adeguata fonte di reddito a tutta la popolazione. Da una parte i proprietari non concedevano l’avviamento di nuove cascine e dall’altra le infezioni fungine provocarono il declino della vegetazione boschiva.

3.1.3 La storia Resistenziale e l’eccidio del 1944

Nella zona del Monte Tobbio tra il 1943 e il 1944 iniziarono a rifugiarsi i primi gruppi di partigiani. Si trattava principalmente di giovani che non volevano arruolarsi e che si opponevano al fascismo. Nacque, così, un comando partigiano con sede nell’antico convento benedettino della Benedicta, il comando della III Brigata “Liguria”. Tale gruppo costituiva un pericolo agli occhi dei nazi-fascisti, che decisero nella primavera del 1944, di organizzare un rastrellamento al fine di eliminare i gruppi ostili e spaventare la popolazione. Il gruppo partigiano che si era stabilito in questa zona poteva rappresentare una minaccia nei confronti della città Genova e della zona alessandrina, così i nazifascisti decisero di sventare un duro colpo con il fine spaventare i giovani intenzionati a ribellarsi e di mettere a tacere la solidarietà nata tra la società civile e il nemico. I partigiani che si erano stabiliti alla Benedicta erano soprattutto ragazzi che non avevano avuto un’istruzione militare e non possedevano la quantità di armi necessarie per difendersi in modo adeguato da un attacco militare.

L’attacco delle forze nazi-fasciste iniziò la notte tra il 5 e il 6 aprile del 1944 e si concluse il 9 aprile. I morti furono 147 e i prigionieri 368, che furono deportati nei campi di concentramento. La maggior parte dei partigiani erano addirittura disarmati, i fascisti e nazisti possedevano un equipaggiamento militare decisamente superiore ed erano assistiti, inoltre, da un aereo che controllava dall’alto gli spostamenti dei nemici. L’azione

militare fu preparata nel dettaglio e rappresenta la più imponente azione contro i partigiani combattenti, ma anche contro la società civile che aveva sostenuto quei giovani.

Diversi gruppi, spaventati, decisero di mettersi in salvo rifugiandosi nel Cascinale della Benedicta, questo luogo per loro fu una trappola. Dopo aver fucilato i prigionieri le forze nazi-fasciste distrussero l’antico convento benedettino. Il numero dei morti dei partigiani combattenti è il più alto a livello nazionale, anche se ancora resta difficile una stima precisa dei deceduti in quella missione. Oltre ai partigiani fucilati, bisogna tener conto di coloro che morirono durante i combattimenti, dei contadini che abitavano quelle zone, dei morti a causa della deportazione nel campo di Mauthausen. Solo nei giorni successivi i parenti e gli amici riuscirono a raggiungere il luogo del tragico evento per riconoscere i partigiani caduti, recuperarne le salme al fine di donargli una degna sepoltura.