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DELLE «STRADE FERRATE» PIEMONTESI

Nel documento Cronache Economiche. N.098, Febbraio 1951 (pagine 30-34)

R O S S A N O Z E Z Z O S

E' cosa davvero mirabile pensare che, dopo neppure un anno dall'inaugurazione della prima ferrovia del mondo, un grup-po di volonterosi entusiasti abbia pensato all'opportunità di costruire « una strada ferrata » — come allora si diceva — che unisse Torino a Genova. Questo gruppo di « coraggiosi ad oltranza » era formato da tre uomini di affari, o meglio dire, com-mercianti. Costoro (un certo Cavagnari, un tal Pratolongo e un Noli qualsiasi) presentarono sin dal gennaio 1826 al Re di Sardegna — che era allora Carlo Fe-lice — una petizione acciò venisse loro concesso di far costruire a proprie spese una « via ferrata » che da Genova per la Valle dello Scrivia toccasse il Po nei pressi di Sale. Questa linea dovette aspet-tare non poco la sua costruzione la quale venne iniziata soltanto con il tronco Torino-Moncalieri, nel 1848.

Tut-tavia è singolare il fatto dello straordi-nario interessamento — se pur soltanto a parole — che suscitò l'invenzione della locomotiva in uno Stato piccolo e povero com'era allora il Piemonte. Il quale — se avesse dato ascolto alla richiesta dei tre negozianti suddetti — sarebbe stato il primo paese del mondo — dopo l'Inghil-terra — ad accogliere l'invenzione di Giorgio StephenSon.

Ma come poteva, Carlo Felice, rispon-dere affermativamente alla richiesta di Cavagnari, Pratolongo e Noli? Era più saggio attendere l'esito delle « strade

fer-rate per macchine locomotive a vapore »

presso altri: presso l'Austria potentissima, ad esempio, o in Francia, o anche meglio in qualcuno degli altri Stati italiani.

Così che, mentre la Camera d'Agri-coltura e di Commercio di Torino — e ciò è una sua indiscussa gloria che sfata

la fama di « gente comoda, amante

del-l'agio e del riposo » elargita ai torinesi nel 1675 dal signor Gregorio Leti, bolo-gnese — assentiva in linea di massima ai propositi dei richiedenti, il Consiglio Reale di Commercio, in data 15 aprile dello stesso anno in cui venne inoltrata la petizione (1826) riteneva opportuno per un'infinità di ma e di se di non dar corso alla domanda.

Frattanto, studiosi e giornalisti pro e contro il sorgere delle ferrovie battaglia-vano su per le riviste e le gazzette. Ed era un gran daffare, anche in Piemonte, intorno a questo argomento.

Giusto qualche mese dopo il primo ri-corso di Cavagnari e C. — precisamente nel luglio 1826 — Giovanni Finazzi pub-blicava sul foglio torinese II

Propagato-re uno studio sul « Carro a vapore » in cui tra l'altro diceva: « Qualunque

intan-to sia l'avanzamenintan-to fatintan-to nell'Arte di far correre i carri col vapore, è certo che non se ne conoscono presentemente di quei in azione — o almeno non sono

notorj — che siano di facile e non trop-po costosa costruzione, servibili ad ogni uso e su qualunque strada ».

Quattro anni dopo, una nota sulla

An-tologia Straniera edita a Torino, si espri-meva nei seguenti termini:

« Crediamo che SEBBENE QUESTA MATERIA NON SIA DI PRESENTE UTILITÀ' PRATICA PER L'ITALIA, non riuscirà discaro ne inutile ai nostri let-tori di conoscere i meravigliosi risultati ottenuti in Inghilterra colle macchine a vapore anche riguardo al trasporto per terra ecc... •>.

Di questo brano abbiamo riportato in maiuscolo le parole più edificanti e si-gnificative dalle quali vediamo come il problema ferroviario — che pur già

passionava il Piemonte. — fosse creduto lontano dalle menti e dalle idealità degli italiani.

Si capisce che tutto questo scetticismo influiva sulle decisioni del Governo il quale — a un nuovo ricorso fatto nel febbraio 1832 dal solo Cavagnari (si vede che gli altri due, sfiduciati, avevano ab-bandonato il tentativo) — con tanto di progetto, convalidato dal Castiglione, di toccare Alessandria — rispose, a mezzo della sua Commissione Militare, che « il

progetto di strada ferrata rassegnato a S. M. era incompatibile coi sani principi di difesa della importante piazza di Ge-nova e di nessun probabile vantaggio per quella di Alessandria ».

Così passarono molti anni. Ancora nel 1846 — quando già da sette anni il Re-gno delle Due Sicilie aveva la sua Napoli-Portici (inaugurata il 3 ottobre 1839: la prima linea ferroviaria in Italia), e or-mai esistevano la Milano-Monza (1840), la Padova-Mestre (1842), la Caserta-Napoli (1843), la Livorno-Pisa (1844), la Pisa-Pontedera (1845), Luigi Vigna

sull'Antologia Italiana edita a Torino raccomandava « di non lasciarsi prendere

la mano, di evitare le esagerazioni e i piani troppo arrischiati, per non subire poi delusioni od avere pentimenti »; ban-do alle speculazioni e alle fantasie. E ciò, non per « sfiducia alle strade ferrate

le quali, coll'andar del tempo, surroghe-ranno quasi interamente le altre vie, ma solo per far notare che non si può far tutto e voler tutto... ».

Accanto a queste voci deleterie, notia-mo l'ardente invito a seguire i tempi nuo-vi di G. B. Gonella il quale, coraggiosa-mente, pubblica nel 1842 un suo saggio

« sulle strade in ferro progettate in Pie-monte » dove fra l'altro dice: « fa d'uopo

tirare grandi linee in ferro... La necessità della loro introduzione in Piemonte può dirsi pari a quella che vi fu un tempo d'introdurre le macchine nella mani-fattura ».

siamo trovare l'enfatica orazione pronun-ciata dal Paravia per il giorno onomatico del re Carlo Alberto ove sono molti i periodi sul tipo di questo che offriamo ai nostri lettori:

« Già le valli si colmano, già si umi-liano i monti, le torte vie si raddrizzano e s'ingiuncan le aspre: tutto è faccenda

di macchine, fervore di lebeti, volar di navi e di carri ».

Piccoli poeti piemontesi dimenticati, ma di cui oggi vogliamo ricordare la fe-de, offrivano anche loro nei loro ingenui versi aggettivi sonanti in laude del nuovo mezzo di locomozione. Ecco la roboante « Ode alla mente umana » di Domenico Perrero, apparsa nel Museo scientifico,

letterario ed artistico per l'anho 1841 edito a Torino, di cui offriamo la strofe riferentesi « alla forza locomotoria del vapore » :

« Troppo ti parve tardo

sulla terra il corsier, sul mar la vela, e col pensier gagliardo,

che a grandi imprese irrequieto anela, creasti un moto, verso cui più lenti nella prestezza loro parvero i venti ».

Nel tomo I, anno I (1946) della già nominata Antologia Italiana, dopo qual-che pagina della « adelante con judicio » del Vign'a da noi citato più sopra,

Ora, se dovessimo citare tutti gli scrit-ti che — in bene o in male — parlarono, nel Piemonte, della « nuova invenzione » tra il 1826 e il 1848, non la finiremmo più.

E del resto, poiché qualche accenno basta per mettere « a fuoco » un argo-mento, passiamo a esaminare le risultanze di tutto questo elogiare e criticare.

Fino a che petizioni e ricorsi furono rivolti a Carlo Felice, la cosa restò let-tera morta. Ma Carlo Alberto, per quan-to all'inizio del suo regno fosse accani-tamente conservatore e nemico d'ogni novità, finì per essere convertito alla « fede ferroviaria », anche se l'Arcivescovo di Torino, distribuiva intorno e faceva giungere al Consiglio di Stato il libello di certo Luigi Paris, stampato a Pinerolo sul 1845 e nel 1846, nel quale — con cupo pessimismo — l'Autore elencava

soltanto i danni ed i guai delle ferrovie visti catastroficamente senza neppure un accenno ai benefici delle stesse.

Eccone un piccolo saggio:

« I pubblici giornali annunciano fre-« quentemente incendi, fulmini, gelate, « brine, nebbie, grandini, uragani, piogge « torrenziali e diluviane, trombe, terre-« moti, venti gagliardissimi, inondazioni, « valanghe per troppa copiosa neve... « Quale sarà la cagione di questi terri-« bili fenomeni? Molte...; ma la presenza « di tante strade ferrate saranno elleno « esenti da ogni colpa? Ah, io non oso « dirlo, e son persuaso che niun uomo « di buon giudizio sarà così impudente « per osar affermarlo. Difatti chi ignora « quanto intimi, numerosi ed intensi sono '< i rapporti che si passano tra i fluidi -< elettrici e magnetici ed il ferro, e tra

« questi fluidi e i fenomeni meteorolo-« gici ed elettrici?... E poi la costruzione « delle ferrovie sottrae terreni alla agri-« coltura, privano di lavoro vetturali e « carrettieri... La diminuzione nel costo « dei trasporti è giovevole soltanto ai « ricchi che viaggiano. Inoltre la grande « velocità di questi mezzi è causa di apo-« plessia ai viaggiatori... ».

Anche Carlo Alberto ricevette — e come no? — questo famoso opuscolo di cui scrisse: « La brosciana del signor

Pa-ris di Pinerolo, è l'opera del cervello malato di un uomo di mente ben limi-tata... Le strade ferrate, secondo il mio parere, sono una sorgente immensa di lavoro per il popolo... ».

Il re di Sardegna era coadiuvato nel suo amore per il progresso, dal Petitti, dal Cavour, dal Balbo, da Luigi Re, dal Gonella che già abbiamo nominato e se Pietro Bianchi nelle sue Idee di

econo-mìa politica dichiarava che « l'Italia,

divisa in otto Stati isolati, avrebbe avu-to soltanavu-to spese enormi per stabilire le linee ferrate e ad azionarle senza un ri-cavo — commerciale e finanziario — cor-rispondente ». Antonio Genovesi fin dal 1820 — quando ancora la ferrovia era di là da venire — nelle sue Lezioni di

commercio ossia economia civile, di-chiarava che « Dove fiorisce il

commer-cio prosperano le arti meccaniche ».

Per queste voci di fede nell'evoluzione dei popoli grazie alle invenzioni e alle scoperte, il Piemonte, timidamente, aper-se nel 1848 la sua prima linea di... 8 km.: Torino-Moncalieri; ed anche quando fu toccato dalle sciagure (come per il tri-ste 1849, anno di guerra, di colera, di acutissima crisi economica) continuò la via che si era imposta, corrispondendo ai voti di Carlo Vesme il quale, nel suo

Carlo Alberto re di Piemonte e di Sardegna. — Il Conte Camillo Cavour nel 1860. (Incisione del tempo)

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studio intorno alle « Contribuzioni re-gie, delle decime e delle strade in Sar-degna », edito a Torino, supplicava il Governo a proseguire nella sua opera

« nonostante gli infortuni e dopo

l'ine-vitabile rallentamento ».

Bisogna leggere ciò che dice di Carlo Alberto, nel II volume della sua Storia

di Torino, Luigi Cibraro, per convincersi del suo vivo e fattivo interessamento per il nuovo mezzo di trasporto. Dice in-fatti il Cibraro che il Re di Sardegna:

« con sapienza e costanza condusse una « vera e propria politica ferroviaria, la « cui iniziativa pare gli spetti interamente

« e bisogna riconoscere che — solo fra

« tutti i sovrani italiani di allora — egli « fu ad un tempo perspicace ed intra-« prendente. I suoi vasti disegni, in parte « ripresi da Cavour, furono in anticipo di « un quarto di secolo sulle idee correnti « dell'epoca ».

Questo riguardo a Carlo Alberto il quale — se è vero che, nei primi anni del regno combattè « le novità ed i moti rivoluzionari » — come vedemmo a pro-posito della domanda Cavagnari e Ca-stiglione perchè troppo pressato e suc-cube ancora della borghesia retrograda — si diede tutto, dopo il 1845, a favorire il progresso (ne fa testimonianza il suo giudizio per l'opuscolo del signor Paris, come dicemmo) sino ad abbracciare in pieno sia gli ideali di libertà vagheggiati dal popolo, sia il movimento a favore delle invenzioni.

Le cose procedettero ancora più spe-dite quando, per la sua abdicazione, salì al trono il figlio Vittorio Emanuele II. Questi ben presto volle avere a fianco, nel Governo, Camillo Benso conte di Ca-vour nominandolo successivamente Mi-nistro del Commercio, dell'Agricoltura, della Marina e delle Finanze sino a che, nel 1852, lo elesse a Presidente del Con-siglio.

Molto, moltissimo deve l'economia pie-montese a questo grande uomo politico, entusiasta sostenitore e fautore di tutto ciò che costituiva un passo avanti nella vita dei popoli.

Riguardo poi all'argomento del pre-sente articolo, diremo come egli si fosse occupato prestissimo di ferrovie. Ciò fu nel 1835 quando, a Londra, ebbe occa-sione di vedere ed ammirare le linee in-glesi. Fu lui che contribuì a raccogliere i capitali per la locale Chambéry-Lago

Allegoria della «strada ferrata» (Incisione del 1860).

di Bourget, auspicata e voluta dallo stes-so Carlo Alberto; e fu lui ancora che si pose in diretto rapporto con i banchieri francesi e svizzeri per dar vita ad un' gruppo finanziario capace di prendere parte ai bandi di concessione, mirando soprattutto alla Torino-Alessandria.

Per sostenere il problema ferroviario

Cavour seppe anche essere eloquente, italiano oltre che piemontese, superando — in un articolo pubblicato sulla Revue

Nouvelle e che poi divenne celebre —

« le frontiere del piccolo regno cisalpino per antivedere una vasta rete che

ser-visse ai disegni politici del Piemonte »,

come giustamente disse Maurice

Paléo-Ponte della ferrovia Ivrea -Aosta.

I l i i i a l l l M i i l l l l i i l l i ì l I

Facciata della Stazione centrale di Torino.

logue in un suo vasto profilo del « Tes-sitore ».

Spirito provvidenziale, uomo che pre-corre il suo( tempo sino a far parte di un'altra generazione — quella che seguì la sua — Camillo di Cavour, dopo aver preso a cuore la costruzione del Cariale di Suez cui si appassionò come ad una impresa del suo stesso Paese, si diede corpo e anima alla questione delle fer-rovie in Piemonte cui apportò — alfine — il compimento della tanto auspicata Torino-Genova intorno alla quale da ol-tre 24 anni sospiravano gli uomini desi-derosi di dare alla loro piccola patria una vera autonomia economica.

Come Vittorio Emanuele II ebbe coa-diutore infaticabile Camillo Benso te di Cavour, così Camillo Benso con-te di Cavour ebbe — quale patrocina-tore delle sue idee — almeno nel campo ferroviario — Carlo Ilarione Petitti (e con lui il Sauli, il Napione, il Racchià, per citare i maggiori), modesto e silen-zioso artefice dell'espansione

piemonte-se. L'opera che collocò nella storia il Petitti è un modesto studio sulle strade ferrate che i contemporanei fautori del progresso contrapposero con successo — per l'equilibrata e documentata dottrina — al saggio truculento e facinoroso del « Signor Paris » in cui non c'è altro che livore e partito preso, senza l'ombra del-la più lontana scienza.

Ma se lo studio di Carlo Ilarione Pe-titti è ciò che si dice un'opera classica del suo genere, lo deve ariche ad un fat-tore di quasi preveggenza: infatti egli nella sua opera concepisce (e questa è cosa veramente singolare) un sistema ferroviario unitario, vale a dire non sud-diviso in Stati o Paesi ma unico, come se l'Italia già fosse una sola terra sotto un unico Governo dall'Alpi al mare. Ca-vour fu grato al Petitti di venirgli in-contro sostenendo — forse senza nep-pure saperlo —< le sue idee; e — dopo aver giudicato la di lui opera « un

la-voro rimarchevole » — fu lieto di leggere nella Antologia Italiana (Anno I, tomo I,

1846) quanto disse in merito allo studio del Petitti il Predari il quale, dopo una accurata analisi, affermò che proprio gra-zie al Petitti « l'importanza civile delle

strade ferrate in Italia ha potuto essere pienamente ravvisata ed apprezzata ».

Ora noi vorremmo poter parlare delle varie linee piemontesi aperte al pubblico fra il 1848 ed il 1871; ma la cosa rag-giungerebbe una tale mole da scorag-giarci già in1 partenza.

Ragion per cui — proponendoci di of-frire prossimamente ai nostri lettori un esame completo se pur riassuntivo, delle 15 linee tra private e statali che in 23 anni, dal timido inizio del 1848, solca-rono tutto il Piemonte — ci limitiamo ad offrire nel presente articolo un arido quanto utile elenco cronologico delle stesse. Torino-Savigliano: 16 marzo 1853; Torino-Genova: 18 dicembre 1853; Alessandria-Arona: 3 luglio 1854; Torino-Pinerolo: 27 luglio 1854; Novara-Arona: 5 giugno 1855; Savigliano-Cuneo: 20 agosto 1855; Tronto Brà-Cavallero Maggiore: 5

ot-tobre 1855;

Santhià-Biella: 8 settembre 1856; Torino-Susa: 20 ottobre 1856; Torino-Novara: 20 ottobre 1856; Tronco Savigliano-Saluzzo: 1° genn. 1857; Tronco Vercelli-Casale: 22 marzo 1857; Chivasso-Ivrea: 1° maggio 1858;

Alessandria-Piacenza: 1858-1859; Susa-Modane: 17 settembre 1871.

Sì, senza dubbio, la ferrovia coadiuvò possentemente lo sviluppo industriale economico del Piemonte in genere e di Torino in specie. Tuttavia il turismo non aspettò davvero la « strada ferrata » per onorare la città del Toro che, di tutti i tempi accolse — regalmente ospitale — illustri personaggi d'ogni paese, come vedremo quanto prima in un articolo di doverosa pausa storico-sentimentale, in tema fra questo sul sorgere delle ferro-vie e quello intorno allo sviluppo delle stesse nella regione « tra le Alpi e gli Appennini ».

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Nel documento Cronache Economiche. N.098, Febbraio 1951 (pagine 30-34)

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