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Lo straniero nelle fonti internazionali e la tutela dei diritti uman

Il diritto internazionale consuetudinario non contiene limiti per lo Stato circa l'ammissione o l'espulsione degli stranieri, che pertanto resta libero di adottare i comportamenti meglio rispondenti ai suoi interessi.

L'affermazione, pur valida in linea di principio, subisce forse la prima contrazione laddove, in maniera materia di espulsione, si richiede che essa avvenga con modalità rispettose nei confronti dei diritti dell'espellendo178.

La prospettiva si rovescia se si guarda lo stesso fenomeno dal punto di vista convenzionale. Il crescente impatto delle norme convenzionali a tutela dei diritti umani sul trattamento dello straniero impone l'esame di alcune caratteristiche tipiche di tali fonti179.

Uno dei dati più evidente e tipico dei cataloghi relativi alla tutela dei diritti umani è il riferimento all’individuo senza altre qualificazioni. Si afferma con essi una vocazione universalistica secondo la quale un soggetto riceve protezione e tutele non in quanto suddito, o cittadino, di uno Stato, secondo l’insegnamento internazionale tradizionale collegato con l’istituto della protezione diplomatica, e solo in virtù dell’esercizio di un diritto riconosciuto allo Stato di appartenenza e da questi liberamente azionabile, ma in quanto persona umana. Il binomio appartenenza- estraneità tipico del rapporto cittadino-straniero non dovrebbe in tale ambito rivestire alcuna importanza. La tutela dell’individuo non solo prescinde dall’accertamento di un qualsivoglia collegamento180 ma, capovolgendo la tradizionale impostazione del diritto internazionale, non è neppure qualificabile come diritto dello Stato. La discrasia tra

178 R. Pisillo Mazzeschi, Sui rapporti fra i diritti umani e di diritti degli stranieri dei migranti nell'ordinamento internazionale, in R. Pisillo Mazzeschi, P. Pustorino, A. Viviani (cur.), Diritti umani degli immigrati. Tutela della famiglia e dei minori, Napoli, Editoriale Scientifica, 2010. p. 11, il quale la

riconduce alla necessità che ciò non avvenga “con modalità inutilmente lesive della dignità dell'individuo”; B. Conforti, Diritto internazionale pubblico, VII ed., Napoli, Editoriale Scientifica, 2012, p. 233, secondo il quale, invece, si tratterebbe pur sempre di un'applicazione del dovere di protezione, in particolare “dell'obbligo di predisporre misure preventive alle offese alla persona dello straniero ed ai suoi beni”.

179 A. M. Calamia, Le norme "non statali" e lo straniero, in A. M. Calamia, M. Di Filippo, M. Gestri (cur.), Immigrazione, Diritto e Diritti: profili internazionalisti ed europei, Cedam, 2012, p. 15.

180 Ci si riferisce al ben noto quanto significativo caso Nottebohm, seconda fase, Liecthenstein c. Guatemala, esaminato dalla Corte Internazionale di Giustizia con la sentenza del 6 aprile 1955, reperibile

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norme a vocazione universale aventi come destinatari degli individui, o meglio tutti gli individui, generalmente contenute nei cataloghi dei diritti umani, e disciplina internazionale tradizionale, ancorata all'Istituto la protezione diplomatica o al contenuto di accordi bilaterali, emerge con estrema evidenza in tema di trattamento degli stranieri, argomento che si presta a costituire un banco di prova privilegiato delle potenzialità evolutive del diritto internazionale.

Oltre al cosiddetto International Bill of Human Rights, il secondo dopoguerra e ricco di produzioni convenzionali che rispondono alle esigenze del particolare momento storico in cui vedono la luce. Sulle macerie del secondo conflitto mondiale e dell’olocausto, l'attenzione è stata posta in primis verso forme di tutela che impedissero il riprodursi di simili atrocità. Prima ancora della Dichiarazione universale (DUDU), così, vede la luce la Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio181. La centralità dell’individuo riemerge, oltre che nella Dichiarazione e nei successivi Patti, in due apposite Convenzioni che denotano l'attenzione della Comunità internazionale182 verso specifiche categorie di potenziali vittime di violazioni, individui considerati particolarmente vulnerabili e dunque con esigenze di tutela peculiari, quali i rifugiati e gli apolidi, come a soggetti privi della protezione dello Stato di appartenenza o di appartenenza ad uno Stato. I rifugiati di cui si dirà infra, rappresentano una categoria particolarmente vulnerabile proprio perché alcuni dei più minimi diritti umani come il diritto alla vita o alla libertà o alla sicurezza della persona non sono ad essi garantiti come cittadini del proprio Stato. Nei loro confronti il diritto internazionale prevede un diritto individuale di cercare asilo dalle persecuzioni che affonda le sue radici concettuali nell’espressione utilizzata nell’articolo 14 della Dichiarazione universale183. Seguiranno le Convenzioni sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale184 e contro le donne185 contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli inumani o degradanti186. Tra il 1989 ed il 1990, in concomitanza con

181 Adottata dall'Assemblea Generale il 9 dicembre 1948 con Risoluzione n. 206, http://www.un.org. 182 Convenzione relativa allo status dei rifugiati, adottata il 28 luglio 1951 ed entrata in vigore il 22 aprile 1951 e Convenzione relativa agli apolidi, adottata il 28 settembre 1954 ed entrata in vigore il 6 giugno del 1960, http://treaties.un.org.

183 Antonio Marchesi, La protezione internazionale dei diritti umani. Nazioni Unite e organizzazioni regionali, Franco Angeli, Milano, 2011, p. 40. e ss.

184 Convenzione adottata il 21 dicembre 1965 ed entrata in vigore il 4 gennaio 1969, http://treaties.un.org. 185 Adottata il18 dicembre 1979 ed entrata in vigore il 3 settembre 1981, http://treaties.un.org.

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il crollo del muro di Berlino, ricevono tutela sia minori187 sia migranti lavoratori188 e successivamente le persone affette da disabilità e le vittime di sparizioni forzate189.

Tutte queste convenzioni hanno in comune il richiamo allo spirito delle norme contenute nell’International Bill of Human Rights e mirano a riequilibrare la posizione di categorie considerate particolarmente svantaggiate o vulnerabili o a reprimere con maggiore enfasi una determinata violazione. Si prende in considerazione una particolare categoria, o status, allo scopo di fornire ad essa forme di tutela più approfondita o più ampia in ragione di una riconosciuta specificità e vulnerabilità, e conseguente necessità di protezione, legata a quella particolare condizione.

L a vasta adozione di accordi che perseguono lo scopo di tutelare un diritto o prevenire e reprimere una determinata violazione, sottolinea l'attenzione con cui la Comunità internazionale ha di volta in volta cercato di affrontare quelle che riteneva essere le tematiche dotate di maggiori criticità.

Tuttavia, per quanto attiene al tema della migrazione e dei diritti dei migranti, che pure ha ottenuto specifica attenzione e riconoscimento, continua a riproporsi lo scontro tra diritti a vocazione universale, relativi all'individuo e refrattari a limitazioni connesse ad un particolare status, e sovranità dello Stato intesa come potere di arginare o limitare il godimento i diritti proclamati dalla Dichiarazione universale e richiamati nei trattati internazionali.

In termini di ingresso e soggiorno, infatti, nessuna convenzione riconosce al migrante il diritto di entrare risiedere in uno Stato, fatta eccezione quello della propria nazionalità. Il diritto in tal caso riposa sul vincolo di cittadinanza, legame massimo tra uno Stato e i suoi cittadini. Sebbene l'art. 13 della Dichiarazione reciti che ogni individuo ha il diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato, nel secondo capoverso indica come l'individuo abbia diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e quello di ritornare esclusivamente nel proprio Paese. Il

187 Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, adottata il 20 novembre 1989 ed entrata in vigore il 2 settembre 1990, http://treaties.un.org.

188 Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e delle loro famiglie, adottata dall'Assemblea Generale il 18 dicembre 1990 con risoluzione n. 45/158 è entrata in vigore il 1 luglio 2003, http://treaties.un.org. L'Italia non ne è parte.

189 Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità, adottata il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008, e Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata, adottata il 20 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 23 dicembre 2010, risoluzione 61/177, http://treaties.un.org.

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dettato di tale articolo sembrerebbe sbilanciato, o addirittura contraddittorio, laddove lasciare il proprio Paese significhi entrare, gioco forza, nel territorio di un altro Paese senza tuttavia poter vantare alcun diritto in tal senso, dato che il diritto di ingresso riguarda solo il proprio Paese ed è dunque legato ad un vincolo di appartenenza, ovvero allo status di cittadino, o collegato al riconoscimento di uno status particolare come avviene per i rifugiati.

Tuttavia, non sembra che il diritto internazionale riconosca un diritto di ingresso entro i confini statali in assenza del vincolo di cittadinanza, si potrebbe riflettere tuttavia, sulla liceizzazione di tale ingresso, che seppur non sorretto da un esplicito diritto potrebbe essere considerato lecito ai sensi della norma contenuta nella DUDU e riproposta, senza modifiche testuali, nel Patto sui diritti civili e politici. Il diritto internazionale esprime convenzionalmente il diritto di tornare nel proprio Paese e il diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, ma non il diritto di entrare in un altro Paese, tuttavia poiché esiste un diritto soggettivo di “uscita”, e al fine di collegare a quest’ultimo non solo un effetto utile ma a ben vedere un contenuto190, di cui diversamente resterebbe privo, occorrerà ammettere che l’ingresso in un altro Paese sia da considerarsi, se non altro, lecito poiché avvenuto nell’esercizio di un diritto.

Il Patto sui diritti civili e politici, che prevede un dettato più limitante in riferimento alla libertà di movimento e di scelta della residenza in un dato territorio, collegata e limitata dalla ulteriore condizione di trovarsi "legalmente" nel territorio di uno Stato(art. 12, par. 1), non si discosta invece nel dettato letterale dalla DUDU con riferimento al diritto di lasciare qualunque Paese, incluso il proprio (art. 12, par. 2).

Il dettato del Patto pone, invece, un'ulteriore possibilità di limitazione relativamente al diritto di entrare nel proprio Paese aggiungendo il termine "arbitrariamente", e presupponendo dunque la legittimità di limitazioni non arbitrarie, offrendo una specificazione riduttiva della previsione della DUDU. Si evidenzia così la possibilità di impedire persino l'ingresso nel proprio Paese laddove questo ciò avvenga con modalità che escludano ogni arbitrarietà. Lo stesso terzo comma dopo aver proclamato il divieto di restrizione dei diritti contenuti nell'articolo 12, elenca una serie di possibili eccezioni, e dunque altrettanti limiti, a tale divieto che, sebbene sottoposte

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alla garanzia della riserva di legge, spaziano dalla protezione della sicurezza nazionale, dell'ordine pubblico, della sanità, della moralità pubblica, e degli altrui diritti e libertà, alla compatibilità con gli altri diritti riconosciuti dalla Convenzione. I limiti contenuti in tale disposizione rendono evidente e manifesta la maggiore attenzione prestata dagli Stati nell'ambito di un articolato destinato a divenire vincolante.

Neanche la previsione contenuta nell’art. 14 della Dichiarazione universale in base al quale ogni individuo ha diritto di cercare di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni, salvo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie fini e ai principi delle Nazioni Unite, non sembra aver delineato un diritto di ingresso del migrante contrapposto ad un dovere dello Stato, che resta pur sempre libero di fissarne le circostanze. Anche con riferimento al divieto di espulsione e che ritroviamo nell'art. 13 dei del Patto sui diritti civili e politici si rinviene un'impostazione piuttosto restrittiva sebbene circondata da una serie di cautele. Il divieto riguarda, infatti, solo lo straniero che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato e la norma impone che l'espulsione avvenga sulla base di una decisione conforme alla legge e nel rispetto del diritto dello straniero di far valere le proprie ragioni contro la sua espulsione e di sottoporre il proprio caso l'esame delle autorità competenti nonché di farsi rappresentare innanzi ad esse.

Una previsione analoga si rinviene nell’art. 2 del Protocollo n. 4191 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritto dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)192.

Un cenno merita la specifica categoria dei rifugiati. In questo ambito soccorre l'art. 33 della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiati del 1951193. Il principio del non-refoulement in esso contenuto, impone agli Stati un divieto di espellere o respingere, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di un territorio in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione,

190

Human Rights Committee, CCPR/C/21/Rev.1/Add.9, General Comment n. 27, adopted under article 40, paragraph 4, of the International Covenant on Civil and Political Rights, 2 Novembre 1999, disponibile al sito http://www.unhchr.ch/tbs/doc.nsf/(Symbol)/6c76e1b8ee1710e380256824005a10a9. 191

Adottato a Strasburgo il 16 settembre 1963, http://www.coe.int. Che contempla altresì il divieto di espelle re i cittadini (art. 3) ed il divieto di espulsioni collettive.

192 Adottata a Roma il 4 novembre del 1950, http://www.coe.int.

193 Adottata il 28 luglio 1951 dalla Conferenza dei plenipotenziari delle Nazioni Unite sullo status dei rifugiati e degli apolidi in base alla risoluzione dell'Assemblea Generale n. 429 (V) del 14 dicembre 1950,

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della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche. La definizione contenuta nella Convenzione ha ricevuto una applicazione estensiva ad opera di alcune corti internazionali194. Il principio è ripreso anche dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritto dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), così attraverso il perno della tutela dei diritti umani, ed in particolare delle norme che vietano la tortura ed i trattamenti disumani o degradanti o tutelano la vita privata e familiare, che tutela ogni individuo si offre protezione anche agli stranieri, ai migranti che, a seguito del respingimento o allontanamento, potrebbero trovarsi esposti a simili lesioni dei loro diritti195.

La crescente sensibilità della comunità internazionale sul tema delle migrazioni e sulle tensioni196 che esse sono in grado di generare tra gli stati difficilmente risolvibili efficacemente al di fuori della cooperazione internazionale, ha continuato a scontrarsi con le prerogative connesse, e gelosamente difese, alla sovranità degli Stati.

Nel 1985 vede la luce la Dichiarazione sui diritti umani degli individui che non sono cittadini del Paese nel quale vivono197 che, pur richiamando nel Preambolo i concetti di dignità, uguaglianza e non discriminazione e riconoscendo che la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, debba essere assicurata a livello

ed entrata in vigore il 22 aprile 1954. È stata ratificata dall'Italia con legge numero 722 del 24 luglio 1954 (G.U. del 27 agosto 1954, numero 196), http://treaties.un.org.

194 In particolare cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, del 23 febbraio 2012, ricorso n. 27765/09, caso Hirsi Jamaa e al. c. Italia, ove attraverso una interpretazione estensiva dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), la Corte europea dei diritti dell’uomo, ricostruisce in via esegetica un divieto di refoulement, non contenuto nella CEDU, e più ampio di quello specificamente contemplato nell’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati, che richiede appunto la qualificazione di rifugiati per la sua applicazione, ai sensi art. 1 della Convenzione stessa. La giurisprudenza ha infatti ammesso che, sebbene la Convenzione non preveda un diritto di asilo politico, le decisioni di espulsione, estradizione o rifiuto di ingresso di uno straniero possono costituire violazioni dell’art. 3. Il principio ormai pacificamente affermato è la responsabilità dello Stato contraente per decisioni e condotte che espongano un individuo al serio e fondato pericolo di essere sottoposto, nel Paese di destinazione, a tortura o a trattamenti disumani o degradanti, cfr. Esposito A., Art. 3, Proibizione della tortura, in S. Bartole, B. Conforti, G. Raimondi, (cur.), (cur), Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo delle libertà fondamentali, Padova, CEDAM, 200174-75; v. anche Marchesi A., La protezione internazionale dei diritti umani. Nazioni Unite e

organizzazioni regionali, Milano, Franco Angeli, 2011, p. 53 ss. e Del Guercio A., Respingimenti di migranti verso la Libia e obblighi dell’Italia in materia di rispetto dei diritti umani, in Gli Stranieri,

Rassegna di studi e giurisprudenza, 2010, pp. 73-81.

195 Cfr. C. Di Stasio, La politica migratoria europea: da Tampere a Lampedusa, Napoli, Editoriale Scientifica, 2012, pag. 39.

196 Così già nel Preambolo della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 si richiamava l’attenzione sulle criticità che potevano derivarne per i Paesi maggiormente colpiti dal fenomeno, http://treaties.un.org.

197 Adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 40/144 del 16 dicembre 1985, http://treaties.un.org.

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internazionale anche a individui che non sono cittadini del Paese in cui vivono198, non può prescindere da un richiamo ai poteri gelosamente custoditi dagli Stati in tema di stranieri. Sebbene si tratti di solo di una Dichiarazione, la prima parte dell'art. 2, n. 1, si affretta ad escludere che la Dichiarazione possa essere interpretata come fonte di legittimazione per l’ingresso illegale di uno Straniero nel territorio di uno Stato o incidere sul trattamento che lo Stato intende riconoscere agli stranieri. La norma tuttavia conclude con l'affermazione che tali leggi e regolamenti non debbano essere incompatibili con gli obblighi internazionali assunti dagli Stati, ivi compresi quelli relativi ai diritti umani. Il testo del documento richiama una serie di diritti minimi che devono essere riconosciuti agli stranieri subordinando taluni di essi alla presenza legale sul territorio. Sebbene, dunque, richiami l'impianto relativo alla protezione dei diritti umani che, per definizione e vocazione dovrebbe applicarsi a chiunque, individua talvolta una categoria ulteriormente qualificata che quella del migrante legale. Se il divieto di trattamenti inumani o degradanti, previsto all'articolo 6, si applica qualunque

alien le garanzie relative all'espulsione trovano applicazione solo con riferimento allo

straniero legalmente presente sul territorio a meno che non si tratti di espulsioni, individuali o collettive, fondate su questioni relative alla razza, al colore, alla religione, alla cultura, alla discendenza, all'origine etnica o nazionale.

Nel 1990 vede la luce la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e delle loro famiglie199. Ancora una volta la protezione accordata ad una sotto-categoria di migranti qualificata come lavoratori200 non pregiudica201 i diritti statali in materia di ingresso nel territorio dello Stato. La Convenzione ha comunque il pregio di prendere in esame l'intero fenomeno della mobilità dalla partenza al ritorno202.

La Convenzione, negli articoli 8-35, prevede una serie di diritti minimi che devono essere garantiti anche migranti irregolari. Nell'articolato della Convenzione, in

198 V. Preambolo della Dichiarazione citata.

199 V. http://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/CoreInstruments.aspx.

200 Nell'ambito della Convenzione stessa, peraltro, l'espressione lavoratore migrante, intesa come riferita ad una persona che svolgerà, svolge, o ha svolto un'attività remunerate in uno Stato al quale non è legata da un vincolo di cittadinanza, si suddivide e specifica in ulteriori otto categorie elencate e definite all’art. 2.

201 Cfr. articolo 79 della Convenzione in argomento.

202 Cfr. Antonio Marchesi, La protezione internazionale dei diritti umani. Nazioni Unite e organizzazioni regionali, Franco Angeli, Milano, 2011, p. 98.

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