Silvia Giannella
Liceo Classico "Virgilio", Roma
Vorrei iniziare con qualche riflessione sulle problematiche di tipo metodologico, che noi docenti ci troviamo ad affrontare quando proponiamo nuovi progetti didattici nelle nostre classi. Nella seconda parte del mio intervento accennerò al lavoro pro- posto a scuola e a come ho impostato, all’interno di più classi, le proposte dell’Isti- tuto Superiore di Sanità (ISS) a cui partecipo ormai da alcuni anni.
Partire dagli alunni
Quale metodologia didattica bisogna adottare quando si presenta un nuovo pro- getto all’interno di una classe? Nel nostro caso l’argomento affrontato – il benessere degli animali – è sicuramente interessante per gli alunni ma il rischio che si corre è che, dopo una prima fase di entusiasmo, gli studenti si perdano e non riescano a produrre risultati apprezzabili; pertanto la sfida è quella di mantenere vivo l’interesse rendendo gli studenti compartecipi dell’attuazione del progetto.
Qualche considerazione ci può aiutare a riflettere. Non esiste un solo modo di impa- rare: ognuno di noi ha una propria forma mentis, tutti siamo stati abituati a studiare in un certo modo, quindi noi docenti pensiamo di poter proporre gli argomenti con un'impo- stazione e una sequenza che fanno parte del nostro modo di apprendere. Dovremmo invece tenere sempre conto del fatto che esistono stili cognitivi di apprendimento diversi e che non è detto che il modo in cui noi abbiamo imparato sia il migliore per trasmettere le conoscenze. Questa riflessione porta alla necessità di adottare diverse strategie di apprendimento come, ad esempio, il cooperative learning, l’apprendimento cooperativo, che ha dato, perlomeno nel mio caso, risultati veramente apprezzabili.
Gli alunni hanno spesso informazioni distorte che vanno a costituire poi le loro pre-conoscenze. Molti docenti prima di introdurre un nuovo argomento utilizzano il brain storming, provano cioè, attraverso una discussione a ruota libera, a tirar fuori le conoscenze già possedute dagli alunni che spesso risultano essere disconoscen- ze. Proprio su queste ultime dobbiamo intervenire, certo non stratificando su di esse altre nozioni, perché possiamo esser certi che dopo un certo tempo riaffioreranno le vecchie pre-conoscenze, a meno che non riusciamo a generare, attraverso la nostra “provocazione didattica", il cosiddetto conflitto cognitivo, l’unico in grado di mettere in discussione le conoscenze precedenti.
Molte informazioni distorte provengono dai giornali e dalla televisione, che in alcuni casi riportano errori grossolani e di conseguenza il ragazzo non sa a quale fonte credere: i giornali, la televisione, i genitori, l’insegnante.
Ma torniamo al nostro punto nodale: la costruzione della propria conoscenza. La nostra motivazione non si trasferisce meccanicamente agli alunni, pertanto il nostro
compito è quello di individuare la modalità più adatta per proporre agli studenti un determinato tema e per aprire una breccia in grado di motivare gli alunni a lavorare sia insieme a noi sia in modo autonomo, costruendo così le proprie conoscenze.
La collaborazione con i ricercatori
Un altro elemento che permette una migliore realizzazione dei progetti promossi dall'ISS è il rapporto che si viene a creare tra la scuola e il mondo della ricerca. Ogni volta che un docente attua un progetto che coinvolge un interlocutore esterno alla scuola (il territorio, un ente di ricerca, l’ISS) sa bene cosa vuol dire avere un terzo soggetto nel rapporto tradizionalmente a due: docente-classe. Si tratta di un note- vole arricchimento per la didattica, che si può avvalere di un interlocutore esterno con cui dialogare e a cui riferirsi per richiesta di chiarimenti o di materiali di lavoro. Mentre per gli esperti dell’ISS questa collaborazione rappresenta un’occasione per uscire dal mondo della ricerca e individuare le modalità di comunicazione più effi- caci sia con noi insegnanti sia con gli studenti. Infatti il ricercatore, nel presentare i risultati dei suoi lavori, deve essere in grado di semplificare evitando però di svilire l’argomento trattato, deve cioè misurarsi col difficile compito del divulgatore.
Infine, vorrei ricordare un ultimo elemento che qualifica questo tipo di progetti: alla conclusione del lavoro gli alunni presentano i risultati della loro ricerca presso l’ISS e ciò li responsabilizza e li fa sentire investiti di un ruolo importantissimo.
Alcune esperienze emblematiche
Vorrei accennare rapidamente ai lavori che ho svolto l’anno scorso con due mie classi. Il titolo del primo progetto era “Le sostanze chimiche, l’ambiente e noi”.
Insieme alla collega di lettere abbiamo lavorato nell’ambito di una codocenza geo- grafia-biologia. Ci siamo liberamente ispirate alla proposta didattica dell'ISS e, dopo aver consultato gli alunni, abbiamo scelto alcuni temi da sviluppare nel corso dell’anno: il Protocollo di Kyoto (la posizione dei vari Paesi rispetto alle sostanze chimiche dannose per l’ambiente) e l’alta velocità in Val di Susa (i problemi manifestatisi nel progetto del treno ad alta velocità (TAV), quali la presenza dell’amianto e dell’uranio).
Abbiamo organizzato un gioco di ruoli che è poi confluito in una sorta di processo svoltosi all’ISS: ogni gruppo di studenti ha estratto a sorte il proprio ruolo (le istituzioni, gli abitanti della Val di Susa, gli scienziati, gli ambientalisti francesi, gli ambientalisti italiani). Tutti noi – le due insegnanti e gli alunni divisi in gruppi – ci siamo informati sull’argomento e abbiamo portato dei documenti (articoli di giornali) su cui lavorare. Alla fine, gli alunni hanno così sintetizzato il risultato del proprio studio: “Completata la raccolta di informazioni abbiamo fatto delle prove per il processo, le abbiamo fatte in classe, mentre il processo si è svolto all’Istituto Superiore di Sanità…”. Gli alunni hanno dato anche un giudizio sul metodo di lavoro, che è stato valutato in maniera positiva da tutti perché “riesce a coinvolgere maggiormente la classe spingendo ognu- no all’interno o all’esterno dei singoli gruppi a impegnarsi nel raccogliere informazioni e a confrontarsi con altre posizioni” (Giannella e Vietti, 2007).
L’altro progetto, condotto in una classe parallela (un secondo anno di sperimen- tazione Brocca a indirizzo classico), sempre in codocenza biologia-geografia, ha avuto per titolo: “Le sostanze tossiche: dai disastri ambientali alla sigaretta”.
Nella prima parte dell’anno il lavoro ha riguardato lo studio dei disastri ambien- tali: Seveso, Porto Marghera e Bhopal. Nella seconda parte, lo studio dei danni da fumo di sigaretta. Noi docenti abbiamo proposto una storia PBL (Problem-based Learning) seguendo il metodo descritto da pag. 99 a pag. 107.
Il titolo della storia è stato: “L’alibi vincente” e ha avuto come argomento quello relativo ai danni del fumo della sigaretta. Due studenti, un fumatore e un non fuma- tore, discutono sul problema del fumo di sigaretta; il non fumatore mette in guardia l’amico dicendogli che il fumo provoca il tumore del polmone, mentre l’altro rispon- de in modo scettico: “Perché dovrei smettere se l’ambiente e l’aria delle città sono comunque inquinati?”. Ne scaturisce la domanda: quali argomenti potresti portare per convincere il fumatore a smettere di fumare?
Dopo una discussione collettiva in classe, gli alunni si sono chiesti: “Che cosa dobbiamo andare a studiare per rispondere al quesito proposto dalla storia: è peggiore il fumo della sigaretta o l’aria inquinata delle città?" Gli studenti hanno raccolto dati riguardanti l’aria, le sostanze nocive, il fumo passivo e gli effetti del fumo sull’organismo. Hanno anche allargato il campo di indagine occupandosi del tema “La sigaretta nella società”; quindi sono andati alla ricerca di film, libri, fumetti e canzoni legati alla sigaretta. Hanno poi predisposto un questionario sul fumo di sigaretta distribuito alle famiglie e agli altri studenti, contenente domande quali: da quanto tempo fuma? perché non smette? che cosa sa dei danni causati dal fumo di sigaretta?
Vi è stato il coinvolgimento di tutti i componenti la classe, attraverso la collaborazione tra studenti, la condivisione e lo scambio di idee per migliorare il prodotto finale.
Al termine del lavoro gli alunni hanno così risposto al quesito iniziale: “Siamo infine giunti alla conclusione che lo studente universitario che nella storia fumava, si sbagliava e speriamo nel nostro piccolo che con questo lavoro anche altre persone possano rendersi conto che stanno sbagliando”. Anche questo secondo lavoro è stato presentato dagli studenti presso l’ISS e mi sembra sia stato molto apprezzato (Giannella e Ticchi, 2007).
Conclusioni
Noi docenti ci siamo rese conto che questa metodologia di lavoro rappresenta una valida alternativa alla lezione frontale tradizionale; questo non vuol dire abolire definitivamente la didattica abituale, ma semplicemente inserire ogni tanto, all’inter- no di un anno scolastico, un momento in cui si crei una specie di parità tra docenti e allievi, una modalità nuova per cui gli studenti si informano su un determinato argomento direttamente, senza mediazioni, oppure chiedendo uno specifico inter- vento dei docenti.
Un’annotazione: alcuni alunni, che nel rapporto tradizionale con le discipline non sono stati mai particolarmente brillanti, attraverso questo approccio di studio autonomo si sono rivelati veri e propri leader riuscendo a far partecipare anche i compagni meno propensi a farlo. In genere sono trascinati dal progetto proprio quegli alunni che nella lezione frontale – e questo ce la dice lunga a proposito di stili di apprendimento – stanno da una parte, non partecipano, sono timidi, quelli che conseguono puntualmente una valutazione mediocre e poi pian piano arrivano alla sufficienza, ma sempre senza entusiasmo e senza motivazione allo studio.
E non mi sembra un risultato da poco, visto che attualmente il recupero non è più un’opzione ma un obbligo all’interno delle scuole. Un ragazzo che si isola e non partecipa alle lezioni rappresenta un problema per noi docenti, per cui dobbiamo cercare di coinvolgerlo.
L’apprendimento cooperativo si rivela sempre più una modalità di lavoro produtti- vo all’interno della classe in quanto coinvolge gli studenti in un lavoro di gruppo per raggiungere un fine comune; si tratta di una metodologia alternativa che permette allo studente di costruire il proprio apprendimento. Naturalmente, come ho già pre- cisato, questo non vuol dire che a scuola tutto lo studio debba trasformarsi in un lavoro di gruppo cooperativo, ma penso sia molto utile per noi docenti e per i ragazzi che all’interno di un anno scolastico alcuni progetti o anche solo un argomento ven- gano trattati con modalità didattiche alternative.
Veniamo ora allo specifico del ruolo dell’insegnante: questa metodologia risulta molto efficace in quanto offre al docente la possibilità di guardarsi dall’esterno, di non sentirsi il depositario indiscusso della verità. Egli diventa un facilitatore, cioè un coordinatore e un punto di riferimento per la classe: propone l’argomento di studio attraverso vari stimoli iniziali e fa sì che la discussione avvenga tra gli alunni, senza dare risposte, facendo in modo che queste arrivino dagli studenti in seguito a un periodo di riflessione durante il quale gli alunni studiano e mettono a fuoco gli argo- menti senza dare risposte affrettate e superficiali (vedi M.C. Barbaro, p. 99-107).
L’insegnante, che ha chiari gli obiettivi, fornisce l’input iniziale, organizza i gruppi in modo eterogeneo, combinando gli allievi in modo che all’interno di un gruppo vi siano varie abilità e diverse competenze, concorda gli argomenti con i singoli gruppi, fornisce il materiale di supporto al lavoro.
Riferimenti bibliografici
Giannella S, Vietti L. L'alta velocità in Val di Susa: un problema ambientale o geopolitico? In: Bedetti C, Barbaro MC, Rossi AM (a cura di). Le sostanze chimiche, l'ambiente e noi: spunti per un'azione didattica. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2007. p. 137-140.
Giannella S, Ticchi A. Il fumo di sigaretta. In: Bedetti C, Barbaro MC, Rossi AM (a cura di). Le sostanze chimiche, l'ambiente e noi: spunti per un'azione didattica. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2007. p. 141-144.