La crescente complessità e interdipendenza dei mercati internazionali, il processo d'internazionalizzazione e la tendenza alla delocalizzazione produttiva e all'outsourcing di fasi di produzione mettono oggi le imprese davanti alla scelta se valorizzare o meno, con quale grado d'intensità e secondo quali modalità, il paese d'origine delle loro offerte. Da un lato, infatti, la crescente quantità d'informazioni cui il consumatore può attingere e resa possibile dal fenomeno della globalizzazione tende a indebolire il paese d'origine. Dall'altro, tuttavia, la concorrenza dei paesi emergenti, la possibilità di fare leva su elementi di attrattività caratterizzanti la lunga produzione industriale occidentale e il bisogno ancora forte che i consumatori esteri hanno di semplificare i processi cognitivi in fase di valutazione del prodotto, oltre alla ricerca della non semplice funzionalità del bene ma anche di significati e valori legati a un territorio, spingono in direzione opposta, stimolando l'adozione del Coo come strumento di marketing strategico.
La comprensione delle dinamiche di consumo nei mercati esteri e la valutazione delle percezioni nutrite verso i brand di origine straniera sono solo alcuni dei passi da compiere per creare delle reali prospettive d'internazionalizzazione commerciale di cui possono beneficiare le imprese italiane appartenenti ai settori tradizionali del Made in Italy. Le ricerche condotte da G. Mainolfi su un campione di consumatori cinesi (2010) aiutano a tracciare le principali direttrici di approccio al mercato estero di Singapore, considerandone il Coo un strumento strategico. Si sono, infatti, individuati diversi cluster di consumatori e, per ognuno di questi, se ne sono definite le strategie e le modalità di ingresso. Valutandone, inoltre, l'attrattività e l'accessibilità, se ne sono distinte quattro diverse tipologie (figura 3.21).
I "Must Win" si riferiscono a soggetti appartenenti alla middle class, di alto profilo, tipicamente giovani al di sotto dei trent'anni, dalle esigenze sofisticate e legate alle griffe. A rispondere a queste richieste, c'è un mercato sempre più affollato e competitivo, dove ogni giorno diventa più complesso ritagliarsi margini di profitto.
Figura 3.21: Le strategie da adottare nei cluster. Fonte: elaborazione Mainolfi (2010), op. cit.
Dai risultati delle indagini presentati nei precedenti paragrafi, è emerso che il Made in Italy è capace di suscitare l'interesse della domanda e di stimolarla all'acquisto. Le imprese italiane, perciò, interessate a questa porzione di mercato, dovrebbero seguire e assecondare le attese, esaltando al massimo proprio quegli attributi del Made in Italy che sono risultati gli aspetti su cui è basata la revisione della country reputation, ovvero qualità, senso dell'estetica del prodotto, originalità, design, attenzione al dettaglio. La migliore modalità d'ingresso è la presenza diretta che "consente di realizzare una capacità di risposta tempestiva e di ridurre l'intensità delle manovre dei concorrenti (locali e internazionali) nonché d'innalzare i livelli di servizio alla clientela da un punto di vista di reperibilità dei prodotti, di tempestività e affidabilità della consegna, e, naturalmente di supporti commerciali e assistenziali" (Valdani, Bertoli 2006). Le risposte raccolte confermano l'importanza di questi aspetti: pur confermando l'interesse per il Made in Italy, alcuni intervistati ne segnalavano, infatti, la difficile reperibilità. La country reputation iniziale, dunque, ha un ruolo fondamentale: sostiene l'immagine dei prodotti italiani e ne facilita il superamento di eventuali resistenze. L'impresa
italiana è chiamata, poi, ad attivare adeguate politiche di branding capaci di mettere in luce al massimo l'appeal del Made in Italy, facendo confluire la valorizzazione della reputazionale nazione nei sistemi di offerta destinati al mercato di Singapore.
Il secondo cluster "Up & Coming" è composto di soggetti che si stanno affermando come classe media emergente, ma che non hanno ancora molta familiarità con i sistemi di offerta straniera. In altri termini, pur dimostrando interesse verso i brand occidentali, non sono educati al loro consumo: si tratta soprattutto di prodotti dell'agroalimentare, come il caso del vino che verrà ampiamente trattato nel prossimo capitolo, che necessitano in primis di politiche di formazione. Facendo leva sul patrimonio reputazionale, le imprese italiane dovrebbero promuovere programmi di marketing mirati a incrementare la consapevolezza del consumatore, posizionare il prodotto, comunicare valori e ideali attraverso il brand, il packaging e il format distributivo. La migliore modalità d'ingresso è rappresentata dagli accordi di collaborazione.
A tal proposito, la scarsa presenza dell'Italia nel settore della grande distribuzione a Singapore rappresenta un serio ostacolo all'incremento della penetrazione commerciale. Le imprese italiane dovrebbero, invece, incrementare gli accordi di collaborazione e partnership con controparti locali, anche con l'obiettivo di ottenere un maggiore consenso attorno all'offerta straniera e una migliore gestione del rischio paese.
Il terzo cluster "Wait & See" include mercati esigui in termini di dimensioni ma accessibili. É, di nuovo, il caso dell'agroalimentare: il cambiamento nei consumi e un maggiore interesse rivolto ai prodotti occidentali e italiani, come il vino trattato nel prossimo capitolo, lasciano intravedere importanti margini di crescita, che pur hanno bisogno di tempo e, ancora, di educazione al consumo. Il ricorso a società d’import/export può rappresentare la migliore soluzione d’ingresso nel mercato.
In questo cluster, le imprese italiane devono fare molta attenzione al fenomeno della colonizzazione di mercato: l'olio d'oliva spagnolo, la pizza di Pizza Hut, il Parmesan Cheese di Kraft e la salsa di pomodoro californiana sono solo alcuni esempi di appropriazione di prodotti simboli della gastronomia italiana da parte di operatori esteri che, tuttavia, ha concesso loro l'insediamento nel mercato di Singapore.
L'ultimo cluster "Overseeing" ricopre un ruolo marginale ai fini di queste riflessioni poiché composto di soggetti con tradizioni di consumo radicate. Il richiamo al Coo e
l'ingresso attraverso l'esportazione diretta sono i primi passi da compiere nell'approccio a questi mercati che, tuttavia, hanno una minima rappresentanza a Singapore.
In definitiva, "beneficiare di un patrimonio reputazionale favorevole non basta, occorre saperlo far emergere. Per fare apprezzare l'italianità è necessaria un'educazione del pubblico che riconosca nei sistemi di offerta l'identità italiana, unica e inconfondibile rispetto a un universo di merci massificate e senza identità" (Corbellini, Saviolo 2004), in altri termini, internazionalizzazione e promozione del Made in Italy attraverso la prospettiva della country reputation possono considerarsi le chiavi di un successo duraturo. Questa importante missione spetta, in primis, all'universo delle pmi italiane che, spesso inserite in distretti industriali, possono conseguire vantaggi competitivi internazionali grazie alla forte connessione con i sistemi territoriali di origine. Il raggiungimento di questo traguardo ha bisogno, inoltre, del supporto degli organismi governativi che, tuttavia, non sono riusciti sino a oggi a promuovere il sistema paese Italia in modo coerente e unitario. L'adozione di programmi di comunicazione, regolamentazione e tutela, gestiti anche attraverso i mass media, Internet e i Social Media, può avere ripercussioni assolutamente positive sul mondo imprenditoriale italiano e sull'identità nazionale presso i pubblici esteri.
CAPITOLO IV
IL VINO MADE IN ITALY SUL MERCATO DI
SINGAPORE