Rispetto a quanto detto nei precedenti capitoli, si ritiene utile chiarire il nesso tra l’effetto del paese d’origine e il Made in Italy. Ai fini di questa trattazione, infatti, il tema del Made in Italy deve essere analizzato in termini di posizionamento competitivo, nello scenario internazionale, del sistema di offerta italiano.
Tuttavia, è bene chiarire che Coo e Made in Italy sono due concetti diversi che agiscono secondo logiche differenti. Con Made in Italy s’intente la produzione e la commercializzazione di prodotti interamente realizzati in Italia che, nella logica import- export, assumono valore esattamente per il loro luogo di realizzazione. Il Coo, come più volte ribadito, fa capo, invece, alla logica di immagine di prodotto per cui il consumatore attribuisce un differenziale di valore - positivo o negativo - ad un prodotto o servizio per il solo fatto di essere stato realizzato in un determinato paese o di essere comunque associato alle sue tradizioni. Un Made in Italy potrebbe, dunque, non godere degli effetti del Coo.
Ammettendo che, talvolta, i concetti si possano sovrapporre, come nel caso dell’alimentare, è bene continuare a mantenerli separati evitando, così, confusioni concettuali. È obiettivo di questa trattazione testare su casi concreti, infatti, gli effetti del Coo su specifici prodotti del Made in Italy.
Negli anni novanta, il Made in Italy ha trovato il momento di massima affermazione a livello internazionale. Tutto il mondo sembrava manifestare massima approvazione per il sistema di offerta italiano. Da quel momento in poi, invece, ha avuto una crescita più graduale, ma pur sempre costante.
Bastano solo poche cifre per cogliere la reale importanza del fenomeno manifatturiero italiano. I dati riportarti nella seguente tabella mostrano il considerevole peso delle cosiddette “4 A del Made in Italy” nel commercio estero italiano (tabella 2.1).
Tabella 2.1: L'incidenza del Made in Italy nel commercio estero italiano: gennaio-dicembre 2009 (valori in migliaia di euro). Fonte: elaborazione su dati Istat (2010), Banca dati statistiche ICE, in
www.ice.it
Settori Export Import Saldo
Materie prime ed
energie 10.754.441 53.570.000 42.815.559
4 A del Made in Italy 115.098.934 62.457.592 52.641.342
Moda Arredo-casa Automaz.-meccanica F&B 32.977.687 7.243.243 54.917.354 19.960.650 21.770.160 1.538.785 18.809.420 20.339.227 11.207.527 5.704.458 36.107.934 -378.577 Altri settori 164.946.772 179.827.883 -14.881.111 Totale 290.800.147 295.855.475 -5.055.328
La crisi economica ha certamente sconvolto i tradizionali criteri di misura della competitività dei mercati, ma le punte di diamante del Made in Italy hanno sofferto meno rispetto ai sistemi di offerta di altri paesi, nonostante si stiano considerando settori che dipendono per circa il 70% dall’export. Ciò è attribuibile principalmente a politiche di riorganizzazione dei processi produttivi, internalizzazione di alcune fasi precedentemente esternalizzate, migliore sfruttamento delle capacità interne e soprattutto al solido apparato produttivo su cui poggia l’intero sistema Made in Italy (P. Jadeluca 2009).
Se da un lato burocrazia, criminalità, costo del lavoro alto, ristagno dei consumi ci allontanano dai vertici delle classifiche dei paesi più attrattivi, dall’altro, quando si passa a valutare la dinamicità degli scambi internazionali e la forte propensione all’export che conta circa il 20% del PIL, l’Italia può essere considerata una vera eccellenza capace di competere con le economie dei paesi maggiormente sviluppati. Detto questo, è opportuno interrogarsi su quali siano le principali implicazioni che tanta dinamicità di scambio comporti sul sistema reputazionale italiano. L’esperto del fenomeno Beccatini afferma che “il Made in Italy è percepito come una commodity
complessa in cui convergono funzionalità d’uso, estetica, design, richiami ai luoghi di produzione, ossia a quella combinazione unica di fattori produttivi, sociali e culturali del territorio, spesso frutto della produzione distrettuale”. Al Made in Italy si attribuisco tipicamente lo stile, la raffinatezza, il buon gusto, la capacità di fare tendenza. In generale, si può dire che il caso italiano è un esempio di coevoluzione di territori e d’imprese capaci di fare network nella costruzione di un modello produttivo specializzato e distintivo.
Per attivare il vero valore strategico della country reputation, le istituzioni italiane dovrebbero essere in grado di trasformare l’identità territoriale in identità competitiva attraverso politiche e azioni intraprese riguardo alle diverse sfere reputazionali (economica, politica, sociale, culturale, fisica). Non solo. Poiché spesso i pubblici esteri non sono sempre in condizione di entrare in possesso d’informazioni riguardanti il paese e si affidano, così, a soggetti mediatori, le istituzioni dovrebbero anzitutto instaurare relazioni con i media, gli analisti, gli enti certificatori, … e monitorare le informazioni da essi diffuse. Questa sembra essere diventata una delle condizioni imprescindibili dalla cui partire per costruire una strategia di comunicazione capace di promuovere una country image coerente rispetto a comportamenti e risultati del paese facendo, così, emergere l’identità competitiva del Made in Italy.
Inoltre, nonostante emerga chiaramente dalle diverse interpretazioni del fenomeno che il fattore di distintività del Made in Italy sia la forte connessione tra il prodotto e il territorio, si considera il marchio Italia capace di avere delle valenze positive che vanno aldilà della sola identità territoriale in senso stresso. Senza dubbio il Made in Italy è espressione di talenti artigianali, ma anche di competenze gestionali e di progettazione e di elementi di distintività.
Il Made in Italy è caratterizzato dall’assenza di scontro tra spazio fisico (il territorio) e spazio culturale (il legame col territorio). Tuttavia, l’esigenza di delimitazione territoriale è un elemento tipico dei sistemi di offerta in cui il legame indissolubile tra produzione e territorio ne rappresenta un fattore esistenziale. La componente più rilevante è sicuramente il brand name, in altri termini la parola “Italia”, che rimanda ad un marchio internazionale di grande notorietà e che ne ingloba a sua volta altre come il product/place branding (p.e. Doc, Dop, …); il firm’s brand (p.e. Ferrari, Armani, Artemide); il personal branding (p.e. Pavarotti, Cannavaro). Questi aspetti
contribuiscono insieme alla costruzione della country image a livello internazionale e richiamano, a diversi livelli e con diversa intensità, il legame con il territorio. Al pari di un marchio globale, il Made in Italy può essere considerato, quindi, un megabrand (Fan 2006) per la sua unicità, tipicità e capacità di interfacciarsi con pubblici appartenenti a culture, luoghi e contesti differenti.