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gli studi e le ricerche esistent

Nel documento Il benessere degli animali da produzione (pagine 32-35)

A livello europeo esiste una scarsa letteratura sulla percezione dei consumatori nei ri- guardi del “benessere animale” e sui comportamenti di acquisto da parte di chi è più attento e sensibile a tale tematica. Tra i pochi studi e ricerche esistenti si segnalano due progetti: Consumer concerns about animal welfare and the impact of food choice3 e Welfare Quality®,

in cui sono state analizzate le preoccupazioni e l’atteggiamento dei consumatori nei confronti del “benessere animale”, il tipo di informazioni richieste e le strategie di informazione e comu- nicazione considerate più efficaci.

Da questi studi emerge come il consumatore italiano spesso associ all’allevamento biolo- gico l’esistenza di migliori condizioni di “benessere animale”. Per questa ragione, e per ovviare alla scarsità d’informazioni pertinenti, per tracciare un profilo del consumatore attento alle tematiche del “benessere animale”, si può cominciare dai risultati, non sempre coincidenti, di alcuni studi e ricerche che hanno indagato le caratteristiche di chi consuma prodotti biologici.

Un esempio proviene da uno studio dell’Ismea (“La spesa domestica per i prodotti bio- logici nel 2001”) che traccia il ritratto del tipico acquirente di prodotti biologici sulla base di alcune variabili socio-demografiche (box 2.2).

2 La legge sui maltrattamenti è stata più volte trattata nei principali telegiornali nazionali e nei quotidiani anche a causa del malcontento da essa suscitato da parte delle associazioni ambientaliste e animaliste per non aver considerato settori come caccia, allevamento e sperimentazione scientifica.

3 Al progetto “Consumer Concern about Animal Welfare and the Impact on Food Choice” CT98-3678 (1999-2001), finanziato dal programma FAIR della Commissione Europea, ha partecipato anche l’Università di Pisa; per mag- giori informazioni sui risultati del progetto cfr. Harper, Henson (2001).

box 2.2 – Il consumatore dei prodotti biologici

profilo del consumatore: Classe sociale: medio-alta. Età: 25-50 anni. Residenza: aree urbanizzate del centro-nord. Livello di educazione: medio-alto. Reddito: medio-alto. Single o famiglia con figli (1 o 2) Tre categorie di consumatori: motivati politicamente o ideologicamente, motivati da scelte

salutistiche e consumatori discontinui.

spesa media familiare: 60 euro/mese (20% della spesa alimentare totale) Principali motivazioni di acquisto: qualità, salute e ambiente

Fonte: ISMEA (2001)

Alcune interessanti osservazioni per quanto riguarda le variabili socio-demografiche (sesso, età, livello di istruzione, ecc.) e la loro relazione con dati più specifici relativi alla conoscenza e al consumo di alimenti con caratteristiche animal friendly, si rilevano nello studio di Miele e Parisi (2001), condotto nell’ambito del progetto europeo precedentemente citato Consumer concerns about animal welfare and the impact of food choice (box 2.3). box 2.3 – principali risultati del progetto Consumer concerns about animal welfare and the impact of food choice

I concetti più importarti associati a “benessere animale”: - “etica” collegato agli attributi “sofferenza” e “naturale”

- “crudeltà” collegato a “sofferenza”, “macellazione”, “trasporto”

- “salute” collegato a “alimentazione”, “additivi” e “alimentazione forzata”

Un terzo degli intervistati ha dichiarato di aver diminuito il consumo di alcuni prodotti di origine animale per motivazioni/preoccupazioni legate al “benessere animale” (il 70% sono donne)

La percentuale dei consumatori che diminuiscono il consumo è più alta di coloro che l’hanno aumentato (la carne bovina registra le più alte percentuali di diminuzione a causa dell’influenza della BSE)

In termini assoluti il 39% delle donne e solo il 23% degli uomini hanno diminuito i loro consumi di prodotti di origine animale per motivi di “benessere animale”

Anche per quanto riguarda l’acquisto di prodotti animal friendly, ancora le donne sono più interessate alla tematica del “benessere animale” e più inclini all’innovazione: il 38% degli intervistati dichiara di essere disposto ad acquistare prodotti animal friendly; tra questi il 33.7%, sono uomini e il 66.3% sono donne. Le donne sembrano essere più dinamiche e seguono modelli meno tradizionalisti, mentre gli uomini han- no modelli di consumo più routinari

Fonte: Harper, Henson (2001)

Questa ricerca evidenzia che i consumatori italiani ritengono di avere una conoscen- za limitata delle tecniche moderne di allevamento, mentre, riguardo alla loro percezione dei metodi di produzione, i consumatori identificano l’allevamento del pollame come il più inaccettabile, quello del manzo/vitello come secondo inaccettabile; quello dell’agnello, del suino e quello bovino per la produzione di latte generalmente sono considerati accettabili. Un altro studio sul tema è quello condotto dall’Istituto di ricerca People SWG, che da più di un decennio sta monitorando la relazione che il consumatore dimostra di avvertire tra le condizioni di allevamento degli animali e la qualità del cibo prodotto; tra i dati più ricorrenti citiamo:

• una tendenza maggioritaria e stabile all’insofferenza da parte degli italiani per le con- dizioni crudeli d’allevamento;

• una conoscenza limitata di tali pratiche del sistema produttivo intensivo.

ca sulla percezione dei consumatori del “benessere animale” negli allevamenti suinicoli all’interno di un campione casuale di 800 soggetti. I dati più interessanti che emergono dal campione risiedono nella quantificazione della disponibilità a sostenere economicamente i costi del miglioramento delle condizioni negli allevamenti suinicoli intensivi (box 2.4). box 2.4 – risultati dell’indagine telefonica condotta dall’Istituto di ricerca people sWg*

Oltre il 30% si è dichiarato disponibile a spendere una cifra superiore al 10% del prezzo del momento; Poco più del 20% del campione si dichiara assolutamente non disponibile;

L’84% è d’accordo che l’Italia dovrebbe sostenere la proibizione a livello europeo delle gabbie di gesta- zione.

L’8% del campione dichiara di non mangiare mai carne * Studio del 2001 su un campione di 800 persone

Fonte: People SWG

Secondo quanto emerge dai risultati del progetto Welfare Quality®, le motivazioni e le preoccupazioni dei consumatori sono principalmente connesse alla salute umana, alla qualità del cibo e, infine, alle condizioni degli animali negli allevamenti e ai diritti degli animali. Le variabili socio-demografiche (reddito, sesso, educazione, età) non sembrano invece incidere sull’atteggiamento verso il “benessere animale”.

Sebbene questa non sia l’unica motivazione, tra i consumatori e le consumatrici sen- sibili alle tematiche del “benessere animale” vanno sicuramente annoverati i vegetariani e i vegani. Le motivazioni che portano alla scelta di non mangiare più carne e pesce (vegeta- rianesimo) o di eliminare totalmente i prodotti di origine animale dalla dieta (veganesimo) sono di diversa natura e molto spesso sono strettamente connesse fra loro. Secondo i dati Eurispes il numero dei vegetariani in Italia nello scorso decennio è apparso in forte cresci- ta, tanto che in otto anni (dal 1999 al 2006) i vegetariani sono quadruplicati, raggiungendo il 10% della popolazione nel 2006 (Tab. 2.1).

Tabella 2.1 – I vegetariani in Italia

anno numero 1999 1.500.000 2002 2.900.000 2005 4.500.000 2006 6.000.000 Fonte: Eurispes

La scelta salutista è motivata dal fatto che molte malattie della società contempo- ranea sono strettamente connesse all’eccessivo consumo di grassi e proteine di origine animale: si ritiene che eliminando i prodotti di origine animale dalla dieta si riduca sensi- bilmente la probabilità di incorrere in queste patologie (colesterolemia, obesità, infarto).

Altra motivazione è quella strettamente legata al “benessere animale”, dato che i siste- mi di allevamento intensivi sono anche il risultato dell’aumento dei consumi di carne: in Ita- lia da 18 kg pro-capite degli anni cinquanta si è passati a 80 kg pro-capite odierni (dati Istat). Esistono poi motivazioni più complesse e articolate, di tipo politico, sociale o eti- co, intimamente connesse alla critica mossa alla cosiddetta globalizzazione neoliberista, ritenuta responsabile dell’aggravarsi del problema della povertà e della fame nel mondo.

Nell’ambito di questa visione viene spesso sottolineato come per nutrire le centinaia di milioni di animali allevati industrialmente venga utilizzata una grossa parte dei cereali prodotti nel mondo: per produrre 1 Kg di carne (che comprende anche ossa, tendini e tutto ciò che viene scartato) occorrono 8-10 Kg di cereali, che rappresentano invece una ricchezza alimentare sottratta al consumo umano diretto, soprattutto per quanto riguarda il Sud del mondo, in cui milioni di persone muoiono di fame ogni anno. La produzione di carne è inoltre ritenuta responsabile della perdita di biodiversità e di danni ambientali (come la deforestazione di migliaia di ettari in America Latina finalizzata a creare terreni agricoli per l’allevamento animale).

Nel documento Il benessere degli animali da produzione (pagine 32-35)