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L O STUDIO DELLE VARIANTI PETRARCHESCHE

3. L’ EVOLUZIONE INTERNA DELL ’ EPISTOLARIO IN VERS

3.1 L O STUDIO DELLE VARIANTI PETRARCHESCHE

Una poesia di variazioni è in sostanza una poesia di varianti.180

Sono molti gli studi che si sono occupati della variantistica dei testi petrarcheschi (per lo più di quelli in volgare) e dell’evoluzione della scrittura dell’Aretino, mossa da una «profonda e consustanziata esigenza di perfezione formale».181 Tra i molti, il presente discorso prenderà a modello particolare l’articolato volume di Vincenzo Fera, La revisione petrarchesca dell’Africa, e i suoi saggi successivi.182

Pur non disponendo del copioso materiale rinvenuto da Fera per le varianti dell’Africa (i.e.: ms. Acquisti e Doni 441, apografo della copia di lavoro di Petrarca), proveremo ad indagare nelle pagine a seguire l’evoluzione della scrittura petrarchesca per il corpo delle Epystole, a partire dall’osservazione delle varianti d’autore, emerse nella collazione di Str e P (riportata per intero nelle tavole del cap. I). L’indagine, lo anticipiamo - ed è prevedibile -, confermerà quanto scrive lo studioso

180

D. DE ROBERTIS, Problemi di filologia delle strutture, cit., p. 398.

181 Cfr. V. FERA, La revisione petrarchesca dell’ ‘Africa’, cit., p. 39, in nota.

182 Cfr. inoltre lo studio delle esigue varianti dei Salmi penitenziali di D. COPPINI, Sulla

composizione dei ‘Salmi penitenziali’ di Petrarca, in Margarita amicorum: studi di cultura europea per Agostino Sottili, a cura di F. FORNER, C.M. MONTI, P.G. SCHMIDT, vol. I, Milano, Vita e Pensiero, 2005, pp. 221-31.

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per il poema epico: «è soprattutto nella sistemazione interna del testo […], nel tentativo di pervenire cioè ad una equilibrata economia strutturale, che risalta netto e preciso lo sforzo del Petrarca».183

Le principali motivazioni del cambiamento negli abbozzi e nei margini dell’Africa sono ricondotte da Fera sostanzialmente a tre fattori: la repetitio verborum, l’identitas con le fonti, e il sonus.184

Certo, diversa è la natura delle varianti delle Epystole: esse (contrariamente alle varianti alternative dell’Africa mai realizzate, per le quali cioè mai è stata messa in atto una scelta) sono state licenziate dall’autore, che dunque ha esercitato la sua opzione. Pur devitalizzate, rispetto alle varianti attive del poema di Scipione, le lezioni di Str e P, in qualità di fossili redazionali, contribuiscono a illuminare le scelte compositive, in particolare nella costruzione del macrotesto del Liber Epystolarum, e testimoniano la «perenne incertezza e i ciclici ritorni dell’autore sulle proprie scelte».185

Nel corso dei suoi decennali studi sulle lettere in versi, Michele Feo, salvo errore, ha segnalato e studiato solo poche varianti, individuando alcuni meccanismi correttori che potranno essere in parte ricondotti a quelli già indicati da Fera. Secondo Feo, le varianti di Petrarca sono ascrivibili a tre istanze:

a) «una mania di persecuzione contro alcune parolette»186 (così ad esempio si dovrà intendere la puntuale soppressione di situ e

quondam);

b) l’«ambito metrico-prosodico» (e dunque la correzione di alcuni errori di prosodia);187

c) «varianti ontologicamente petrarchesche, che a dimostrarle vere

183

V. FERA, La revisione petrarchesca dell’ ‘Africa’, cit., p. 28.

184

Ivi, pp. 29-30. Per il più ineffabile sonus vedi ad esempio il puntuale commento dello studioso a proposito di Afr., VII 384ab: «il sonus dell’esametro dopo l’inserimento di “atque atro” in pentemimere richiamava al Petrarca un “similis sonus” di Luc. 8 57 […]» (p. 292); sull’esametro e la versificazione si veda il volume monografico di I.R. ARZALLUZ, El hexámetro de Petrarca, in «Quaderni petrarcheschi», 8 1991, in particolare le pp. 212 sgg.

185 V. FERA, Ecdotica dell'opera incompiuta: “varianti attive” e “varianti di lavoro” nell'

‘Africa’ del Petrarca, in «Strumenti critici», 2 2010, pp. 211-22: 212.

186

M. FEO, L’edizione critica, cit., p. 244.

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basta la sola enunciazione».188

Soffermiamoci brevemente su quest’ultima categoria che, tagliata di netto dalle parole dello studioso, ha forse contorni meno nitidi. Fanno parte del gruppo le seguenti varianti:

- la soppressione del nome di Parma, nella II 11 (vv. 44-45), conseguente alla rottura dei rapporti con il vescovo Ugolino de Rossi;189

- l’eliminazione del distico relativo alla composizione dell’Africa nella II 3 (v. 43ab);

- la sostituzione del dativo amico, riferito a Luchino Visconti, con «un avverbio insulso»,190 abunde, così commentata dallo studioso: «opportunità politica o altalenare psicologico: c’è solo da scegliere la spiegazione più giusta; ma il movimento testuale è petrarchesco»191 (tuttavia, quell’avverbio non sembra così insulso, se si considera che è usato, proprio in clausola, tra gli altri da Orazio e Ovidio – Sat., I 2 59; Ep., I 4 10; Met., 15 759; Trist., I 7 31 -, nonché più volte dal maestro Convenevole da Prato, e proprio in quest’identitas andrà ricercata l’origine della variatio);

- la soppressione del nome di Azzo da Correggio nella II 9, con movimento simile a quello relativo a Parma e Luchino;

- l’esclusione dei tre versi di dedica a Rinaldo Cavalchini, che andrà piuttosto ricondotta, a mio avviso, alla repetitio verborum con Epyst. I 1 80-83 (ricordo infatti che questi stessi versi, pur con le dovute modifiche, sono stati riutilizzati da Petrarca nella dedica a Barbato da Sulmona);192

- l’eliminazione dell’emistichio «ac celum penetrare docet», riferito a Roberto d’Angiò nella II 6 (v. 15), come anche quella dei versi relativi al puer Marco, figlio di Bernardo Visconti, nell’epystola III 29, nella quale Petrarca raccoglie tutti i Marco più famosi della storia e del mito.

188

Ivi, p. 245. Simili (e ancor più sfumate) le motivazioni individuate da Cochin nel suo studio non sistematico sulle varianti del Par. Lat. 8123, cfr. H. COCHIN, Les ‘Epistolae Metricae’ de Pétrarque, cit., p. 3.

189

Su questa epistola e sulle sue varianti Feo è poi tornato in M. FEO, Di alcuni rusticani cestelli di pomi, cit., passim. Cfr. inoltre A. FORESTI, Aneddoti, cit., pp. 158- 73.

190

M. FEO, L’edizione critica, cit., p. 246.

191

Ibidem.

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Questa breve e forse troppo suggestiva casistica ricondotta a un qualche sfrondamento ‘ontologicamente petrarchesco’ culmina con l’analisi di una variante della I 6, la lettera d’amore e letture, indirizzata a Giacomo Colonna (sulla quale a lungo ci soffermeremo nel corso del terzo capitolo). L’attenzione di Feo cade sui versi relativi alla fama di Laura, che avremo anche noi modo di analizzare più avanti nel testo, riscritti da Petrarca e così chiosati dallo studioso: Petrarca «ha riscoperto essenza e regole della galanteria e magari ha ritrovato la radice emozionale di una meravigliosa favola formale».193 E mi sembra troppo fiduciosa la conclusione del suo discorso: «Su le certezze costruite attraverso tale tipo di analisi si fonda la linea di ricostruzione dei rapporti fra i manoscritti e il riordinamento della tradizione».194

Con molte meno certezze (e anche, va detto, con molti più mezzi, messi a disposizione dal «dio Moloch»195), ci disponiamo, sulle tracce di Fera, allo studio delle varianti di fase γ e β delle Epystole memori delle parole di Mann che ricostruiva romanticamente (ma a partire dalla filologia e dal modello indiscusso di Martellotti) il processo creativo petrarchesco:

La creazione petrarchesca comincia coll’eco incosciente, coll’ispirazione cioè da versi di scrittori classici accumulati, come dice lui (Fam., XXII 2), non nella memoria, ma nel sangue e nelle midolle; poi, in una seconda fase, l’ingegno critico cosciente si sveglia fissando con esattezza la presenza dell’identitas; poi finalmente viene l’atto creativo dove traspare l’autocoscienza critica del Petrarca: il rimaneggiamento del passo giudicato trasgressore, e una valutazione spesso piuttosto compiaciuta della nuova redazione: il mio è più sonoro di così!196

Data la vastità del materiale raccolto, verranno analizzati solo alcuni gruppi di varianti del I libro appartenenti ad una medesima epistola, oppure a un micro-ciclo di lettere, così da cominciare a delineare quelle

193

M. FEO, L’edizione critica, cit., pp. 249-50.

194 Ivi, p. 250. 195 Ibidem. 196

N. MANN, Aneddoti di una perfettibilità perpetua: il Petrarca autocritico, in «Cultura. Rivista trimestrale di filosofia, letteratura e storia», 19 1981, pp. 37-51: 45.

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microstrutture di cui si parlava, sulle quali poggia la forma-liber. Se infatti, scriveva De Robertis, «il nocciolo resta il dilemma (altra variante dell’heisenberghiano, e continiano, principio d’indeterminazione) tra analisi delle singole strutture e ripercorrimento, ossia visualizzazione del sistema»,197 allo stesso tempo «l’ordinamento delle serie è l’elemento fondamentale della constitutio textus».198 Per il resto dei dati, che saranno comunque cursoriamente richiamati nel corso dei capitoli, rimando, ancora una volta, alle tavole di varianti in apertura di tesi.

Lo studio delle varianti delle Epystole sarà quindi funzionale alla messa in luce del macrotesto, secondo modalità di indagine ancora in parte inesplorate per il Petrarca latino, e a lungo vagliate per quello volgare, a partire dalle ricerche di Santagata, che nel suo Dal sonetto al Canzoniere scriveva: «la variantistica: chiamata, in anni non lontani a sostegno di una immagine di Petrarca immobile nel tempo, oggi si presenta come lo strumento più raffinato per agganciare l’analisi puntuale e particolare a quella delle strutture, in un intreccio, ricco di suggestioni, tra sincronia e diacronia».199 Come per il Canzoniere, l’analisi si concentrerà sulle strutture intermedie, secondo la categoria introdotta da Segre,200 che ben si prestano a risolvere l’ineludibile «sintagmatica del discontinuo in una sintagmatica del continuo».201