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L’umorismo, però, insegna lo stesso Pirandello, prima che un modo di fare arte, è un atteggiamento mentale, una «disposizione d’animo» che serve da appoggio e da slancio per essere un vero umorista, dotato di quella «riflessione inserta nel germe del sentimento»:

Ogni vero umorista non è soltanto un poeta, è anche critico, ma – si badi – un critico sui generis, un critico fantastico: e dico fantastico non solamente nel senso di bizzarro o di capriccioso, ma anche nel senso estetico della parola, quantunque possa sembrare a prima giunta una contraddizione in termini. Ma è proprio così; e però ho sempre parlato di una speciale attività della riflessione.

Questo apparirà chiaro quando si pensi che se, indubbiamente, una innata o ereditata malinconia, le tristi vicende, un’amara esperienza della vita, o anche un pessimismo o uno scetticismo acquisiti con lo studio e con la considerazione dell’umana esistenza, sul destino degli uomini, ecc. possano determinare quella particolar disposizione d’animo che si suol chiamare umoristica, questa disposizione poi, da sola, non basta a creare un’opera d’arte.

Essa non è altro che il terreno preparato: l’opera d’arte è il germe che cadrà in questo terreno […]. Ma la nascita e lo sviluppo di questa pianta devono essere spontanei. Apposta il germe non cade se non nel terreno preparato a riceverlo, ove meglio cioè può germogliare.151

Le due citazioni sono state tratte dalla Parte seconda dell’Umorismo. Questa parte è allora completamente vòlta a chiarire non solo cosa sia tale forma d’arte e di pensiero, ma anche come crearla, fermando l’attenzione su un particolare elemento: la riflessione.

Attraverso essa si scompone il sentimento e si compone l’umorismo, visto come il frutto di un «intimo processo»:

[…] La mia […] non è, né vuole essere un’intima definizione, ma piuttosto la spiegazione di quell’intimo processo che avviene, e che non può non avvenire, in tutti quegli scrittori che si dicono umoristi.152

150 Ivi, p. 134.

151 Ivi, pp. 133-4.

152 Ivi, pp. 125-6.

Tale spiegazione viene sciolta di seguito nei vari oggetti d’analisi da prendersi in considerazione:

Vediamo, dunque, senz’altro, qual è il processo da cui risulta quella particolar rappresentazione che si suol chiamare umoristica; se questa ha peculiari caratteri che la distinguono, e da che derivano: se vi è un particolar modo di considerare il mondo, che costituisce appunto la materia e la ragione dell’umorismo. […] Ebbene, noi vedremo che in ogni concezione di ogni opera umoristica, la riflessione non si nasconde, non resta invisibile, non resta cioè quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira; ma gli si pone innanzi, da giudice; lo analizza, spassionandosene; ne scompone le immagini; da questa analisi però, da questa scomposizione, un altro sentimento sorge o spira: quello che potrebbe chiamarsi, e che io difatti chiamo il sentimento del contrario.153

«Sentimento del contrario» è appunto la definizione ultima che Pirandello dà dell’umorismo: per giungervi è necessario, però, passare attraverso l’«avvertimento del contrario», ossia ciò che contraddistingue il comico. Si situa in questo contesto il celeberrimo esempio della vecchia signora troppo imbellettata per la sua età: a un primo approccio – spiega l’autore – questa suscita in noi il riso, in conseguenza del fatto di avvertire alla sua vista il contrario di quello che ci saremmo aspettati da «una vecchia rispettabile signora»; applicando però, in un secondo momento, di subito successivo, quella particolare componente che è la già nominata riflessione, tale avvertimento si trasforma in sentimento e dal subire passivamente questa scena come comica, si passa a interpretarla attivamente come umoristica:

Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenerne a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a qual primo avvertimento, o piuttosto più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico.154

Si tratta di un processo non di avanzamento, ma di approfondimento; non superare, ma andare al fondo di quella che non deve restare solo un’impressione – altrimenti si darebbe luogo a una rappresentazione artistica in genere – ma deve diventare un’intuizione, plasmata dalle facoltà riflessive tanto di chi la crea, quanto di chi la recepisce. Solo così si potrà distinguere tra un autore comico e uno umoristico, e tra l’arte comica, l’arte umoristica e l’arte in genere.

153 Ivi, pp. 126-7.

154 Ivi, p. 127.

Prendiamo ora un altro paio di esempi di questa transizione, tratti, questa volta, da Alberto Cantoni, in particolare da un episodio dell’Altalena delle antipatie e da uno di Più persone ed un cavallo. Si veda il primo, dove protagonista è una coppia di novelli sposi in luna di miele:

[…] Io rimasi confinato al finestrino opposto, con mia moglie dirimpetto che seguitava a guardarmi continuamente.

Guarda guarda vien sonno a tutti ed ella si addormentò.

La luce blanda del lanternino arrivava appena a colorirla il viso, ed i bellissimi capelli d’oro, ravvolti così nella penombra, le diffondevano intorno come una sottile e leggera corona di gioventù. […] Mia moglie dormiente era mille volte più bella di mia moglie sveglia. […] Il mio maggiore studio durante la luna di miele è stato quello di farla dormire più che ho potuto. […] Quando mi sentiva men contento del matrimonio in generale, e del suo particolar sistema di fare sempre di sé ciò che essa poteva credere giorno per giorno che più piacesse a me […] allora io non aveva a far altro che guardarla bene quando dormiva, per dimenticare immediatamente le sue cantonate di bimba, quando era desta.

Oh se fossi stato poeta! Che messe di idealità nei primi giorni del mio matrimonio!

Avrei potuto fare tutto un canzoniere, e sul suo modo di dormire allorché non ne poteva più e si rifaceva delle grandi corse della giornata, e sul suo sonno della mattina quando era ancora un po’ stanca e non poteva svegliarsi che a mezzo, e su qualche breve pisolino che la mia buona stella le ispirava di schiacciare durante il giorno, colla testa china sulla mia spalla, mentre un raggio di sole rinfranto dai vetri le coloriva dolcemente le carni rosate.

Avrei potuto cantare come dormiva di giorno, come di notte, come all’alba e come più tardi, e sempre bene, contemperando armonicamente la quiete del corpo colla suprema pace dello spirito, senza sogni, senza trasalimenti, come trasfigurata ogni volta da una serena estasi nuova.

L’ho guardata tanto in quei primi e faticosissimi tempi, che qualche volta, quando si svegliava lei, moriva di sonno io.155

L’umorismo è il «sublime a rovescio», aveva scritto il tedesco Friedrich Richter (Jean Paul),156 e in queste righe ben lo si vede. Il capovolgimento è doppio: in un primo

155 ALBERTO CANTONI, L’altalena delle antipatie, cit., pp. 303-4-5.

156 Cfr. JEAN PAUL, Il comico, l’umorismo e l’arguzia. Arte e artificio del riso in una “Propedeutica all’estetica” del primo Ottocento, a cura di Eugenio Spedicato, Padova, Il poligrafo, 1994. Richter è noto come uno dei più famosi umoristi tedeschi del Settecento, certamente conosciuto e letto anche dai nostri soggetti. Italo Svevo lo ricorda nel Profilo autobiografico fra le sue letture giovanili: «Conobbe i maggiori classici tedeschi e in primo luogo amò i romanzi di Friedrich Richter (Jean Paul) che certamente ebbero una grande influenza nella formazione del suo gusto» (ITALO SVEVO, Profilo autobiografico, cit., p. 4). Pirandello fa il suo nome nell’Umorismo in più luoghi del saggio: nel capitolo La parola umorismo, più volte lo si ricorda citato da Alessandro D’Ancona, «in quel suo notissimo studio su Cecco Angiolieri da Siena» (cfr. LUIGI PIRNDELLO, L’umorismo, cit., pp. 17-25); nelle Questioni preliminari, più in particolare, è chiamato in causa a proposito del confronto tra lo spirito antico e quello moderno:

«Notissima, la distinzione di Gian Paolo Richter tra comico classico e comico romantico: facezia grossolana, satira volgare, derisione de’ vizii e dei difetti, senza alcuna commiserazione o pietà, quello;

umore, questo, cioè riso filosofico, misto di dolore, perché nato dalla comparazione del piccolo mondo finito con la idea infinita, riso pieno di tolleranza e di simpatia» (ivi, p. 33). Ancora, la citazione del tedesco si trova in Umoristi italiani, capitolo VI della Parte prima: qui si ricorda un’ulteriore rassegna, stesa dall’Arcoleo, nella quale fu fatto entrare Jean Paul, annoverato fra i creatori di un umorismo generato da «dubbio e scetticismo – “ridere del proprio pensiero”»: «[…] Tra gli umoristi […] [sono citati] due tedeschi, Richter e Heine, tre inglesi, Carlyle, Dickens, Thackery e poi… Marco Twain» (ivi, pp. 115-6). Lo spazio più ampio dedicato a Jean Paul compare all’inizio della Parte seconda, capitolo I, Essenza, caratteri e materia dell’umorismo, grazie a una nota che completa una definizione di umorismo data proprio da Richter – e lì trascritta – la quale, evidentemente, tenta di rispondere alla medesima domanda che pone anche il siciliano in apertura di paragrafo, ossia «Che cosa è l’umorismo?»: «La

momento è dato dal passaggio dalla descrizione poetica della moglie sveglia, a quella del suo sonno; successivamente il finale rovescia del tutto quanto di sublimante era stato scritto prima, non lasciando più dubbi sulla natura umoristica dell’intero passo. La caduta si verifica proprio con il gioco di parole che segna il passaggio dal sonno di lei, al sonno di lui: se il primo è naturale e quasi estatico, il secondo è causato da noia e sfinimento, sia per la continuità dell’osservazione, sia per la pesantezza di quei «primi e faticosissimi tempi» matrimoniali.

Tentiamo di accostarci a questo passo con l’approccio insegnatoci dal Pirandello, grazie all’esempio della vecchia signora: a una prima impressione avvertiamo, anche in questo caso, qualcosa che procede contrariamente a quanto ci aspetteremmo, ossia che l’affezione del marito per la moglie non si sviluppa nei momenti d’interazione e di intimità, ma al contrario, quando la donna, dormendo, lo “libera” della sua presenza – evidentemente assillante. «Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere» – scriveva il siciliano; ugualmente in questo caso il riso si scatena perché avverto che quella luna di miele è il contrario di come una felice e ben augurante luna di miele dovrebbe essere.

Subentra però la riflessione, la quale porta il lettore a scavare in profondità dentro quel primo e superficiale avvertimento, per soffermarsi sull’origine dell’atteggiamento dissonante del marito nei confronti della moglie. Esso deriva dal fatto che – come scrive lo stesso autore nel corso della storia – la donna era stata sposata non per amore, ma per comodo, perché il matrimonio era stato usato come «universale panacea»157 di cui

caratteristica, ad esempio, di quella tale peculiar bonarietà o benevola indulgenza che scoprono alcuni nell’umorismo, già definito dal Richter “malinconia di un animo superiore che giunge a divertirsi finanche di ciò che lo rattrista” […] non si trova[no] in tutti gli umoristi». La nota che segue la definizione così scrive: «Del Richter si possono citare parecchie definizioni. Egli chiama anche l’umorismo “sublime a rovescio”»; Pirandello ricorda poi di aver già citato il tedesco parlando di riso moderno e antico, chiudendo con la ripresa dell’«idea che annienta», altra espressione jeanpouliana (ivi, pp. 121-2). Infine Alberto Cantoni: il mantovano si discosta dagli esempi precedenti, perché, seppur dichiara si aver letto il tedesco, probabilmente in giovane età, come fece Svevo, lo esclude dalla propria personale lista dei «maggiori umoristi», redatta in una lettera al Villari in cui ammette di non averlo

«gustato». Qui, fra gli autori più o meno approfonditi, si elencano i nomi di Merlin Cocai, Heine, Sterne, Swift, Thackeray, Rabelais, Erasmo, Cervantes, mentre «di Jean Paul quasi niente perché non l’ho gustato». Vd. lettera CXLI, Alberto Cantoni a Luigi Antonio Villari, spedita da Mantova il 30 marzo 1900, in ELIO PROVIDENTI, cit., pp. 127-8-, p. 128.

157 Una visione negativa del matrimonio è illustrata anche nel racconto di Italo Svevo, Corto viaggio sentimentale. Il tema della vita matrimoniale triste e avvilente, consueto anche in Pirandello, è interessante in questo testo per la consonanza con Cantoni: mantovano e triestino sono molto simili nel giocare con l’opposizione fra ciò che sembra e ciò che realmente è negli atti e nei pensieri dei coniugi protagonisti e nel mostrare come tali fraintendimenti complichino ulteriormente il rapporto fra marito e moglie. Si legge nel testo sveviano: «Ogni malessere che sentiva il signor Aghios lo diceva vecchiaia, ma pensava che una parte di tale malessere gli venisse dalla famiglia. […] E la ruggine proveniva sicuramente dalla famiglia, l’ambiente chiuso ove c’è muffa e ruggine. Come non irrugginire in tanta monotonia? Vedeva ogni giorno le stesse facce, sentiva le stesse parole, era obbligato agli stessi riguardi e anche alle stesse finzioni, perché egli tuttavia accarezzava giornalmente sua moglie che certamente lo

servirsi per curare i frequenti cambi d’umore che affliggono il protagonista, nevrotico e nevrastenico:

Io sono una specie di saliscendi fatto persona […]. Io mi conosco, dunque mi curerò da me. […] L’anima inferma vuole che si agisca su di lei mediante i simili, più che mediante i semplici, però vuole per primo, anzi per primissimo rimedio eroico, il matrimonio.158

Riflettendo su queste spiegazioni precedentemente lette, il lettore passerà dal riso al sorriso amaro e malinconico, «perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario» – come spiega Pirandello, il quale conferma anche che

Trovo questo sentimento del contrario, qualunque esso sia, che spira in tanti modi dalla rappresentazione stessa, costantemente in tutte le rappresentazioni che soglio chiamare umoristiche.159

L’atteggiamento del marito nei confronti della moglie è, dunque, molto più complesso di quello proprio di un marito assente o di una moglie stanca della routine coniugale: si tratta di un groviglio alquanto contorto, perché minato al proprio interno da un dramma di natura mentale, psicologica.

La differenza con quella che, invece, è una più consueta crisi coniugale, si esplicita, ad esempio, dal confronto con questa frase che il narratore interno,

meritava. Persino la sicurezza di cui si gode in famiglia addormenta, irrigidisce e avvia alla paralisi» (p.

145). Aghios è il marito, protagonista della storia e di quest’apertura da commedia degli equivoci: gli anziani coniugi devono salutarsi per la partenza temporanea di lui, il quale si recherà a Triste, mentre la moglie, per scelta, resterà a Milano con il figlio. Il distacco, seppur desiderato da entrambi, tarda paradossalmente ad arrivare perché entrambi temono di ferire l’altra metà: «La decisione era stata difficilissima proprio perché ambedue l’avevano desiderata e ambedue per raggiungerla sicuramente avevano creduto necessario di tener celato il loro desiderio». L’autore, dunque, fa umoristicamente osservare al lettore quanto marito e moglie vogliano la medesima cosa, ma continuino a fingere il contrario, comportandosi, di conseguenza, goffamente e grottescamente; da qui la forzatura del saluto d’addio: «“Già, adesso non c’è più tempo. […] Addio!” e le offerse il bacio dell’addio. Essa si lasciò baciare sulla guancia e lo baciò poi anche lei sulla guancia. Ei si guardò d’intorno cercando di trovare un altro segno d’affetto da darle. Trovò! Le prese la destra e la portò alle labbra. Era lietissimo di aver trovato. La solitudine a cui si avviava sarebbe stata abbellita da tale congedo». Il clichè della scena romantica e straziante di due innamorati che si separano accorati l’uno dall’altra, crolla completamente a fronte della ricerca ostenta di un saluto affettuoso, che anziché sorgere dal cuore, si presenta solo dopo grande impegno di finzione, coronata dall’esclamazione «Trovò!». Non appena i due furono fisicamente distanti, questa è infatti la reazione di Aghios: «La fine elegante figura della moglie che da vicino si scorgeva un po’ disseccata dall’età, ora, come il movimento del treno aumentava la distanza fra di loro, gli appariva veramente graziosa […]. […] Pensò: “più m’allontano da lei più l’amo”. […] Sentiva di amare la moglie più che mai or che non la vedeva affatto […]» (p. 153-4). Vd. ID, Corto viaggio sentimentale, in Corto viaggio sentimentale ed altri racconti inediti, a cura di Umbro Apollonio, Milano, Mondadori, 1949; qui in Racconti, Saggi e pagine sparse, cit., pp. 143-219, pp. 145; 141; 153; 153-4.

158 ALBERTO CANTONI, L’altalena delle antipatie, pp. 290-1. Si rimanda alla trattazione dell’Altalena delle antipatie fatta nel corso di questo studio all’interno del capitolo dedicato a Cantoni.

159 LUIGI PIRANDELLO, L’umorismo, cit., p. 132.

ironicamente, pronuncia in Montecarlo e il casino, dove ugualmente fra i personaggi principali vi è una stanca coppia di sposi:

La signora – una piacevole e bionda genovese […] – la signora, dico, mi diede bastantemente a’ nervi, almeno dapprincipio. Capisco anch’io che, quando si ha il marito accanto, si può benissimo discorrere con un primo venuto che provi di avere, come il nostro napoletano, maniere servizievoli e gentili, ma fargli capire e subito e poi e sempre che non si chiedeva di meglio […] via non va bene.160

Da questo graffiante commento non emerge problematico umorismo, ma una molto più diretta ironia, la quale non esclude, né cela, il giudizio e la presa di posizione nei confronti del proprio bersaglio, la donna capricciosa e pedante – per di più ridendone alle spalle del marito, evidentemente incapace di soddisfare l’esigente mogliettina tutto pepe.

L’umorismo, invece, non è qualcosa di così esplicito, tanto da essere anche poco chiaro in quel che vuole comunicare; scrive ancora Pirandello nel suo saggio:

Io mi pongo dinanzi qualunque rappresentazione artistica, e mi propongo soltanto di giudicarne il valore estetico. Per questo giudizio, ho bisogno innanzi tutto di sapere lo stato d’animo che la rappresentazione artistica vuol suscitare; lo saprò dall’impressione che ne ho ricevuto. Questo stato d’animo, ogni qual volta mi trovi innanzi a una rappresentazione veramente umoristica, è di perplessità: io mi sento come tenuto tra due: vorrei ridere, rido, ma il riso mi è turbato e ostacolato da qualcosa che spira dalla rappresentazione stessa. Ne cerco la ragione. Per trovarla non ho affatto bisogno di sciogliere l’espressione fantastica in un rapporto etico, di tirare in ballo il valore etico della personalità umana e via dicendo.

Trovo questo sentimento del contrario […]. Perché limitarne eticamente la causa, oppure astrattamente, attribuendola, ad esempio, al disaccordo che il sentimento e la meditazione scoprono fra la vita reale e l’ideale umano o fra le nostre aspirazioni e le nostre debolezze e miserie? Nascerà anche da questo, come da tantissime altre cause indeterminabili a priori. A noi preme soltanto accertare che questo sentimento del contrario nasce, e che nasce da una speciale attività che assume nella concezione di siffatte opere d’arte la riflessione. 161

Evitare di «tirare in ballo il valore etico della personalità umana» significa non lasciarsi andare all’indignazione morale propria della derisione, come accadrebbe fermandosi al primo stadio dell’analisi che Pirandello c’insegna, cioè all’avvertimento.

Riflettiamo allora sul quel secondo esempio cantoniano poco sopra annunciato, tratto dal racconto Più persone e un cavallo, e in particolare da un momento descrittivo del protagonista della vicenda, un colonnello in viaggio da Genova verso Palermo:

[Il colonnello] guardava fermo in viso nel discorrere e si esprimeva sempre con molta disinvoltura, ma vi era pure un ché di così curioso nel suo modo di parlare, da valere proprio la pena che io mi studi di darlo ad intendere, per difficile a dire che esso sia. Appena cioè i suoi discorsi tendevano ad animarsi un pochino, e subito subito la sua voce principiava a discendere anziché a salire, per

160 ALBERTO CANTONI, Montecarlo e il casino, «Nuova Antologia», anno XVI, serie II, vol. XXIX, fasc.

2, 15 ottobre 1881, in L’umorismo nello specchio…, cit., pp. 161-89, p. 162.

161 LUIGI PIRANDELLO, L’umorismo, cit., pp. 131-2.

assumere poi dei toni tanto più morbidi e tanto più carezzevoli quanto più, seguitando egli ad animarsi, avrebbero dovuto essere più risentiti e più forti. Era indole contraddittoria? Era studio per far più effetto? Io non me lo sapeva dire, ma è certo che nessuno si è mai imbattuto in un più palmare contrasto fra la voce di un uomo e il sentimento delle sue parole.162

Se i dati biografici forniti dall’autore a proposito del suo personaggio si fermassero qui, avvertiremmo un «contrasto» e ne rideremmo, perché sarebbero deluse le nostre aspettative basate su quanto normalmente avviene nell’atteggiamento e nella circostanza descritti. Proseguendo nella lettura, ci vengono però fornite ulteriori informazioni sulle quali è opportuno riflettere per interpretare diversamente le strane caratteristiche del personaggio. Il colonnello, dopo un lungo discorrere con il narratore / compagno di viaggio, risponde all’invito di recarsi a dormire:

«Sì, io mi son tenuto più che ho potuto, ma nonostante ci ho qui il mio scellerato cuore che si fa sentire, e che ora mi dà una stretta, ora mi pesa come una macina da mulino.

Andiamo a letto.»

Accolsi questa confidenza come s’accoglie, alla frutta, un pero passato da parte a parte. Io aveva dunque innanzi un’altra allegria: un uomo cioè sempre assorto nella cura preventiva dell’aneurisma, e che però, non volendosi eccitare mai e poi mai, vigilava attentamente i propri discorsi con quel suo sistema di chiaroscuro… capovolto.163

Non è più spontaneo, allora, ridere di quello strano modo di governare il tono di voce, ma viene da sorridere «melanconicamente», ora che se ne conosce la triste causa.

È come se, grazie alla riflessione, il sentimento venisse ordinato, non lasciato alla scompostezza iniziale – quand’esso è ancora dominato solo dall’istinto e dall’impulsività – ma guidato verso la giusta direzione, per comprendere, anche esteticamente, cosa davvero la forma d’arte cui ci si trova di fronte voglia comunicare:

[…] Nella concezione di un’opera d’arte la riflessione è quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira. Volendo seguitar quest’immagine, si potrebbe dire che, nella concezione umoristica, la riflessione è, sì, come uno specchio, ma d’acqua diaccia, in cui la fiamma del sentimento non si rimira soltanto, ma si tuffa e si smorza: il friggere dell’acqua è il riso che suscita l’umorista; il vapore che ne esala è la fantasia, spesso un po’ fumosa, dell’opera umoristica.164

Nasce da qui anche una certa scompostezza formale di quest’ultima, in quanto digressioni e traversie vi sono insite per definizione, ossia per il compito che all’interno vi assolve la riflessione, fine ultimo della quale è far nascere immagini e vicende contrastanti fra loro: opposizione e doppiezza sono il cuore dell’umorismo.

162 ALBERTO CANTONI, Più persone ed un cavallo, edito nella raccolta Il demonio dello stile, Firenze, Barbèra, 1881; poi nella raccolta Humour classico e moderno, Firenze, Barbèra, 1899, in L’umorismo nello specchio…, cit., pp. 447-63, p. 448.

163 Ivi, p. 342.

164 LUIGI PIRANDELLO, L’umorismo, cit., p. 132.