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L’invenzione è «Ideazione, creazione o introduzione di oggetti, prodotti o strumenti nuovi, o anche soltanto di un metodo di produzione materiale o intellettuale, e in genere

di quanto può rendere più facile il lavoro, determinare attività nuove, contribuire al progresso della conoscenza e delle abilità tecniche»22

L’invenzione è quindi un qualcosa che può semplificare le attività da svolgere o, definita con un linguaggio economico, è un’idea che permette dei miglioramenti in termini di efficacia e/o efficienza. Per questo esistono creazioni che, seppur originali ed apparentemente utili per le società, vengono inesorabilmente bocciate perché non permettono quei miglioramenti tali da accrescere i benefici di chi le adotta. In altre parole i costi di sviluppo annullano i progressi derivanti dall’invenzione e la rendono poco appetibile ai mercati. Esistono anche delle situazioni in cui la creazione, pur azzerando i profitti di chi la impiega, apporta benefici alle persone e/o all’ambiente che ci circonda. In questi casi sono spesso gli enti, le associazioni a scopo mutualistico o più in generale lo Stato a sostenere determinati costi per il bene della comunità.

Ho introdotto questi concetti perché le case automobilistiche si trovano nuovamente di fronte al dilemma di come investire i capitali accumulati per sostenere la domanda delle auto ed evitare un collasso dei mercati di riferimento. In parte l’esigenza nasce dalla recente crisi finanziaria, che ha manifestato tutte le debolezze dell’industria automobilistica, ed in parte è una richiesta della società esasperata dai rincari del prezzo dei carburanti, dall’insicurezza sulle strade, dall’aumento dei tassi d’inquinamento, etc. Le soluzioni tecnologiche o le “invenzioni” che vengono ultimamente presentate ai saloni internazionali, sulle piattaforme digitali o sui media tradizionali sono tra le più disparate e non tutti gli investimenti saranno necessariamente ripagati dalla società, o sarebbe meglio dire dalle società. Difatti, così come la comunicazione può viaggiare tra un paese e l’altro anche la tecnologia ha i suoi metodi di trasmissione e, allo stesso modo, più o meno difficoltà di essere recepita, interferenze annesse. Ci sono tecnologie che, a seconda del paese (o di una regione, addirittura di un’area) vengono accettate pacificamente ed

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altre che vengono adottate in maniera distorta, altre ancora non verranno prese in considerazione neanche tra 50 anni.

Questa ricerca non è volta a comprendere se sia un bene o un male impiegare determinate tecnologie, piuttosto è volta a capire se vi sia un filo logico tra le preferenze delle persone nell’adottarle, analizzando la natura della creazioni in ambito automobilistico e le loro proprietà agentiche. Pertanto l’intento è di capire se esistono dei fattori comuni nell’interazione tra gli individui e gli oggetti per cui è preferibile investire in una tecnologia piuttosto che in un’altra. La ricerca si focalizza sull’analisi delle preferenze e delle opinioni di alcuni soggetti, in Italia, in merito all’utilizzo dei dispositivi e/o accessori che si possono trovare a bordo di un’auto.

4.1) Il Modello di Ricerca

La ricerca è stata condotta seguendo lo schema classico delle indagini di mercato e di marketing, ovvero tenendo conto di sei fasi utili per il ricercatore nell’avere sempre in mente gli obiettivi e minimizzare ogni tipo di errore:

1. Definire gli obiettivi della ricerca;

2. Identificare i dati di cui abbiamo bisogno; 3. Identificare le fonti di dati;

4. Disegnare la strategia di raccolta dei dati; 5. Analizzare e interpretare i dati;

6. Presentare i risultati della ricerca.

In questo capitolo verranno affrontati i primi quattro punti, con una particolare attenzione alla metodologia impiegata per la raccolta dei dati. Spiegare quale sia la metodologia utilizzata è utile sia per chi scrive, ma anche per chi leggerà i risultati perché l’importanza di qualsiasi forma di ricerca verte nella comprensione di un determinato fenomeno. E se precedentemente le incomprensioni erano dovute principalmente ai calcoli, alla mancanza di nozioni di tipo matematico-statistico, alla difficoltà di trovare un dato, con l’introduzione di Internet gli errori hanno in parte cambiato natura. Grazie ai big data e ai software di analisi qualsiasi ricercatore con un minimo di esperienza può costatare la

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semplicità di reperire e studiare un dato, ma la differenza sta nella qualità del dato stesso. La fase di reperimento dei dati dipende dagli obiettivi prefissati e dai metodi impiegati, perciò può fare appello a differenti tipologie di ricerca (esplorativa, descrittiva o causale, qualitativa o quantitativa). Nel mio caso ho scelto di fare affidamento sulla forma esplorativa attraverso il metodo flessibile delle interviste in profondità semi strutturate. A causa del volume delle informazioni gli errori più comuni si celano nella superficialità di trarre conclusioni giustificate dai numeri, il che comporta uno spreco di tempo e risorse. È un po' quello che sta accadendo nell’industria automobilistica, dove è difficile determinare quale sia la tecnologia che consente maggiori margini di profitto. Eppure la frenesia di impossessarsi per primi di un’invenzione per poi promuoverla, fa perdere di vista gli obiettivi principali. Il fenomeno si può ben notare se mettiamo a confronto il numero dei dispositivi di cui può essere dotato un veicolo e gli accessori che vengono effettivamente scelti in fase d’acquisto, soprattutto quando veniamo a conoscenza del sovrapprezzo; sono come la punta di un iceberg che cela il volume che sta sotto il pelo dell’acqua, i sintomi di cause nascoste che vengono manifestate dagli individui in forme non sempre comprensibili. Non a caso sto parlando della qualità dei dati: per quanto l’automobile si presenti sotto forma di un bene, ed effettivamente lo è, le sue caratteristiche messe in mostra anche dagli accessori presentano un prodotto quanto più vicino ad un servizio. E per indagare i fenomeni di un servizio facciamo più affidamento sulle ricerche qualitative che quantitative, per cercare aspetti i cui i numeri non sanno rispondere. Immaginando che gli optional siano i dati, lo scopo è quello di selezionare alcuni accessori in modo da provare a rispondere alle seguenti domande:

 Esistono delle caratteristiche comuni tra i dispositivi preferiti e/o rifiutati?  Se esistono, sono dovute alle capacità dei dispositivi o sono riconducibili ai

consumatori?

 Se provengono dai dispositivi, esiste un limite di tolleranza sopra il quale i consumatori non sono disposti ad interagire con loro?

Si può notare come queste tre domande si occupano di un argomento già affrontato nel secondo capitolo, cioè delle proprietà “agentiche” degli oggetti. Vorrei specificare che lo studio di tale argomento può essere applicato ad altri campi, anzi coinvolge ogni tipo di

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oggetto che si dimostri attivo in una rete di relazioni. Quindi anche se l’obiettivo principale è quello di esaminare le preferenze dei consumatori in merito agli accessori di cui sono dotate le auto, una finalità della ricerca è quella di essere da spunto a successivi studi. Ora che sono stati tracciati gli obiettivi principali passeremo ad identificare i dati e le fonti da cui sono partito.

4.2) Le caratteristiche dei dati: gli Accessori

Se andiamo ad analizzare letteralmente la parola «accessorio», questa viene generalmente definita come un’aggiunta rispetto alla componente principale. Nel mondo delle auto questa spiegazione poteva avere una valenza fino a dieci anni fa, ma con il progredire della tecnologia è diventato difficile stabilire cosa sia realmente accessorio. Come spesso accade in una società il valore semantico di una parola viene a cristallizzarsi dopo che si è consolidata una pratica, quella che definiamo solitamente uso o abitudine. In Italia si è sempre fatto largamente uso della parola anglosassone «optional» per identificare la prassi di pagare un sovrapprezzo per tutti quei dispositivi non inclusi nella product offering base. Praticamente i vari Brand identificavano dei modelli nella produzione, a determinati prezzi, che dovevano rispondere a caratteristiche specifiche e fissare le linee guida per i consumatori. Successivamente si offrivano gli stessi modelli con caratteristiche in più o personalizzati a seconda delle esigenze dei clienti ad un prezzo maggiorato. Per lungo tempo gli attributi che costituivano il sovrapprezzo hanno rispecchiato le stesse caratteristiche tanto che nella mente dei consumatori si sono radicati degli schemi. Ad esempio i modelli in pronta consegna erano tipicamente scarni di accessori, ma se questi ultimi erano presenti, rientravano in un range di scelta approssimativamente ridotto: parlando di tempi non così remoti potevamo scegliere di accessoriare la nostra automobile con sedili in pelle, aria condizionata, alzacristalli elettrici, airbags, etc. Praticamente il modello base rispecchiava il senso letterale del termine. Pensando alle auto che ci sono ora in commercio, provate a definire gli optional. Non nego che pur essendo un appassionato di auto spesso mi trovo in difficoltà a stabilire le caratteristiche di un modello base perché sono saltati quegli schemi mentali sopracitati. Cosa è cambiato in questi anni, tanto da creare tale confusione?

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La risposta non è univoca, anzi è la concomitanza di fattori che persistono nel tempo a portare il cambiamento. In primo luogo è stata la tecnologia proposta dalle case automobilistiche, che ha ampliato enormemente la gamma delle personalizzazioni; in secondo luogo la legge con l’introduzione di obblighi nella produzione, sia nel campo dei materiali che nella componentistica. In terzo luogo un cambiamento nella percezione di benessere, sempre più sofisticato ed alla ricerca di oggetti che distraggano dallo stress quotidiano. Si può aggiungere anche il diverso atteggiamento che le persone hanno nei confronti dell’automobile, dovuto in parte all’avvento di Internet. Se prima si percepiva una certa passione ed interesse verso l’auto soprattutto dalla compagine maschile, ora non si avverte più questo entusiasmo. Mettiamoci nei panni di un consumatore che venti anni fa voleva acquistare un’automobile. Preso dalla ricerca delle informazioni, avrebbe girato la maggior parte delle concessionarie presenti nella sua città (se non oltre) prima di prendere una decisione. Prendendo personalmente visione delle caratteristiche del veicolo era maggiormente coinvolto nell’esperienza d’acquisto ed metteva in funzione più sensi di quanti se ne possano attivare attraverso una ricerca sul web. Ora attraverso Internet si può fare una scrematura delle opzioni d’acquisto e successivamente recarsi sul luogo per constatare alcuni aspetti. Di conseguenza si riduce anche l’interesse a conoscere tutti gli aspetti del mezzo che si va ad acquistare: l’importante è che ve ne siano alcuni.

Quindi quali sono i dati da considerare ai fini della nostra ricerca?

Bisogna tralasciare tutti gli accessori o caratteristiche che sono oramai comprese nei modelli base proposti ed inoltre escludere tutti quei dispositivi di cui il cliente non verrà mai a conoscenza (anche se sempre in funzione), perché il loro grado di “agenticità” sarà difficilmente rilevato. Per rispettare questa premessa ho precedentemente condotto una ricerca generale degli accessori più richiesti in Italia secondo varie fonti, in particolare seguendo i dati pubblicati da Driver K a seguito di un test svolto su 1000 soggetti. Nella Tabella 9 sono riportati gli accessori su cui ho condotto il mio studio. Prima ho adottato una suddivisione secondo quella che potrebbe essere la loro dimensione agentica, in base alla minore o maggiore capacità di interagire con le persone. Mi sono astenuto dall’esprimere un grado ben definito perché ritengo inverosimile che ognuno di noi percepisca allo stesso modo gli stimoli che derivano dall’ambiente. Ad esempio, facendo riferimento all’infotainment è evidente che svolga solamente le funzioni impostate da una persona, ma una volta settate ci sono alcune operazioni che si attivano in automatico.

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Il che rende difficile attribuire una scala di valori all’accessorio a causa dei molteplici effetti che può avere su una persona. Lo stesso discorso potrebbe valere per il sistema di navigazione, che in questo caso è considerato nella colonna di destra per il semplice fatto di parlare al conducente, una funzione che attribuisce una personificazione all’oggetto. Anche gli airbags (in questo caso sono considerati gli airbags esplicitamente richiesti in aggiunta dall’acquirente e non quelli previsti per legge), seppur considerati una componente passiva, celano un loro grado di agenticità nel momento in cui entrano in azione. Il kit estetico sportivo invece (può comprendere cerchi in lega, scarichi maggiorati, componenti in carbonio, design accattivante, etc.) dovrebbe avere delle capacità relativamente basse d’interazione con le persone durante il viaggio, mentre il suo potenziale cresce quando l’auto è vista dall’esterno. Paradossalmente la sua comunicazione è più marcata verso gli spettatori di quanto non sia per i passeggeri.

Tabella 9: Dimensione Agentica degli Accessori

Minor capacità Maggiore capacità

Impianto Audio di Qualità Sistema Anti Collisione

Wi-fi/Infotainment Sistema di Navigazione

Kit Estetico Sportivo Controllo Automatico Velocità

Interni in Pelle Parcheggio Assistito

Più Airbags Indicatore Perdita di Pressione

Pneumatici

Accensione Automatica Fari e Tergicristalli

Rilevatore Acustico di Ostacoli Posteriori City Breaking (frenata in caso di

collisione)

Accensione Automatica Luci d’Emergenza (in caso di forte

decelerazione)

Hill Assist (per partenze in salita) Start&Stop

Cambio Automatico

Una volta identificati gli accessori, il successivo passo per semplificare il lavoro di ricerca ancor prima di creare le batterie di domande da porre agli intervistati è stato quello di operare una seconda suddivisione. Tra i dispositivi che si caratterizzano per le maggiori

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proprietà agentiche vi sono alcuni che hanno bisogno di essere impostati o compartecipano all’attività di guida, mentre altri operano in completa autonomia.

Per questo nella Tabella 10 si tiene conto dell’impronta autonoma degli accessori, prendendo in considerazione solamente i dispositivi con maggiori capacità agentiche, inclusi i sistemi d’infotainment per le loro proprietà ed il loro successo.

Tabella 10: Autonomia dei Dispositivi

Minor Autonomia Maggior Autonomia

Sistema di Navigazione Sistema Anti Collisione Controllo Automatico Velocità Indicatore Perdita di Pressione

Pneumatici

Cambio Automatico Accensione Automatica Fari e Tergicristalli

Parcheggio Assistito Rilevatore Acustico di Ostacoli Posteriori Star&Stop City Breaking (frenata in caso di

collisione)

Wi-fi/Infotainment Accensione Automatica Luci

d’Emergenza (in caso di forte decelerazione)

Hill Assist (per partenze in salita)

Significativo è il numero dei dispositivi che si mettono in funzione automaticamente e si sostituiscono all’attività del guidatore. Anche tra quelli che operano con minor autonomia, una volta impostati, agiscono esonerando il guidatore dallo svolgere alcuni mansioni. Ciò potrebbe avere i seguenti effetti: quello di creare meno stress alla guida aumentando la sicurezza per i passeggeri e per l’ambiente esterno (sicurezza uguale prevenzione di costi di diversa natura ed entità); oppure al contrario di aumentare lo stress per via dell’intromissione dei dispositivi durante il viaggio; di intensificare le distrazioni a discapito della sicurezza (ciò vale più che altro per i sistemi di infotainment e di navigazione); quello di ridurre le abilità di guida nel tempo e di abituarsi alla presenza degli accessori, tanto da attribuirgli un’importanza crescente. E credo fermamente che le risposte alle domande impostate come obiettivi di ricerca si celano nella condizione di coscienza/incoscienza di un individuo nell’utilizzo di tali dispositivi.

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4.3) Le fonti: i Consumatori tra Atteggiamenti e Comportamenti

Individuare la fonte dei dati è sempre stata una prerogativa del ricercatore ed una operazione per niente scontata. Il problema è dovuto al fatto che i comportamenti che mettono in atto i consumatori sono tra i più disparati e mutevoli. Ciò rende difficile per il Marketing stabilire, a seconda dei casi, quali siano le fonti su cui fare affidamento per giustificare futuri investimenti. Negli anni Cinquanta, con l’elaborazione di alcuni studi, è stato messo in risalto che il consumatore tende ad assumere un atteggiamento attraverso un modello bipolare quando è chiamato ad esprimere una valutazione. In pratica dà un giudizio positivo o negativo, o si astiene quando l’atteggiamento è indifferente, e di conseguenza adotta un determinato comportamento. La stessa antropologa Mary Douglas, nelle ricerche sul comportamento di consumo come forma di comunicazione, faceva notare questo atteggiamento tra le persone, spiegando che per comprendere un individuo è più facile partire da ciò che non gradisce, esclude o non prende in considerazione, piuttosto che concentrarsi su ciò che preferisce. Allo scopo di prevedere il comportamento del consumatore, uno dei primi schemi impiegato per la misurazione dell’atteggiamento verso un oggetto o una marca è stato proposto da Fishbein (Figura 5).

Figura 5: Formula analitica del modello multiattributo (atteggiamento verso un oggetto)

𝐴

0

= ∑ 𝑏

𝑖

𝑒

𝑖 𝑛

𝑖=1

𝐴

0

= atteggiamento verso l’oggetto 0

𝑏

𝑖 = intensità della convinzione che l’oggetto possieda l’attributo i

𝑒

𝑖 = valutazione dell’attributo i

i = attributi dell’oggetto (1-n)

Al di là del fatto che il modello mostra delle difficoltà interpretative quando emergono degli atteggiamenti neutri, si presuppone che un intervistato sappia rispondere in maniera alquanto razionale. E per l’acquisto dell’automobile è molto probabile che un individuo assuma un atteggiamento generalmente razionale, perché stiamo parlando di un prodotto costoso in termini monetari e dispendioso nella ricerca d’informazioni. Quando facciamo riferimento al mercato delle auto parliamo più di acquisti straordinari, che di impulso. Eppure in fase d’acquisto si verificano spesso dei comportamenti diversi dagli

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atteggiamenti rilevati. Lo stesso Fishbein rielabora la precedente formula per indagare l’atteggiamento verso un comportamento d’acquisto piuttosto che considerare l’oggetto in quanto tale (Figura 6).

Figura 6: Formula analitica del modello multiattributo

(atteggiamento verso un comportamento)

𝐴

𝑏

= ∑ 𝑏

𝑖

𝑒

𝑖 𝑛

𝑖=1

𝐴

𝑏

= atteggiamento verso il comportamento b

𝑏

𝑖 = intensità della convinzione che il comportamento conduca all’esito i

𝑒

𝑖 = valutazione dell’esito i

i = esiti del comportamento (1-n)

Anche se la formulazione non è dissimile dalla precedente la prima differenza è che in questo caso vengono studiate le relazioni tra comportamento ed esiti attesi. La seconda è che vengono messi in secondo piano tutti gli elementi di valutazione diretta dell’oggetto. Anche questo modello presenta dei limiti perché non risolve la complessità per un consumatore nel rispondere a domande astratte, e in ogni caso non tiene conto del peso dei rapporti sociali. Nel 1975 Fishbein e Ajzen introducono un ulteriore modello sulla rielaborazione dei precedenti, intitolato “Teoria dell’azione ragionata” (Figura 7), che considera anche il contesto sociale di un individuo. Impiegando le formule trascritte in precedenza possiamo scrivere nuovamente la teoria dell’azione ragionata in una forma completa (Figura 8).

Figura 7: Formula analitica della teoria dell’azione ragionata

𝐵~𝐵𝐼 = 𝐴𝑏𝑤

1

+ 𝑆𝑁𝑤

2

B = comportamento

BI = intenzione di mettere in pratica il

comportamento B

𝐴

𝑏 = atteggiamento verso il comportamento b

𝑤

1 = peso relativo dell’atteggiamento verso il comportamento

SN = atteggiamento verso gli altri

𝑤

2

= peso relativo dell’atteggiamento verso gli

altri

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Figura 8: Forma completa della teoria dell’azione ragionata

𝐵~𝐵𝐼 = 𝑊

1

∑ 𝑏

𝑖

𝑒

𝑖 𝑛 𝑖=1

+ 𝑊

2

∑ 𝐵

𝑗

𝐶

𝑗 𝑛 𝑗=1

B = comportamento

BI = intenzione di mettere in pratica il comportamento B

𝑏

𝑖 = intensità della convinzione che il comportamento conduca all’esito i

𝑒

𝑖 = valutazione dell’esito i

i = esiti del comportamento (1-n)

𝐵

𝑗 = intensità della convinzione che l’individuo j desideri che il comportamento B venga attuato

𝐶

𝑗

= motivazione a compiacere l’individuo j

j = individui il cui parere assume rilievo per l’attuazione del comportamento B (1-n)

𝑊

1= peso relativo dell’atteggiamento verso il comportamento

𝑊

2= peso relativo dell’atteggiamento verso gli altri

Come si può notare sono molte le variabili in gioco per prevedere l’effettivo comportamento messo in pratica da un individuo, anche perché il peso della componente sociale è maggiore di quanto si rileva solitamente. Empiricamente è difficile dare un giusto valore alle intenzioni che dipendono dall’atteggiamento verso un determinato comportamento. Se non altro la teoria dell’azione ragionata permette alle imprese di individuare le componenti su cui agire per influenzare gli atteggiamenti, allo scopo di creare un comportamento d’acquisto a loro favorevole. Pertanto sarà utile in fase di analisi capire se sia presente una discrepanza tra atteggiamento e comportamento messo in atto. Per la fase di ricerca ho deciso quindi di intervistare sia i consumatori che gli agenti di vendita delle concessionarie per poter fare un confronto tra intenzioni, valutazioni, convinzioni e comportamenti messi in pratica.

4.4) La Strategia di raccolta dei dati

Al fine di rispondere agli obiettivi di ricerca mi sono avvalso della costruzione di due questionari semi-strutturati, come strumenti di raccolta dei dati. Il primo (Allegato 1) è stato somministrato attraverso delle interviste a consumatori selezionati, mentre il

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secondo (Allegato 2), rivolto alle concessionarie, è servito da controprova. Concretamente è stato definito un campione da analizzare attraverso interviste in profondità, della durata di circa un’ora, ed applicare lo stesso tipo d’intervista agli agenti

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