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9. A REE ‘ PERIFERICHE ’

9.6 T RASTEVERE , V ATICANO E G IANICOLO

Il caso del Gianicolo, ricordato solo in Aen. 8, 355-358 è talmente singolare da aver spinto già gli scoliasti a dubitare che il riferimento virgiliano ad un millantato Ianiculum fosse da riferire effettivamente all’omonimo colle trasteverino.

Dal Campidoglio, Evandro addita alla vista di Enea (vides) due disiectis oppida muris definiti significativamente reliquias veterumque monimenta virorum (Appendice 73V). Qui si allude, evidentemente, al precedente v. 312 in cui l’eroe troiano si preparava a conoscere, durante l’imminente passeggiata, i virum monimenta priorum e chiarisce ancora una volta la funzione eziologica di questo viaggio memoriale tra passato, presente e futuro.

Le difficoltà suscitate dalla presenza dell’identico dimostrativo hic (v. 357) e, al verso successivo, degli opposti hic e ille con riferimento rispettivamente al Gianicolo e al Campidoglio hanno fatto pensare ad alcuni studiosi che le due arces si potessero trovare più vicine di quanto non siano in realtà il Campidoglio e il Gianicolo trasteverino. Tra gli altri, Pierre Grimal – adducendo a sostegno della sua tesi anche una serie di considerazioni relative al ruolo fondamentale ricoperto da Giano in ambito capitolino1016 – riteneva in un articolo del 1943 che fosse impossibile identificare la cima virgiliana con quella collocata oltre il Tevere1017.

Ora, se la questione grammaticale in sé può apparire irrisolvibile1018 – se non ipotizzando, per esempio, che l’imponente altezza del Gianicolo1019 abbia potuto in qualche modo condizionare i riferimenti prospettici di Evandro/Virgilio al punto da spingerlo ad accentuare la vicinanza del colle attraverso un uso originale dei dimostrativi –, sembra però che la possibilità di vedere i due oppida collocati contemporaneamente sul Campidoglio sia smentita quantomeno da considerazioni di natura storico-culturale. La chiara intenzione del Mantovano, infatti, è quella di porre in evidenza agli occhi del visitatore non solo i resti di due ben distinti insediamenti (non urbes ma oppida) appartenenti ad una fase addirittura precedente a quella arcade, ma soprattutto la loro dipendenza etimologica dai divini

1016 Tra queste, la presenza della Porta Fontinalia come accesso diretto all’Arx non sembra particolarmente

decisiva. Se ci si dovesse basare sulla presenza di riferimenti al figlio di Giano sul suolo dell’Urbe per collocare il Gianicolo, infatti, sarebbe forse più cogente l’attestazione di un’ara dedicata a Fons in area trasteverina, probabilmente sub Ianiculo. CIC. Leg. 2, 56 (cfr. LIV. 40, 29, 3; VAL.MAX. 1, 12; SOLIN. 1, 21).

1017 GRIMAL 1943 sulla scorta di PICHON 1914, 414. Cfr. F.CASTAGNOLI,s.v. Gianicolo, in EncVirg, II, Roma

1985.

1018 Ma SERV. ad Aen. 8, 355 interpretava giustamente: unum Iani, aliud Saturni.

1019 Il più alto dei colli romani con i suoi 85 m s.l.m. Sulla definizione del Gianicolo come entità orografica vd.

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fondatori1020. Che si trattasse di due abitati ben separati lo dimostrano peraltro le altre tradizioni relative alla ‘fondazione’ gianicolense che ricordano il sito come istituito da

Rhomos1021 (il figlio di Enea) o, addirittura, come un clarum oppidum dal nome

Antipolis1022.

Sulla effettiva esistenza di questo insediamento sul Gianicolo permangono tutt’oggi moltissimi dubbi ma ciò che importa, in questo contesto, è prendere coscienza del forte valore concorrente (anti-polis significa sia ‘città di fronte’ che ‘città rivale’1023) riconosciuto al colle trasteverino – sia a livello linguistico che letterario – rispetto alla Saturnia capitolina. Lo schema oppositivo Gianicolo-Campidoglio ha, d’altra parte, anche delle simboliche evidenze a livello storico. Sul colle trasteverino, infatti, si era arroccata la terza secessione plebea del 287 a.C.1024 e aveva trovato momentaneo rifugio Caio Gracco in fuga da Roma1025 ma, soprattutto, su quella che gli autori augustei definiscono una vera e propria

arx1026, la tradizione collocava sia la sede dell’accampamento veiente che quello di Porsenna1027. Dal Ianiculum incombevano i nemici su Orazio Coclite1028, Catilina giungeva a Roma con la testa mozzata di Marco Mario Gratidiano1029 e il mitico Lucumone si avvicinava alla città che era destinato a governare1030 … primo re ‘straniero’. L’importanza strategica, oltre che simbolica, del Gianicolo come realtà ‘altra’ ma ‘prossima’ traspare quindi attraverso le fonti con tutta la sua forza, tanto da non risultare estranea nemmeno a Cicerone che proprio a questa peculiare condizione del colle fa riferimento in ben due luoghi dell’orazione contro l’abrogazione della legge agraria rulliana1031:

1020 La dipendenza di Ianiculum da Ianus è accettata, tra gli altri, da OV. Fast. 1, 245-246; SERV. ad Aen. 8,

319; ATH. (che riporta Draconte di Corcira) 15, 692d-f; SOLIN. 2, 5; AUGUST. De civ. D. 7, 4; MACROB. Sat. 1, 7, 23; ISID. Etym. 15, 1, 50.

1021 DION.HAL. Ant. Rom. 1, 73, 3. 1022 PLIN. NH 3, 68.

1023 CARANDINI 2003, 114-124. 1024 LIV. Per. 11; PLIN. NH 16, 37.

1025 PLUT. Vit. C. Gracch. 17; PS.-AUR.VIC. Vir. Ill. 65.

1026 VERG. Aen. 8, 357; OV. Fast. 1, 245-246; LIV. 1, 33, 6: Ianiculum quoque adiectum, non inopia loci, sed ne

quando ea arx hostium esset.

1027 LIV. 2, 10-14. Così si spiegherebbe anche l’uso – risalente all’età regia – di innalzarvi un vexillum per

segnalare l’incombere dei nemici durante i comitia centuriata (CASS. DIO 37, 27-28; LIV. 39, 15). A denunciare l’importanza strategica del colle concorre anche la notizia riportata da Livio e Dionisio d’Alicarnasso secondo la quale sarebbe stato Anco Marcio, in età molto risalente, a realizzare la prima fortificazione del colle (LIV. 1, 33, 6; DION.HAL. Ant. Rom. 3, 45). Al re sabino, d’altronde, è attribuita anche la costruzione del pons Sublicius che dal centro di Roma muove proprio in direzione del Gianicolo.

1028 LIV. 2, 10, 3.

1029 CIC. tog. cand. fr. 9, 19.

1030 DION.HAL. Ant. Rom. 3, 47, 3. Per il percorso inverso compiuto dalle Vestali in fuga da Roma vd. LIV. 5,

40, 7-8; VAL.MAX. 1, 1, 10.

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tibi nos, Rulle, et istis tuis harum omnium rerum machinatoribus totam Italiam inermem tradituros existimasti, quam praesidiis confirmaretis, coloniis occuparetis, omnibus vinclis devinctam et constrictam teneretis? Vbi enim cavetur ne in Ianiculo coloniam constituatis, ne urbem hanc urbe alia premere atque urgere possitis?

quid igitur est causae quin coloniam in Ianiculum possint deducere et suum praesidium in capite atque cervicibus nostris conlocare? tu non definias quot colonias, in quae loca, quo numero colonorum deduci velis, tu occupes locum quem idoneum ad vim tuam iudicaris, compleas numero, confirmes praesidio quo velis, populi Romani vectigalibus atque omnibus copiis ipsum populum Romanum coerceas, opprimas, redigas in istam xviralem dicionem ac potestatem?

L’eventualità di una colonia (se non addirittura un presidio) stanziata sul Gianicolo, in grado di schiacciare Roma con la sua concorrenza, è evidentemente paradossale ma rende con vivida chiarezza come la sola minaccia di una simile eventualità potesse destare scalpore nell’uditorio dell’Arpinate. La metafora corporale (che verrà ripresa in modo palmare con riferimento a Catilina1032), poi, contribuisce ad aumentare il senso di un rischio geograficamente imminente che si può ben collocare “tra capo e collo”. I due passaggi ciceroniani sono oltremodo utili perché chiariscono innanzitutto la percezione di una netta contrapposizione tra le due entità collinari che non si basa, però, sul concetto di distanza geografica quanto piuttosto sulla consapevolezza dell’esistenza di una realtà ‘altra’ nelle immediate vicinanze del centro di Roma. Ecco, quindi, che l’uso ciceroniano di hic e alius aiuta a spiegare anche la grammatica spaziale di Virgilio. L’imminenza fisica e culturale del Gianicolo su Roma, infatti, giustifica pienamente la percezione da parte del Mantovano di un colle non solo vicino tanto quanto il Campidoglio (hanc … hanc) ma addirittura talmente incombente da apparire quasi più prossimo della medesima rocca capitolina (huic … illi). Questa visione, parzialmente anacronistica per i tempi di Evandro, è pienamente comprensibile se attribuita a Virgilio che – all’epoca in cui scrive – poteva ben considerare la rocca gianicolense ormai completamente integrata nel tessuto urbano di Roma1033.

Alla catena di colline che “partendo dall’attuale Gianicolo si estendono al Monte Mario”1034 fa per esempio riferimento Orazio narrando l’episodio (verificatosi intorno al 30 a.C.) legato al ritorno di Mecenate sulla scena pubblica dopo una lunga e debilitante malattia (Appendice

1032 CIC. Mur. 79. Cfr. CIC. Fam. 12, 33, 2. Significativo è che l’immagine ricorra in due orazioni proferite

dall’Arpinate durante il critico anno del suo consolato.

1033 CARAFA,PACCHIAROTTI 2012, 555-556. 1034 LIVERANI 1999, 14 e 20.

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155H). Qui il sistema vaticano e il Tevere “paterno” rispondono con una fragorosa eco all’applauso riservato al cavaliere aretino. All’idea di una accoglienza tanto calorosa da giungere fino alla limitanea altura vaticana, si congiunge nell’ode oraziana l’immagine di una sponda etrusca totalmente compartecipe nel riconoscere il favore riscosso da uno dei suoi figli più eminenti. Quasi come una cassa di risonanza scenografica, quindi, l’area nord occidentale della regione trasteverina – prospiciente il Campo Marzio e contemporaneamente proiettata verso l’Etruria – entra a far parte a pieno titolo dello scenario urbano di Roma così come descritto da Strabone1035:

καὶ τὰ περικείμενα ἔργα καὶ τὸ ἔδαφος ποάζον δι᾽ ἔτους καὶ τῶν λόφων στεφάναι τῶν ὑπὲρ τοῦ ποταμοῦ μέχρι τοῦ ῥείθρου σκηνογραφικὴν ὄψιν ἐπιδεικνύμεναι δυσαπάλλακτον παρέχουσι τὴν θέαν.

L’integrazione trasteverina nell’idea di Roma, ancora prima che nelle sue regiones, avviene comunque mantenendo sempre una forte caratterizzazione naturalistica per l’area in questione. Come è noto, infatti, proprio transtiberim andarono ad insediarsi – già a partire dalla tarda età repubblicana – complessi residenziali di pregio e horti1036. Proprio ai giardini cesariani fa riferimento Orazio nella celebre satira ‘del seccatore’ (Appendice 154H) quando, sfinito dall’insistenza di Bolano, cerca di convincerlo a lasciarlo solo adducendo a scusa l’estrema lontananza della sua destinazione. Trans Tiberim, longe, prope Caesaris

hortos cubat lo sconosciuto ospite oraziano. L’impiego del verbo cubare (ripreso da Orazio,

non a caso, anche per descrivere le tipiche attività quirinalizie) ha qui non solo il significato di ‘giacere a letto malato’ ma intende anche accentuare la forte caratterizzazione dell’area come destinata all’otium e al riposo delle membra, dove ci si può ritirare lontani dai fastidi urbani1037. I tentativi del poeta di Venosa di liberarsi dello scocciatore risultano, comunque, del tutto vani. Né l’idea di recarsi presso uno sconosciuto, né quella di un lungo tratto di strada da percorrere fanno desistere Bolano dall’intento di accompagnare Orazio fino all’altro capo della città: non sum piger, usque sequar te.

Soprattutto la presenza di queste proprietà, distribuite a nord e a sud del pagus Ianiculensis, permise a Properzio di descrivere la zona in termini che potremmo definire bucolici

1035 STRAB. 5, 3, 8.

1036 Testi imprescindibili sull’argomento sono: CARANDINI 1985; GRIMAL 1990, 112-168 (in particolare);

CIMA,LA ROCCA 1998; CIMA,TALAMO 2008; HENDERSON 2004; JASHEMSKI,GLEASON,HARTSWICK,MALEK

2018.

1037 Qui Cesare, nel 44 a.C., accolse Cleopatra (CIC. Att. 15, 15, 2). All’epoca in cui ne parla Orazio i giardini

erano, però, proprietà del popolo romano così come stabilito dalla volontà testamentaria di Cesare (CIC. Phil. 2, 109; SUET. Iul. 83; APP. b. civ. 2, 143; CASS. DIO 44, 35).

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