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1.5.2.1 Dallo scoppio del conflitto al 1916.

Una parte significativa della letteratura della Grande Guerra viene pubblicata durante il conflitto, negli anni che vanno dal 1916, in cui esce il Porto sepolto di Ungaretti e il 1924, nel quale si pubblica Trincee di Salsa. Il materiale prodotto è eterogeneo: raccolte di articoli di giornali pubblicati dalle riviste più importanti, romanzi e racconti che si svolgono sullo sfondo del confitto, diari e cronache scritti da letterati non di professione, ma che regalano una ricchezza di dettagli derivati dall’esperienza diretta in guerra. Escono raccolte di lettere e pensieri scritti da giovani caduti al fronte, come Renato Serra il cui taccuino viene pubblicato nel 1917 da Luigi Ambrosini, oppure le Lettere al fronte di Giosuè Borsi, alle quali seguiranno i Colloqui scritti al fronte.65 In questo sterminato materiale edito negli anni della guerra non esistono pubblicazioni prive di significato: tutte, comprese quelle contenenti ideologie e informazioni inesatte, contengono comunque elementi di riflessione e di testimonianza sulla guerra di fondamentale importanza. Per quanto concerne i testi specificatamente letterari il materiale è abbondante: nel 1918 esce il Nostro Purgatorio di Baldini e nell’anno successivo vedono la luce i due libri di guerra di Soffici; nel 1919 Rosai pubblica Il libro di un teppista e contemporaneamente Frescura scrive il Diario di un imboscato. Come ha dimostrato lo studioso Rochat, in questi libri, pubblicati dall’inizio della guerra fino all’ascesa del potere di Mussolini, si riscontrano opinioni caratterizzate «da molta vivacità polemica» e da un clima «aperto al dibattito», che influenzò specialmente la memorialistica di trincea, prodotta da giovani ufficiali che avevano condotto la guerra

65Per le vicende editoriali riguardanti i Colloqui (che escludono, secondo volontà d’autore le pagine

dedicate all’esperienza al fronte, pubblicate solo a guerra conclusa) cfr. le informazioni contenute in G. BORSI, Colloqui, a cure di G. Berzero, Tipografia Macciachini, Milano, 1945.

41 in prima linea, nella quale si mescolano, oltre ricordi e sentimenti, anche le testimonianze scritte con estrema sincerità che denunciano l'orrore della guerra, mettendo in questione, anche non volontariamente, il conflitto.66 Come accade nel Diario di Frescura che si configura come l’emblema della demistificazione della guerra: si narra la storia del soldato che disprezza l’orrore della guerra e cerca di salvare la propria vita in ogni modo, lanciandosi all’assalto esclusivamente per senso di dovere e per obbligo:

Noi siamo un esercito di fronte ad un altro esercito. Giuro che ognuno di noi, ognuno di loro, se avesse la certezza di non essere veduto, che nessuno ne verrebbe a sapere niente, ebbene…ognuno di noi, ognuno di loro se la darebbe a gambe. Sappiamo che ciò non può essere. Ed ognuno di noi è qui, per paura che si sappia la nostra paura.67

Frescura descrive coraggiosamente la guerra come una tragedia senza precedenti, facendo spesso esempi di insubordinazione e di autolesionismo e non riuscendo a tacere l’inutilità delle stragi, prodotte spesso dal comando di ufficiali che mandavano allo sbaraglio giovani in assalti non pianificati. Nel 1920 Palazzeschi rende pubblico il suo dissenso verso la guerra in Due imperi…mancati e Pietro Jahier scrive Con me e con gli alpini, libro che contribuisce a creare il mito dell’alpino, ubbidiente e disciplinato.68 L'anno seguente è caratterizzato dall’uscita di alcuni tra i testi più importanti della letteratura di guerra: Le scarpe al sole di Paolo Monelli, Viva Caporetto! di Curzio Malaparte, L’alcova d’acciaio di Marinetti, Notturno di d’Annunzio e infine la novella La paura di De Roberto.69 Monelli concentra la sua attenzione sul valore degli alpini,

66G.ROCHAT, L’Italia nella Prima guerra mondiale. Problemi di interpretazione e prospettive di ricerca,

Feltrinelli, Milano, 1976, pp. 32-33. A supporto di questa tesi Rochat cita, in nota, i testi di Frescura, Malaparte e Salsa.

67A.FRESCURA, Diario di un imboscato, in A. Frescura, G. Scortecci, A. Stanghellini, Tre romanzi della

grande guerra, a cura di M. Schettini, Longanesi, Milano, 1966, pp. 150-151. Il Diario di un imboscato è

stato ristampato dall’editore Mursia nel 1981, con una prefazione di Mario Rigoni Stern.

68Jahier deve essere ricordato anche come raccoglitore di canti di guerra. Cfr. P.JAHIER, Canti di soldati,

armonizzati da Vittorio Gui, Mondadori, Milano, 1919. Si veda anche Q.ANTONELLI, Dai canti di guerra

ai cori di montagna, in AA.VV, La Grande Guerra. Esperienza, memoria, immagini.

69Sui testi La paura, il Notturno e Viva Caporetto! Usciti nel 1921 si è concentrato MARIO ISNENGHI nel

42 che sono costretti a combattere contro il nemico austriaco ed il gelo dell’inverno, mettendo, secondo il loro gergo le scarpe al sole. Questi sono diventati presto il simbolo di coloro che sono stati abbandonati dallo Stato nelle zone di guerra, ma hanno perseverato, vivendo al limite del possibile, di servire la patria. È il ritratto degli alpini privo di retorica e populismi che si differenzia, per questo, da quello fatto da Jahier. Anche Malaparte descrive l'esperienza vissuta dai fanti, che accettano di combattere la guerra, asservendo al loro dovere. Il libro Viva Caporetto! conoscerà la censura per il suo carattere antimilitarista e disfattista, come è possibile leggere in questo estratto:

Allora il fante, solo, disperato, invelenito da dio, si buttò contro la legge. Cioè contro la nazione che non lo capiva, contro gli imboscati, contro gli inabili alle fatiche di guerra, gli esonerati, i patrioti retorici, gli speculatori del sacrificio altrui, contro il governo disfattista, contro i nemici della fanteria, contro i nemici dell’Italia, de Carso e degli Altipiani.

Caporetto70.

Ancora,

Il fenomeno Caporetto è un fenomeno schiettamente sociale. È una rivoluzione.

È la rivolta di una classe (cioè della fanteria), di una mentalità, di uno stato d’animo71

.

La disfatta di Caporetto non si rivela solo una sconfitta militare, ma una rivolta sociale dei soldati che non accettano più di morire per un paese che non sembra interessato alla guerra. Il testo verrà riproposto nello stesso anno, con il titolo La rivolta dei santi maledetti, ma verrà nuovamente censurato.

Marinetti, fondatore del Futurismo, pubblica L'Alcova d’acciaio, testo che appare insolito all'interno del contesto delle opere edite nel 1921: Marinetti ritorna ancora una volta sul tema della guerra, unica igiene del mondo, descrivendo l’ultimo anno della Prima guerra mondiale, dall'indomani della controffensiva del Piave fino alla battaglia

70C.MALAPARTE, La rivolta dei santi maledetti, in ID. Opere scelte, a cura di L. Martellini, Mondadori,

Milano, 1997, p. 72.

43 di Vittorio Veneto. L'autore racconta una guerra personalissima, che continua ad essere uno spettacolo, centrata sulle sue imprese eroiche. Dal punto di vista formale è possibile riscontrare un cambiamento caratterizzato dal progressivo abbandono delle parole in libertà, per approdare ad una scrittura che dal punto di vista sintattico segue le norme consuete dell'italiano. Marinetti narra, inoltre, del suo grande amore, che si rivela presto non essere una donna, bensì un'auto mitragliatrice blindata:

Non conoscete la mia nuova amante? Ve la presenterò. Intendiamoci, quella preferita, che escluderà tutte le altre e sarà forse definitiva.

Non ha un nome, ha un numero e ciò mi piace poiché ogni Rosina è sempre tradita dal ricordo di un’altra Rosina, ogni Maria dal ricordo di un’altra Maria. La mia nuova amante si chiama 74,7 e quattro fanno 11, il mio numero augurale che mi segue ovunque e mi è più o meno sempre favorevole.

La mia 74 ha una salute di ferro, anzi d’acciaio, una meravigliosa sensibilità, ma blindata. È capace d’offendere ed uccidere. Mentre è assai difficile ferirla mortalmente. La conobbi ieri nel cortile della caserma di San Benigni. Mi aspettava in riga con le sue sette compagne che le rassomigliano come sorelle. Sono donne autoblindate color verdone scurissimo, armate.

Ma la mia è la più agile di tutte, ha un cuore- motore più forte, e il fuoco delle sue ironie mitragliate non ha debolezze né distrazioni. Fu la sorte a disegnarmi come compagno della bella 74.72

Ben presto il lettore intuisce con stupore che l’amante preferita del protagonista è la sua auto-mitragliatrice blindata 74, alcova nel quale consumare l’amplesso più sublime ed esaltante, quello con l’Italia.73

Questo testo, unito a quelli presentati poco prima, rappresenta l'esempio di come in questa prima annata di testi letterari sia facilmente coniugabile il valore letterario con l’importanza storico-documentaria, nel quale anche un testo spiccatamente futurista come il romanzo di Marinetti assuma un valore fondamentale per comprendere al meglio ogni aspetto del conflitto.

L’ultimo testo presentato in questa analisi che riguarda la prima stagione della letteratura di guerra, è il libro Trincee di Carlo Salsa, che esce nell’anno successivo alla pubblicazione del mussoliniano Il mio diario di guerra (1923). Salsa afferma, fino dalle

72F.T.MARINETTI, L’Alcova d’acciaio. Romanzo vissuto, Mondadori, Milano, 1927, pp. 86-87. 7373F.T.MARINETTI, L’Alcova d’acciaio, cit. p. 411.

44 prime pagine del diario, di averlo scritto a caldo anche se a prima vista potrebbe apparire disfattista; in realtà ha cercato di descrivere che cosa abbia rappresentato la guerra per lui: il conflitto assume il simbolo della morte, che pervade tutto l’ambiente che lo circonda. La guerra di Salsa è una guerra fatta di cadaveri, di corpi che ricoprono la terra tumefatti e mutilati, è un calvario che non possono comprendere né i Comandi, né le persone che restano a casa, e giudicano a distanza nei loro caldi salotti. Trincee rispecchia uno di quei testi nati dalla guerra e contro la guerra, contro quelle ideologie che alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia pullulavano nel paese, contro le medaglie al valore assegnate senza criterio e le fucilazioni di massa dei soldati, eseguite da ufficiali che «giudicano e condannano per codardia tra un banchetto ed una critica strategica al caffè, nella tranquillità delle retrovie, che si guardano bene dall’assumere il comando in un reparto operante».74

74C.SALSA, Trincee. Confidenze di un fante, [1924], prefazione di L. Santucci, Mursia, Milano, 1982, p.

45

1.5.2.2 Dal 1926 al 1935.

Tra il 1926 e il 1935 si assiste ad una nuova prolifica stagione letteraria con riferimenti particolare al decimo anniversario del conflitto nel 1928, anno in cui si registra una nuova ed abbondante ondata di scritti a tema bellico, nei quali risulta essere dominante il ruolo decisivo dell'entrata in guerra dell'Italia nel conflitto, tema caro all'ascendente partito fascista in quegli stessi anni. In quest’anno escono Le veglie al Carso, scritte da Leo Pollini. Anche Giuseppe Scortecci, scrittore e scienziato, pubblica un libro spesso dimenticato: La città effimera, che narra la sua esperienza di prigionia in un campo austriaco. Di grande rilevanza risulta il paragone tra il viaggio che il soldato compie per giungere nel campo di prigionia e quello che Dante fa nell’Inferno: un paragone che verrà spesso ripreso più volte nel panorama della letteratura concentrazionista, come, ad esempio, quello descritto da Levi nel libro Se questo è un uomo. Scortecci descrive l’effimera città dell’odio nella quale migliaia di prigionieri proseguono la guerra quotidiana per la sopravvivenza, tra lavori forzati e gelo.

Si torna a scrivere sul conflitto anche a distanza di anni e non a caso la parola che caratterizza molti libri è ritorno. Ungaretti aveva intitolato una sua poesia risalente al 1919 Ritorno. Altri due autori includono questa parola nei titoli dei loro libri: Vieri Nannetti, che scrive La guerra ritorna, nel 1935 e Il ritorno sul Carso di Luigi Bartolini, del 1930. Quest’ultimo narra del viaggio che Bartolini ha compiuto quasi quindici anni prima, come ufficiale di artiglieria, ed è caratterizzato da un doppio piano temporale: quello del presente, che fa riferimento al viaggio di ritorno dell’autore nei luoghi dove ha vissuto l’esperienza di guerra e il piano del passato, tipico del ricordo, fatto di piccoli momenti in cui riesce a vivere le stesse emozioni di un tempo. Descrive anche gli aspetti tragici della guerra: dove la morte diventa abitudinaria «i vivi si curavano dei morti, ma

46 la morte era diventata una consuetudine»75. Ma ritornare sul Carso significa rievocare la stagione più bella e più intensa della sua vita, la guerra non solo rappresenta l’orrore, ma anche i fatti eroici che hanno nobilitato l’Italia.

Dopo Il ritorno sul Carso escono altri libri fondamentali, quali Guerra del ’15 di Stuparich, pubblicato in un primo momento sulla rivista «Nuova Antologia» con il titolo Taccuino di un volontario, il romanzo Vent’anni di Alvaro e Piccola Borghesia di Elio Vittorini.

Nel 1929 iniziano a diffondersi in Italia le traduzioni dei grandi romanzi stranieri a tema bellico, come Niente di nuovo sul fronte occidentale, di Henri Maria Remarque, che tenta di descrivere le atrocità della guerra vissute da un giovane soldato di solo diciannove anni e Addio alle armi di Ernest Hemingway. Quest'ultimo incarna i sentimenti di tanti che avevano combattuto in guerra. Un’intera generazione devastata dal conflitto identificò, negli orrori descritti da questo romanzo, la propria giovinezza perduta. Riesce a descrivere la psicologia degli americani in Europa durante la guerra, rappresentati nella figura del giovane tenente Frederic Henry. L’anno successivo arriva

anche la traduzione di Viaggio al termine della notte di Celine, che si apre proprio con l’esperienza della Grande Guerra, evento che lo induce ad un ripensamento sulla natura dell'uomo.

Negli stessi anni molti libri scritti in precedenza sono ristampati dalle case editrici che organizzano tutto il materiale in delle collane ad argomento bellico, come, ad esempio, La Collana della guerra vittoriosa presso la S.t.e.r.n. di Ravenna, L’Eroica di Milano oppure la Gladio. Memorie della grande guerra per la Cappelli di Bologna.

Nel 1930 Giovanni Comisso pubblica Giorni di guerra, un romanzo-memoriale che esalta la grande esperienza umana vissuta nella Grande Guerra, caratterizzata dalla

47 felicità di stare insieme ai propri compagni. Mostra il piacere di mescolare la propria storia a quella degli altri, condividendo un destino che spesso cela la morte.

Un altro autore che trasforma il suo ricordo di guerra in testimonianza letteraria è Carlo Emilio Gadda, che decide di non pubblicare ancora il Giornale di guerra di prigionia, ma che tra il 1931 e il 1934 racchiude alcuni ricordi nel volume La Madonna dei Filosofi e soprattutto nei cinque testi che aprono Il castello di Udine del 1934, già pubblicati sul quotidiano «L’Ambrosiano» tra il 1931 e il 1932, presentando «un breve resoconto materiato di fatti» del suo conflitto76.

Per concludere l’analisi di quella che è stata definita la seconda stagione letteraria dei libri a tema bellico, è opportuno citare anche volumi a carattere saggistico o antologico. Nel 1929 esce L’Antologia degli scrittori morti in guerra, curata da Cesare Padovani e nel 1935 viene pubblicata L’anima religiosa della guerra di Cesare Caravaglios, studio che ha descritto come la fede sia stata in guerra un sostegno e fonte di conforto per i combattenti.

1.5.2.3 Dal 1936 al 1945.

Lo scoppio imminente del secondo conflitto mondiale rappresenta uno stimolo per tornare a parlare della Grande Guerra. I più giovani, che avevano combattuto sul Carso ed erano riusciti a sopravvivere, erano nuovamente scossi dagli echi della nuova guerra, sentendo ancora una volta l'esigenza di affidare le loro emozioni alla scrittura. Tra il 1938 e il 1941 vedono la luce due libri capisaldi della letteratura: Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu e Ritorneranno di Stuparich. Lussu partecipa alla Grande Guerra come capitano di fanteria, e su sollecitazione di Gaetano Salvemini decide di scrivere il libro, nel quale è fondamentale il tema della memoria, del volontario che, una volta giunto al

48 fronte, mette da parte le ideologie e racconta quella che si è rivelata essere la verità sulla guerra. Quello di Lussu è il libro che mostra al mondo la guerra realmente vissuta non solo dall’ufficiale, ma anche dell’intero esercito, rassegnato e ignaro del destino. Si configura dunque il testo della ribellione, del soldato che scopre che quello che chiama nemico ha, in realtà, un cuore e dei sentimenti, del soldato che si ribella agli ordini, del plotone di esecuzione che scarica i colpi i dei fucili contro il tronco di un albero, consegnando al Generale il corpo di un soldato già morto per risparmiare così la vita del compagno ingiustamente condannato. Lussu identifica il vero nemico nei Comandi «i nostri naturali nemici sono i nostri generali»77, affermando che i soldati austriaci, sono da considerare uomini che assolvono al loro dovere nei confronti della patria, proprio come i soldati italiani.

Come è possibile notare gli scrittori cercano di raccontare quale sia stato il vero volto della guerra, avvertendo l'esigenza di fermare sulla carta alcuni momenti di quella che resterà per sempre la stagione più significativa della loro vita. Diviene centrale la riflessione sui combattenti che non sono eroi, ma persone semplici che hanno deciso di servire la patria, accettando di andare incontro al loro destino.

Riecheggiano, a proposito della lirica di guerra, i versi di Guido Gozzano in La bella

preda:

Nessuna sorte è triste in questi giorni di battaglia;

fuorché la sorte di colui che assiste.78

Montale lascia che le sue poesie siano attraversate dal ricordo della guerra tramite delle rapide pennellate di parole. Dichiarato abile a prestare servizio militare nel 1918, giunge

77L.BARTOLINI, Il ritorno sul Carso, [1930], Mondadori, Milano,1934, p. 86.

78F.CONTORBIA, Gozzano, la guerra, la morte, in Il sofista subalpino. Tra le carte di Gozzano, L’Arciere,

49 nei pressi del villaggio di Valmorbia. Il conflitto compare in un osso di seppia del 1924, con l'immagine dei razzi che illuminano la notte, descritta con questi versi:

Le notti chiare erano tutte un'alba e portavano volpi alla mia grotta.

Valmorbia., un nome – e ora nella scialba memoria, terra dive non annotta.79

L'esperienza di guerra affiorerà, successivamente, in due momenti delle Occasioni, come un evento drammatico che spezza la quotidianità e come esperienza richiamata dalla mente dai tempi in cui si accinge a scrivere le Occasioni, ovvero quando i venti europei stano soffiando in direzione di un nuovo conflitto mondiale.

79E.MONTALE, Ossi di seppia, a cura di P. Cataldi e F. d'Amely, con un saggio di P.V. Mengaldo e uno

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CAPITOLO 2

2 Il magistero bellico di Gabriele d’Annunzio.

«arte e politica non furono mai disgiunte nel mio pensiero»80

Cenni biografici.

Gabriele d’Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863 da una famiglia di origine borghese81. Dopo una produzione cospicua iniziata già in età adolescenziale, nel 1904, a seguito del tradimento della Duse, decise di trasferirsi in Francia. Nel 1910 aderì all'Associazione Nazionalista Italiana fondata da Corradini. Nel 1915 ritornò in Italia, dove rifiutò la cattedra di letteratura italiana che era stata di Pascoli; condusse immediatamente un'intensa propaganda interventista. Il discorso celebrativo che D'Annunzio pronunciò a Quarto il 5 maggio 1915 per l'inaugurazione del monumento ai Mille, segnò l'inizio di un fitto programma di manifestazioni interventiste, che

80 D’Annunzio visto da De Amicis, in «La Tribuna», 10 giugno 1902.

81 Il giovane D'Annunzio non tardò a manifestare un carattere ambizioso e privo di complessi e inibizioni,

portato al confronto competitivo con la realtà. Ne è testimonianza la lettera che, ancora sedicenne nel 1879, scrive a Giosuè Carducci mentre frequenta il liceo al prestigioso istituto Convitto Cicognini di Prato. Nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera del giovane studente, Primo vere, una raccolta di poesie che ebbe presto successo. Accompagnato da un'entusiastica recensione critica sulla rivista romana «Il Fanfulla della domenica», il libro venne pubblicizzato dallo stesso d'Annunzio con un espediente: fece diffondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo. La notizia ebbe l'effetto di richiamare l'attenzione del pubblico romano sul romantico studente abruzzese, facendone un

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