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I segni della Grande Guerra. Poesia e pittura di fronte all'Apocalisse.

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Academic year: 2021

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(1)

DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

Corso di Laurea magistrale in Italianistica

Classe LM-14

Tesi di laurea magistrale

I segni della Grande Guerra.

Poesia e pittura di fronte all’Apocalisse.

CANDIDATA:

Chiara Mariotti (458650)

RELATORE:

Prof. Marcello Ciccuto

CORRELATORE:

Prof. Alberto Casadei

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INDICE GENERALE

INTRODUZIONE………1

INTRODUZIONE STORICA………...2

1

Le forme letterarie della Grande Guerra. ... 13

L’ideologia Risorgimentale nella Letteratura della Grande Guerra. ... 13

Dal fascino parigino alla nascita degli intellettuali italiani. ... 14

Le reazioni della generazione degli anni ’80: Futuristi, Crepuscolari e Vociani... 23

1.3.1 I Futuristi... 23

1.3.2 I Crepuscolari. ... 25

1.3.3 I Vociani. ... 26

La guerra della lingua. ... 28

Forme e tempi di scrittura... 31

1.5.1 Le forme di scrittura. ... 32

1.5.2 I tempi della scrittura. ... 40

2

Il magistero bellico di Gabriele d’Annunzio. ... 50

Cenni biografici. ... 50

D’Annunzio e la guerra. ... 53

Le tracce indelebili dell’interventismo dannunziano. ... 59

Gabriele d’Annunzio e l’impresa di Fiume. ... 65

2.4.1 La Carta del Carnaro. ... 68

2.4.2 Verso il Natale di sangue. ... 71

Il Pugnale votivo: d’Annunzio uomo di lettere o leader politico? ... 72

3

La guerra dell’umile Ungaretti. ... 74

Cenni biografici. ... 74

Poetica di Ungaretti: dall’Allegria dei naufragi al Sentimento del tempo. 77 Ungaretti e la guerra: una prospettiva umile. ... 78

E se la guerra mi consacrasse italiano? ... 81

Il sentimento della guerra: dalle liriche all'epistolario... 84

I soldati- pittori. ... 95

4

Il soldato Viani. ... 99

Cenni biografici. ... 100

(3)

L’esperienza di guerra: a partire dal Romito di Aquileia fino al Ritorno

alla patria. ... 111

Il volto della Grande Guerra di Viani... 123

5

Il soldato Sartorio. ... 126

Cenni biografici. ... 127

Sartorio: il caso dei quadri scomparsi sulla prima guerra mondiale. ... 128

Sartorio: un pittore-soldato. ... 130

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Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze. I Lestrigoni e i Ciclopi

o la furia di Nettuno non temere, non sarà questo il genere di incontri se il pensiero resta alto e un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. Sempre devi avere in mente Itaca raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio;

fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco

dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca.

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso, già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare. Costantino Kavafis

Alla mia Itaca, che ho sempre desiderato raggiungere fin da quando ero piccola e alle elementari scrissi un pensierino,

con una calligrafia piuttosto incerta, nel quale espressi il desiderio di laurearmi, da grande. È stato molto faticoso, il mare agitato, gli scogli appuntiti, mostri e sirene hanno tentato di

distogliermi svariate volte dal mio obiettivo, ma è stato anche bello, lo confesso, lasciarsi cullare dalle onde del mare; ma questa volta, dopo un lungo viaggio, vedo terra e come un naufrago grido di gioia.

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1

INTRODUZIONE

Il Novecento è stato definito un secolo epocale, uno spartiacque nella storia dell’umanità a causa delle conseguenze devastanti che la Prima guerra mondiale ha inflitto non solo in campo economico e politico, ma anche riguardo agli esiti che ha avuto sugli animi di tutti coloro che l’hanno vissuta sia combattendo in trincea, sia restando nelle retrovie. Questa tesi pone l’obiettivo di mostrare come siano stati rielaborati dagli scrittori i sentimenti che hanno vissuto in quegli anni, spesso paragonati ad un’Apocalisse. La tesi ha una struttura chiastica: la prima parte ha un carattere più propriamente letterario e narrativo. Nel primo capitolo si analizzano le correnti letterarie che si diffusero all’inizio del Novecento, e che successivamente influenzarono i risultati degli scrittori che vollero cimentarsi nell’imprimere sulla carta i ricordi dell’inferno che avevano vissuto in trincea; la seconda parte della tesi, che ha una propria introduzione, può essere definita artistica; analizza due figure di pittori che testimoniarono la loro esperienza non solo attraverso raccolte di poesie e di romanzi, ma anche grazie a numerosi quadri, che tutt’oggi restituiscono ricordi vividi di quegli anni terribili.

Il primo capitolo della tesi mostra le correnti filosofiche e letterarie che animavano il panorama europeo di inizio Novecento, secolo significativo, in quanto dopo la delusione degli ideali risorgimentali, ci furono molte reazioni, come futuristi, vociani e crepuscolari, che cercarono, ognuna in modo diverso, di trovare una via d’uscita significativa alla forte delusione che gli anni passati avevano lasciato. Gli uomini di cultura si sentirono chiamati ad una nuova funzione: passarono da vivere dei propri agi, chiusi nelle biblioteche e nei circoli esclusivi, a voler diffondere ad un vasto pubblico le proprie idee. Strumento decisivo per questa operazione si rivelarono le riviste ed i giornali, che tramite l’ampia tiratura potevano raggiungere il maggio numero di persone.

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2 Nacquero così, ad esempio, «Lacerba», «Il Marzocco» e «La Voce». L’imminente scoppio del Primo conflitto mondiale fu salutato dai più come un evento salvifico, che potesse in qualche modo scuotere gli animi dal torpore che aveva instaurato il clima politico del governo giolittiano. Con una felice espressione di Mario Isnenghi, la guerra fu invocata coma una medicina, una guerra-farmaco. Una volta però che l’Italia entrò, con nove mesi di ritardo, nella scena del conflitto, furono pochi quelli che rimasero convinti di tanto entusiasmo e a fronte dell’Apocalisse, con milioni di morti in tutta Europa, sentirono il bisogno di testimoniare la propria esperienza: la letteratura della Grande Guerra è sterminata, chi scelga di approcciarsi ad essa sappia che si troverà di fronte a migliaia di testi, tutti ugualmente importanti, non solo perché fonte storica, ma perché testimoni di un’esperienza umana. Imprescindibili in questa analisi si sono rivelati i due testi di Giovanni Capecchi: I fronti della scrittura. Letteratura e Grande Guerra; Lo straniero nemico e fratello. Letteratura italiana e Grande Guerra, che guidano il lettore inesperto nel vasto panorama della letteratura bellica. Un altro testo fondamentale si è rivelato essere la tesi, successivamente pubblicata, di Mario Isnenghi, intitolata Il mito della Grande Guerra, dal quale hanno preso ispirazione molti libri più recenti, tra cui quello di Mario Biondi: Tempi di uccidere. Sono state scelte di analizzare due grandi figure che hanno lasciato traccia della loro esperienza di guerra in modo opposto: Gabriele d’Annunzio e Giuseppe Ungaretti. Nel secondo capitolo si tenta di analizzare l’importanza che l’esperienza della guerra ha avuto per il vate: un vero e proprio spartiacque della sua esistenza. Come ha osservato Guglielmo Gatti1, la vita del poeta può essere divisa in due parti: la prima, dall’adolescenza al 1914, dedicata all’arte e sicuramente più famosa; la seconda, dal 1914 fino alla morte, interamente dedicata alla

1 GUGLIELMO GATTI, Vita di Gabriele d’Annunzio, Sansoni, 1958, vedi a proposito FRANCESCO PERFETTI,

Gabriele d’Annunzio poeta guerriero, in Nuovi Quaderni del Vittoriale, D’Annunzio e la guerra, 1996, p.

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3 patria. Si potrebbe dire che la guerra, dapprima sperata e sognata ed in seguito effettivamente vissuta in prima persona, abbia rappresentato il momento in cui d’Annunzio avvertì l’esigenza di non rimanere solo figura di poeta ma di ambire a diventare un vero e proprio politico. Partendo da questa ipotesi è nata l’esigenza di non analizzare soltanto parte dei Canti della guerra latina e della Canzone d’oltremare, ma di soffermarsi sulla vicenda storica (e politica) della presa della città di Fiume da parte di d’Annunzio. Nella redazione della Carta del Carnaro e nei discorsi tenuti in quei mesi, come l’esemplare vicenda del Pugnale Votivo, mostrano come egli abbia dedicato una forte attenzione nella redazione dei discorsi politici, strutturati con la stessa cura con cui venivano redatti i romanzi o le liriche. Testi importantissimi per questa ricerca sono stati: Le notti chiare erano tutte un’alba, scritto da Andrea Cortellessa e un saggio di Langhella, intitolato La letteratura della Grande Guerra e l’ideologia risorgimentale. Per quanto riguarda l’impresa di Fiume, nello sterminato panorama di informazioni reperibili su internet, è stato scelto di trarre quante più informazioni possibili da un libro più scorrevole e alla portata di tutti coloro che si vogliano documentare: Natale di sangue di Properzj e da un particolare libro di filologia italiana, scritto da Giancarlo Lancellotti, intitolato Il pugnale votivo di Gabriele d’Annunzio.

Nel terzo capitolo della tesi si prende in esame il poeta Ungaretti. Per comprendere che cosa sia stata la guerra per il soldato è stato necessario analizzare alcune liriche di guerra, con il florido epistolario che Ungaretti ha tenuto con molti dei suoi amici, tra cui Papini, Prezzolini e Puccini. Quello che colpisce di questa drammatica esperienza, narrata a tratti con gli stilemi tipici del canone ermetico, a tratti lasciando la parola alla crudeltà della guerra, senza inibizioni, è la speranza che risiede nel soldato, che sogna ancora un’umanità pura, capace di riscattarsi da questa nefasta vicenda. Validi testi per l’analisi di questa esperienza di guerra sono stati l’antologia di Andrea Cortellessa, la biografia,

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4 sempre di Cortellessa su Ungaretti e per l’analisi delle lettere scritte dal poeta e raccolte in varie edizioni, due saggi di Stefano Verdino e Daniela De Liso.

La seconda parte della tesi, a carattere artistico, si concentra sull’elaborazione dell’esperienza della Grande Guerra di Lorenzo Viani e Giulio Aristide Sartorio. Tramite l’analisi dei questi due pittori, è stato possibile presentare non solo la figura del poeta-soldato, come d’Annunzio e Ungaretti, ma anche quella del pittore-soldato, per restituire un respiro più amplio. Le opere dei soldati-pittori sono simultaneamente reportage di guerra e diario personale, documento storico e testimonianza artistica. I fogli e le tele sono annotati con diciture che spesso riportano il luogo e la data dei protagonisti e delle battaglie. Si configurano come dei diari per immagini, fondamentali per chi voglia comprendere il panorama delle esperienze di guerra. Al di là delle correnti artistiche alle quali aderirono questi pittori, che oscillano dal simbolismo fino al futurismo, è possibile cogliere all’interno di questa notevole produzione artistica l’orientamento comune rappresentato dalla preoccupazione di documentare la guerra. Gli artisti si preoccuparono di descrivere il paesaggio circostante cercando di rendere non soltanto la veduta dei campi di battaglia, ma di far emergere anche gli stravolgimenti causati dalle imprese belliche, la distruzione degli edifici, la morte, gli scoppi delle bombe e i fari notturni. Quello che ci viene presentato è un paesaggio duro ed ostile, una natura violentata dalla ferocia dell’uomo. Fondamentali per questa ricerca sono stati i due cataloghi delle mostre tenute per Viani e Sartorio, che contengono esaustivi saggi di studiosi.

All’interno del vasto panorama della letteratura della Grande Guerra non è stato semplice scegliere un filone da seguire e da analizzare: questa indagine ha avuto come obiettivo primario quello di analizzare le esperienze di guerra di uomini comuni, di semplici soldati, che dopo l’iniziale gioia con cui hanno accolto la guerra, si sono

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5 ravveduti dopo che hanno vissuto il suo orrore in prima persona al fronte. Prima che poeti sono state persone, che hanno riso, gioito, pianto, provato paura, ma hanno trovato il coraggio di raccontare quello che avevano visto, che cosa avessero provato. Alcuni sono tesi noti alla maggior parte degli studiosi, ma il punto di forza è stata l’analisi comparata di testi famosi con testi più di nicchia, addirittura che si possono trovare solo nelle biblioteche comunali di città minori. Questo perché è essenziale per tutti noi ricordare le esperienze di ognuno di questi uomini di valore, che hanno avuto il coraggio di credere in degli ideali, e alla successiva delusione di questi, hanno trovato un modo per affrontare il dolore, scrivendo, narrando, dipingendo, insomma, riportando a tutti che cosa avesse significato per loro l’Apocalisse.

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6

INTRODUZIONE STORICA

Cause e conseguenze dello scoppio del conflitto: da guerra lampo a guerra di posizione.

Per cercare di sintetizzare le cause che portarono allo scoppio della Prima guerra mondiale è opportuno risalire innanzitutto al ruolo preponderante della Prussia nella creazione dell'Impero tedesco, avvenuta nel 1871, e tentativo di questa di assicurarsi sbocchi commerciali attraverso la conquista di nuove colonie, in contrasto con la Francia e l'Inghilterra. Furono molti anche i problemi etnici interni all'Impero austro-ungarico, a causa delle ambizioni indipendentiste di alcuni popoli che ne facevano parte. La Russia generava timore oltre frontiera nei confronti dei tedeschi, popolo che, a sua volta, tormentava la Francia fin dal 1870 dopo la pesante sconfitta di Sedan. Inoltre, in quegli anni, il Regno Unito passò da un atteggiamento di isolamento ad una politica di attiva presenza in Europa. La Germania, sotto la guida politica del suo primo cancelliere Bismarck, si assicurò un ruolo in Europa fino dal 1882 tramite l'alleanza con l'Impero austro-ungarico e l'Italia, denominata Triplice Alleanza. La Germania iniziò anche una politica del riarmo navale, che risultò una vera e propria sfida aperta al predominio navale britannico.

Il casus belli che portò al conflitto è da far risalire all'assassinio dell'arciduca d'Austria Francesco Ferdinando d'Asburgo – Este, avvenuto il 28 giugno del 1914 a Sarajevo, ad opera di indipendentisti slavi. Esattamente il mese seguente, il 28 luglio del 1914, l'Impero austro-ungarico dichiarò guerra al Regno di Serbia. Per il gioco di alleanze che si erano formate in Europa negli ultimi anni dell'800, la guerra vide schierarsi le maggiori potenze mondiali, con le rispettive colonie, in due blocchi contrapposti: da una parte gli imperi centrali con Germania, Austria-Ungheria e Impero ottomano, con

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7 l'aggiunta dal 1815 della Bulgaria; dall'altra le potenze alleate rappresentate dalla Francia, Regno Unito e Impero russo; con l'aggiunta dell'Italia dal 19152.

In un primo momento si pensò che questa fosse una guerra lampo, ovvero che si potesse risolvere nel giro di pochi mesi, sulla falsariga delle guerre risorgimentali e coloniali. Nessuno avrebbe potuto predire quale sarebbe stata la vera realtà della guerra3.

Le prime operazioni militari del conflitto videro l’avanzata dell’esercito tedesco in Belgio, Lussemburgo e nel nord della Francia, azione fermata dall’esercito francese - con l’aiuto degli inglesi alleati - nella prima battaglia della Marna (settembre 1914); contemporaneamente l’attacco dei russi ad est infranse presto la speranza della Germania di una guerra lampo con esito vittorioso. Il conflitto degenerò in una logorante guerra di trincea, o per meglio dire, di posizione, nella quale gli eserciti si schierarono lungo i confini dei propri territori, gli uni davanti agli altri, a distanza di poche centinaia di metri, per cercare di guadagnare, durante gli aspri combattimenti che seguirono, qualche pezzo esiguo di territorio4. Fu una guerra devastante, soprattutto per le aspre condizioni climatiche in cui vissero i soldati al fronte, ma anche a causa dell’introduzione di nuove armi mai viste prima d’ora: la mitragliatrice, i cannoni con svariati calibri, l’aviazione (anche se non utilizzata in modo massiccio) e l’utilizzo di gas asfissianti (sperimentati per la prima volta nella cittadina di Ypres, che dette il nome al gas iprite). Mai eserciti così grandi erano stati messi in campo, né mai si erano mai

2 Cfr. TOMMASO DETTI,GIOVANNI GOZZINI, Storia contemporanea II, Il Novecento. Mondadori, Milano,

2002, pp. 1-5.

3 Tutti gli stati europei agivano in base a dottrine militari e piani strategici di tipo offensivo, fondati sul

concetto della guerra di movimento e sul culto dell’offensiva. Tale contesto si configurava come un «gioco a somma zero»: ogni vantaggio per una parte corrispondeva ad uno svantaggio per l’altra e i margini di mediazione risultavano quindi molto ristretti. Cfr. TOMMASO DETTI, GIOVANNI GOZZINI, Storia

contemporanea II, Il Novecento, cit. p. 4.

4 Il caso più famoso di disposizione strategico-militare offensiva era costituito dal così detto piano

Schlieffen (dal nome del Capo di Stato Maggiore tedesco che l’aveva elaborato nel 1905), che prevedeva una campagna veloce e risolutiva contro la Francia, per realizzare la quale occorreva attraversare il Belgio. Cfr. TOMMASO DETTI,GIOVANNI GOZZINI, Storia contemporanea II, Il Novecento, cit. pp. 5-6.

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8 fronteggiati tanto a lungo.5 Quella del 1914-18 fu insomma una micidiale guerra di logoramento e il senso delle sue battaglie risiede nella misura impensata delle distruzioni materiali e delle perdite umane che ne furono il prezzo: senza considerare gli ammalati, sono stati stimati 6,5 milioni di mutilati e 10 milioni di morti, cui vanno aggiunti 4 milioni di vedove e 8 milioni di orfani. Reso cruciale dalle dimensioni degli eserciti e dalla mostruosa capacità di fuoco delle loro armi, l’aspetto peculiare della Prima guerra mondiale è costituito dal carattere totale della mobilitazione dei paesi belligeranti. Più che sul campo di battaglia, le sorti del conflitto si giocarono sulla capacità di ciascuno di essi di sostenere uno sforzo umano, sociale ed economico immane6. La vittoria sarebbe andata a chi fosse riuscito a ridurre l’avversario allo stremo, fiaccandone soltanto i soldati, ma l’economia e le stesse popolazioni: la Prima guerra mondiale fu la piena realizzazione del concetto di guerra totale.

Nel gennaio del 1917 il governo tedesco rilanciò la guerra sottomarina, nella quale riportò ottimi successi. Dato che molte delle navi affondate battevano bandiera statunitense, la ripresa della guerra sottomarina suscitò l’intervento degli Stati Uniti nel conflitto7. Negli anni di guerra che andarono dal 1916 al 1917 una grande stanchezza fisica e psicologia si diffuse tra tutti i combattenti, che sfociò in scioperi e casi frequenti di ammutinamento al fronte. La crisi più grave scoppiò in Russia con una rivoluzione che portò all’abdicazione dello Zar ed alla successiva rivoluzione ad opera del partito

5 Cfr. TOMMASO DETTI,GIOVANNI GOZZINI, Storia contemporanea II, Il Novecento, cit. pp. 6-8.

6 Dalle acciaierie ai cantieri navali, dalle aziende chimiche a quelle automobilistiche, le industrie (specie

pesanti) aumentarono verticalmente di numero, dimensioni e addetti. Inoltre l’uso di tecnologie e forme di organizzazione del lavoro avanzate ne moltiplicava la produttività. Nei paesi meno progrediti, come la Francia e più ancora l’Italia, fu proprio la guerra a portare a compimento il processo di industrializzazione. Punto di partenza di tale processo furono gli approvvigionamenti: nel giro dei primi due anni di guerra uffici appositamente dedicati alla pianificazione e alla produzione bellica furono approntati in Germani e nel Regno Unito: in entrambi i casi il risultato fu l’istituzione di un rigido e capillare controllo statale sull’economia. Cfr. TOMMASO DETTI,GIOVANNI GOZZINI, Storia contemporanea II, Il Novecento, cit. pp. 8-11.

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9 socialista bolscevico, che firmò un trattato di pace con la Germania (trattato di Brest-Litovsk, 3 marzo 1918)8. Ma l’offensiva tedesca fu presto fermata in seguito all’aiuto delle truppe alleate statunitensi che, unite alle forze inglesi e francesi (grazie anche all’introduzione di carri armati) riuscirono a bloccare l’avanzata tedesca. L’11 novembre del 1918, dopo cinque anni di una guerra logorante, la Germania fu costretta alla resa. Con la fine del conflitto iniziò l’opera più difficile: stabilire a tavolino i nuovi confini degli stati partecipanti, segnando la fine degli imperi più grandi e potenti del mondo: l’Impero tedesco, austro-ungarico, ottomano e russo9.

L’Italia in guerra: il quadro politico alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia.

Il quadro politico italiano alla vigilia dell’entrata in guerra risulta molto complesso. Furono due gli schieramenti, contenenti varie correnti, che si opposero: coloro che credevano nella guerra e nella possibilità di trarre molti vantaggi da questa; e quelli che, al contrario, ritenevano che fosse inutile e svantaggioso schierarsi nel conflitto. All'interno del primo gruppo, rappresentato dagli interventisti, si trovavano diverse correnti: alla destra vi erano i nazionalisti, che vedevano nella guerra l'unico modo per fermare il socialismo; a sinistra i repubblicani, convinti che soltanto sconfiggendo l'Impero austro-ungarico si potesse creare un Europa composta da stati sovrani e indipendenti; i socialisti riformisti, che con i sindacalisti rivoluzionari vedevano con sospetto il militarismo dell'Impero tedesco; una corrente liberale, che riteneva fondamentale riunire Trieste e Trento all'Italia e, in ultimo, una corrente cattolica, l'unica

8 Cfr. TOMMASO DETTI,GIOVANNI GOZZINI, Storia contemporanea II, Il Novecento, cit. pp. 17-21. 9 Dopo molti mesi di discussione la nuova sistemazione del continente europeo venne sancita da diversi

trattati. Il più importante di essi – quello di Versailles del giugno 1919 – imponeva alla Germania di restituire l’Alsazia e la Lorena alla Francia, di cedere lo Schleswig del nord alla Danimarca, la Posnania e parte dell’Alta Slesia e della Pomerania alla Polonia, che si era ricostituita dopo ben 123 anni. Cfr. TOMMASO DETTI,GIOVANNI GOZZINI, Storia contemporanea II, Il Novecento, cit. pp. 28-31.

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10 a ritenere che si dovesse intervenire a fianco dell'Impero Asburgico, cattolico e conservatore10.

Per quanto concerne il secondo gruppo neutrale, vi erano varie correnti: i socialisti, che rappresentavano la classe operaia del paese; i cattolici radicati soprattutto nelle campagne; ed un'altra corrente liberale con a capo Giolitti che esprimeva le esigenze degli ampi strati della borghesia11.

Gli interventisti raggiunsero un’influenza non trascurabile e dopo pochi mesi incominciarono a sostenere che se l'Italia non fosse entrata in guerra sarebbe rimasta una semplice spettatrice: i vincitori non avrebbero dimenticato né perdonato, per di più se a prevalere fossero stati gli Imperi centrali, questi si sarebbero ricordati della nazione vista come una traditrice di una alleanza trentennale.

Il 24 luglio del 1914 il ministro degli esteri italiano, aveva preso visione dei particolari dell'ultimatum austriaco e aveva protestato contro l'ambasciatore tedesco a Roma dichiarando che se fosse scoppiata la guerra austro-serba, questa sarebbe derivata da un premeditato atto aggressivo di Vienna: la decisione ufficiale della neutralità fu infine presa dal Consiglio dei Ministri il 2 agosto del 1914. La neutralità ottenne inizialmente consenso unanime e l'arresto dell'esercito tedesco sulla Marna fece nascere i primi dubbi sulla sua invincibilità. L'Italia, restando inizialmente neutrale, in quanto il trattato della Triplice Alleanza prevedeva l'intervento solo in caso di aggressione di uno dei paesi aderenti, decise di ricercare dei vantaggi territoriali in cambio di un proprio intervento: l'8 aprile del 1915 offrì di affiancare in guerra le potenze centrali se le fossero state cedute il Trentino, le isole della Dalmazia, Gorizia e le fosse stato riconosciuto il primato sull'Albania. Una settimana dopo l'Austria-Ungheria rifiutò le condizioni dell'Italia.

10 Cfr. TOMMASO DETTI,GIOVANNI GOZZINI, Storia contemporanea II, Il Novecento, cit. pp. 14-15. 11 Cfr. TOMMASO DETTI,GIOVANNI GOZZINI, Storia contemporanea II, Il Novecento, cit. pp. 15-16.

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11 Subito dopo il Ministro degli Esteri Sidney Sonnino concluse le trattative segrete con l'Intesa, mediante la firma del patto di Londra12 con il quale l'Italia si impegnava ad entrare in guerra entro un mese. Il 24 maggio fu dichiarata guerra all'Austria-Ungheria, ma non alla Germania con cui si sperava di non guastare del tutto i rapporti.

Il piano strategico dell'esercito italiano, sotto il comando del Generale Capo di Stato Maggiore Luigi Cadorna, prevedeva uno schieramento difensivo nel settore occidentale del confine con il Trentino, ed un’offensiva a est, verso il cuore dell'Austria-Ungheria. Dopo aver occupato il territorio di frontiera, il 23 giugno gli italiani lanciarono il loro primo assalto alle postazioni fortificate austriache lungo il corso del fiume Isonzo: l'azione andò avanti fino al 7 luglio, ma a dispetto della superiorità numerica degli italiani, questi non conquistarono che poco terreno al prezzo di molti caduti.

Ogni volta lo schema si ripeteva: l’esercito italiano era mandato a morire in assalti sanguinosissimi contro le trincee austro-ungariche attestate sul limite dell'altopiano del Carso. Nella tarda primavera del 1916 gli austriaci tentarono lo sfondamento del fronte del Trentino con la celebre Strafexpedition, così chiamata con la volontà di punire l'Italia per il tradimento del trattato della Triplice Alleanza.

Il tentativo austriaco fallì, seppur a prezzo di terribili perdite da entrambe le parti. Il 9 agosto del 1916 l'esercito italiano ottenne, con la VI battaglia dell'Isonzo, la presa di Gorizia.

La guerra sul fronte italiano fu molto dura e costò migliaia di vittime: i soldati furono mandati allo sbaraglio verso la morte fino alla disfatta di Caporetto, il 24 ottobre 1917, quando gli austriaci, supportati da diverse divisioni tedesche, spostate dal fronte orientale a causa della disfatta della Russia, riuscirono a penetrare nel Friuli fino

12 Il trattato di Londra del 26 aprile 1915 mostra che l’obiettivo italiano di una espansione nei Balcani e

nel Mediterraneo contava quanto e più della conquista di Trento e Trieste. La scelta di campo, del resto, maturò soltanto dopo che i tedeschi furono fermati sulla Marna. Cfr. TOMMASO DETTI, GIOVANNI GOZZINI, Storia contemporanea II, Il Novecento. Cit. p. 15.

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12 all'arrivo sul Piave, da dove grazie al passaggio del comando dal generale Cadorna al generale Diaz e all'apporto di mezzi ed uomini da parte degli alleati, l'esercito riuscì nell'autunno dell'anno successivo a sbaragliare le linee austro-tedesche con la battaglia di Vittorio Veneto (24 ottobre – 4 novembre 1918).

La Grande Guerra non fu solo un evento di dimensioni inaudite, che sterminò intere generazioni e segnò la fine della vecchia Europa, ma fu la prima vera esperienza collettiva per il popolo italiano, unito poco più di cinquant'anni prima. Nelle trincee si trovarono fianco a fianco giovani provenienti da regioni diverse che parlavano dialetti differenti e la vita di coloro che non andarono al fronte fu ugualmente segnata da uno sforzo che assorbì tutte le energie della nazione: le donne ebbero per la prima volta un ruolo di rilievo, in quanto si assunsero la responsabilità delle proprie famiglie e svolsero lavori ritenuti esclusivamente maschili; i bambini, che vedevano padri e fratelli partire per il fronte, vivevano in un clima di tensione, dove venivano educati soprattutto nelle scuole alla necessità della guerra.

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CAPITOLO 1

1 Le forme letterarie della Grande Guerra.

Essa [La Grande Guerra] non smette di magnetizzare lo sguardo di ricorrenti generazioni di studiosi e lettori, ognuno dei quali la ripensa a suo modo e un po’ anche la riscrive13.

L’ideologia Risorgimentale nella Letteratura della Grande Guerra.

È opportuno iniziare l’analisi della letteratura italiana del primo Novecento ponendosi un interrogativo: che cosa sia rimasto in essa del mito risorgimentale. Il filone della memorialistica era ormai esaurito da tempo, Carducci e De Amicis non erano più in vita; era rimasto solo Pascoli a tenere salda la memoria degli eroi risorgimentali nei postumi Poemi del Risorgimento. Lo stesso d’Annunzio, che aveva celebrato l’impresa garibaldina in Elettra14, provava una sorta di imbarazzo nel rievocare le gesta della campagna di Libia, campagna prevalentemente a carattere colonialista, che mal si sposava con gli ideali di nazionalità ed indipendenza, innalzati a vessillo delle lotte risorgimentali.15 A complicare il quadro delle posizioni tenute dagli intellettuali nei primi anni del Novecento vi sono da tenere in considerazione i nove strazianti mesi in cui l’Italia si ritenne neutrale: una questione che si sarebbe dovuta sbrigare il prima possibile, prendendo una decisione. D’Annunzio lanciò un attacco all’Italia neutrale, vestita «d’ignominie et de paix», dove «l’astuce et la peur, vaches beveuses,/ ruminaient

13 MARIO ISNENGHI, Il mito della Grande Guerra, il Mulino, Bologna, 1989, p. 7.

14 Elettra, scritta nel 1903, costituisce il secondo libro della raccolta delle Laudi scritte da Gabriele

d’Annunzio.

15 GIUSEPPE LANGELLA, Il mito in trincea. La letteratura della Grande Guerra e l’ideologia

risorgimentale, in S. MAGHERINI,In trincea. Gli scrittori alla Grande Guerra, Atti del Convegno

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14 le mensonge»16, tornando ad indossare i panni risorgimentali di vate della patria17. Nei Canti della guerra latina infatti d’Annunzio ribadisce più volte l’importanza del tema irredentista18, proclamando con forza l’italianità dei territori contestati all’Austria, con frequenti riferimenti alla rivendicazione della forte presenza della cultura italiana in quelle terre19. Fu subito palese, fin dalle prime battaglie isontine del 1915, che non si sarebbe rivelata una guerra lampo20. Il secondo anno, il 1916, apparve un anno desolato. Il 1917, sfociò in una catastrofe: da Caporetto fino al Piave. Quella voglia di riscatto, di vittoria, che scaturì dopo la disfatta, costituì un unicum, un evento inatteso ed imprevedibile per tutti. Nacque un'identità della Grande Guerra, un'identità di popolo, che era stato capace di scendere insieme, in armi, e insieme di vincere il nemico. Finalmente il popolo si identificò in un ideale: quello del dovere e del servire la patria ad ogni costo.

Dal fascino parigino alla nascita degli intellettuali italiani.

La Grande Guerra ha assunto nella memoria delle persone il simbolo di un discrimine temporale tra il Novecento e il secolo precedente. Segnò la fine dell’idea di condurre le battaglie secondo schemi militari applicati nelle guerre risorgimentali, privilegiando scontri lunghissimi e dolorosi in termini di vittime. Gli storici hanno definito grande questa guerra non solo a causa della vasta area geografica del mondo che è stata

16 GABRIELE D’ANNUNZIO, Ode pour la resurrection, in Canti della guerra latina (1914-1918),

Mondadori, Milano, 1933; ora in Versi d’amore e di gloria, a cura di A.ANDREOLI E NIVA LORENZINI, , Mondadori, Milano 1984, II, p. 763.

17 GIUSEPPE LANGELLA, Il mito in Trincea, cit. p. 25.

18 Cfr. GIUSEPPE STEFANI, La lirica italiana e l’irredentismo. Da Goffredo Mameli a Gabriele d’Annunzio,

Bologna, Cappelli, 1959.

19 A questo scopo in Tre salmi per i nostri morti, comparsi su «Corriere della Sera» del 2 novembre del

1915, ricompare la figura della prosopopea, facendo parlare l’Italia stessa, che come una madre premurosa, richiama a sé tutte le città-figlie da lei messe al mondo. Cfr. GIUSEPPE LANGELLA, Il mito in

Trincea, cit. p. 26.

20Cfr. J.R.SCHINDLER, Isonzo. Il massacro dimenticato della Grande Guerra, trad. e integrazione di A.

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15 coinvolta, ma anche in riferimento al numero di feriti e morti che sono caduti durante quegli anni. Documenti e stime ammontano a circa 10 milioni il numero di soldati deceduti in Europa nelle zone di combattimento21. Una quantità di uomini caduti in guerra non era mai stata vista prima d’ora e fu causata dall’introduzione di nuove armi, che oggi potremmo definire di distruzione di massa: mitragliatrici, lanciafiamme, bombe a mano e bombe chimiche. Smisurata come evento militare, la guerra ha causato stravolgimenti irrimediabili sul campo culturale, psicologico ed emotivo. Una volta terminata, rimase impresso l’orrore nelle menti di chiunque l’avesse vissuta e da lì scaturì l’esigenza di trasformare quello strazio in forma di mito, che potesse garantire nei secoli successivi la memoria dei soldati in onore del sacrificio compiuto in nome della patria, creando un vero e proprio culto dei militi caduti al fronte, attraverso la costruzione di cimiteri monumentali che potessero accogliere e custodire i loro corpi per l’eternità.

Furono chiamati alla leva tutti coloro che erano stati valutati idonei a combattere, fino a convocare, negli ultimi anni della guerra a causa delle ingenti perdite, coloro che appartenevano alla così detta classe del ‘99, ovvero i giovani diciottenni. Tra i numerosi soldati al fronte ci furono anche poeti e uomini di cultura, che sentirono fino da subito l’esigenza di testimoniare l’orrore che stavano vivendo. Le atrocità del conflitto hanno contrastato, ma non hanno ostacolato la necessità da parte degli scrittori di testimoniare attraverso le parole quella che si rivelò essere l’esperienza più significativa della loro vita.

Nel 1911, anno in cui fu celebrato il cinquantenario per l'Unità d'Italia, si sollevò uno schieramento che costituì, se non un vero e proprio partito politico, un gruppo coerente

21 Informazioni reperite dal sito www.archiviomemoriagrandeguerra.it, consultato nel mese di settembre

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16 e con una grande autorità, rappresentato dagli intellettuali che si opponevano in ogni modo allo statuto unitario, alla sua dirigenza ed alla sua organizzazione tecnico-burocratica, identificata nella personalità di Giovanni Giolitti22. Il giolittismo rappresentò per gli interventisti il simbolo stesso della neutralità, come una lacuna, un vuoto. All'inizio la guerra fu celebrata dalla maggior parte dei poeti come una festa, un’occasione per scuotere gli animi intorpiditi delle persone, ma sono pochi quelli che, dopo il 1918, mantennero ancora l’illusione di un conflitto eroico caratterizzato da duelli epici contro il nemico. Furono due le eccezioni che si riscontrano nella letteratura di guerra: il Notturno di Gabriele D'Annunzio e L’Alcova d’acciaio di Filippo Tommaso Marinetti23. Il poeta che detenne il magistero bellico in Italia fu d'Annunzio, con uno spiccato senso alla violenza, interpretata in chiave di forza, sangue e massacro. La violenza fu evocata a partire dal Canto amebeo della guerra, contenuto nella Laus Vitae24. In una recente biografia su d'Annunzio, intitolata Gabriele d'Annunzio. L'uomo, il poeta, il sogno di una vita come opera d'arte, a cura di L. Hughes-Hallett, edita nel 2013, è possibile leggere:

22 M.BIONDI, Tempi di Uccidere, Helicon, Roma, 2015, p. 145.

23 Il Notturno fu realizzato a Venezia nel 1916, mentre il poeta era immobilizzato a letto e

temporaneamente cieco ad un occhio a causa di un grave incidente d’aereo. La storia vuole che d’Annunzio abbia realizzato questa opera scrivendo i versi su circa diecimila strisce di carta, o cartigli, il materiale, redatto in un secondo momento, fu sistemato dalla figlia Renata. L’impresa, quasi epica del poeta si scozza con la realtà che appare tra le righe del testo: la particolarità del Notturno risiede nella sua anima meditativa, che riflette un lato del poeta che non si era svelato facilmente fino a quel momento. Risulta dunque una testimonianza valida da analizzare nel quadro della letteratura della Grande Guerra.

L’Alcova d’acciaio di Marinetti è un romanzo futurista, scritto tra il 1919 e il 1920, pubblicato in seguito

nel 1921 dall’editore Vitigliano. Il romanzo narra le gesta trionfali dalla controffensiva del Piave fino alla battaglia di Vittorio Veneto. Pu essendo un romanzo spiccatamente futurista, Marinetti limita le parole in libertà, scegliendo di aderire ad una sintassi più tradizionale.

24 Le laudi del cielo, del mare, della terra, degli eroi sono una serie di cinque libri di Gabriele d’Annunzio

che costituiscono l'opera poetica fra le più note dell'autore. Il progetto delle Laudi, realizzato solo in parte, prevedeva la produzione di sette libri, uno per ogni stella delle Pleadi. Le prime tre (Maia, Elettra ed

Alcyone) vennero pubblicate nel 1903, nonostante la loro stesura fosse iniziata già nel 1896. Il quarto libro, Merope, apparirà solo nel 1912 ed esprime l'esaltazione della guerra italo-turca iniziata l'anno precedente; Asterope fu aggiunto agli altri come quinto libro della serie post mortem e comprende canti dedicati alla celebrazione della Grande Guerra ed altri eventi post bellici come l’impresa di Fiume, espressione degli ideali bellicisti e nazionalisti che animavano il suo autore. Degli ultimi libri progettati, Taigete e Celeno, restano solo i titoli, dato che non furono nemmeno iniziati.

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17

il poeta aveva avuto l'impressione che l'aria fosse ammorbata. Aveva avuto la sensazione di essere intrappolato su una nave in bonaccia, con le sentine puzzolenti, tra una ripugnante colonia di polipi giganteschi. Come eliminare quel sudiciume nauseabondo? La violenza su vasta scala era l'unico rimedio. Ora finalmente, il torrente di sangue purificatore stava per scorrere attraverso l'Europa25.

Messi da parte gli slanci bellicosi di d'Annunzio e di Marinetti, la guerra si rivelò difficilissima da raccontare. Uno dei più grandi poeti del Novecento italiano, Eugenio Montale, che combatté presso Valmorbia, alle pendici del Pasubio, riuscì a scrivere sulla guerra una sola poesia, sofferta: nel primo verso rievoca le interminabili notti trascorse in trincea, percorse dai rumori degli animali notturni: «Le notti chiare erano tutte un'alba, e portarono volpi alla mia grotta26». La notte gelida, trascorsa in trincea è descritta anche da Robert Musil, che si trovò a combattere sulla parte opposta del fronte e che ha un ricordo diverso, almeno per quanto riguarda i colori: «il cielo restava blu tutta la notte», scrive nel racconto intitolato Il Merlo27, ispirato alla sua esperienza di guerra. Ma anche Musil, come Montale, restituisce al lettore la vitalità di quelle notti:

Ogni notte facevo capolino più volte con la testa dal bordo della trincea..vedevo le azzurrine montagne del Brenta, che si stagliavano con il loro profilo come su un vetro lavorato.. A volte non riuscivo più a resistere e, folle di gioia e di desiderio, strisciavo fuori per una breve scorreria notturna, fino alla tenebra verde dorata degli alberi. Pareva che la paura di morire, che evidentemente pesa su ogni uomo come un macigno, fosse improvvisamente rotolata via e nell'incerta prossimità della morte fosse sbocciata un'inspiegabile libertà interiore28.

In quegli anni il centro dell'interesse culturale verteva su Parigi e sul fascino che questa città portava con sé. Parigi aveva avuto un occhio di riguardo per le correnti artistiche e letterarie che aspiravano ad un profondo rinnovamento di idee e pensieri. Non fu amata

25 L.HUGHES-HALLET, Gabriele d’Annunzio. L’uomo, il poeta, il sogno di una vita come opera d’arte,

traduzione di R. Zuppet, Rizzoli, Milano, 2014, p. 321.

26 La poesia, testimonianza significativa dell’orrore della guerra, fa parte della raccolta Ossi di Seppia di

Eugenio Montale, scritta nel 1925.

27 Nella Prima guerra mondiale Musil fu di stanza come ufficiale al fronte italiano in Alto Adige oltre che

al confine con l'Altopiano di Asiago e partecipò alla quinta battaglia dell'Isonzo. Per ripetuti attacchi di stomatite ulcerosa venne ricoverato negli ospedali di Brunico, Innsbruck e Praga, quindi rientrò a Bolzano.

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18 solo dai poeti, come Ungaretti, che fece del suo soggiorno parigino non soltanto un viaggio, ma un'esperienza che lo legò per tutta la vita a questa città; ma anche da pittori, come, ad esempio, il maestro della metafisica Giorgio De Chirico. Scrisse: «La modernità, questo gran mistero, abita ovunque a Parigi: tu lo ritrovi ad ogni angolo di strada accoppiato a ciò che fu, gravido di ciò che sarà»29. Anche gli Italiani conobbero l’arte francese, in particolare quella di Cezanne, attraverso l’importante mediazione del mercante d’arte di Vollard, che fu promotore delle avanguardie nella sua galleria, e vendette opere di celebri artisti come Paul Cézanne, Aristide Maillol, Pablo Picasso, Georges Rouault, Paul Gauguin e Vincent van Gogh, e di Marc Chagall ai più grandi collezionisti europei e americani.30

Molti intellettuali europei si rispecchiarono nelle idee del poeta Apollinaire, autore del volume Les peintres Cubistes, meditations esthetiques, un libro di articoli di critica d’arte riuniti nel 1912, nel quale poneva particolarmente interesse sul movimento futurista italiano, al quale avrebbe aderito sia come collaboratore alla rivista «Lacerba», sia come autore del volume L’Antitradition futuriste, manifeste synthese, presso le edizioni del Movimento Futurista a Milano. La cultura artistica francese si configurava come una complessa compenetrazione di una spinta classicista e di una modernista31. In Italia è stato quasi impossibile restare ancorati al fascino dell’epoca classica, dato che il passato era associato ad un senso di sosta perenne, di marcio, soprattutto a causa della

29 G.DE CHIRICO, Vale Lutetia, in «La Rivista di Firenze», febbraio 1925.

30 Per approfondire cfr. VOLLARD AMBROISE, Memorie di un mercante di quadri, Johan & Levi, Monza,

2014.

31 Un esempio tangibile di questo connubio tra antico e moderno è rappresentato dalla figura di Alberto

Savino, nome d’arte di Andrea Francesco Alberto de Chirico, fratello del celebre pittore Giorgio, autore degli Chants de la mi-mort e di Hermaphrodito, in cui si ravvisano tendenze verso il gusto del fantastico, alla parodia in particolare dei soggetti mitologici e all'ironia e al citazionismo. Queste ultime componenti lo differenziano in maniera decisiva dalle tonalità più radicali dell'avanguardia di primo Novecento, contrariato dal credo futurista della distruzione dei musei, o alla moda surrealista della scrittura automatica. Di rilievo, nella sua cultura, fu il riferimento alla grecità classica, e per questo viene spesso definito dai critici surrealista mediterraneo. Cfr. M.BIONDI, Tempi di Uccidere, cit., pp. 151.

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19 politica stantia giolittiana. Le reazioni furono molte, tra cui, la più evidente si manifestò attraverso il movimento futurista. La nuova estetica era basata sul movimento e sulla dinamicità, espressa nelle varie forme, come un’auto in corsa, una bici sfrecciante, un treno, il forno di una fabbrica che sputa fuoco e fumo oppure i fiumi di persone che scorrono nelle metropoli europee più all’avanguardia. Ma questo non è da confondere con il fatto che il futurismo, specie quello pittorico, si fosse ridotto ad un modernismo o ad un naturalismo di riproduzione industrialista. Ad esempio, Boccioni, fu critico ferreo delle correnti artistiche letterarie a lui contemporanee, soprattutto del cubismo, nel quale deplorava la «figura scomposta come una natura morta e privata delle stesse condizioni della vita»32. Egli commentò anche il Manifesto tecnico della pittura futurista, risalente al 1910, distinguendo tra un primo tempo di relazioni futuriste con la società e un secondo tempo, specifico del manifesto tecnico, che mirava alle più alte espressioni dell'assoluto pittorico.33 Quella stagione di ribellione ebbe inizio nel 1903 con la rivista «Leonardo» e si concluse con la Prima guerra mondiale con i giornali «Lacerba» (1913-1915) e «La Voce» diretta da Giuseppe De Robertis (15 dicembre 1915- gennaio 1916). Non bisogna pensare che l’esperienza della guerra si sia rivelata un fallimento privo di senso. Il significato della guerra fu nel vissuto del conflitto, nel dolore dei singoli, nello spirito di sacrificio e nel bisogno impellente di urlare il proprio strazio al mondo attraverso la testimonianza. Le riviste ed i giornali sono state sicuramente l’emblema di questo aprirsi al mondo della classe intellettuale.

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32M.SIRONI, Omaggio a Boccioni, in «Spazio», Roma, 1950; cit. in Pellegrini, op cit., p. 137.

33 Il primo Manifesto dei pittori futuristi fu pubblicato ufficialmente l'11 febbraio 1910 come volantino

della rivista Poesia. Questo manifesto sarà inizialmente firmato anche da Aroldo Bonzagni e Romolo Romani, nomi che successivamente lasciarono il posto a quelli di Gino Severini e Giacomo Balla. L'11 aprile 1910 venne pubblicato il Manifesto tecnico della pittura futurista, firmato unicamente da Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo e i già citati Giacomo Balla e Gino Severini.

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20 .

All’inizio del novecento gli scrittori passarono da cantori (anche critici) della guerra a veri e propri uomini di cultura che espressero le opinioni creando, o cercando di creare, un sentimento comune per spingere popoli e nazioni a combattere o a desistere. In Italia, tra il 1910 e il 1914, non mancarono prese di posizione, anche risolute, a favore di una guerra liberatrice e ci fu chi, da semplice intellettuale, si ritrovò soldato o ufficiale al fronte. Per quest' ultimi la guerra si era trasformata da ipotesi ideale ad un fatto concreto: non era solo più teoria astratta, ma pratica quotidiana, nella quale regnavano gli orrori, e da qui si sentì l’esigenza di tramandare ai posteri le proprie esperienze.

La letteratura non solo si mobilitò, ma fu anche mobilitata: sia per il ruolo che le venne assegnato all'interno della propaganda a favore della guerra, in seguito all'ingresso dell'Italia nel conflitto il 24 maggio del 1915, sia grazie all'uso strumentalizzato che venne fatto della tradizione letteraria, a partire da Dante Alighieri, pilastro sul quale fu fondata l'identità italiana negli anni del Risorgimento fino alle soglie del 191534. Gli uomini di cultura incominciarono a farsi chiamare intellettuali, sottolineando in questo modo come il loro sapere e il loro intelletto potesse essere disposto al servizio della comunità. L’esempio fu quello di Zola, che in quegli anni cercò di insegnare all’uomo di lettere il valore dell’impegno sociale e il rischio che comportava uscire dalla propria area protetta per affacciarsi alle problematiche nel mondo. Diffusosi in Francia nella fine dell'Ottocento, il sostantivo intellettuali comparse in Italia per la prima volta nel 1905, nel dizionario moderno a cura di Alfredo Panzini, indicando con un velo ironico «coloro che vanno distinti per l'uso e raffinatezza di cultura»35, ma successivamente denotò una

34 M.BIONDI, Tempi di Uccidere, cit. Nel primo capitolo l’autore conduce un’analisi della situazione

italiana alla vigilia della Grande Guerra, mostrando come sia stata fondamentale la ripresa di Dante Alighieri all’interno del dibattito interventista, autore richiamato come sostegno per l'interventismo italiano e come cantore della guerra.

35A.PANZINI, Dizionario moderno delle parole che non si trovano nei dizionari comuni, Hoepli, Milano,

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21 vera e propria classe, come la definì Croce, o forse uno strato sociale, come invece preferì chiamarlo Gramsci. Nell'età giolittiana, non si limitò a designare un piccolo gruppo di persone con un grado di istruzione superiore rispetto alla massa non istruita, bensì la classe di colti a cui si rivolse una delle riviste più in voga al tempo: «La Voce». Ci fu una prima generazione di intellettuali, denominata dal Luperini durante un convegno tenutosi a Giovinazzo, in provincia di Bari, tra il 15 e 16 ottobre del 2105, generazione degli anni '80, rappresentante cioè tutti quegli uomini di cultura che, nascendo negli anni '80 del 1800, avevano raggiunto l'età di vent'anni nei primi del '900, classe che sarebbe poi stata destinata ad imporsi nella scena italiana. Tra questi letterati spiccano molti nomi, come Jahier, Govoni, Palazzeschi, Gozzano, Corradini, Rebora, Michelstaedter, Ungaretti, Boccioni, Prezzolini e Papini. Una delle caratteristiche principali che accomunava questa generazione fu la crisi del modello che aveva rappresentato l'uomo di intelletto e il poeta, con il conseguente rifiuto di queste due figure. Dando un rapido sguardo alla storia italiana, senza la quale sarebbe impossibile procedere nell'analisi di questa tesi, si intuisce che la nascita dello Stato moderno italiano comportò un grande sviluppo non solo dell'industria, del ceto imprenditoriale e della classe operaia, ma anche della burocrazia statale che lavorava nel settore culturale degli uffici, delle scuole, nel giornalismo e nelle case editrici. Il nascente strato sociale fu rappresentato dalla borghesia, dalla quale emersero anche gli intellettuali, che cessarono di essere mantenuti della rendita e dei loro patrimoni e dovettero guadagnarsi da vivere, svolgendo una professione.

La classe borghese si dimostrò irrequieta, con un carattere decisamente sovversivo, aggettivo che, secondo la sua etimologia, deriva dal latino subvertere, ovvero rovesciare e di fatti connota il sentimento prevalente della classe degli anni '80, che si trovò a vivere in un momento di forte instabilità sociale e che cercò in ogni modo di affermarsi in una

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22 nazione che tendeva ad essere soffocata dall'alleanza giolittiana tra l'industria e l'aristocrazia operaia del nord.

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Le reazioni della generazione degli anni ’80: Futuristi, Crepuscolari e Vociani.

1.3.1 I Futuristi.

I nuovi scrittori iniziarono a distinguersi dagli uomini di intelletto che avevano caratterizzato il periodo precedente, segnato da grandi nomi come Carducci, Pascoli, d'Annunzio e Svevo. Questi si erano formati all'interno di una società ancora fortemente aristocratica e che manteneva ancora quella moralità che invece non si addiceva più alla classe degli anni '80, desiderosa di profondi rinnovamenti. Diverse furono le reazioni di questi intellettuali, che si radunarono intorno a correnti di pensieri affini che rappresentarono i loro ideali. L'unico movimento d'avanguardia in Italia fu espresso dal Futurismo, che si impose sulla scena con il manifesto redatto da Filippo Tommaso Marinetti, uscito in anteprima sulla «Gazzetta dell'Emilia di Bologna», il 5 febbraio del 1909 e pubblicato ufficialmente il 20 dello stesso mese sul quotidiano francese «Le Figarò»36. I Futuristi proposero di rompere ogni legame con il passato, esaltando la modernità in ogni sua forma espressiva. Dal punto di vista tematico la guerra rappresentava il momento in cui sarebbero potute esplodere le energie psico-fisiche dell'uomo, associato via via ad una bestia o ad una macchina. Per quanto riguarda i temi, i futuristi vollero scardinare la sintassi tradizionale, eliminando la punteggiatura, scrivendo parole in libertà ed inserendo simboli matematici e note musicali. In

Glorifichiamo la guerra, discorso tenuto da Marinetti nel 1915, anno focale per l’entrata

dell’Italia nel conflitto, emerge come la guerra sia esaltata sotto ogni aspetto. È utile

36Prima della data francese, era stato diffuso da molti giornali italiani, come «Il Pungolo» di Napoli, la

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24 ricordare, attraverso la celebre frase del futurista, come la guerra sia ritenuta «la sola igiene del mondo»37.

La Guerra non può morire poiché è una legge della vita. Vita = aggressione. Pace universale = decrepitezza e agonia delle razze. [...] Noi paroliberi, pittori, musicisti, rumoristi e architetti futuristi abbiamo sempre considerata la Guerra come unica ispirazione dell'arte, unica morale purificatrice, unico lievito della pasta umana. Soltanto la Guerra sa svecchiare, accelerare, aguzzare l'intelligenza umana, alleggerire ed aerare i nervi, liberarci dai pesi quotidiani, dare mille sapori alla vita e dell'ingegno agli imbecilli. La Guerra è l'unico timone di profondità della nuova vita aeroplanica che prepariamo. La Guerra, Futurismo intensificato, non ucciderà mai la Guerra, come sperano i passatisti, ma ucciderà il passatismo. La Guerra è la sintesi culminante e perfetta del progresso (velocità aggressiva + semplificazione violenta degli sforzi verso il benessere). La Guerra è una imposizione fulminea di coraggio, di energia e d'intelligenza a tutti. Scuola obbligatoria d'ambizione e d'eroismo; pienezza di vita e massima libertà nella dedizione alla patria38.

Figura 1- FILIPPO TOMMASO MARINETTI, Guerra, sola igiene del mondo, Edizione futuriste di poesia, Milano, 1915.

37 FILIPPO TOMMASO MARINETTI, Guerra, sola igiene del mondo, Edizione futuriste di poesia, Milano,

1915.

38 Cfr. http://lettere.uniroma2.it/sites/default/files/guerra%20sola%20igiene.pdf consultato il 20 settembre

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1.3.2 I Crepuscolari.

Un altro riflesso dei cambiamenti che stavano avvenendo nei confronti della retorica passata si realizzò nella corrente crepuscolare. Il primo a parlare di crepuscolarismo fu il critico Borghese39 in un articolo sul giornale «La Stampa», risalente al 1910, nel quale

definiva la corrente letteraria che avrebbe segnato il tramonto (da qui il nome crepuscolo) della tradizione letteraria e poetica dell’Ottocento, che era stata segnata da due grandi nomi come Carducci e d'Annunzio. I crepuscolari non costituirono una vera e propria scuola, o movimento, come fu invece il Futurismo, ma furono un gruppo di poeti, tra i quali ricordiamo Gozzano, Corazzini, Moretti e Govoni che si ritrovarono uniti nel rifiuto della retorica carducciana e del mondo estetizzante di d'Annunzio, in favore di una poesia più intima, fatta di «buone cose di pessimo gusto».40 I poeti dichiararono l'accettazione dello squallore borghese, rappresentato nelle poesie dalla descrizione degli arredi desueti di un salotto o di una stanza di un ospedale. Lamentavano nei loro componimenti la noia dei pomeriggi domenicali, della vita trascinata di ogni giorno e il malessere che nasce in conseguenza della crisi di ogni certezza. Si sentirono più rappresentati da questo nuovo mondo e si rinchiusero nel loro disagio, adottando un linguaggio che si adeguò alla semplicità della materia trattata.

39 Alcune informazioni sulla biografia di Giuseppe Antonio Borgese inerenti alla Grande Guerra. Nato a

Polizzi il 12 novembre 1882 e deceduto a Fiesole il 4 dicembre 1952 è stato uno scrittore, giornalista e critico letterario italiano. La sua intensa attività intellettuale ebbe modo di concentrarsi sul primo conflitto mondiale, cui Borgese prese posizioni da acceso interventista con opere come Italia e

Germania (Milano, 1915); Guerra di redenzione (Milano, 1915); La guerra delle idee (Milano,

1916); L'Italia e la nuova alleanza (Milano, 1917). Durante gli anni del conflitto mondiale, svolse delicate e complesse missioni diplomatiche, sotto le direttive del sottosegretario alla propaganda Romeo Gallenga Stuart, soprattutto volte a vagliare una possibile alleanza con le nazionalità slave in funzione antiasburgica. Nel 1918, a Roma, Borgese ideò il Congresso delle nazionalità oppresse dall'Austria-Ungheria, che venne a costituire, di fatto, una diversa piattaforma per le trattative di pace anche in relazione alla nascita di un futuro stato jugoslavo. All'inizio degli anni Venti, a causa della strenua difesa degli ideali etico-politici che Borgese aveva sempre propugnato, vennero deteriorandosi anche i rapporti con il Corriere

della sera, essendo egli diventato, fra l'altro, il bersaglio prediletto di quanti attaccavano gli esiti delle

trattative di pace, in nome della dannunziana vittoria mutilata. In pratica, Borgese venne estromesso dall'ambito della progettualità editoriale del quotidiano milanese, relativamente all'impostazione di questo in politica estera.

40Tratto da GUIDO GOZZANO, L’Amica di nonna speranza, in La via del rifugio secondo il manoscritto,

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1.3.3 I Vociani.

Un’altra importante reazione fu rappresentata dai vociani, un gruppo di intellettuali che ruotarono intorno al giornale «La Voce», fondato nel 1908 da Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini. Entrambi provenivano da un'altra famosa rivista letteraria, il «Leonardo», edita da Vallecchi, di breve vita, che pubblicò precisamente dal 4 gennaio del 1903 fino all'agosto del 1907, per un totale di 25 fascicoli.41

L’obiettivo di Prezzolini, redattore della «Voce», fu quello di superare la rivista concorrente il «Marzocco» cercando di raggiungere un amplio pubblico, costituito anche da quei piccoli centri di campagna, nei quali si tentava di dare voce alla nascente borghesia intellettuale, per creare un'alternativa valida al gruppo politico di Giolitti. Il titolo «La Voce» fu scelto da Prezzolini e la testata fu progettata da Ardengo Soffici. In una prima fase di attività, che va dal 1908-1911, «La Voce» non fu solamente una rivista letteraria, ma si distinse per l'impegno degli scrittori nei confronti di temi contemporanei come il divorzio, la questione meridionale, il suffragio universale maschile, dichiarando che il letterato potesse essere nuovo solo se fosse stato capace di confrontarsi con il contesto politico e culturale di quegli anni: un uomo di cultura che si sarebbe posizionato all'opposto della figura dannunziana e che avrebbe rappresentato per i vociani i vizi dell'artista che dovevano essere contrastati. Anche dal punto di vista strettamente politico si dichiarò guerra alla corrente trasformista giolittiana che stava impoverendo sempre di più la vita degli italiani.

41Nel momento in cui Prezzolini e Papini decisero di fondare «La Voce» si dovettero confrontare con la

rivista «Marzocco», fondata da Adolfo ed Angelo Orvieto. Il titolo «Marzocco» fu scelto da Gabriele d'Annunzio e riprese il nome e lo stemma araldico dell'antico leone rampante in rame che costituiva uno dei simboli della Repubblica fiorentina.

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27 Ma le differenze di opinioni all'interno della redazione emersero in occasione della campagna di Libia. Prezzolini sosteneva che entrare in guerra fosse «un dovere di disciplina nazionale sacrificare le personali vedute dinanzi all'interesse pubblico»42, questa posizione si sarebbe andata a scontrare con quella di un’altra figura, quella di Salvemini, che contrariato da ogni forma di nazionalismo, decise di abbandonare «La Voce» per fondare «l'Unità».

Dopo l'abbandono di Salvemini, la direzione passò nelle mani di Prezzolini, aprendo così lo scenario alla seconda fase della redazione del giornale, nella quale si annunciarono nuovi obiettivi e linee guida. Si intravide un forte ritorno alla purezza della letteratura, che ruppe quella sincronia che la legava alla vita reale, tipica della prima fase. Alla fine del 1914 la direzione passò a De Robertis, che la denominò «La voce bianca», facendola divenire un periodico a carattere esclusivamente letterario. Rifiutò ogni contestualizzazione storica, puntando sull'aspetto artistico del poeta, che si risolse in un metodo critico, incentrato sulla parola e sulla concezione di una lirica pura, fondata sulla poetica del frammento, che venne rappresentato, nei suoi esempi più celebri, dal canone dall'ermetismo. Sulle pagine della rivista appariranno in questi anni i primi versi di autori come, ad esempio, Giuseppe Ungaretti, Aldo Palazzeschi, Dino Campana e Clemente Rebora.

42 Cfr. https://wsimag.com/it/cultura/4286-la-voce-la-rivoluzione-culturale-di-prezzolini-e-papini,

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La guerra della lingua.

Ogni studente, sui banchi di scuola, aveva studiato con diligenza Orazio, ed aveva imparato la lezione espressa nel verso significativo: Dulce et decorum est Pro patria mori. L’educazione classica in materia di guerra aveva insegnato, fin dal tempo dei romani, la virtù e l’estetica del sacrificio e quanto fosse dolce e decoroso morire per la patria. Inoltre era consentito operare nella memoria della cultura una serie di connessioni che garantivano che l’irrazionale storico della guerra si rendesse razionale. Questo processo è attestato anche dalla quantità di pagine prodotte dalla scrittura: ogni soldato, senza volto, volle trovare il modo di riconoscersi.43 Un grande studioso di letteratura di guerra, Fussel44, ha osservato che, grazie all’efficienza del servizio postale, i libri al fronte «erano comuni quanto i pacchetti di Fortnum and Mason’s, e il persistere senso di noia provocato da una situazione tattica statica, unitamentente all’impegno fi tutti di praticare l’idea del proprio affinamento culturale, fecero sì che in nessun’altra guerra siano stati letti così tanti libri»45. Ma libri di quale genere? Le opere maggiormente diffuse nella prima guerra mondiale erano quelle che offrivano un’oasi di ragionevolezza e di normalità nell’inferno della trincea, un luogo nel quale si poteva fruire di una breve tregua di visioni. Erano libri che erano sapienti nel trasformare una descrizione, un resoconto, puntuale e realistico in un’altra cosa che era la letteratura. Ma come si poneva la letteratura, mero artificio, nei confronti di una realtà che era impossibile anche solo da immaginare? Più specificatamente in che modo gli avvenimenti reali venivano deformati dall’uso di metafore, similitudini retoriche, prosa ritmica, assonanza, allitterazione, allusioni, strutture complesse che chiaramente implicavano una causalità?

43 Cfr. M.BIONDI, Tempi di Uccidere, cit., pp. 9-11.

44 P.FUSSEL, La Grande Guerra e la memoria moderna, introduzione all’edizione italiana di A. Gibelli,

trad. di G. Panzieri, Bologna, il Mulino, 1984, pp. 1974-198.

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29 È stato possibile arrivare ad un compromesso tra le aspettative dei lettori, per i quali la storia scritta dovrebbe essere significativa ed interessante, ed il fatto crudele della realtà? Solo un illetterato totale, chi fosse digiuno perfino dell’istinto a narrare, che è pur sempre un mettere in forma, avrebbe potuto dire la verità, o meglio la cosa circoscritta alla cosa, il fatto ridotto a se stesso, e nient’altro46. «In un’atmosfera in cui il linguaggio e la letteratura avevano consapevolmente un peso tanto considerevole, anche gli illetterati potevano talora cogliere trionfi letterari genuini, anche se più modesti». La guerra ha invitato anche i soldati più semplici all’invenzione linguistica, perché c’erano da battezzare stati e condizioni di vita mai viste. La lingua veniva istintivamente sollecitata, provocata a confrontarsi con l’evento e il risultato era uno stile emotivo, quello prevalente al fronte.

Ad esempio chiamavano i morti piedi freddi (frifiped), o il cimitero campo di riposo (the rest camp); salire sul parapetto divenne saltare sui sacchi (jumping the bags). Spesso i nomi di città belghe e francesi offrivano occasioni per trovate spiritose: Idiot Crossroads (incroci degli idioti), oppure Dead Dog Farm (fattoria del cane morto), Jerk House (casa della carne essiccata), Vampire Point (posto del vampiro), Shelltrap Barn (fienile della trappola sotto tiro)47.

Nulla è stato definito orribile. Questa parole non veniva mai utilizzata in pubblico. Le cose erano maledettamente sgradevoli, piuttosto disgustose, o nei casi peggiori detestabili48.

Ci si domandò se la lingua fosse stata idonea all’inedito esistenziale provocato dalla guerra, e l’interrogativo si poneva più che sul piano linguistico, su quello retorico: «Naturalmente, una delle difficoltà della guerra è il contrasto tra gli avvenimenti e il

46M.BIONDI, Tempi di Uccidere, cit., pp. 11-13.

47 P.FUSSEL, La Grande Guerra e la memoria moderna, cit., p. 226-227. 48P.FUSSEL, La Grande Guerra e la memoria moderna, cit., p. 227.

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30 linguaggio di cui si dispone- o che si pensa sia adeguato- per descriverli. Più precisamente il contrasto era tra gli avvenimenti e la lingua comune di cui ci si era serviti per oltre un secolo per celebrare l’idea di progresso. Da un punto di vista logico non c’è alcun motivo per cui la lingua, propriamente la lingua inglese nel caso dell’indagine di Fussel, non sia in grado di rendere alla perfezione la realtà della trincea: è una lingua ricca di parole come sangue, agonia, crudeltà assassinio, svendita, sofferenza e inganno, e di locuzioni come essere accorciato dalle gambe, trovarsi con gli intestini in mano, urlare tutta la notte e altre. Altre considerazioni riguardavano il vasto uso di eufemismi, a cominciare da quelli più usati nella comunicazione ai famigliari tramite corrispondenza49. Altri eufemismi suggerivano l’uso della forma passiva impersonale, nel momento in cui i fanti dovevano riferire fatti la cui pesantezza morale era eccessiva da sopportare in prima persona.

Dunque la guerra non investe solo la sfera intima delle persone, ma si riversa anche nel linguaggio, che si rinnova e si inventa, per tentare di descrivere anche solo in minima parte l’orrore che caratterizzò la Grande Guerra.

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43 Si vedano i casi di Torino e Roma, rispettivamente in Bruno Maida, Dal ghetto alla città, pp. 28-32; Stefano Caviglia, L'identità salvata, pp.. alla Prima guerra mondiale. 45

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