L'evoluzione dei modelli di reclutamento e formazione della Scuola superiore della pubblica amministrazione
9. Tendenze evolutive dei modelli di reclutamento e formazione della Sspa
Le regolamentazioni sulla Scuola, sin dalle origini, hanno avuto ambizioni di cambiamento della pubblica amministrazione, attraverso la formazione di un’alta burocrazia capace di far fronte all’inerzia di apparati pubblici divisi e autoreferenziali. Tali intenti, però, hanno avuto realizzazioni differenziate e, spesso, contradditorie. L’attuale assetto normativo, pur presentando significativi vantaggi, è suscettibile di correttivi e non pare aver assunto – anche nel prossimo futuro - definitiva stabilità.
Precedentemente alla creazione della Sspa, la formazione professionale è basata sull’apprendimento sul campo, o affidata a diverse scuole tecniche – incapaci di incidere in profondità, in quanto sprovviste di funzioni di reclutamento e incardinate in singoli settori dell’amministrazione – dove si ha quasi una continuazione della formazione sul posto di lavoro. Di conseguenza, l’apprendimento è volto solo al funzionamento ordinario dell’amministrazione e non ad un suo rinnovamento o miglioramento.
La prima Scuola superiore (1957-72) è “generalista” e collocata al centro ma debole, poiché guarda solo all’interno (non ha funzioni di reclutamento) e non si rivolge ai vertici (ma, al massimo, ai quadri direttivi). Per via di incentivi limitati e per l’assenza di sanzioni (l’esito sfavorevole degli esami non ha alcuna conseguenza sulle eventuali future promozioni), la Scuola è sostanzialmente trascurata dalle amministrazioni, che rimangono i principali formatori in funzione della carriera del personale. I corsi, in ogni caso, non sono ancora particolarmente lungimiranti: si tratta di percorsi brevi, prevalentemente giuridici e rivolti ad una platea troppo ampia (senza particolari differenziazioni tra i cicli formativi). Anche in tale fase, dunque, la formazione rimane prevalentemente on job e la nuova Scuola, nella realtà, non è che una variante delle scuole settoriali.
Il secondo modello di Scuola (1972-84), sempre collocata al centro e con propensione generalista, segna una rottura rispetto al passato: i corsi - più lunghi e non solo a carattere giuridico - sono forniti di importanti meccanismi di implementazione (selezione e reclutamento). Ciò significa che i vertici amministrativi ricevono una formazione di tipo nuovo da parte della Scuola, dopo e contestualmente la dimostrazione della propria bravura in prove riservate ai dipendenti amministrativi o, ad un livello più basso,
aperte anche agli esterni. Nella pratica, però, i corsi o non vengono attivati (selezione per dirigenti), o vengono avviati con notevole ritardo e via via snaturati (corso concorso). Oltre ad una non sufficiente volontà amministrativa di rinnovamento, pur in presenza di una regolamentazione avanzata, sono presenti alcuni significativi difetti, frutto del compromesso tra merito e seniority, quali: squilibrio tra interni ed esterni per il raggiungimento dei vertici dell’amministrazione (solo chi è già dipendente pubblico può accedere alla dirigenza); squilibrio tra reclutamento operato ordinariamente dalle amministrazioni e corso concorso della Sspa (chi supera il concorso per direttivi riservato agli interni non deve seguire lunghi corsi ed effettuare ulteriori selezioni); quasi a compensare i precedenti limiti, smussamento dei meccanismi competitivi all’interno dei corsi per esterni e riduzione dei tempi della formazione (anche a causa della riappropriazione delle amministrazioni - che ottengono corsi concorsi appositi - di parte del corso). Anche in tale fase, dunque, le amministrazioni continuano ad avere un ruolo fondamentale sulla formazione dei vertici, mentre il corso concorso della Scuola – lungi dal permettere la creazione di un’élite amministrativa – apre timidamente la carriera direttiva agli esterni, che ricevono una preparazione più ampia che in passato (qualitativamente e quantitativamente) e non soltanto all’interno dell’amministrazione.
Il terzo modello di Scuola (1984-93), quasi ad assecondare i limiti applicativi della precedente disciplina, segna un ritorno al passato, in quanto prevalentemente rivolto all’interno e, di conseguenza, incontra maggiormente il favore delle amministrazioni. I corsi della Scuola (che continuano a chiamarsi corsi concorsi) si rivolgono esclusivamente ai dipendenti amministrativi, che per accedere ai vertici possono utilizzare il meccanismo in questione (per il quaranta per cento dei posti disponibili in ciascuna amministrazione) o sostenere un tradizionale concorso (“speciale” o “pubblico”, a seconda che sia o meno limitato a soggetti già dipendenti pubblici), a seguito del quale è prevista solamente la partecipazione ad alcuni seminari tenuti dalla Sspa. Tale normativa, dunque, lascia completamente la funzione di reclutamento nelle mani delle amministrazioni, mentre la Scuola appare indebolita: svolge corsi brevi (o seminari), settoriali, che distribuiscono incentivi limitati (non è più prevista, neanche nel law in books, la maggiorazione dei posti da conferire, per rendere il corso più impegnativo e selettivo) e non garantiscono aperture all’esterno dell’amministrazione. Di conseguenza, l’attività formativa, oltre a rimanere prevalentemente on job, ha scarsa propensione al rinnovamento, in quanto strumentalmente concepita come mero ostacolo (temporale) da superare per l’avanzamento in carriera.
Le riforme avviate negli anni Novanta segnano l’affermazione di un nuovo modello di Sspa, grazie al quale accedono ai vertici dell’amministrazione giovani preparati, previa formazione in corsi mirati alla comprensione delle trasformazioni sociali in atto. Sono previsti corsi
concorsi, gestiti dalla Scuola, che permettono l’accesso alla dirigenza (anche) agli esterni, in concorrenza ad altri metodi di reclutamento – di regola governati dalle amministrazioni - riservati ai dipendenti degli uffici pubblici; anche gli interni, in ogni caso, sono tenuti a seguire una adeguata formazione impartita dalla Scuola. La preparazione dell’alta burocrazia, dunque, esce dalle amministrazioni, per essere svolta – obbligatoriamente prima della nomina, in corsi non brevi, interdisciplinari e che prevedono periodi di applicazione spesso in aziende private – da parte della Scuola. Anche tale normativa, però, similmente alla riforma del 1972, non è esente da difficoltà applicative. La tendenza segnalata, infatti, inizia ad emergere dalla fine degli anni Novanta, quando - dal 1999 ad oggi, in quattro corsi concorsi (di cui uno in fase di svolgimento) e, dal 2002, in nove edizioni di corsi di reclutamento per dirigenti (l’ultima ugualmente in fase di svolgimento) – la Scuola si è incaricata di formare qualche centinaio di nuovi dirigenti. La prassi amministrativa, poi, si presenta sostanzialmente omogenea, nonostante nelle norme venga prima introdotta la fase selettiva durante i corsi concorsi (1993), poi rimossa (1998-2000) e poi ancora reintrodotta (disciplina vigente). Ciò fa si che gli incentivi maggiori vengano anticipati alla fase concorsuale iniziale (prevalentemente gestita dalle amministrazioni), in quanto, una volta superata quest’ultima, le armi della selezione si presentano spuntate.
In sintesi, da questo rapido excursus può notarsi come il principale strumento volto a perseguire il rinnovamento amministrativo, ponendo l’attenzione sul personale professionale più elevato - una volta sottratta e via via arrichita parte dell’attività formativa alle amministrazioni - è stato il corso concorso; la connessione di quest’ultimo al reclutamento dall’esterno e il rapporto con gli altri canali di accesso ai vertici – nelle norme e nella realtà – hanno qualificato i diversi modelli formativi e, in definitiva, decretato successi e insuccessi del paradigma di Scuola, in relazione alle finalità più ambiziose che ad essa venivano assegnate.
I primi modelli, infatti, riproducono o non intaccano, tendenzialmente, la formazione on job. Anche la breve parentesi aperta con la normativa del 1972, nonostante la previsione del doppio accesso, comprendente aperture laterali dell’amministrazione a giovani esterni, finì per non produrre modificazioni sostanziali. Gli ultimi dieci anni registrano significativi passi in avanti – anche per la stabilità acquisita e per l’approccio (anche) problematico della didattica - in direzione della formazione di corpi con capacità di riforma amministrativa, ma si è ancora lontani dalla creazione di un’amministrazione di vertice con ruolo trainante in funzione di motore dello sviluppo economico e sociale. Relativamente alla formazione355, l’assetto complessivo, infatti, è tuttora caratterizzato da spirito
355 La formazione, come osservato in precedenza, non è che uno degli aspetti per rilanciare il ruolo della dirigenza nel nostro Paese. Su tali aspetti, si rinvia a B. Cimino, Il nuovo
compromissorio, a causa della tendenziale separazione tra le amministrazioni e della dominanza della seniority e di altre variabili extra merito.
È su tali aspetti, dunque, che ci si dovrebbe concentrare per produrre un paradigma di Scuola maggiormente coerente con più ambiziosi obiettivi di riforma degli apparati pubblici356. Le norme più recenti, pur permettendo aperture laterali nell’accesso dei vertici più elevati e rendendo tendenzialmente permanente la formazione per l’alta burocrazia, non paiono sufficienti a muovere nella direzione segnalata.
356 In tal senso, il modello dovrebbe acquisire, in tutto o in parte, ulteriori caratterizzazioni, quali: monopolio del reclutamento centralizzato, onde evitare pressioni settoriali delle singole amministrazioni e reale unificazione delle carriere (rompendo, quindi, le divisioni tra amministrazioni); maggiore competizione tra interni e esterni in funzione di apertura a quest’ultimi, eventualmente rendendo più selettivi i criteri di partecipazione alle prove concorsuali (ad esempio, prevedendo un voto minimo di laurea) e parificando i titoli e esperienze post lauream più formanti all’anzianità all’interno dell’amministrazione; selezione fondate sui corsi e non sulla base di concorsi iniziali, permettendo inoltre la scelta dell’amministrazione sulla base della graduatoria di fine corso; retribuzioni adeguate al settore privato, anche durante la frequenza dei corsi; espletamento a cadenza annuale del corso concorso, onde evitare lo scoramento dei candidati esterni in attesa.