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Un tentativo di conclusione

Nel documento aA aAaAaAaAaAaAaAaA aA aA (pagine 118-126)

I. Ambiente e alimentazione

I.2. Il contributo delle religioni

5. Un tentativo di conclusione

L’Ebraismo definitivamente ha una posizione sugli animali:

– consapevolezza del loro essere viventi;

– consapevolezza del loro poter soffrire;

– consapevolezza dei loro bisogni e necessità.

È imperativo ad essere misericordiosi nei loro confronti.

L’Ebraismo definitivamente ha una posizione anche sull’ambiente:

– consapevolezza della necessità alla sua protezione;

– consapevolezza che non è nostro;

– consapevolezza della irrimediabilità dei danni: «presta la tua attenzione a non danneggiare ed a non distruggere il mio mondo; poiché se l’avrai danneggiato, non c’è chi lo riparerà dopo di te»89.

Attuale come non mai in questo periodo di discussioni fe-roci su come e quanto si possa ancora (ridurre di) inquinare.

L’Ebraismo definitivamente ha una posizione sulla corre-sponsabilità sociale; sulla relatività della proprietà terriera e sul suo sfruttamento.

Ma anche sull’umana debolezza relativamente alla spon-tanea generosità; da cui un meccanismo di obbligatorietà di comportamenti e strutture finalizzate ad una certa redistri-buzione e compartecipazione dei beni di prima necessità.

L’Ebraismo definitivamente ha una posizione su: anima-li, ambiente, società, in modo solo apparentemente discor-dante:

89. Qohelet Rabbà, 7:13.

Paolo S.

Pozzi

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– dominio misericordioso sugli animali;

– conservazione del creato;

– rispetto e compassione del prossimo.

Il nodo di collegamento è rappresentato dall’utilizzo consa-pevole del Creato: utilizzo pietoso degli animali, con divieto alla loro sofferenza, forse anche non solo fisica; divieto allo spreco ed alla distruzione, al deturpamento; condivisione delle risorse con i meno abbienti.

Ma anche consapevolezza che «il compimento di una buona azione, ne genera un’altra»90.

Nel Libro di Ruth (circa xi secolo a.C.), letto general-mente durante la festività di Shavuot-Pentecoste, si legge la storia di Ruth: Moabita e vedova; non Ebrea, suocera di Naomi, Ebrea e vedova anch’essa. Ruth al tempo della mietitura del grano si accodò ai mietitori nel campo di Boaz, parente del marito defunto di Naomi, appunto per spigo-lare e preparare le scorte per sé e per la vedova Naomi.

Boaz, venutolo a sapere, non solo permise a Ruth di spi-golare il grano, invitandola a non andare da altri, ma disse ai suoi operai di «dimenticarne di più»91.

Boaz, alla fine, sposò Ruth. «Boaz generò Oved; Oved generò Yshai; Yshai generò David»92.

E i giorni che regnò David furono 40 anni; a Hevron regnò 7 anni ed a Gerusalemme regnò 33 anni.93

Il più grande Re di Israele derivò da una donna convertita all’Ebraismo e dall’osservanza di una mitzwah molto distan-te da quelle che potrebbero essere le eroiche gesta di altre dinastie.

90. Mishna, Massechet Avot – Le Massime dei Padri; 4:2.

91. Ruth, 2:15.

92. Ruth, 4:22.

93. Melachim – Re – I – 2:11.

Religioni e sviluppo sostenibile

Introduzione 109

L’enciclica Laudato si’ (Ls), pubblicata il 24 maggio 2015 da Papa Francesco, prende il nome dal Cantico delle creature di Francesco d’Assisi, santo più volte citato nel corso del documento e indicato espressamente come «l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità […]. In lui si riscon-tra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore» (Ls 10). Fin dai primi due paragrafi si evidenzia che San Francesco ricordava nel Cantico che «la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia» (Ls 1). Papa Francesco invita a riflettere scrivendo che

questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando di essere suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si ma-nifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per que-Gli obiettivi dello sviluppo sostenibile

nell’Enciclica Laudato si’

Giuseppe Zeppegno

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sto, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che “geme e soffre le doglie del parto” (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr. Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora. (Ls 2)

Questa preoccupazione era già stata mossa dal Papa nella sua prima enciclica, la Lumen fidei1. Al paragrafo 55 aveva infatti asserito:

La fede nel rivelarci l’amore di Dio creatore, ci fa rispetta-re maggiormente la natura, facendoci riconoscerispetta-re in essa una grammatica da lui scritta e una dimora a noi affidata, perché sia coltivata e custodita; ci aiuta a trovare modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità e il profitto, ma che considerino il creato come dono, cui tutti siamo debitori.

Questa considerazione non era peraltro nuova. Rispondeva ad una precisa attenzione già presente in alcuni scritti dei primi secoli dell’era cristiana ed era stata ampiamente ri-considerata in questi ultimi decenni. In questa linea, risulta centrale nella Ls una domanda che troviamo al paragrafo 160: «Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che ora stanno cre-scendo?». Il Papa aggiunge che è una domanda che non riguarda solo l’ambiente perché «quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori».

Devono pulsare quindi alcune domanda di fondo: «A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo?

Perché questa terra ha bisogno di noi?». Non basta, infatti,

«che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Oc-corre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il signi-ficato del nostro passaggio su questa terra».

Nei due paragrafi successivi il Papa precisa che «le pre-visioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con

1. Francesco, Lett. Enc. Lumen fidei (29 giugno 2013): AAS 105(2013), 555-596.

Gli obiettivi dello sviluppo sostenibile nell’Enciclica Laudato si’

111 disprezzo e ironia» perché «potremmo lasciare alle prossi-me generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia. Il rit-mo di consurit-mo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta già avvenendo pe-riodicamente in diverse regioni». Tale squilibrio «dipende da ciò che facciamo ora, soprattutto se pensiamo alla re-sponsabilità che ci attribuiranno coloro che dovranno sop-portare le peggiori conseguenze. La difficoltà a prendere sul serio questa sfida è legata ad un deterioramento etico e culturale, che accompagna quello ecologico». Nota inoltre che gli uomini e le donne in questo mondo postmoderno

«corrono il rischio permanente di diventare profondamen-te individualisti». Molti problemi sociali, infatti, «sono da porre in relazione con la ricerca egoistica della soddisfazio-ne immediata, con le crisi dei legami familiari e sociali, con le difficoltà a riconoscere l’altro. Molte volte si è di fronte ad un consumo eccessivo e miope dei genitori che danneg-gia i figli, che trovano sempre più difficoltà ad acquistare una casa propria e a fondare una famiglia». Manca inoltre la capacità «di pensare seriamente alle future generazioni»

perché siano incapaci «di ampliare l’orizzonte delle nostre preoccupazioni e pensare a quanti rimangono esclusi dallo sviluppo. Non perdiamoci a immaginare i poveri del futu-ro, è sufficiente che ricordiamo i poveri di oggi, che hanno pochi anni da vivere su questa terra e non possono conti-nuare ad aspettare».

Questa preoccupazione ripercorre in modo organico i sei capitoli di cui consta l’enciclica. Nel primo infatti si conduce una attenta e scientificamente provata analisi della situazio-ne attuale. Nel secondo, posituazio-nendo particolare attenziosituazio-ne ai racconti biblici della creazione e del peccato originale, rileva che nell’insegnamento scritturistico ed ecclesiale è centrale l’insistenza sulla bontà del creato e sul ruolo che l’uomo de-ve assumere per custodirlo. Il capitolo terzo, in dialogo con la filosofia e le scienze umane, si occupa delle cause per cui si è giunti alla situazione attuale. Il capitolo successivo trat-teggia gli elementi cardine di un’ecologia integrale capace di orientare un nuovo modo di essere dell’uomo nel creato.

Il capito quinto, senza presunzione alcuna di sostituirsi alle diverse componenti della società, sostiene la necessità di un

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rinnovamento capace di coniugare politica ed economia, religioni e scienze, economia e impresa per il bene integrale dell’uomo e di questo nostro mondo globalizzato. Infine, l’ultimo capitolo delinea gli elementi essenziali di una spiri-tualità ecologica nella convinzione che «quando le persone diventano autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare. In tale contesto non sembra possibile che qual-cuno accetti che la realtà gli ponga un limite. In questo oriz-zonte non esiste nemmeno un vero bene comune» (Ls 204).

Sono due gli argomenti principali dell’enciclica: la con-templazione per la bellezza del creato e il gemito di soffe-renza che sgorga dalla creazione e da tante creature ingiu-stamente vilipese. Il Pontefice osserva:

Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella no-stra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfrut-tatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. (Ls 11)

Il tema della bellezza del creato – ampiamente trattato, con sfumature diverse, da numerosi autori – è caro a Papa Fran-cesco. Ne parlò diffusamente già il 19 marzo 2013 nell’ome-lia della Messa d’inizio pontificato dove invitò a custodire Cristo nella vita per custodire al medesimo tempo gli altri e il creato: «La vocazione del custodire non riguarda sola-mente noi cristiani» perché «ha una dimensione che prece-de e che è semplicemente umana, riguarda tutti». La custo-dia del creato «come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo».

Impegna quindi a «custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore». All’interno della famiglia «i co-niugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano

Gli obiettivi dello sviluppo sostenibile nell’Enciclica Laudato si’

113 custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!»2.

Nella medesima omelia mise in guardia anche dall’Ero-de che è in noi ricordando che l’uomo se viene meno alla responsabilità di custodire non solo il creato ma anche i fratelli «allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridi-sce». Chiede, pertanto, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità di essere custodi «della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambien-te». Custodire – precisa – «vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza! E qui aggiungo, allo-ra, un’ulteriore annotazione: il prendersi cuallo-ra, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza»3.

Le stesse argomentazioni tornano nel primo capitolo della Laudato si’, dove sono elencati gli attentati che co-stantemente il creato subisce: inquinamento, cambiamenti climatici, uso incontrollato dell’acqua e perdita di biodiver-sità. Per ammissione di numerosi scienziati, queste questio-ni sono affrontate nell’enciclica con estrema competenza scientifica. Va precisato che il Papa non enuncia i problemi per condurre un’accusa sterile nei confronti di chi provoca i disastri ambientali. Il suo obiettivo, infatti, è di aiutare a

«prendere dolorosa coscienza» della realtà per «osare tra-sformare in sofferenza personale quello che accade al mon-do, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare» (Ls 19).

Al paragrafo 22 annota: «questi problemi sono intima-mente legati alla cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano ve-locemente in spazzatura». Al paragrafo 43 riprende questo discorso rilevando: «se teniamo conto del fatto che anche

2. Id., «Omelia della Messa d’inizio pontificato», 19 Marzo 2013, inhttp://www.vatican.

va/content/francesco/it/homilies/2013/documents/papa-francesco_20130319_omelia-ini-zio-pontificato.html [12 marzo 2020].

3. Ibid.

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l’essere umano è una creatura di questo mondo, che ha diritto a vivere e ad essere felice, e inoltre ha una speciale dignità, non possiamo tralasciare di considerare gli effetti del degrado ambientale, dell’attuale modello di sviluppo e della cultura dello scarto sulla vita delle persone». Enuclea subito dopo la disordinata crescita di tante città diventate invivibili (Ls 44), la privatizzazione degli spazi verdi (Ls 45),

«gli effetti occupazionali di alcune innovazioni tecnologiche, l’esclusione sociale, la disuguaglianza nella disponibilità e nel consumo dell’energia e di altri servizi, la frammenta-zione sociale, l’aumento della violenza e il sorgere di nuove forme di aggressività sociale, il narcotraffico e il consumo crescente di droghe fra i più giovani, la perdita di identità»

(Ls 46).

È facile notare che volutamente il discorso si sposta dall’ambiente all’uomo per dimostrare «come la crescita de-gli ultimi due secoli non ha significato in tutti i suoi aspetti un vero progresso integrale e un miglioramento della qua-lità della vita. Alcuni di questi segni sono allo stesso tempo sintomi di un vero degrado sociale, di una silenziosa rottura dei legami di integrazione e di comunione sociale» (Ls 46).

Contribuiscono a questo impoverimento molti fattori.

1. Le dinamiche dei media e del mondo digitale che sono sempre più onnipresenti ma «non favoriscono lo sviluppo di una capacità di vivere con sapienza, di pensare in pro-fondità, di amare con generosità» (Ls 47).

2. L’iniquità con cui vengono affrontati i drammi dei poveri del mondo visto che «invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limita-no a proporre una riduzione della natalità. Non manca-no pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di

“salute riproduttiva” (Ls 50).

3. Il “debito ecologico” tra il Nord e il Sud del mondo determinato dalle «esportazioni di alcune materie prime per soddisfare i mercati nel Nord industrializzato hanno prodotto danni locali, come l’inquinamento da mercurio nelle miniere d’oro o da diossido di zolfo in quelle di rame».

Bisogna poi «calcolare l’uso dello spazio ambientale di tut-to il pianeta per depositare rifiuti gassosi che sono andati accumulandosi durante due secoli e hanno generato una

Gli obiettivi dello sviluppo sostenibile nell’Enciclica Laudato si’

115 situazione che ora colpisce tutti i Paesi del mondo». Cita il riscaldamento che ha gravi ripercussioni sui paesi più po-veri della terra». A questo – aggiunge – «si uniscono i dan-ni causati dall’esportazione verso i Paesi in via di sviluppo di rifiuti solidi e liquidi tossici e dall’attività inquinante di imprese che fanno nei Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale» (Ls 51).

4. Lo sfruttamento dei popoli del Terzo Mondo che han-no «le riserve più importanti della biosfera» ma che conti-nuano, loro malgrado, «ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro» (Ls 52). Queste ingiustizie sono contrastate con reazioni deboli e pressoché insignificanti (Ls 53-59) anche perché non si vuole considerarle con la giusta attenzione. «Da un estre-mo, alcuni sostengono ad ogni costo il mito del progresso e affermano che i problemi ecologici si risolveranno sempli-cemente con nuove applicazioni tecniche, senza considera-zioni etiche né cambiamenti di fondo. Dall’altro estremo, altri ritengono che la specie umana, con qualunque suo intervento, possa essere solo una minaccia e compromet-tere l’ecosistema mondiale, per cui conviene ridurre la sua presenza sul pianeta e impedirle ogni tipo di intervento. Fra questi estremi, la riflessione dovrebbe identificare possibili scenari futuri, perché non c’è un’unica via di soluzione.

Questo lascerebbe spazio a una varietà di apporti che po-trebbero entrare in dialogo in vista di risposte integrali»

(Ls 60). Non bisogna arrendersi «La speranza ci invita a riconoscere che c’è sempre una via di uscita, che possiamo sempre cambiare rotta, che possiamo sempre fare qualcosa per risolvere i problemi» (Ls 61).

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