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teoria ed evidenza empirica *

1. INTRODUZIONE.

Ripercorrendo i principali sviluppi della teoria macroeconomica degli ultimi decenni, si può notare come il ruolo attribuito a fattori monetari nella spiegazione delle fluttuazioni cicliche si sia progressi-vamente ridotto fino a venire praticamente negato dalla più recente versione della teoria di equilibrio del ciclo: la real business eycle

theo-ry. Secondo la teoria dei cicli reali (d'ora in poi RBC) le fluttuazioni nelle variabili reali (produzione, occupazione, consumi, investimenti) sono il risultato di scelte ottime degli agenti economici, nel rispetto dei vincoli dati dalla tecnologia esistente. Ciò che differenzia questa teoria dai precedenti modelli di equilibrio del ciclo proposti dalla «nuova macroeconomia classica» è sia un diverso tipo di impulsi che generano le fluttuazioni (disturbi di natura tecnologica invece che

shock monetari), sia la presenza di meccanismi in grado di generare endogenamente la dinamica del sistema (ad esempio costi di aggiusta-mento o tecnologie di tipo time-to-build).

La spiegazione del ciclo offerta da questa classe di modelli esclude l'importanza di disturbi monetari come impulsi generatori del ciclo * L'Autore desidera ringraziare Giancarlo Marini e Charlie Bean per utili commenti su una stesura precedente del lavoro ed il CNR per aver contribuito a finanziare la ricerca.

e la rilevanza della politica monetaria nel determinare ampiezza e du-rata delle fluttuazioni. Il problema che la teoria RBC deve però af-frontare è la spiegazione della correlazione positiva, osservata duran-te le varie fasi del ciclo economico, fra variabili reali ed aggregati mo-netari. L'interpretazione più comune di questo «fatto stilizzato», tra-dizionalmente al centro delle teorie del ciclo, postula un legame in-verso fra moneta e livello di attività dell'economia, con movimenti in quest'ultimo che generano endogenamente variazioni nello stesso senso degli aggregati monetari. Dal punto di vista empirico, i risultati che più comunemente vengono citati a favore delle teorie RBC deri-vano dall'applicazione di tecniche che consentono di valutare quanti-tativamente il contributo di shock di diversa natura alla variabilità ci-clica degli aggregati reali. Le analisi più numerose ed approfondite ri-guardano gli Stati Uniti, dove ai disturbi di carattere monetario vie-ne attribuita una fraziovie-ne (almeno vie-nel secondo dopoguerra) trascura-bile della variabilità della produzione. L'interpretazione prevalente è che tale risultato sia coerente con le implicazioni dei modelli RBC, che quindi possono costituire un utile schema interpretativo della realtà economica.

Il punto che si vuole mettere in discussione in questo lavoro è proprio l'interpretazione della citata evidenza: essa pare infatti com-patibile con un modello sottostante dell'economia profondamente di-verso da quelli RBC, in cui un'efficace politica economica sia in gra-do di stabilizzare l'andamento delle variabili reali. Le inferenze che si possono trarre sulla «struttura» dell'economia sulla base dell'assen-za di correlazione fra disturbi monetari e dinamica reale sembrano quindi limitate.

L'individuazione di periodi caratterizzati da una diversa attitudi-ne delle autorità di politica economica attitudi-nei confronti della stabilizza-zione dell'economia può costituire un utile punto di partenza per cer-care di discriminare empiricamente fra modelli alternativi del ciclo. Infatti, secondo l'interpretazione RBC delle fluttuazioni, gli effetti reali di shock monetari dovrebbero risultare nulli (o di modesta enti-tà) indipendentemente dal regime di politica economica (monetaria) prevalente, mentre ciò non si verificherebbe in un'economia in cui politiche di stabilizzazione possono esercitare un'azione efficace. In quest'ultimo caso, infatti, la grandezza degli effetti reali di disturbi nominali (e monetari in particolare) dovrebbe risultare inversamente correlata al grado di anticiclicità delle politiche economiche intrapre-se dalle autorità. Il preintrapre-sente lavoro intende compiere un primo passo in questa direzione, con una analisi empirica condotta su dati USA

LA POLITICA MONETARIA NEL DIBATTITO 63 in due periodi caratterizzati da diversi regimi di politica monetaria.

Al fine di collocare meglio i risultati dei test nel quadro della lette-ratura sui RBC, la prossima sezione riassume la posizione dei teorici RBC sul ruolo dei fattori monetari nella dinamica del ciclo economi-co, passando poi brevemente in rassegna le principali evidenze empi-riche comunemente considerate a favore delle teorie del ciclo. La se-guente sezione 3 presenta un modello alternativo di natura «moneta-ria», direttamente derivato da Lucas (1973), in cui però viene attri-buito un efficace potere di stabilizzazione alla politica monetaria. Nel contesto di tale modello, adottato qui come generale schema di riferimento da contrapporre ad una spiegazione essenzialmente «rea-le» del ciclo, il grado di anticiclicità adottato dalle autorità nella con-dotta della politica monetaria determina la grandezza degli effetti reali degli shocks monetari. Nella sezione 4 vengono presentati i risul-tati ottenuti per gli USA, riguardo all'importanza dei disturbi mone-tari, dal confronto fra due periodi caratterizzati da differenti regole di politica monetaria. La sezione 5 raccoglie le principali conclusioni. 2 . LA MONETA NELLA TEORIA DEI CICLI ECONOMICI REALI: TEORIA ED EVIDENZA EMPIRICA.

Il modello RBC di base si concentra su quelle proprietà delle pre-ferenze degli agenti e della tecnologia disponibile in grado di genera-re endogenamente l'osservata dinamica delle variabili agggenera-regate, astraendo completamente da fattori monetari e da ogni tipo di imper-fezione informativa. La maggior parte dei più noti contributi alla teo-ria RBC, fra cui quelli di Kydland e Prescott (1982), Long e Plosser (1983), Prescott (1986), King, Plosser e Rebelo (1988 a, b) e Plosser (1989 a), non contiene alcuna considerazione per fenomeni di natura monetaria. Lo scopo essenziale di questa classe di modelli è di mo-strare come le scelte ottimali degli agenti riguardo a consumo e pro-duzione determinino alcune delle principali caratteristiche delle flut-tuazioni economiche osservate in realtà. L'accento è posto sulla per-sistenza {serial correlatìon) e sui comovimenti {cross correlation) delle deviazioni dal trend di variabili macroeconomiche aggregate quali la produzione, il consumo e l'occupazione.

Questa caratteristica dei modelli RBC ha immediatamente attira-to le critiche di quanti sostengono l'idea che «la moneta è importan-te» e che qualsiasi modello che ignori completamente gli aspetti mo-netari dell'economia non possa fornire una soddisfacente descrizione

del funzionamento del sistema (si vedano, ad esempio, Summers (1986) e Mankiw (1989)).

Tuttavia, l'assenza della moneta dai modelli RBC più stilizzati si presta a differenti interpretazioni. Due di queste sono avanzate da Eichenbaum e Singleton (1986). La prima (l'interpretazione forte) è che nei modelli RBC «monetary istitutions and monetary policy are

as-sumed to be inherently neutral» (p. 91), le variabili reali risultando dipendenti dalle azioni di politica monetaria e dall'attività degli in-termediari finanziari. La seconda (l'interpretazione debole sostiene che «the market organizations and the nature of monetary policy in the

sample period being examined [il secondo dopoguerra negli USA] are

such that an RBC model provides an accurate characterization of the real economy» p. 91-92). Accettando sostanzialmente quest'ultima inter-pretazione, Eichenbaum e Singleton concludono che:

«proponents of RBC theories are not claiming that monetary policy cannot or has never had a significant impact on the fluctuations of real output, inve-stment, or conumption. Rather, we suhscribe to the second interpretation of RBC analyses as investigations of real allocations under the assumption that, to a good approximation, monetary policy shocks have played an insignificant role in determining the behaviour of real variables» (p. 92)

e che regole di politica monetaria non hanno contribuito in maniera rilevante alla stabilizzazione dell'economia a fronte di disturbi esoge-ni di natura non monetaria.

L'esistenza di un'interpretazione forte e di una debole per la vi-sione RBC della moneta è confermata da McCallum (1989):

«It is not true [...] that [RBC] models must be interpreted as implying the literal absence of money. Indeed, it is doubtful that RBC proponents intend to advan-ce the proposition that no less output would be produadvan-ced in the United States (with the existing capital stock) if there were no medium of exchange-that is, if ali transactions had to be carried out by crude or sophisticated batter. But [RBC] models do imply that, to a good approximation, policy-induced fluctua-tions in monetary variables have no effect on real variables [...], at least for fluc-tuations of the magnitude experienced since World War II» (p. 34).

Alcuni modelli del filone RBC, tuttavia, hanno cercato di incor-porare la moneta (e semplici forme di intermediazione finanziaria) nella struttura di base dell'economia, in modo tale da fornire una spiegazione dei comovimenti fra variabili monetarie (e nominali, in generale) e reali nel corso del ciclo economico. King e Plosser (1984),

LA POLITICA MONETARIA NEL DIBATTITO 65 ad esempio, seguendo l'approccio di Fama (1980) e Fischer (1983), vedono nella produzione di servizi che facilitano le transazioni la fun-zione essenziale del sistema finanziario (bancario, in particolare) ed estendono un modello RBC fino a comprendere le banche come pro-duttori di un particolare genere di bene intermedio. Anche Eichen-baum e Singleton (1986) sottolineano il ruolo della moneta come mezzo di scambio, ma adottano l'approccio di Lucas (1980) e Lucas e Stokey (1983), introducendo la moneta in un modello di equilibrio del ciclo mediante un vincolo del tipo cash-in-advance. Una via alter-nativa è seguita da Williamson (1987), il quale propone un modello di equilibrio del ciclo in cui l'intermediazione finanziaria riveste un ruolo vitale nel consentire il finanziamento di progetti di investimen-to che non potrebbero reperire fondi direttamente sul mercainvestimen-to dei capitali a causa di problemi di asimmetria informativa ed agli elevati costi di controllo sul comportamento degli investitori. Nel modello di Williamson disturbi di natura reale sono in grado di generare i più rilevanti comovimenti ciclici osservati fra variabili reali e monetarie e, in particolare, una correlazione positiva fra produzione e compo-nente non prevista dei movimenti nei prezzi. Il lavoro di Williamson appare particolarmente interessante anche perché si avvicina ad un filone di letteratura che cerca di approfondire il ruolo dell'interme-diazione finanziaria nella diffusione degli effetti dei vari disturbi che colpiscono l'economia e di valutare l'importanza di shock originati al-l'interno del sistema finanziario stesso (modifiche nella regolamenta-zione del settore, innovazioni e progresso tecnico nel processo di in-termediazione) come forze generatrici del ciclo economico (si veda-no, ad esempio, Bernanke e Gertler (1987) e Gertler (1988) per una rassegna). Tuttavia, mentre il lavoro teorico sta conoscendo un note-vole sviluppo in quest'area, il passaggio all'analisi empirica sembra ancora difficoltoso e l'evidenza econometrica solitamente citata a fa-vore delle teorie RBC è ispirata principalmente ai modelli teorici alla King-Plosser o Eichenbaum-Singleton.

I risultati empirici a supporto delle tesi RBC — brevemente scussi nella rimanente parte di questa sezione — possono essere di-stinti in tre principali filoni: i) evidenza di non stazionarietà nelle va-riabili reali; ii) evidenza di reverse causation fra output e moneta; iii) valutazione dell'importanza dei disturbi monetari nella spiegazione della varianza dell'output, condotta analizzando sistemi vettoriali au-toregressivi (VAR).

1. Evidenza di non stazionarietà nelle variabili reali. A partire dal noto contributo di Nelson e Plosser (1982), l'analisi delle proprietà

statistiche delle serie macroeconomiche ha assunto una notevole im-portanza nello studio delle fluttuazioni cicliche. In una prima fase de-gli studi su questo argomento sembrò che la determinazione delle proprietà statistiche delle variabili reali potesse avere immediate con-seguenze per il confronto fra teorie alternative del ciclo economico. Una visione del ciclo ispirata alla tradizione keynesiana considera in-fatti le fluttuazioni cicliche come deviazioni temporanee da un trend che descrive l'andamento di lungo periodo dell'economia, mentre le moderne teorie RBC individuano in disturbi tecnologici con effetti

permanenti la principale determinante dei movimenti nelle variabili reali. Numerosi autori hanno allora applicato test statistici per discri-minare fra le due ipotesi di stazionarietà delle variabili reali intorno ad un trend deterministico (interpretata come «keynesiana») da un la-to e di non stazionarietà delle medesime variabili (interpretata come favorevole alle teorie RBC) dall'altro (Campbell e Mankiw (1987), Clark (1987), Cochrane (1988)). I risultati di questi studi, applicati principalmente agli Stati Uniti, sembravano favorire un'interpreta-zione «reale» dei movimenti dell'output (la principale variabile reale esaminata), mostrando, sulla base di analisi univariate, l'impossibilità di rifiutare l'ipotesi che la serie dell'output contenga un trend stocasti-co, con l'implicazione che disturbi al processo generatore dei dati hanno effetti permanenti sulla serie.

Tuttavia, recenti sviluppi, sia applicati sia teorici, hanno messo in discussione l'interpretazione di questi risultati come favorevoli alle teorie RBC. Dal punto di vista statistico, oltre ai dubbi sulla capacità dei test comunemente utilizzati di discriminare effettivamente fra le due ipotesi alternative (McCallum (1986, 1989), Christiano e Ei-chenbaum (1990)), è stato dimostrato come la persistenza degli shock in analisi univariate non consenta di arrivare a conclusioni definitive sulla natura dei disturbi generatori delle fluttuazioni (Cochrane (1990, 1991), Quah (1992)).

Sul fronte della teoria, diversi autori hanno mostrato come sia possibile costruire modelli «monetari» del ciclo coerenti con un ele-vato grado di persistenza nelle variabili reali, che potrebbe venire er-roneamente attribuito all'effetto di disturbi di natura tecnologica. Ad esempio, West (1988), utilizzando una versione del noto modello di Taylor (1980) con salari nominali fissati contrattualmente e con soli disturbi di carattere monetario, ottiene il risultato di una notevo-le persistenza nel processo statistico del reddito per plausibili para-metrizzazioni del modello. Stadler (1986, 1990), analizzando un mo-dello monetario del ciclo con progresso tecnologico endogeno, arriva

LA POLITICA MONETARIA NEL DIBATTITO 67 alla conclusione che disturbi monetari possono avere un effetto per-manente sulle variabili reali, contraddicendo così il legame diretto fra persistenza e natura reale dei disturbi che sembrava emergere come l'interpretazione prevalente in letteratura.

2. Evidenza di reverse causation. Come già accennato, King e Plosser (1984), interpretando il ruolo del sistema bancario come fornitore di un particolare tipo di bene intermedio utilizzato quale fattore pro-duttivo da altri settori dell'economia, hanno esteso il modello pura-mente reale a n settori di Long e Plosser (1983) includendovi il siste-ma finanziario come un'«industria» addizionale, legata da relazioni

input-output alle altre banche produttive. Proprio tali relazioni di na-tura tecnologica generano, a fronte di shock alla funzione di produ-zione dei settori produttivi di beni finali, comovimenti fra variabili reali e finanziarie. Ciò è dovuto ad un meccanismo noto come reverse

causation: uno shock tecnologico positivo in un settore si trasmette alle industrie collegate, determinando anche un maggior fabbisogno di servizi di transazione (il «prodotto» del settore bancario) da parte di imprese e consumatori, con un conseguente aumento dei depositi bancari. Ciò che distingue questa teoria da meno recenti analisi

del-Yendogenità della moneta è l'attenzione ai collegamenti fra sistema bancario ed altri settori dell'economia, piuttosto che alla reazione delle autorità monetarie all'andamento dell'economia reale (come, ad esempio, in Tobin (1970)). Il principale dato empirico offerto da King e Plosser a sostegno di questa tesi si basa su semplici regressioni del tasso di crescita dell' output sui tassi di crescita di un insieme di aggregati monetari, su dati annuali per gli Stati Uniti nel periodo 1953-1978: il reddito appare molto più correlato con la moneta «in-terna» (misurata dai depositi in termini reali) che con la moneta «esterna» (base monetaria nominale). La più recente analisi di Plos-ser (1989 b), sempre su dati USA ma a frequenza trimestrale e su un periodo più esteso (1948-1988) ha sostanzialmente confermato una maggiore correlazione del reddito con aggregati monetari come MI e M2 piuttosto che con la base monetaria.

3. Granger-causalità e analisi VAR. I test di Granger-causalità e le tecniche di analisi di sistemi dinamici basate su modelli VAR sono da tempo ampiamente utilizzate in macroeconomia. Numerose appli-cazioni riguardano proprio il ruolo dei fattori monetari nel generare e determinare la persistenza delle fluttuazioni cicliche (Bernanke (1986), Eichenbaum e Singleton (1986), Plosser (1989 b), fra gli al-tri). Eichenbaum e Singleton (1986) presentano forse la più completa valutazione empirica del dibattito fra teorie reali e monetarie del

ciclo. Basando l'analisi VAR su un modello teorico di natura RBC, con shock alle preferenze degli agenti e alla tecnologia come impulsi all'origine delle fluttuazioni, ma introducendo la moneta attraverso un vincolo cash-in-advance sulle transazioni. L'implicazione del dello che può essere sottoposta a verifica empirica è che disturbi mo-netari, sia non previsti sia perfettamente anticipati dagli agenti, sono in grado di alterare l'andamento delle variabili reali del sistema. L'a-nalisi dei dati USA (a frequenza mensile) nel periodo del secondo do-poguerra mostra che la frazione della varianza complessiva dell'

out-put attribuibile a disturbi di natura monetaria è sostanzialmente tra-scurabile e che non vi e Granger-causalità fra la crescita degli aggre-gati monetari e quella del reddito. Questi due risultati sono interpre-tati da Eichenbaum e Singleton, come già ricordato all'inizio di que-sta sezione, come soque-stanzialmente favorevoli ad una interpretazione «reale» delle fluttuazioni cicliche nel periodo considerato.

Lo scopo del modello «monetario» del ciclo presentato nella pros-sima sezione e della connessa applicazione empirica, consiste proprio nel riconsiderare la portata di quest'ultima categoria di risultati, valu-tando la possibilità che essi siano compatibili con interpretazioni al-ternative alle teorie RBC.

3 . POLITICHE DI STABILIZZAZIONE IN UN MODELLO MONETARIO DEL CI-CLO ECONOMICO.

Il modello descritto in questa sezione rappresenta un'estensione del noto modello delle «isole» di Lucas (1973) in cui, attraverso l'in-serimento dell'inflazione attesa dagli agenti nella determinazione del-la domanda aggregata, del-la politica monetaria può avere un potente ef-fetto di stabilizzazione della produzione a fronte di disturbi aggregati di varia natura. Dal momento che una descrizione dettagliata di una versione di tale modello è già stata offerta in letteratura (si vedano Marini (1988) e Bagliano e Marini (1991)), si darà maggiore spazio alla discussione delle implicazioni del modello per quanto riguarda il dibattito tra teorie reali e monetarie del ciclo ed alla connessa inter-pretazione dell'evidenza empirica disponibile.

3.1. Struttura e soluzione del modello.

Seguendo Lucas (1973), consideriamo un'economia composta da un elevato numero di mercati separati, perfettamente concorrenziali,

LA POLITICA MONETARIA NEL DIBATTITO 69 indicizzati da z = 1,...,Z. Per ciascuno di essi si ipotizzano funzioni di offerta e di domanda «locali» della seguente forma (tutte le varia-bili sono espresse in logaritmi):

(z) = alp

t

{z) - Ej)

t

] + 5y

t

_

t

+ e, (1)

y? (z) = m

t

(z)-p/z) + P[E

z

p

t+

i-p,(z)l P>0 (2)

Secondo la (1), l'offerta in ciascun mercato ys(z) reagisce positi-vamente (a > 0) alla differenza fra il livello dei prezzi realizzato local-mente p(z) e l'aspettativa degli agenti riguardo al livello medio dei prezzi prevalente nell'insieme dell'economia. Ezpt indica l'aspettati-va razionale (mathematìcal expectatìon) di p, calcolata sulla base delle informazioni in possesso degli agenti sul singolo mercato z al tempo t. Tali informazioni comprendono la struttura del modello, i valori realizzati di tutte le variabili fino al tempo t — 1 e la realizzazione contemporanea del livello dei prezzi «locale», pt(z). 8 rappresenta un disturbo aggregato di offerta con media nulla, varianza pari a o2E e, per semplicità, non autocorrelato. Infine, ragioni tecnologi-che (non spiegate all'interno del modello) possono giustificare l'inse-rimento del termine 8yt_i ( 0 < 5 < 1), che rende persistenti le flut-tuazioni della produzione. Alla base di questa formulazione dell'of-ferta sta l'assunzione che lavoratori ed imprese possano osservare di-rettamente ed immediatamente solo il livello dei prezzi sul mercato in cui operano e, sulla base di questo «segnale», cerchino di inferire la vera natura (aggregata o «locale») dei movimenti osservati in p(z). Solo nella misura in cui a tali variazioni di prezzo è attribuita natura «locale», lavoratori ed imprese rispondono alterando offerta di lavo-ro e la plavo-roduzione.

L'equazione (2) descrive la domanda su ciascun mercato. Essa è determinata dall'offerta «locale» di moneta in termini reali (con ela-sticità unitaria) e dal valore atteso del tasso di inflazione formato sul-la base dell'insieme di informazioni disponibili per gli agenti sul sin-golo mercato z. Questa formulazione della domanda può essere deri-vata dalla soluzione di un semplice modello IS-LM in cui il tasso di interesse reale è una determinante della curva IS, quello nominale en-tra nella specificazione della LM e vi sono mercati «locali» dei titoli, oppure può essere interpretata come un'equazione di equilibrio di portafoglio alla Cagan.

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