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La terapia non chirurgica ha mostrato una possibile efficacia nel trattamento della mucosite peri- implantare (Suárez-López Del Amo F et al. 2016, Renvert S et al 2013, Lindhe J et al. 2008, Figuero E et al. 2014).

Nel sesto European Workshop on Periodontology del 2008 è stato osservato che, nel caso di mucosite peri-implantare, l’associazione con antimicrobici potrebbe apportare dei benefici

osservabili con una diminuizione del sanguinamento al sondaggio. Tuttavia alcuni studi più recenti hanno fallito nel dimostrare questa cosa (Heitz-Mayfield LJ et al. 2011, Hallström H et al. 2012, Renvert S et al. 2013).

La terapia non chirurgica ha invece mostrato una scarsa efficacia nei confronti della peri- implantite, basandosi sull’evidenza il risultato appare pertanto impredicibile (Sixth European Workshop on Periodontology 2008, Suárez-López Del Amo F et al. 2016).

6.5.1 Trattamenti meccanici

Il titanio possiede delle caratteristiche ideali dal punto di vista della biocompatibilità e della resistenza meccanica ma nonostante ciò risulta soggetto a possibili fenomeni di deterioramento. Le caratteristiche di biocompatibilità dell’impianto sono garantite dallo strato d’ossido di titanio che ne riveste la superficie, impedendo il contatto diretto tra gli ioni metallici potenzialmente nocivi ed i tessuti (Albrektsson et al. 1998).

Come abbiamo detto precedentemente, uno the principali rischi nella rimozione della placca e del tartaro dalla superficie implantare è il danneggiamento della protesi. Gli strumenti utilizzati devono avere caratteristiche tali da consentire un’adeguata rimozione batterica, senza però andare ad intaccare la superficie dell’impianto, pena un’alterazione delle proprietà di

51 biocompatibilità.

Strumentazione manuale

Uno dei possibili strumenti utilizzabili per la rimozione del biofilm batterico dalla superficie dell’impianto sono le curettes. Ad ogni modo è stata posta l’attenzione sulla scelta del loro materiale, difatti una curette d’acciaio potrebbe eliminare lo strato d’ossido di titanio

precedentemente descritto ed alterare così le proprietà di biocompatibilità della protesi. Una curette di titanio sembra invece essere una scelta idonea poiché data la sua durezza identica a quella dell’impianto, non dovrebbe arrecare danni a quest’ultimo (Renvert S et al 2008). Anche la curette in carbonio si è rivelata efficace (Heitz-Mayfield LJ et al. 2011), è da segnalare però la sua maggiore fragilità rispetto al titanio. Caratteristiche simili alle curettes in carbonio sono state riscontrate nelle curettes in teflon (Maximo MB et al. 2009).

Strumentazione ultrasonica

Anche per quanto riguarda la strumentazione ultrasonica va posta attenzione nella scelta dei materiali. Attualmente vengono proposti numerosi inserti in materiale composito, che date le minori dimensioni, garantiscono anche un migliore accesso ai settori posteriori e sottogengivali. Una delle punte più utilizzate è quella rivestita in polietereterchetone con anima d’acciaio (Thöne- Mühling M et al. 2010)

Una caratteristica degli strumenti ultrasonici è la presenza del cosiddetto effetto di cavitazione. Il liquido di raffreddamento genera questo effetto, facilitando così la disgregazione meccanica del biofilm batterico e la sua rimozione dalla tasca parodontale attraverso la formazione di correnti idrodinamiche.

52 Polishing

In questo caso la rimozione della placca dalla superficie implantare viene effettuata con un inserto gommato montato su uno strumento rotativo e l’utilizzo di una pasta finemente abrasiva

(Coulthard P et al. 2003, Lang NP 2000). Air powder

Oltre ai classici air powder al bicarbonato di sodio, in alcuni studi è stata osservata la possibile efficacia degli air powder con polvere di glicina nel trattamento della superficie implantare, mostrando buoni risultati nei confronti della perimplantite (Schwarz F et al. 2015).

6.5.2 Trattamenti laser

Negli ultimi anni sono stati proposti nuovi strumenti, tra cui quelli laser.

Il laser è un apparecchio emettente un fascio luminoso coerente, ovvero, un fascio luminoso in cui tutti i fotoni sono identici ed in fase.

Le caratteristiche della luce laser sono:

- Monocromia (derivante dall’emissione di una singola lunghezza d’onda) - Coerenza (data dall’emissione di fotoni in fase nel tempo e nello spazio) - Unidirezionalità

- Alta luminosità

In alcuni studi è stata analizzata l’efficacia degli strumenti laser nella decontaminazione delle superfici implantari, in particolar modo per il loro alto potere battericida nei confronti dei microrganismi patogeni (Sculean A et al. 2005, Romanos GE et al. 2009).

53 Effetto delle radiazioni laser

Effetto fotoablativo

Questo effetto di “taglio” è dovuto all’elevato effetto termico superficiale indotto dall’assorbimento delle radiazioni laser da parte dell’acqua; più è alto il coefficiente di assorbimento, più bassa sarà la soglia di ablazione.

Le molecole d'acqua all'interno dei tessuti duri, assorbendo l’energia laser, vengono vaporizzate; la pressione intra-tissutale aumenta e contribuisce fisicamente al processo di ablazione.

Le indicazioni sono rivolte all’apertura di lembi di accesso, alla preparazione dei tessuti perimplantari, all’opercolizzazione degli impianti o dei siti di fresatura.

Gli strumenti laser a diodi inoltre, grazie alla loro concomitante azione emostatica, risultano indicati nella dissezione dei tessuti molli.

Effetto fotochimico

La molecola colpita dalla radiazione laser viene attivata e si induce una reazione fotochimica il cui accettore di energia è l’ossigeno.

E’ perciò necessaria la presenza di ossigeno nei tessuti affinchè si ottenga un effetto decontaminante efficace senza l’effetto termico dannoso per la sopravvivenza del tessuto.

L’energia assorbita provoca la liberazione d’ossigeno singoletto avente un alto potere battericida. Dal momento che l’ossigeno singoletto risulta essere una molecola altamente instabile, è

consigliabile utilizzare radiazioni laser di tipo pulsato aventi una frequenza di migliaia di Hertz. Le indicazioni in implantologia sono rivolte alla preparazione parodontale pre-implantare, alla decontaminazione degli alveoli dopo l’estrazione, alla decontaminazione del tessuto osseo prima di un intervento ricostruttivo, alla decontaminazione prima di un intervento implantare post- estrattivo ed alla decontaminazione delle superfici implantari nei casi di peri-implantite.

54 Effetto biostimolante

Con l’utilizzo di radiazioni laser a bassa energia è possibile indurre proliferazione cellulare

macrofagica, linfocitaria e fibroblastica, liberazione dei fattori di crescita sanguigni, sintesi di ATP, trasformazione dei fibroblasti in miofibroblasti e sintesi di collagene. Da tutto ciò ne deriva un elevato effetto analgesico ed antinfiammatorio.

Effetto termico

L’effetto termico è la risultante della conversione dell’energia fotonica in energia termica all’interno dei tessuti.

L’aumento di temperatura dipende dal volume in cui avviene la reazione; minore è il volume e maggiore sarà l’effetto termico.

Con le radiazioni penetranti, l’effetto fotodinamico decontaminante deve rispettare la via

cellulare; il raggiungimento di temperature superiori al limite biologico di 47°C rimpiazza l’effetto fotodinamico e biostimolante con un effetto termico lesivo per la sopravvivenza dei tessuti irradiati.

Tipologie di laser in Implantologia

Nel campo dell’odontoiatria gli strumenti laser utilizzati sono: - Laser a diodo (lunghezza d’onda di 810nm)

- Laser ad anidride carbonica CO2 (lunghezza d’onda di 10.600nm)

- Laser Nd: YAG (Neodynium doped : Yttrium, Aluminum, Garnet) (lunghezza d’onda di 1064nm) - Laser Nd: YAP (Neodynium doped: Yttrium, Aluminum, Perovskite) (lunghezza d’onda di 1340nm) - Laser Er : YAG (Erbium doped : Yttrium, Aluminum, Garnet) (lunghezza d’onda di 2940nm)

55 E’ importante sottolineare il fatto che, in base alla lunghezza d’onda del laser varia l’assorbimento da parte del titanio e di conseguenza il surriscaldamento della superficie.

Laser a diodo

Questo tipo di laser presenta numerosi vantaggi: - Elevato grado di efficienza (circa 40%)

- Semplicità di trasformazione dell’energia elettrica in energia luminosa - Economico e compatto

- Bassa manutenzione

In uno studio del 2000 di Bach G e colleghi è stata integrata la decontaminazione con laser a diodo in un trattamento convenzionale di perimplantite, riportando risultati favorevoli: in 8 pazienti su 10 si è riusciti ad eradicare la presenza di Porphyromonas gingivalis ed a ridurre la presenza di Actinobacillus actinomycetemcomitans e Prevotella intermedia. E’ stata osservata inoltre una diminuzione delle recidive ed un miglioramento prognostico a 5 anni.

Laser ad anidride carbonica CO2

In uno studio in vitro, l’utilizzo del laser ad anidride carbonica combinato con acido citrico e perossido di idrogeno è risultato essere un metodo di decontaminazione implantare efficace, valido anche nel ristabilire la struttura anodizzata della superficie protesica (Mouhyi J et al. 2000). In un altro studio è stata comparata l’efficacia della decontaminazione con laser a CO2 rispetto a quella con clorexidina; i risultati a breve termine sembrano favorevoli, quelli a lungo termine restano ancora da verificare (Deppe H. et al 2007).

56 Laser Nd: YAG

Questo tipo di laser viene comunemente utilizzato nel campo della terapia parodontale per l’incisione e l’escissione dei tessuti molli, il curettage e la disinfezione delle tasche parodontali (Romanos GE 1994, White JM et al. 1998, White JM et al. 1991).

Nei tessuti molli è risultato particolarmente efficace nell’indurre coagulazione ed emostasi. A differenza dei laser ad anidride carbonica ed Er: YAG, questo tipo di laser è scarsamente assorbito dell’acqua. Nel caso di trattamenti parodontali, a causa della sua alta penetrabilità, vi sono alcuni interrogativi riguardo il possibile effetto termico sui tessuti sottostanti l’area irradiata come la polpa dentale ed il tessuto osseo (Arcoria CJ et al. 1992).

Per quanto riguarda l’utilizzo su impianti, a causa del suo alto potere irradiante, è stata

frequentemente riscontrata una fusione delle superfici implantari sabbiate e mordenzate e delle superfici di titanio trattate al plasma (Kreisler M et al. 2002, Romanos GE 2000).

Laser Nd: YAP

L’utilizzo di questo tipo di laser ha evidenziato una certa preoccupazione riguardo il potenziale incremento delle temperature a livello dei tessuti irradiati (Lee BS et al. 2005). Per quanto riguarda il suo utilizzo sulle superfici implantari, ad oggi i dati risultano ancora insufficienti (Schwarz F et al. 2009).

Laser Er: YAG

In numerosi studi è stato osservato l’effetto di questo laser sulle superfici implantari. Il laser Er: YAG sembra esser in grado di rimuovere efficacemente i depositi batterici sia dalle superfici implantari lisce che da quelle rugose, senza danneggiarne la struttura (Kreisler M et al. 2002, Matsuyama T. et al. 2003, Schwarz F et al. 2003, Schwarz F et al. 2005, Stübinger S et al. 2008). Kreisler et al hanno osservato inoltre che la temperatura a livello dell’interfaccia impianto-osso, dopo 120 secondi di irradiazione costante (60 and 120 mJ a 10 Hz) non eccede i 47°C, rispettando

57 così i limiti massimi di sopravvivenza del tessuto osseo (Kreisler M. et al. 2002).

Laser Er,Cr: YSGG

Per questo tipo di laser esistono ad oggi solo due studi che ne analizzino gli effetti sulla superficie implantare.

Dal primo studio si evince che il laser non ha indotto alterazioni strutturali sulle superfici di titanio trattate al plasma, ma ha però determinato una quasi totale ablazione del rivestimento

d’apposizione di idrossiapatite (Miller RJ et al. 2004). Risultati simili sono stati evidenziati su superfici sabbiate e mordenzate ed il Laser Er,Cr: YSGG si è dimostrato inefficace nel ristabilire la biocompatibilità delle superfici implantari contaminate (Schwarz F et al. 2006).

6.6 Terapia chimica 6.6.1 Antibiotici

Nonostante il trattamento meccanico sia in grado di eliminare buona parte dei microrganismi presenti sulle superfici implantari e tessutali, è stato osservato che l’associazione con antibiotici per via sistemica o locale potrebbe offrire un maggior tasso successo nella rimozione degli agenti patogeni. La scelta dell’antibiotico da utilizzare andrà fatta valutando la tipologia di batterio responsabile dell’infezione ed è per questo che un’analisi batteriologica potrà aiutarci nella scelta dell’antibiotico avente lo spettro d’azione più adeguato. Sappiamo comunque che gli organismi patogeni maggiormente implicati nell’insorgenza della malattia perimplantare sono Gram-negativi e dunque la scelta del farmaco ricadrà tra gli antibiotici usati comunemente anche nel trattamento della parodontite.

Somministrazione sistemica

58 efficace nei confronti della maggior parte dei Gram positivi e Gram negativi che colonizzano la cavità orale. Sono molto indicati ad esempio in caso di elevata presenza di Aggregatibacter actinomycetemcomitans ma purtroppo non risultano altrettanto efficaci nei confronti di Porphyromonas gingivalis, Prevotella intermedia e Fusobacterium nucleatum, a causa delle resistenze sviluppate da quest’ultimi.

Metronidazolo: questo farmaco ha uno spetto d’azione molto stretto e può essere utilizzato singolarmente oppure in associazione con amoxicillina o spiramicina.

Essendo particolarmente efficace nei confronti di Porphyromonas gingivalis, Tannerella forsythia e Treponema denticola risulta essere l’antibiotico di scelta nell’eliminazione dei batteri della tasca perimplantare (Lang NP et al. 2000).

Alcune resistenze sono stare riscontrate da parte di Eikenella corrodens e Aggregatibacter actinomycetemcomitans.

Ornidazolo: anche questo antibiotico (come il metronidazolo) fa parte degli imidazolo derivati e ne possiede lo stesso spetto d’azione; cambia invece l’emivita, che risulta più elevata (8 ore per il metronidazolo, 12 per l’ornidazolo) (Mombelli A et al. 1992).

Amoxicillina+ acido clavulanico: quest’associazione di principi attivi è stata sviluppata per far fronte ai casi di resistenza oppure intolleranza alle tetracicline. L’acido clavulanico inibisce la neutralizzazione dell’amoxicillina da parte delle Beta-lattamasi batteriche, come ad esempio nel caso di Prevotella intermedia e Fusobacterium nucleatum. Alcune resistenze sono state riscontrate da parte di Aggregatibacter actinomycetemcomitans quindi l’amoxicillina (somministrata

singolarmente od in associaizone all’acido clavulanico) risulta essere una scelta scarsamente efficace nel caso di infezione veicolata da questo batterio (Slots J et al. 1990).

Amoxicillina + metronidazolo: nel caso di peri-implantite, i batteri responsabili della malattia hanno spesso mostrato in vitro resistenza a concentrazioni terapeutiche dei singoli principi attivi (

59 amoxicillina o metronidazolo) ma raramente ad entrambe. La somministrazione combinata di questi due principi attivi sembrerebbe perciò essere particolarmente efficace (Oh TJ 2017, Borges I et al. 2017).

Somministrazione locale:

In alternativa alla somministrazione sistemica possiamo optare per una somministrazione locale; in questo dovremo però prestare particolare attenzione al fatto che l’antibiotico dovrà permanere nel sito trattato per almeno 7 giorni e ad una concentrazione molto elevata, affinchè possa

penetrare nel biofilm batterico. In vari studi è stata riscontrata l’efficacia della somministrazione a livello della tasca peri-implantare di microcapsule di Minociclina, osservando una riduzione della profondità di sondaggio e di sanguinamento (Salvi GE et al. 2007, Renvert S et al. 2006, Renvert S et al. 2004).

In altri studi è stata osservata invece l’efficacia della somministrazione di tetracicline tramite fibre monolitiche di etilene vinilacetato (Mombelli A et al. 2001, Lang NP et al. 2000).

6.6.2 Antisettici

Un altro possibile trattamento è quello antisettico e viene effettuato tramite l’utilizzo di

clorexidina a varie concentrazioni (0.1%, 0.12%, 0.2%), sotto forma di sciacqui orali oppure tramite l’applicazione diretta di gel nel sito interessato (Lang NP et al. 2000). Solitamente risultati

soddisfacenti si ottengono dopo un periodo di trattamento di circa 2-4 settimane.

La clorexidina ha un azione antibatterica (nei confronti di Gram negativi e Gram positivi) ed antifungina. Inolte, al variare della sua concentrazione, varia la sua azione anticollagenolitica e di conseguenza la sua capacità di inibire la distruzione delle fibre collagene e l’idrolisi della

60 et al. 1991).

In vari studi è stata osservata l’efficacia della clorexidina nel ridurre l’indice di placca e la conta batterica (Laugisch O et al. 2016, Ghannad F et al. 2015, Gahlert M et al. 1990).

6.6.3 Antinfiammatori

In uno studio condotto su cani Beagle, la somministrazione di flurbiprofene per via sistemica ha evidenziato la sua capacità di inibire la progressione della malattia perimplantare (Weber HP et al. 1994). In uno studio condotto su persone è stato osservato invece che il flurbiprofene potrebbe essere associato ad un aumento e della densità ossea attorno all’impianto (Reddy MS et al. 1990). In un altro studio ancora è stato osservato che la somministrazione di flurbiprofene potrebbe garantire una protezione nei confronti della perdita di osso perimplantare (Jeffcoat MK et al. 1995).

L’utilizzo e l’efficacia di farmaci antinfiammatori nel trattamento della perimplantite resta però ad oggi ancora scarsamente studiato in letteratura (Renvert S et al. 2008).

6.6.4 Detossificanti

A livello dell’infezione la superficie dell’impianto presenta un’elevata carica di endotossine batteriche. La detossificazione del sito rappresenta quindi un prerequisito importante per il trattamento chirurgico della perimplantite.

Lo sostanze utilizzate sono varie, tra cui la cloramina-T oppure l’acido citrico (Hakki SS et al. 2017, Giannelli M et al. 2016, Verardi G. et al. 2016.

In uno studio l’acido citrico si è rivelato più efficace della cloramina-T nella detossificazione delle superfici rivestite con idrossiapatite (Zablotsky MH et al. 1992).

61 In uno studio è stata osservata invece la capacità del perossido d’idrogeno-diossido di titanio nel diminuire la conta batterica a livello delle superfici implantari (Wiedmer D. et al. 2017).

6.6.5 Terapia locale alternativa

Vi sono inoltre alcune sostanze alternative che possono essere impiegate a livello locale.

Particolari colluttori contenenti antiossidanti hanno mostrato una potenziale capacità nell’inibire selettivamente il microbiota orale, a discapito dei batteri patogeni (Fernandez y Mostajo M et al. 2014).

In alcuni studi recenti è stata osservata anche la possibile efficacia da parte di probiotici orali come il Lactobacillus reuteri Prodentis (Flichy-Fernández AJ et al. 2015), il Lactobacillus plantarum ed il Lactobacillus brevis (Mongardini C et al. 2017).

In alcuni studi è stato invece osservato che il fluoro contenuto in alcuni dentifrici può indurre danno a livello delle superficie del titanio; pertanto l’utilizzo di paste a base di fluoro potrebbe rivelarsi sconsigliato nel caso di pazienti riabilitati con impianti in titanio (Milosev I et al. 2013, Nakagawa M. et al. 1999).

Anche l’ozonoterapia sembra poter fornire buoni risultati per quanto riguarda la

decontaminazione ed il controllo della placca a livello peri-implantare; in studi abbastanza recenti sono stati riscontrati infatti miglioramenti nell’indice di placca, indice gengivale e indice di

sanguinamento e pertanto si prospetta come un’alternativa meritevole di ulteriori approfondimenti (Hauser-Gerspach I et al. 2012, McKenna DF et al. 2013).

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