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TERAPIA FARMACOLOGICA STANDARD PER IL TRATTAMENTO

Il trattamento dell’artrite reumatoide è mirato a: controllare o per lo meno attenuare la sintomatologia infiammatoria, bloccare o rallentare

l’evoluzione della malattia, preservare e/o recuperare la funzionalità articolare e prevenire e/o correggere le deformazioni articolari (Jones e coll., 2003). Il raggiungimento di questi obiettivi necessita di un programma terapeutico, non solo farmacologico, che viene adottato da ciascun paziente a seconda della durata e del grado di attività della malattia. Poiché l’artrite reumatoide si caratterizza per il suo decorso cronico, è richiesta una terapia prolungata, se non addirittura continuativa. Infatti solo pochi pazienti giungono a completa guarigione mentre per la maggior parte dei pazienti si parla di “controllo della malattia” per tempi più o meno lunghi. La terapia medica si basa generalmente su quattro diversi approcci:

• Farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS);

• Farmaci antireumatici che modificano la malattia (DMARD); • Glucocorticoidi;

• Farmaci biologici (in quanto sintetizzati attraverso tecniche biotecnologiche).

L’efficacia dei farmaci nei diversi studi è stata valutata attraverso i criteri di valutazione dell’American College of Rheumatology (ACR).

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Farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS)

I FANS vengono adoperati sin dalle fasi di esordio della malattia poiché il loro effetto principale è quello di ridurre l'infiammazione acuta così da diminuire il dolore e migliorare la funzione articolare. I FANS hanno proprietà antinfiammatorie e analgesiche, mediati principalmente dal blocco più o meno selettivo delle ciclo-ossigenasi I e II (COXI, COX-II) e quindi della produzione di prostaglandine, prostacicline e trombossani. È importante notare, tuttavia, che questi farmaci da soli non cambiano il decorso della malattia e non prevengono il deterioramento

dell'articolazione. I FANS più comunemente impiegati nell’AR comprendono: diclofenac,

ibuprofene, meloxicam, nimesulide, ketoprofene, naprossene, piroxicam, acido acetilsalicilico e indometacina. Non vi sono indicazioni precise su quale dei numerosi FANS disponibili usare, quali dosaggi e per quanto tempo, in quanto la risposta individuale dei pazienti è molto variabile sia nei confronti di un determinato farmaco, che a volte, addirittura, rispetto alla modalità di somministrazione dello stesso farmaco. L’impiego di questi farmaci può essere associato all’insorgenza di reazioni

avverse anche a causa delle possibili interazioni farmacologiche. La principale tossicità dei FANS si manifesta soprattutto a livello

dell’apparato gastrointestinale e comprende: disturbi digestivi, dispepsia, dolori addominali, nausea, vomito, diarrea, fino alla possibile comparsa di

ulcere gastro-duodenali con possibile perforazione e sanguinamento. La somministrazione di questi farmaci dopo i pasti e il trattamento con

farmaci inibitori della pompa protonica o con misoprostolo riduce il rischio di sanguinamenti gastrointestinali. Poiché le prostaglandine svolgono un ruolo chiave nella regolazione del

35 flusso ematico a livello renale e nel mantenimento della filtrazione glomerulare, i FANS possono anche compromettere la funzionalità renale portando alla ritenzione di sale, edema ed aumento della pressione sanguigna. Inoltre la soppressione della sintesi a livello endoteliale di prostaciclina, dove svolge una funzione cardioprotettiva antitrombotica, può favorire l’insorgenza di eventi cardiovascolari (trombosi) (Solomon e coll., 2010). Per limitare la tossicità, soprattutto quella gastrointestinale (Fig.5), si preferisce utilizzare i COX-II inibitori o COXIB poiché hanno un profilo di sicurezza migliore rispetto ai FANS tradizionali. I COXIB utilizzati frequentemente nei pazienti affetti da AR sono celecoxib o etoricoxib, i quali hanno dimostrato di avere, oltre ad un’elevata efficacia terapeutica, anche minori effetti collaterali, soprattutto a livello gastrointestinale. Tuttavia diversi studi hanno messo in evidenza un aumento del rischio di complicanze cardiovascolari, soprattutto in pazienti con alterazioni della coagulazione (White e coll., 2007). Gli effetti collaterali dei FANS a livello epatico sono rari (2-3% dei pazienti) e il più delle volte sono provocati da un danno epatotossico diretto e da reazioni idiosincrasiche; l’aumento delle transaminasi è frequente e generalmente

reversibile con la sospensione del farmaco. In sostituzione o combinazione con i FANS, per ridurre il dolore articolare

e quindi come rimedi sintomatici, sono utilizzati gli analgesici quali

paracetamolo, codeina, tramadolo, che non agiscono né

sull’infiammazione, né sulla progressione della malattia, ma sicuramente a livello gastrico sono meglio tollerati rispetto ai FANS (www.alomar.it).

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Figura 5:

Tabella riassuntiva degli effetti collaterali gastrointestinali dei FANS

. (Google: www.informazionisuifarmaci.it ).

2.2 Farmaci antireumatici che modificano la malattia (DMARD)

I farmaci antireumatici DMARDs (Disease modifying antirheumatic drugs) o cosiddetti “farmaci di fondo”si sono dimostrati capaci di modificare il decorso clinico dell’AR e di rallentare nel tempo l’evoluzione del danno anatomico delle articolazioni. Si differenziano dai farmaci sintomatici esercitando un’evidente soppressione dell’attività della malattia in una buona percentuale di casi (case responder), permettendo una remissione completa (anche se in una bassa percentuale di casi) e influenzando

positivamente i parametri bioumorali della malattia. I DMARDs comunemente usati includono:

• Metotrexato (MTX) o Ametopterina, immunosoppressore, antagonista della sintesi dell’acido folico;

37 • Leflunomide, immunosoppressore;

• Idrossiclorochina solfato e Clorochina, antimalarici che inducono la soppressione di IL-1 e TNF-α e provocano l’apoptosi delle cellule infiammatorie;

• Sulfasalazina o salazosulfapiridina, antibatterico, antiinfiammatorio e immunosoppressore;

• Ciclosporina A, immunosoppressore;

• Azatioprina, antiinfiammatorio e immunosoppressore; • Sali d’oro.

Nonostante le differenze chimiche e farmacologiche, questi farmaci, i cui meccanismi molecolari d’azione non sono stati completamente chiariti, condividono alcune caratteristiche fondamentali; occorrono in genere, alcune settimane o mesi perché si possano manifestare i benefici derivanti dall’impiego di questi farmaci e, inoltre, gli effetti si protraggono anche

dopo la sospensione della terapia. Studi osservazionali (www.notiziariochimicofarmaceutico.it) hanno trovato

che i DMARD più spesso prescritti come trattamento iniziale dell’AR sono MTX, sulfasalazina e antimalarici. Essi riducono il dolore e la tumefazione delle articolazioni, migliorandone la funzionalità, e abbassano i livelli dei markers di fase acuta. Il trattamento con DMARD sintetici dovrebbe essere iniziato al momento della diagnosi e dovrebbe avere come obiettivo la remissione o almeno la bassa attività di malattia in tutti i pazienti il più presto possibile.

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2.2.1 Metotrexato (MTX)

Figura 6: Metotrexato

È il farmaco che ha raccolto i maggiori consensi di provata efficacia terapeutica nell’AR ed è tra i DMARDs che viene utilizzato maggiormente, seguito da leflunomide e sulfasalazina (Sandoval e coll., 1995). Il principale meccanismo d’azione del MTX ad alte dosi è l’inibizione della sintesi purinica mediante l’inibizione di enzimi folato-dipendenti, tra cui la diidrofolatoreduttasi; alle dosi impiegate per il trattamento dell’AR agisce

inibendo l’IL-1. I DMARDs sono spesso usati in regime di combinazione, in quanto

presentano un’azione sinergica: un esempio di terapia combinata prevede la somministrazione di metotrexato, sulfasalazina e idrossiclorochina; il MTX viene generalmente associato anche ai farmaci biologici anti-TNF perché ne aumenta l’efficacia. Metotrexato ha superato altri DMARDs in una meta-analisi di studi che hanno confrontato l'efficacia e la tossicità, e inoltre più pazienti rimanevano in terapia con metotrexato per un tempo maggiore di cinque anni rispetto ad altri DMARDs (Sandoval e coll.,

39 1995). La posologia efficace varia tra i 10/20 mg alla settimana; pertanto a seconda del peso del paziente si consiglia di iniziare la terapia con 5/10 mg/settimana salvo incrementare progressivamente il dosaggio se dopo 2-3 mesi non vi è stato miglioramento. Il MTX può essere somministrato per os o per via intramuscolo o sottocute in associazione a folati, tuttavia tra gli schemi terapeutici proposti si preferisce una singola iniezione intramuscolare settimanale in maniera tale da evitare il passaggio epatico del farmaco e ridurre, quindi, i rischi di tossicità a quel livello. Essendo teratogeno il MTX va sospeso almeno 3-6 mesi prima del concepimento

(www.torrinomedica.it). Le reazioni avverse più frequenti osservate in seguito a trattamento con

metotrexato sono in gran parte correlate all’inibizione del metabolismo dei folati (es. nausea, stomatite e soppressione midollare). Poiché gli effetti benefici del metotrexato nell’AR sono in gran parte non correlati con l’inibizione del metabolismo dei folati, la somministrazione di una singola dose settimanale di acido folico, da 5 a 10 mg, può portare a una significativa riduzione della tossicità senza perdita di efficacia (Sandoval e coll., 1995). L'utilizzo di metotrexato è limitato dalla possibile insorgenza di due reazioni avverse potenzialmente gravi, che possono non risolversi con la cessazione del trattamento: cirrosi epatica e polmonite interstiziale (Felson e coll., 1992; Pincus e coll., 1992). La cirrosi epatica è una complicazione piuttosto rara (incidenza 1/1000 pazienti trattati nel corso di 5 anni) che si manifesta soprattutto nei pazienti con fattori di rischio (abuso di alcool e malattie epatiche). L’aumento degli enzimi epatici non è direttamente correlato con la tossicità, ma la terapia con metotrexato deve essere interrotta o la dose ridotta se le transaminasi sono più elevate di 2

40 Nei pazienti che presentano una persistente elevazione dell’aspartato aminotrasferasi (AST) può essere richiesta una biopsia epatica per accertare

che la continuazione del trattamento non è nociva. La polmonite interstiziale è una complicazione rara (incidenza < 2%) ma

potenzialmente fatale del trattamento con metotrexato. I fattori di rischio possono includere preesistente malattia polmonare o una radiografia del torace anormale. Sintomi della polmonite interstiziale includono tosse secca, dispnea da sforzo, malessere, febbre e crepitii all’auscultazione. La polmonite indotta da metotrexato può insorgere in qualsiasi momento della

terapia e non è correlata alla dose (Sandoval e coll., 1995). Altri effetti collaterali che possono verificarsi in seguito a trattamento con

MTX, includono: la depressione midollare, l’alopecia e disturbi delle mucose, in particolare orale e gastrica. Proprio per ridurre gli eventi avversi gastrointestinali e mucocutanei, dopo 24 ore la somministrazione di MTX,

si dovrebbe associare l’acido folico. Inoltre, l’uso contemporaneo di alcuni FANS con il MTX può causare una

maggiore tossicità da MTX (discrasie ematiche, mucosite, neuropatia). In presenza di controindicazioni o intolleranza al MTX, come prima

strategia terapeutica dovrebbero essere considerati la leflunomide (20 mg una volta al giorno), la sulfasalazina (1.000 mg due volte al giorno, posologia da raggiungere iniziando da 500 mg al giorno e incrementandola posologia di 500 mg ogni settimana) o i sali d’oro iniettabili, ormai poco

utilizzati per scarsa tollerabilità. Nei pazienti in trattamento con MTX si consiglia il controllo periodico,

ogni 1-3 mesi, della crasi ematica e delle transaminasi (www.torrinomedica.it).

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2.2.2 Leflunomide.

Figura 7: Lefluonomide

È un profarmaco, approvato dall’FDA nel settembre del 1998, il cui metabolita attivo inibisce la proliferazione dei linfociti T attivati, impedendo la sintesi pirimidinica. È un DMARD promettente per il trattamento dell’AR nell’adulto in tutti gli stadi della malattia; presenta risposta precoce e prolungata, migliora la capacità funzionale e la qualità della vita dei pazienti e la sua efficacia clinica e radiologica è paragonabile a quella del MTX (Amitabh e Blair, 1999; Fox, 1998; Scharlemmer e coll.,

1999). Negli studi clinici di fase III allargati, leflunomide ha mostrato efficacia

clinica, rallentando la progressione radiografica delle erosioni alle articolazioni, e tollerabilità equivalenti a metotrexato e sulfasalazina. Leflunomide rappresenta una valida alternativa per i pazienti che hanno fallito o sono intolleranti al metotrexato. Gli studi hanno dimostrato che può anche essere somministrata in regime di combinazione con metotrexato in pazienti che non abbiano preesistenti fattori di rischio epatici,

42 monitorando però, attentamente, il paziente durante la terapia ed effettuando i test di funzionalità epatica. Il trattamento con leflunomide è stato, infatti, associato ad aumento delle transaminasi epatiche che si normalizzano con la sospensione del farmaco. A tal proposito, si richiede, almeno all’inizio, un attento monitoraggio degli enzimi epatici. Altre forme di tossicità includono disturbi gastrointestinali (diarrea spesso transitoria, nausea), diradamento dei capelli e alopecia (reversibile), rash cutaneo e

ipertensione arteriosa con meccanismo non chiarito (Li e coll., 2004). Il farmaco si è dimostrato altamente teratogeno nei ratti e nei conigli e può

causare danni fetali nella specie umana, dunque la leflunomide non deve essere somministrata a donne in gravidanza o a donne in età feconda che non facciano uso di un contraccettivo affidabile durante il trattamento (www.alomar.it).

2.2.3 Sulfasalazina e idrossiclorochina

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Figura 9: Idrossiclorochina

Sulfasalazina e idrossiclorochina hanno effetti simili nel ridurre l’attività di malattia, anche se sulfasalazina è risultata significativamente superiore a idrossiclorochina nel prevenire il danno articolare misurato alla radiografia

(van der Heijde e coll., 1989). La sulfasalazina o salazopirina è composta da un sulfamidico, la

sulfopiridina, e dal salicilato, originariamente proposta per la cura dell’AR sulla convinzione, poi dimostratasi errata, che questa malattia fosse dovuta all’azione dello Streptococcus agalactiae, il farmaco è stato abbandonato per questa indicazione e successivamente se ne è riproposto l’impiego in

alternativa ai farmaci di fondo sopra citati. Le reazioni avverse più frequenti osservate in seguito a trattamento con

sulfasalazina comprendono effetti collaterali minori, tra cui nausea spesso transitoria durante i primi giorni di trattamento. Tali effetti possono essere minimizzati con l'introduzione del farmaco a basse dosi ed aumentando la dose di mantenimento abituale di 2-3 g/die suddivise in due somministrazioni giornaliere. Rash cutanei, generalmente di tipo maculopapulare e pruriginoso, si verificano nel 4-5% dei pazienti. È stata riportata oligospermia reversibile che può portare a riduzione della fertilità.

44 Effetti collaterali più gravi, che includono neutropenia potenzialmente fatale o anemia aplastica, sono rari. L'incidenza di neutropenia indotta da sulfasalazina è stata stimata essere pari al 2% nei pazienti con AR, ma la maggior parte dei casi sono reversibili con la sospensione del farmaco (Box e Pullar, 1997). Effetti collaterali minori in seguito a trattamento con idrossiclorochina includono nausea ed eruzioni cutanee. La soppressione del midollo osseo è rara, ma possono insorgere agranulocitosi o anemia aplastica potenzialmente fatali. Molta attenzione è stata data alla tossicità oculare da idrossiclorochina (1/40.000 pazienti trattati alle dosi raccomandate) che include depositi corneali, debolezza dei muscoli extraoculari, perdita dell’accomodazione (e di sensibilità alla luce), e retinopatia che può progredire fino alla perdita irreversibile della vista. Tuttavia, uno studio ha dimostrato che pazienti affetti da AR che assumevano una dose giornaliera inferiore a 6,5 mg /kg di idrossiclorochina non erano ad aumentato rischio di complicanze oculari. Al fine di ridurre il rischio di complicanze oculari, è raccomandato un esame oftalmologico prima di iniziare il trattamento e un follow-up ogni 12 mesi durante il periodo di trattamento (Levy e coll., 1997).

2.2.4 Azatioprina

Figura 10: Azatioprina

45 Azatioprina ha dimostrato di essere utile nel trattamento dell'artrite reumatoide, ma non influenza la progressione dei cambiamenti radiografici. In alcuni studi, azatioprina ha mostrato tossicità simile a sulfasalazina e metotrexato, ma è risultata meno efficace. Inoltre, la sua efficacia è risultata simile a quella degli antimalarici (idrossiclorochina), ma presentava una maggiore tossicità. Effetti collaterali transitori possono includere nausea, stomatite e soppressione midollare. L’epatite e la pancreatite sono eventi rari. L’aumento del rischio di neoplasie secondarie a causa di azatioprina è controversa. Mentre nei trapiantati è stato riportato un aumento del rischio di linfoma, ci sono prove contrastanti nei pazienti con AR. Prima di iniziare la terapia con azatioprina è consigliato di effettuare uno screening per i livelli del tiopurina metiltransferasi (TPMT). Alcuni individui hanno un deficit genetico di questo enzima che metabolizza azatioprina con un aumento del rischio di tossicità (Pincus e coll., 1992).

2.2.5 Ciclosporina

46 È un potente immunosoppressore risultato efficace nel trattamento dell’AR sia di recente insorgenza che nelle forme più consolidate. Rispetto alle comuni terapie di fondo la ciclosporina ha il vantaggio di rallentare la progressione del danno anatomico della malattia valutato radiologicamente. I dosaggi consigliati sono di 3-5 mg/kg/die, visto che a più alte dosi può indurre ad aumento della creatinemia per riduzione del filtrato glomerulare e nefropatia interstiziale. In studi controllati con placebo, ciclosporina ha mostrato di migliorare le manifestazioni cliniche dell’AR, e di ridurre la progressione delle erosioni evidenti alla radiografia (Forre, 1994). L'effetto avverso più importante è la nefrotossicità, che deve essere controllata mediante misurazioni della pressione arteriosa e della creatinina sierica. L’insufficienza renale può essere acuta, mediata dalla vasocostrizione renale, o cronica, con conseguenti danni permanenti ai reni. Altri effetti indesiderati comprendono irsutismo, iperplasia gengivale, tremore, parestesie e cefalea. Ciclosporina può aumentare il rischio di infezioni e linfomi (Jain e Lipsky, 1997). L’impiego della ciclosporina nel trattamento dell’AR viene oggi riservato solo a quei casi che si sono dimostrati refrattari alle più usuali e meno costose terapie (www.alomar.it).

2.2.6 Sali d’oro

Sono delle molecole ad azione lenta, scarsamente attive in monoterapia, ma talvolta impiegati in schemi associativi (insieme a FANS o corticoidi; non possono invece essere somministrati con i farmaci di fondo perché esistono differenze nei meccanismi d’azione e gli effetti collaterali possono

47 sommarsi o addirittura potenziarsi). Non curano la malattia ma possono contribuire a tenerla sotto controllo: alleviano il dolore, riducono il gonfiore e la rigidità delle ossa, diminuiscono il rischio di deformità articolare e di disabilità. Pertanto l’efficacia della terapia con i sali d’oro, o crisoterapia, è sostanzialmente migliore se viene utilizzata nella prima fase della malattia. Il loro meccanismo d’azione non è del tutto chiaro, ma sono state avanzate delle ipotesi, secondo le quali l’oro abbia influenza sui linfociti T, su reazioni immuno-globuliniche e sull’attivazione del

complemento (www.torrinomedica.it). I sali d’oro per iniezione intramuscolare sono i farmaci di fondo usati da

più tempo nel trattamento dell’AR, anche se si sta ricorrendo sempre meno al loro uso, in quanto, a parità di efficacia con altri farmaci antireumatici

(sulfasalazina e metotrexato), mostrano una maggiore tossicità. Per l’impiego parenterale sono disponibili il sodio-aurotiomalato, l’auro-

tio-glucosio e l’auro-tio-polipeptide, il cui contenuto in oro è rispettivamente del 46%, 50% e 13% circa. Se ben tollerati, lo schema terapeutico prevede iniezioni settimanali fino alla ventesima settimana di 50 mg di Tauredon o di Aureotan e 200 mg di Aurodetoxin. Probabili sono effetti collaterali più o meno accentuati; da sintomi articolari a dermatiti pruriginose, che possono manifestarsi anche solo dopo poche iniezioni (dipende dalla dose e da fattori individuali), e a causa delle quali bisogna

sospendere la terapia fino alla regressione della manifestazione cutanea. In Italia è reperibile una preparazione di tiosolfato di sodio e oro

(Fosfocrisolo R), che contiene circa il 20% di oro metallo, la dose terapeutica è di 50-100 mg alla settimana, il cui effetto terapeutico si esplica lentamente e richiede in genere 4-6 mesi di cura. Se dopo questo periodo il risultato non è stato soddisfacente, il trattamento va sospeso poiché il paziente ha dimostrato di essere un non-responder. Al contrario,

48 nei pazienti responder, la terapia va continuata passando gradualmente a dosaggi ridotti (una iniezione ogni 4 settimane). Infine in alcuni pazienti è necessario sospendere la terapia per la comparsa di effetti collaterali (www.alomar.it). Gli effetti collaterali possono includere: rash, stomatite, alopecia, trombocitopenia, proteinuria e sindrome nefrosica. La polmonite interstiziale è una complicanza rara ma potenzialmente fatale del trattamento con sali d'oro (Jain e Lipsky, 1997). Se somministrati per os, gli eventi avversi sono più rari ma sono meno efficaci rispetto a quando vengono somministrati per via parenterale. Inoltre nel corso della crisoterapia è sconsigliabile un’intensa esposizione alla luce solare perché è

facile che si manifesti una accentuata fotosensibilità. La reversibilità di tali effetti collaterali è correlata al loro precoce

riconoscimento con immediata sospensione del farmaco. Tuttavia bisogna saper riconoscere altri eventuali effetti collaterali

mediante regolari controlli di laboratorio, poiché possono comparire diminuzioni di trombociti e di leucociti. Una riduzione dei leucociti e dei trobociti al di sotto, rispettivamente, dei 4000 e dei 100.000 dovrebbe indurre alla sospensione temporanea della cura. È possibile, altresì, un aumento moderato degli enzimi epatici. Sono quindi richiesti controlli dell’esame emocromocitometrico e morfologico completo, incluso il conteggio dei trombociti, le transaminasi, la fosfatasi alcalina e parametri di funzionalità renali, esami delle urine ad intervalli di 14 giorni durante i primi 3 mesi, successivamente ad intervalli mensili. Ad intervalli trimestrali vanno controllate le immunoglobuline.

Controindicazione all’impiego dei sali d’oro sono le connettiviti, la gravidanza, la colite ulcerosa, il morbo di Crohn e le malattie propriamente ematologiche (www.torrinomedica.it).

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2.3 Glucocorticoidi

I glucocorticoidi sono ampiamente utilizzati per il trattamento dell’AR grazie alle loro proprietà antinfiammatorie e immunosoppressive. Il loro impiego in regime di combinazione con i DMARDs è standard nei protocolli di trattamento sia negli stadi precoci della malattia, sia nello stato avanzato. Inoltre a dosi medio-alte sono utili per colmare l’intervallo tra l’inizio della terapia con DMARDs e la comparsa del loro effetto terapeutico. Vengono somministrati anche per via intra-articolare per

controllare la progressione della malattia (Hoes e coll., 2010). Diversamente da altre malattie reumatiche, nell’AR i glucocorticoidi

producono un soddisfacente beneficio anche a basse dosi comportandosi

come un farmaco di fondo. I farmaci steroidei comunemente utilizzati per l’AR sono prednisone,

prednisolone e il metil-prednisolone, somministrati ad un dosaggio variabile da 4 a 6 mg al giorno. Gli effetti collaterali causati dai glucocorticoidi sono dose-dipendenti e quindi a bassi dosaggi le probabilità che si verifichino sono minori. I più frequenti includono iperglicemia, ipertensione arteriosa, osteoporosi,

fragilità vasale, ovvero presenza di piccole macchie violacee sulla pelle. Se la terapia con glucocorticoidi ha una durata maggiore di tre mesi, è bene

associare un trattamento che prevenga l’osteoporosi (introito di calcio1000- 1500 mg/die tramite dieta o supplementi, e di vitamina D 400-800 UI/die), dato che dopo questo periodo può verificarsi una riduzione della densità minerale ossea (Mazzantini e coll., 2010).

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3.

FARMACI BIOTECNOLOGICI UTILIZZATI PER IL

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