IMPRESCINDIBILI. LA POSSIBILITA’ DI INDIVIDUARE UNA
PROCEDURA ARBITRALE AMMINISTRATA.
I termini “terzietà” ed “imparzialità”, che, quando si riferiscono all’ufficio di un giudice o a qualsiasi altro organo deputato alla risoluzione di una controversia, vengono generalmente usati come un’endiadi per indicarne l’indipendenza o l’equidistanza242, rinvengono la propria ragion d’essere in due distinte esigenze. In primis, nel principio di uguaglianza formale e sostanziale di cui all’art. 3 Cost., vero e proprio crisma giuridico che impronta l’intero ordinamento con una forza
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Si veda art. 4 Codice dei Giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport e Disciplina degli Arbitri 2008.
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In tal senso, si considerino: F.P. LUISO, Il Tribunale Nazionale Arbitrale dello Sport, in www.judicium.it, 2010; A.M. MARZOCCO, Sulla natura e sul regime di impugnazione del lodo reso negli arbitrati presso il Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport, in www.judicium.it, 2010, pagg. 40 e ss..
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M. FABIANI,Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice ed efficienza del processo, in www.judicium.it.
precettiva che non può trovare eccezioni, se non in un’applicazione ragionevole dello stesso ( cosiddetto principio o corollario di ragionevolezza243 ); la presenza di un giudice né terzo, né imparziale determinerebbe, come è logico, uno squilibrio tutt’altro che giustificabile tra le parti di un giudizio, cosicché, laddove ciò avvenisse, non troverebbe evidentemente realizzazione l’auspicata e necessaria eguaglianza formale e sostanziale. In secondo luogo, in criteri di mera logica e civiltà giuridica, solo successivamente confluiti in una norma costituzionale244, per cui la necessità della terzietà e dell’imparzialità è insita nel ruolo stesso svolto da un soggetto che, per volontà suprema dell’ordinamento245 o per scelta delle parti246 ( che così esercitano la loro autonomia negoziale ), è chiamato a comporre una disputa; la presenza di due parti contrapposte e di due possibili soluzioni contrastanti, infatti, implica logicamente che la posizione di colui che è chiamato a decidere sia di equidistanza, in modo tale che possa essere sempre garantita, ex ante, l’indipendenza di quest’ultimo e, ex post, la non parzialità e l’autorevolezza della decisione. Quest’ultimo rilievo, che lascia intendere sin d’ora come il doveroso non coinvolgimento del giudicante si estrinsechi in due momenti diversi, ci impone, prima di procedere, di tenere ben distinti i due concetti in esame, stante, come si vedrà, la profonda differenza intercorrente tra di essi. Con particolare riferimento al termine “terzo”, infatti, va detto che questo indica specificamente la posizione di estraneità del giudicante rispetto alle parti, alla lite ed agli interessi che essa sottende;
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E’ noto, infatti, l’orientamento uniformemente seguito sull’argomento da parte del Giudice delle leggi ( ex plurimis: Corte Cost., sentenza n. 281/2005, in www.cortecostituzionale.it ): il principio di eguaglianza va inteso come principio di eguaglianza ragionevole243, poiché esso non significa che tutti devono essere trattati allo stesso modo dalla legge, ma più propriamente che la legge deve trattare in modo uguale situazioni ragionevolmente eguali e in modo diverso situazioni ragionevolmente diverse.
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Il riferimento è qui all’art. 111, comma I Cost. il quale assicura che “ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale”. Il termine processo deve interpretarsi in senso lato, includendo, pertanto, quelle procedure, come l’arbitrato rituale, destinate a concludersi con un atto parificabile, seppur con alcune eccezioni, ad un provvedimento giudiziale. A conferma della pre-esistenza del principio alla norma interna, si ricorda che la disposizione costituzionale ha sostanzialmente recepito il principio contenuto nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, approvata a Roma il 04.11.1950, il cui art. 6 recita appunto che “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente ed imparziale”. L’unica novità è la terminologia usata e cioè l’espressione “giudice terzo” contenuta nell’art. 111, comma I Cost. in sostituzione di quella “tribunale indipendente” inserita nella Convenzione Europea.
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Il giudice istituzionale, quello appartenente alla Magistratura della Repubblica ed inserito, per lo svolgimento della propria pubblica funzione, in una delle giurisdizioni statali.
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Il cosiddetto “giudice privato” o, meglio, arbitro, soggetto non rientrante nelle fila della Magistratura, ma designato ad hoc per l’incarico di soluzione di una specifica querelle, in virtù di una previsione di legge che consenta alle parti private di regolare i propri interessi anche attraverso il ricorso a procedure alternative o derogatorie rispetto alla giurisdizione statale.
estraneità sia formale ( rectius: apparente ), che sostanziale ( rectius: concreta ), non dovendosi riscontrare in chi giudica alcuna forma di dipendenza dai soggetti giudicati. Al contrario, l’attributo “imparziale” si riferisce a colui che giudica con equità, non intendendosi per tale, ovviamente, il canone di giudizio tradizionalmente contrapposto a quello del diritto, ma alludendo l’espressione alla correttezza del processo di formazione della decisione da parte del giudicante e, conseguentemente, della decisione stessa, a causa dell’assenza di interessi propri a che la controversia venga risolta in un modo oppure in un altro247.
Dalla sintetica premessa si evince, pertanto, che il problema della terzietà e della imparzialità può riguardare anche le procedure arbitrali, quali forme alternative o derogatorie della giurisdizione statale: certamente quelle rituali, a maggior ragione dopo l’equiparazione quoad effectum tra lodo rituale e sentenza statale ex art. 824 bis c.p.c. ( indizio di una forte assimilazione, quanto al ruolo sostanzialmente svolto, tra arbitro rituale e giudice), e probabilmente248 anche quelle libere, considerato che, pur muovendosi su di un piano prettamente negoziale, queste ultime presuppongono comunque l’affidamento della regolamentazione della controversia a soggetti estranei alla res controversa, dai quali è lecito attendersi, pertanto, una decisione adottata in posizione di ugual distanza dalle parti in conflitto249.
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M. FABIANI,Garanzia di terzietà e imparzialità del giudice ed efficienza del processo, in www.judicium.it; per imparzialità nel senso di “mancanza di prevenzione”, si veda M. BOVE, Art. 111 cost. e “giusto processo civile”›, in Riv. Dir. Proc., 2002, pag. 507. Sulla definizione di imparzialità, si veda anche quanto elaborato dalla Corte di giustizia delle Comunità Europee, sentenza 19 settembre 2006, nella causa C-506/04 ( Wilson contro Ordre des avocats du Luxembourg ), la quale, proprio con riferimento alla composizione dell’organo decidente, afferma che l’imparzialità è “l’assenza di qualsivoglia interesse nella soluzione da dare alla controversia all’infuori della stretta applicazione della norma giuridica”, il che presuppone la “neutralità rispetto agli interessi contrapposti”.
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Probabilmente, poiché non poche voci in dottrina ed in giurisprudenza hanno rilevato come un eventuale deficit di terzietà di giudici ed arbitri sportivi possa condurre ad ammettere il ricorso al giudizio arbitrale solo nella sua forma irrituale, a causa del convincimento secondo cui l’arbitrato libero non ontologicamente presupporrebbe l’equidistanza dei giudici privati dalle parti della controversia. In senso contrario, come ritiene corretto l’autore della presente ricerca, cfr.: Cass., Sez. I, sentenza n. 12728/1999, in Riv. dir. sport, 2000, pagg. 661 e ss., con nota di V. VIDIRI, Arbitrato irrituale, federazioni sportive e d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242.
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Ritiene l’autore della presente ricerca che un valido argomento a sostegno di un simile convincimento, potrebbe individuarsi analizzando l’arbitrato in materia laburistica, che è, per espressa previsione legislativa, una procedura irrituale ( quanto meno, formalmente ). Ora, trattandosi di materia che necessita di una disciplina garantista in favore del soggetto debole del rapporto - il lavoratore - appare illogico ritenere che il Legislatore abbia voluto affidare la risoluzione di questioni così delicate ad un organo, per il quale, secondo l’orientamento contrario, non sarebbe richiesto il requisito della terzietà e della imparzialità. Si finirebbe, a parere di chi scrive, in una sorta di contraddizione in termini, per cui se sul piano del diritto sostanziale sussiste un disciplina che ripristini o compensi la situazione di squilibrio negoziale, sul piano procedurale ( o processuale in
Ora, chiarito che terzietà ed imparzialità sono crismi di civiltà giuridica richiesti dal nostro ordinamento per chiunque sia chiamato a giudicare una controversia, occorrerà verificare se i due citati requisiti possano riscontrarsi anche in relazione alla giustizia sportiva, in generale, ed all’arbitrato, in particolare. In primo luogo, va precisato che l’imparzialità, intesa come sopra, è requisito la cui presenza va valutata, in realtà, caso per caso, non apparendo un attributo estrinseco dell’arbitro o, quanto meno, un requisito che può essere riscontrato alla stregua di elementi esteriori o formali del giudicante, quali la sua provenienza, gli eventuali contatti con le parti, lo svolgimento di particolari attività o professioni, la specifica qualifica all’interno dell’ordinamento sportivo. Attenendo l’imparzialità al modo in cui l’arbitro giudica restando equidistante dalle parti nell’applicazione della regola astratta ( di diritto o di equità ) al caso concreto, la valutazione circa la sua esistenza sfugge, come è logico, ad un’analisi preventiva che abbia ad oggetto, nel caso che interessa la presente analisi, le norme degli Statuti e dei Regolamenti Federali; in altri termini la questione se il giudice privato della procedura arbitrale sportiva sia o meno imparziale potrà condursi solo ex post ed in concreto, non avendo alcuna incidenza sul punto le disposizioni delle carte federali. Al contrario, suscettibile di valutazione ex ante ed astratta appare l’altro indefettibile attributo, quello della terzietà, poiché in tale caso l’esistenza di situazioni che minino la correttezza del giudizio a causa della confusione di interessi tra soggetto giudicante ed una delle parti, ben può essere valutata in ragione della “posizione” occupata dall’arbitro; ne consegue che il deficit di terzietà può trarsi, oltre che da caratteristiche soggettive del giudice privato, anche e soprattutto dal sistema di nomina degli arbitri previsto dalla convenzione arbitrale. Prima di procedere ad esaminare compiutamente quest’ultimo tema, però, appare opportuno verificare preliminarmente se sia possibile individuare categorie di questioni ( rectius: materie in cui vertono le questioni ) che più delle altre pongano in astratto problemi in ordine alla terzietà dell’arbitro, così da escluderne eventualmente qualcuna e metterla al riparo dall’eccezione di deficit di indipendenza. Come si è avuto modo di constatare descrivendo l’ambito di operatività dell’arbitrato sportivo in materie interne ( quelle coperte dal cosiddetto vincolo di giustizia e, pertanto, di competenza esclusiva degli organi giudiziali federali ), deve rilevarsi che le
senso lato ), poi, non si rinverrebbe l’esigenza di parità e di uguale tutela garantita dall’estraneità del giudicante ( nel caso in esame: amichevole compositore ) alle parti ed agli interessi in gioco.
astrattamente possibili controversie in tema di applicazione ed interpretazione delle regole tecnico-sportive, da un lato, e di accertamento di condotte trasgressive di “norme” disciplinari, con conseguente irrogazione di sanzioni, dall’altro, possono coinvolgere tanto i soli soggetti affiliati, associati ed atleti, quanto questi ultimi e le Federazioni o Discipline sportive di appartenenza. Proprio le dispute relative a fatti disciplinarmente rilevanti, per loro stessa natura si prestano, forse più delle altre250, a realizzare situazioni di conflitto tra istituzioni e soggetti sportivi, atteso che oggetto della querelle, in questi casi, sarà sempre la correttezza in fatto ed “in diritto”251 della sanzione e, quindi, della valutazione eseguita dall’organo disciplinare federale: in tali ipotesi la Federazione si pone quale contraddittore necessario ( direi naturale ) della parte che lamenta l’ingiustizia della sanzione, poiché la doglianza consegue proprio all’intervento dell’ente federale, cosicché se tale intervento sanzionatorio non vi fosse stato, non avrebbe avuto senso parlare di controversia. Ipotesi in cui il contraddittore sia la Federazione, tuttavia, si possono astrattamente verificare anche per l’altra categoria di questioni rientranti nella competenza esclusiva degli organi giudiziali sportivi, quella concernente l’applicazione di una regola sportiva di natura tecnica. In simili casi, infatti, la controversia non presuppone necessariamente la contestazione dell’interpretazione data alla ( e/o dell’applicazione della ) regola tecnica da parte della Federazione; ben potrebbe insorgere una lite in subiecta materia, tra due atleti o società sportive, avente ad oggetto la richiesta di applicazione della norma tecnico-sportiva che una delle due parti ritiene violata dall’altra ( hic, non viene direttamente coinvolta la Federazione di appartenenza ). Nella maggior parte dei casi, però, è consueto l’intervento dell’ente federale, cosicché in tali circostanze le doglianze avranno come diretta destinataria la Federazione, la quale, quindi, sarà in simili casi, contraddittore necessario della parte che agisce. La questione, a ben vedere, però, si estende a tutte quelle altre controversie che comportino sempre e comunque un coinvolgimento della Federazione, seppur a vario titolo: si pensi solo alle dispute relative al rapporto di lavoro ( ad esempio: gli arbitri appartenenti all’Associazione Italiana Arbitri di calcio
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Come rilevato da F. MODUGNO, Giustizia e sport, problemi generali, in Riv. Dir. Sport., 1993, pag. 344, “nei procedimenti disciplinari si pone, peraltro, il problema della terzietà dei giudici, visto che si tratta per lo più di organi della federazione che contribuiscono a formare la volontà o il convincimento dell’ente”.Sul punto si veda, pure, M. GRANIERI, Le forme della giustizia sportiva, a cura di Cesare Vaccà, Giuffré, Milano, 2006, Il sistema della giustizia sportiva, pag. 83.
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) oppure a quelle che presuppongono l’esercizio di poteri di controllo di tipo amministrativo della Federazione sugli affiliati-associati ( posto che in realtà si possa parlare di pubblici poteri esercitati dalle Federazioni ): in tutti questi casi è evidente come si possano creare ipotesi di parzialità, quanto meno formale, tutte quelle volte in cui le parti della disputa decidano di deferire ad arbitri la cognizione della stessa e l’arbitrato veda coinvolti, quali giudici privati o amichevoli compositori della lite, soggetti dipendenti, in un modo o in un altro, dagli organi federali. In definitiva, sul punto deve necessariamente concludersi che non esistono materie suscettibili di una sottrazione aprioristica al problema della terzietà, poiché l’unico parametro al riguardo è dato dalla “presenza”252 dell’ente sportivo, coinvolto nella disputa oggetto di giudizio arbitrale, nella procedura di scelta e nomina degli arbitri.
Se si prende in considerazione, poi, quale criterio discretivo per la presente analisi, la rilevanza endo o eso-federale della procedura arbitrale ( che deriva direttamente dalla rilevanza endo o eso-federale della materia in cui verte la questione ), il problema della terzietà può riguardare tanto l’arbitrato amministrato dalle Federazioni, quanto quello amministrato dal C.O.N.I., avendo ben presente che quest’ultimo soggetto, come si vedrà a breve, non interviene solo nei casi di propria diretta e stretta competenza, ma anche nelle ipotesi in cui l’ente federale gli rimetta la competenza a decidere su di una disputa in materia tecnico-sanzionatoria che investa direttamente la Federazione253. E’ opportuno, pertanto, ai fini della conduzione di un esame puntuale ed approfondito, tenere distinte le due ipotesi di arbitrato federale o endofederale, da un lato, ed arbitrato esofederale, dall’altro.
In relazione al primo, anche per quanto sin qui detto, si deve giungere ad escludere la fondatezza dell’eccezione di violazione del requisito della terzietà, se la si intende in modo indiscriminato e generico. Tale rilievo, lungi dall’essere scontato, ci consente di comprendere come la struttura della procedura arbitrale prevista da Statuti e Regolamenti federali non sia tale da risultare ogni qual volta lesiva del principio di indipendenza; richiamando quanto detto poco sopra, ciò vuol dire che l’eventuale non terzietà degli arbitri potrà realizzarsi non sempre, ma solo quando siano parte
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Si preferisce il termine neutro “presenza” a quello di “ingerenza”, più carico di significato negativo.
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Come si avrà modo di vedere in seguito, molti Statuti e Regolamenti federali, prevedono il deferimento della lite agli organi arbitrali del C.O.N.I., tutte quelle volte in cui ne sia parte la Federazione o la Disciplina di appartenenza dell’affiliato-associato; in questi termini, anche le questioni tecnico-disciplinari possono estendersi agli organi esofederali del Comitato Olimpico Nazionale Italiano
della controversia le Federazione, dovendosi così preliminarmente circoscrivere il campo di indagine. All’interno di simili ipotesi, poi, perché l’accusa possa risultare vera, sarà necessario analizzare la singola procedura di nomina degli arbitri prevista dalle carte federali. Come anticipato sinteticamente, infatti, non pare corretto dubitarsi della terzietà degli arbitri tutte quelle volte in cui venga garantita l’equidistanza dalle parti in conflitto attraverso il deferimento della lite agli organi del C.O.N.I.254: la procedura di nomina dei giudici privati o degli amichevoli compositori secondo le previsione dello Statuto del Comitato Olimpico Nazionale Italiano comporterà l’esclusione aprioristica di soggetti collegati, sul piano degli interessi perseguiti, all’ente federale. Il problema si riduce, così, ulteriormente, attenendo, dunque, alle sole ipotesi di controversie coinvolgenti una Federazione o Disciplina che rimangano all’interno dell’ordinamento federale o, meglio, che non vengano, come sarebbe corretto ed opportuno, deferite agli organi di giustizia ( in senso lato ) esofederali. Come prevalente dottrina ha correttamente rilevato, infatti, l’unico ostacolo insuperabile alla devoluzione in arbitrato federale delle controversie in materia tecnica e disciplinare ( le quali, lo si ricorda, costituiscono il settore in cui il problema in argomento forse si manifesta in modo più frequente e serio ) deriva dal coinvolgimento, come parte in conflitto, della stessa Federazione, laddove sia demandata ad organi federali la nomina di uno o più dei componenti il collegio arbitrale255, la qual cosa spiega perché le clausole compromissorie ricorrenti nell’ambito degli Statuti e dei Regolamenti federali hanno per lo più “un ambito soggettivo limitato ai soggetti associati alle federazioni o da queste tesserati [ … ]
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A titolo esemplificativo si citano: l’art. 64, comma I, Statuto F.I.PA.V. 2008, per il quale: “Le controversie che contrappongono la FIPAV a soggetti affiliati e/o tesserati possono essere devolute, con pronuncia definitiva al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, istituito presso il CONI, a condizione che siano stati previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione o comunque si tratti di decisioni non soggette ad impugnazione nell’ambito della giustizia federale, a eccezione delle controversie che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni inferiori a centoventi (120) giorni, a diecimila (10.000) euro di multa od ammenda, e delle controversie in materia di doping”; si veda pure l’art. 45, comma I, Statuto F.I.P. 2009, secondo il quale: “Le controversie che contrappongono la F.I.P. a soggetti affiliati e/o tesserati, possono essere devolute, con pronuncia definitiva, all’Alta Corte di Giustizia Sportiva ovvero al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport istituite presso il C.O.N.I., secondo le regole stabilite dagli articoli 12 e seguenti dello Statuto del C.O.N.I. e dai relativi regolamenti attuativi, a condizione che siano previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione o, comunque, si tratti di decisioni non soggette ad impugnazione nell’ambito della giustizia federale, con l’esclusione delle controversie di natura tecnico–disciplinare che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni inferiori a 120 ( centoventi ) giorni, a 10.000 euro di multa o ammenda e delle controversie in materia di doping”.
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C. ALVISI,Giustizia sportiva ed arbitrato, a cura di Cesare Vaccà, Giuffré, Milano, 2006, Il sistema della giustizia sportiva, pag. 37; E. LUBRANO, Lo sport e il diritto, Profili istituzionali e regolamentazione giuridica, a cura di M. Colucci, Napoli, 2004, pag. 217.
ma non investono normalmente i rapporti fra federazione e associati”256. Una volta individuatane la possibile astratta esistenza, vi è da chiedersi, pertanto, se situazioni di “trattenimento” della controversia all’interno del micro-ordinamento federale si possano verificare in concreto e, in caso di risposta positiva, se queste vengano regolate in modo tale da scongiurare violazioni, sia pur apparenti, del principio della terzietà. La risposta alla prima questione è positiva, mentre, quanto alla seconda, occorre dire che ad un’attenta analisi delle procedure di nomina previste nei vari Statuti e Regolamenti federali, emerge che: a) i meccanismi di nomina degli arbitri sono normalmente disciplinati secondo lo schema classico che attribuisce a ciascuna delle parti il potere di nominare il proprio arbitro e, agli arbitri così nominati, il potere di decidere concordemente la nomina del terzo arbitro ( art. 80 St. F.I.H.P.; art. 51 St. F.I.B.; art. 41 St. F.I.D.A.L.; art. 43 St. F.C.I.; art. 55 St. F.I.P.M. )257; b) solo in alcuni casi, da ritenersi minoritari, è tuttavia previsto che, in difetto della nomina della parte o in difetto di accordo fra gli arbitri nominati dalle parti, l’arbitro mancante sia nominato da un organo federale258 ( cfr. art. 52.3.1 St. F.I.B.S.; art. 60 St. F.I.T. ). Solo in quest’ultima ipotesi, a ben vedere, si tratta di meccanismi di nomina che non garantiscono in via assoluta la terzietà di tutti i componenti il