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3. The Etruscan Lion cinquant‟anni dopo: per una revisione dei materiali di V secolo a.C

3.2. V The Amandola Dinos

L‟accuratezza esecutiva che ne determina l‟unicità e la provenienza picena costituiscono gli elementi di discussione di un altro oggetto bronzeo, al quale Brown dedica una trattazione apposita: il dinos da Amandola345.

Rinvenuto in circostanze non rese note ad Amandola, in località Taccarelli, verso il 1890, il dinos è sormontato da due bronzetti configurati a leonessa e a vitello. Payne per primo ha proposto, secondo un‟opinione ormai largamente condivisa, che anche i bronzetti di leone e di cinghiale conservati al Museum of Fine Arts di Boston potessero appartenere allo stesso vaso346.

Vastissima è la bibliografia a riguardo347 e molte sono le ipotesi avanzate circa la possibile maestranza che ha prodotto il vaso: ritenuto inizialmente un manufatto locale348, è stato successivamente attribuito a fabbrica ionica349, corinzia350, magnogreca351 ed infine etrusca352. Il vaso compare dapprima in una riproduzione del 1902353; due anni più tardi Felice Barnabei lo annovera tra i “…bronzi di purissima arte ionica…” che “…si scoprirono nella alture verso l‟Adriatico…” considerandolo “…uno dei più mirabili documenti che a noi siano pervenuti di quell‟arte mirabile…”354. Una breve presentazione è redatta all‟interno della Guida al Museo di Ancona nel 1915, dove lo si inserisce tra i capolavori arcaici “di arte picena locale” 355. Cinque anni più tardi il cratere è oggetto di studio da parte di Albizzati356, che lo ritiene il prodotto di maestranze ioniche. In particolare l‟autore propone di confrontare il leone

345 BROWN 1960, pp. 144-146, tav. LII, a-b.

346 PAYNE 1931, pp. 352-353. Tutta la letteratura successiva concorda sostanzialmente con questa tesi

(RICHTER 1930, p. 6, fig. 12; ROLLINS SANBORN 1930, p. 87, 89, fig. 8; JACOBSTHAL 1932, p. 6, fig. 2; BROWN 1960, p. 144; JUCKER 1967, pp. 627-632; KUNZE 1967, p. 242, nota 62; COMSTOCK-VERMEULE 1971, p. 309, nn. 434-435; HEURGON 1975, p. 317, tav. XL, 3; DORHN 1982, p. 65, tav. 45,1; LANDOLFI 1983; LANDOLFI 1999, p. 250, n. 430; NASO 2000, p. 198, tavv. 56-58; http://www.mfa.org/collections/); solo Shefton afferma la non verificabilità della pertinenza, dovuta alla lacunosità del vaso (SHEFTON 2001, p. 28, nota 40).

347 FERRANTI 1891, p. 11, BRUNN-BRUCKMANN 1902, p. 11, tavv. 586-587; BARNABEI 1904, pp. 17-19;

DALL‟OSSO 1915, pp. 92-95; ALBIZZATI 1920, pp. 153-161; BERTINI CALOSSO 1921, p. 239; NEUGEBAUER 1931, p. 81; PAYNE 1931, pp. 352-353; MARCONI 1933, col. 437, nota 1; MARCONI 1934, pp. 22, 57-58; JANTZEN 1937, p. 27, n. 25; p. 33; RIIS 1941, p. 93, nota 6; ASHMOLE 1939, pp. 424-427; ZANDRINO 1941, pp. 61-64; JACOBSTHAL 1944, p. 39, pl. 229c; DUNBABIN 1948, p. 290, nota 1; BROWN 1960, pp. 144-146; MERCANDO 1965, p. 37; JUCKER 1967, pp. 627-632; KUNZE 1967, p. 242, nota 62; LOLLINI 1976, pp. 163, 191-192; LANDOLFI 1983; CRISTOFANI 1985, p. 295; LANDOLFI 1988, p. 331, fig. 288; LANDOLFI 1998, p. 142; LANDOLFI 1999, p. 250, n. 430; SHEFTON 1999, p. 156, figg. 120-121; NASO 2000, p. 198, tav. 56; SHEFTON 2001, p. 28, nota 40; SHEFTON 2003, p. 331; TARDITI 2007, p. 27, fig. 8.

348 DALL‟OSSO 1915, p. 92.

349 ALBIZZATI 1920; BERTINI CALOSSO 1921; MARCONI 1933; MARCONI 1934. 350 PAYNE 1931; DUNBABIN 1948.

351 NEUGEBAUER 1931; JANTZEN 1937. 352 Per primo RIIS 1941, p. 43, nota 6.

353 BRUNN-BRUCKMANN 1902, p. 11, tavv. 586-587. 354 BARNABEI 1904, pp. 18-19.

355 DALL‟OSSO 1915, p. 92. 356 ALBIZZATI 1820, pp. 153-161.

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con una gemma incisa dall‟Asia Minore, due monete argentee di Akanthos, nella Calcidica, il coperchio di una pisside corinzia, la celebre Chimera d‟Arezzo e quella raffigurata sulle pareti della Tomba dei Tori, tutte creazioni artistiche di ambito ionico357. Collocando il monumento attorno al 500 a.C. lo studioso dichiara di non aver sufficienti elementi per proporre soluzioni risolutive sul possibile luogo d‟origine finchè non sarà avviato uno studio complessivo dell‟opera358. Con Albizzati concorda Bertini Calosso, che rimarca il carattere fortemente ionizzante dell‟opera, attribuendola ad un orizzonte di fine VI secolo a.C., e fornisce alcune interessanti notizie sulla scoperta, avvenuta nel 1890 in un terreno di proprietà di Pietro Mainardi in località Taccarelli di Amandola, e sulle complicate vicende successive, che vedono il vaso acquistato dall‟antiquario romano Attilio Simonetti che, in seguito, lo donerà allo Stato in cambio del permesso di esportare un gruppo marmoreo del „500 vendutogli abusivamente dal Comune di Sirolo. Il dinos, dopo una breve permanenza presso il Museo Villa Giulia di Roma, passa al Museo Nazionale Romano, dove viene restaurato nel 1900 da Donato Bernardini. L‟anno successivo giunge al Museo di Ancona 359.

Un decennio più tardi la leonessa viene citata da Payne, il quale, ritenendola di fabbrica corinzia, suggerisce una cronologia al primo quarto del V secolo a.C., sulla base del confronto con un bronzetto da Corfù, del tardo VI secolo a.C.360; mentre sarebbe un prodotto di stile ionizzante secondo Marconi 361. Pochi anni più tardi Zandrino si pone sulla stessa scia, attribuendo il pezzo alla “scuola di Samo” operante attorno al 500 a.C.362.

Che possa trattarsi di un artista magnogreco è invece l‟ipotesi di Jantzen, in particolare tarantino 363, opinione già avanzata da Neugebauer qualche anno prima 364, ma non condivisa da Riis, che ricorda come il tipo della chimera, chiamata in causa per i bronzi da Amandola, compaia sulla monetazione etrusca della prima metà del V secolo a.C. 365. Jacobsthal richiama il pezzo a proposito della discussione riguardo alle criniere dei leoni che ornano i vasi rinvenuti in area celtica, permeati da influssi di marca orientale così come le “archaic Greek manes, like that of the lion on the Amandola dinos”366. E‟ dunque la volta Brown. che conduce un‟analisi approfondita del pezzo osservando una forte somiglianza tra la leonessa da Amandola, il leone di Boston e una serie di bronzetti di provenienza greca, che costituiscono le prese di vasi

357 ALBIZZATI 1920, pp. 154-155. 358 ALBIZZATI 1920, pp. 159-160. 359 BERTINI CALOSSO 1921, p. 239.

360 PAYNE 1931, p. 352-353. Tale opinione verrà ripresa in DUNBABIN 1948, p. 290, nota 1. 361 MARCONI 1933, p. 438. 362 ZANDRINO 1941, pp. 61-64. 363 JANTZEN 1937, p. 33. 364 NEUGEBAUER 1931, p. 81. 365 RIIS 1941, p. 93, nota 6. 366 JACOBSTHAL 1944, p. 39, pl. 229c

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configurate a leoni, colti nell‟atto di compiere un balzo. Lo studioso si sofferma, in particolare, su due esemplari ateniesi, soprattutto per quanto riguarda la corporatura, le lunghe zampe posteriori, la forma della testa e la resa della criniera, mentre cita altre statuette, anch‟esse abbinate a patere di manifattura greca e caratterizzate dall‟insolita posizione delle fiere con le zampe anteriori abbassate nell‟attimo che precede il salto 367. Inoltre, la criniera resa a collare con incisioni radiali attorno al capo avvicina i bronzetti in questione ad un altro esempio di produzione greca del secondo o terzo quarto del V secolo a.C., proveniente dal palazzo di Dario a Susa 368. Tuttavia, nonostante i confronti addotti, Brown non trova convincente l‟ipotesi secondo la quale i bronzetti da Amandola e di Boston possano essere creazioni greche poichè questi mostrano uno stile più pesante e di carattere arcaizzante, elementi dettati non tanto da motivi cronologici, in quanto egli li ritiene coevi alla serie greca, datandoli al secondo quarto del secolo, quanto geografici. Secondo lo studioso, infatti, tali caratteristiche rimanderebbero a prodotti di marca provinciale, quali le numerose piccole protomi bronzee di indiscussa fabbrica etrusca 369. L‟ipotesi di un‟origine etrusca del vaso, benchè l‟autore lasci aperta anche la possibilità che ci si trovi di fronte ad una manifattura greca, sarebbe rafforzata anche dal raffronto con i supporti a zampa leonina del tripode da Durkheim di officina vulcente

370. Questa proposta è raccolta qualche anno più tardi da Jucker, il quale, sulla base del

confronto con un tripode conservato al Metropolitan Museum di New York, che presenta un gruppo di un leone in lotta con un toro, data il dinos alla seconda metà del V secolo a.C. 371. Una scheda sintetica è redatta dalla Mercando per il Catalogo della Mostra Restauri d‟arte in Italia del 1965, dove si accoglie l‟ “interpretazione ionica”, attribuendo l‟opera all‟inizio del V secolo a.C.372. Di diverso avviso è invece la Lollini, che, passando in rassegna le precedenti ipotesi, propende per quella magnogreca, secondo la quale artisti greci avrebbero lavorato in loco per committenti piceni373. Nel 1983 Maurizio Landolfi dedica un breve dattiloscritto al monumento. Oltre ad un‟analitica scheda anagrafica (descrizione, stato di conservazione,

367 BROWN 1960, p. 144. 368 BROWN 1960, p. 145.

369 Brown menziona diversi esemplari: almeno due provenienti da Chiusi, uno conservato a Oxford, uno a Mainz,

uno ad Arezzo, due da Chianciano, altri sei dalla Tomba 9 Arnoaldi di Bologna, altri tre, usati come prese, conservati a Londra, Karlsruhe e Farnham. Le differenze tra di essi consistono in lievi dettagli, il muso appuntito o dal profilo maggiormente squadrato, la resa del collare attorno al capo con incisioni radiali o a zig-zag, mentre tutti presentano fauci spalancate con labbra ispessite, soprattutto ai lati, ed orecchie semicircolari sporgenti dal collare (BROWN 1960, pp. 145-146). Per l‟analisi approfondita della serie delle appliques a protome leonina, il cui corpus è stato ulteriormente accresciuto, si rimanda più avanti (pp. 108-121).

370 BROWN 1960, p. 146.

371 JUCKER 1967, pp. 629-632. Che si tratti di un bronzo etrusco ne è convinto anche Kunze (KUNZE 1967, p.

242, nota 62).

372 MERCANDO 1965, p. 37, n. 9, tav. 25. La bibliografia menzionata da Mercando risulta alquanto obsoleta,

fermandosi al contributo di Bertini Calosso del 1921.

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modalità e circostanze del rinvenimento, datazione: 480 a.C.), egli riporta le principali proposte di attribuzione e rileva l‟estremo interesse del pezzo in chiave commerciale, attestando da un lato la formazione di un ceto emergente locale, dall‟altro l‟importanza strategica delle direttrici lungo la Valle del Tenna374. Rapidi cenni si trovano nella scheda redatta da Cristofani per la Chimera di Arezzo per ciò che concerne la posizione del felino in agguato375. Qualche anno più tardi Landolfi, riproponendo i dati offerti in precedenza, sembra propendere per un‟attribuzione corinzia376. Gli studi più recenti sono stati condotti da Shefton, soprattutto in relazione ai contatti tra area picena ed etrusca; egli ritiene il dinos un pezzo di fabbrica vulcente della prima metà del V secolo a.C., importato come bene di lusso dall‟aristocrazia locale picena 377. Della stessa opinione è anche Naso, che annovera il monumento tra i prodotti inseriti nel circuito commerciale adriatico, che all‟inizio del V secolo a.C. giungono dall‟Etruria nella valle del Tenna attraverso la mediazione del centro di Belmonte378.

Come accennato in precedenza, alla stessa mano del dinos sono stati attribuiti i due bronzetti di leone e di cinghiale conservati al Museum of Fine Arts di Boston, significativamente detti provenire da Sirolo (AN), la cui Amministrazione Comunale aveva venduto abusivamente all‟antiquario romano Simonetti il complesso marmoreo cinquecentesco. Acquistati a Roma nel 1895 da Warren379, i bronzetti entrano a far parte delle collezioni del Museum of Fine Arts di Boston nel 1910380. La Richter inserisce il leone all‟interno del filone greco di età classica, grazie alla sua posizione nell‟atto di spiccare il salto381. Lo stesso anno (1930) Rollins Sanborn propone una datazione attorno al 480 a.C.382, ma è Payne che suggerisce la possibile appartenenza del pezzo, insieme con la statuetta di toro, al dinos da Amandola (1931)383. Tutta la letteratura successiva concorda sostanzialmente con questa tesi384; solo Shefton ha di recente affermato la non verificabilità della pertinenza, dovuta alla lacunosità del vaso385. Una scheda dedicata ai bronzetti è stata redatta nel 1971 nel catalogo del Museo da Comstock e Vermeule, che confermano la datazione tradizionale,

374 LANDOLFI 1983.

375 CRISTOFANI 1985, p.295.

376 LANDOLFI 1988, p. 331, fig. 288; LANDOLFI 1999, p. 250, n. 430.

377 SHEFTON 1999, p. 156, figg. 120-121; SHEFTON 2001, p. 28, nota 40; SHEFTON 2003, p. 331. 378 NASO 2000, p. 198.

379 COMSTOCK-VERMEULE 1971, p. 309, nn. 434-435. Cfr. anche il link del Boston Museum of Fine Arts:

http://www.mfa.org/collections/.

380 LANDOLFI 1983.

381 RICHTER 1930, p. 6, fig. 12.

382 ROLLINS SANBORN 1930, p. 87, 89, fig. 8. 383 PAYNE 1931, p. 352-353.

384 JACOBSTHAL 1932, p. 6, fig. 2; JUCKER 1967, pp. 627-632; KUNZE 1967, p. 242, nota 62; COMSTOCK-

VERMEULE 1971, p. 309, nn. 434-435; DORHN 1982, p. 65, tav. 45,1; LANDOLFI 1999, p. 250, n. 430; NASO 2000, p. 198, tavv. 56-58; http://www.mfa.org/collections/.

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mentre il leone compare, senza riferimenti specifici al dinos, all‟interno della discussione condotta da Heurgon in relazione allo schema iconografico della chimera incisa sulla monetazione etrusca datata attorno al 500 a.C., nonché del noto bronzo aretino386. Anche Dohrn nomina il bronzetto a proposito della Chimera di Arezzo, in particolare per ciò che concerne la forma lanceolata delle ciocche della criniera387. Di recente Chiara Tarditi ha ripreso in considerazione la questione ravvisando alcuni confronti per lo schema della fiera in posizione di pre-salto nella produzione greca che a partire dalla fine del VI secolo a.C. riproduce l‟iconografia nella scultura, nella ceramica e nella glittca. In particolare la studiosa richiama il bronzetto da Corfù presentato a suo tempo da Payne e rafforza l‟ipotesi di una possibile derivazione corinzia del dinos presentando un‟Ephebenkanne da Ugento e un‟ansa segnalata sul mercato antiquario londinese, caratterizzate dalle terminazioni laterali conformate a leoncini in attacco, attribuite a maestranze corinzie attive all‟inizio del V secolo a.C.388.

Sebbene la questione legata alla provenienza della maestranza che ha prodotto il monumento rimanga tuttora irrisolta, la letteratura sembra concorde nell‟assegnare (quasi) all‟unanimità il gruppo bronzeo ad un orizzonte cronologico fissato al primo ventennio del V secolo a.C.

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