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II. Brand UNESCO e turismo

1. L’evoluzione del consenso dell’UNESCO nei confronti del turismo

1.1. The Brussels Charter

La Carta di Bruxelles viene redatta da ICOMOS nel 1976 in occasione del Seminario Internazionale sul Turismo e l’Umanesimo Contemporanei, ed esprime tutta la preoccupazione nei confronti della crescita massiccia e incontrollata del turismo. Quest’ultimo è percepito come una grande minaccia, una piaga da cui difendere e preservare il patrimonio culturale e naturale. All’interno della Carta si individuano delle posizioni concettuali di partenza e si stabiliscono degli spunti di azione futuri per far fronte al problema della costante crescita del turismo.

Come scritto nella Carta, “il turismo è un fatto sociale, umano, economico e culturale irreversibile”47

. La prima forma di turismo nasce con il Gran Tour, un’esigenza sociale che si sviluppa tra il 600’ e il ‘700 in Europa, e che vede protagonisti giovani aristocratici in partenza per viaggi di educazione alla scoperta dell’Italia. Il Gran Tour era una tappa indispensabile per il completamento della formazione dei rampolli aristocratici, che accompagnati da un tutore si recavano in lunghi viaggi per consolidare le loro conoscenze sulla politica, la cultura e l’arte di altri paesi europei attraverso il confronto con essi. Le destinazioni più gettonate erano le città d’arte, in particolare Venezia, Roma, Napoli, Firenze, Pisa, Bologna e anche la Sicilia, luogo adatto allo studio della cultura greca senza bisogno di recarsi direttamente in Grecia. Viaggiatori illustri come Montesquieu, Goethe e Stendhal con la loro letteratura ci lasciano in eredità le loro impressioni sulle meraviglie che incontrano, inconsapevoli che quelle stesse meraviglie anni dopo sarebbero state proclamate Patrimonio dell’Umanità e che dopo di loro avrebbero attratto milioni di moderni turisti provenienti da tutto il mondo.

Un’altra forte spinta al turismo di massa è quella che si ha negli anni ’50, quando a seguito dell’introduzione delle ferie retribuite tutti i cittadini possono permettersi di andare in vacanza con la famiglia e godersi il meritato riposo in spiaggia nel mese di agosto. Con la nascita dei voli low cost, anche le tratte sulle lunghe distanze diventano alla portata di tutti, e così il viaggio, prerogativa di pochi, diventa un diritto esercitabile da una parte sempre più vasta della popolazione, e i numeri degli spostamenti iniziano a crescere vertiginosamente. E sono proprio questi numeri a spaventare ICOMOS già nel lontano 1976, tanto che nella Carta di Bruxelles appare la preoccupazione circa le stime per i successivi 25 anni: la previsione di crescita esponenziale del numero degli spostamenti può influenzare il patrimonio, e per rimanere “tollerabile” deve essere attentamente studiata e monitorata. Nonostante al turismo venga riconosciuto il merito positivo di contribuire al mantenimento del patrimonio per il

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soddisfacimento dei suoi fini e nonostante i benefici socio-economici che ne derivano per la popolazione coinvolta, la comunità internazionale non può restare indifferente alle minacce di tutti gli effetti negativi e distruttivi che l’uso smodato dei beni comporta, e dunque si richiedono delle misure per stabilire degli standard di fruizione accettabili48. Tra i provvedimenti richiesti dalla Carta, vi è un forte appello agli scienziati e agli specialisti del settore turistico affinché si uniscano “nella battaglia iniziata su tutti i fronti contro la distruzione del suddetto patrimonio da ogni fonte di inquinamento […] e affinché le più avanzate risorse della tecnologia moderna siano usate per la protezione dei monumenti”49. Nonostante questa Carta sia stata redatta quando ancora non era nata la prima WHL e sia stata sostituita nel 1999 dalla International Cultural Tourism Charter, uno dei punti che è e dovrebbe rimanere sempre attuale della Carta di Bruxelles è quello che riguarda l’educazione all’importanza dei monumenti e dei siti (protetti e non), rivolta non solo ai ragazzi in età scolare, ma anche a tutti quei soggetti responsabili della creazione dell’offerta turistica e della programmazione alla fruizione del patrimonio culturale e naturale, affinché siano attenti non solo alle esigenze di vantaggio economico, ma anche e soprattutto alle esigenze di protezione e pianificazione ragionata dei limiti di capacità di carico e tutela ambientale.

1.1.1. Presenza umana nelle aree naturali protette: lo Yellowstone Model

Questo timore per la conservazione del patrimonio culturale e naturale era già radicato nel XIX e nel XX secolo anche al di fuori dei contesti operativi dell’UNESCO, quando prevaleva l’idea del “selvaggio incontaminato” per quanto concerne il patrimonio naturale (M. Kalamandeen & L. Gillson, 2007). Con l’atto costitutivo nel 1872 del Parco Nazionale dello Yellowstone negli Stati Uniti, veniva promossa l’espulsione della popolazione indigena insediata nel Parco da circa seimila anni, a beneficio dei turisti e del pubblico americano che dimostrarono di voler godere delle bellezze paesaggistiche e naturali del Parco senza la contaminante presenza dell’uomo. Così a partire dal 1870, favoriti anche dall’esistenza dell’Indian Removal Act50, gli indigeni vennero espulsi dall’aerea e insediati al di fuori dei confini del Parco. Da questo provvedimento presero spunto anche altri parchi, tanto che si iniziò a parlare di “Yellowstone Model”. Come evidenziano M. Kalamandeen e L. Gillson (2007), le ragioni di tale decisione derivarono dall’interesse estetico del pubblico americano verso un luogo apparentemente incontaminato, dove potersi godere la bellezza della natura in completa assenza di presenza umana. Altre ragioni sono invece di carattere economico, in

48 Ibidem. 49 Ibidem.

50 Nel 1830 negli Stati Uniti, il presidente Andrew Jackson aveva approvato l’Indian Removal Act, con il quale

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particolare legate allo sviluppo del turismo, senza l’appoggio del quale l’istituzione del Parco non sarebbe stata possibile.

Da tutto questo emerge e si conferma la tendenza dell’epoca a considerare la presenza umana nelle aree protette come distruttiva e minacciosa tanto per la natura quanto in certi casi anche per i fini economici. Lo Yellowstone Model fu anche sostenuto e supportato da IUCN fino agli anni’80 salvo poi mutare le opinioni verso posizioni più moderate. Uno degli esempi più conosciuti è quello dell’espulsione della comunità Masaai dal Parco Nazionale del

Serengeti, dove però ancora una volta dietro la maschera della tutela ambientale si

nascondevano intenti economici che scatenarono polemiche e rivolte tra la popolazione indigena51. Bisogna pertanto fare attenzione prima di esprimere un giudizio, e valutare attentamente quali siano le reali motivazioni che spingono verso scelte politiche controverse e verso i conseguenti esiti.