3. Spazio pubblico e autonomia
3.2 Tra protezione ed esclusione: il bambino in città
Per introdurre la situazione nella quale vengono a trovarsi i bambini negli spazi urbani contemporanei, l’analogia utilizzata da James et al. sembra Illuminante:
Comunemente nel linguaggio dell’orticultura con erbaccia si definisce «qualsiasi pianta che cresce nel posto sbagliato». (…) Con più forza potremmo affermare che i bambini occupano o spazi riservati, cioè in cui sono collocati, come per esempio gli asili o le scuole, oppure acquistano visibilità nell’invasione impropria e precoce del territorio adulto: la camera dei genitori, la sedia del papà, il «pub», oppure anche attraversando una strada trafficata. L’infanzia, potremmo aggiungere, è quello status della persona che è spesso nel posto sbagliato per definizione. (…) I bambini, in termini di spazio sociale, sono localizzati, isolati, distanziati e il loro graduale emergere nel più ampio spazio adulto è accidentale, scandito in tappe, come un premio o un privilegio o parte di un graduale rito di passaggio (James et al. 1998, p. 37).
A causa di cambiamenti sociali ed ambientali susseguitisi nel corso degli anni, la vita quotidiana dei bambini è stata sempre più relegata in spazi istituzionalizzati, progettati e controllati dagli adulti, con lo scopo non soltanto di proteggere i bambini ma anche quale manifestazione di un potere di controllo, regolazione ed esclusione esercitato dagli adulti stessi (Barker e Weller, 2003).
A ciò si aggiunga un modello di sviluppo delle città caratterizzato da un’elevata specializzazione funzionale degli spazi che, nei suoi esiti, ha favorito quella che Zeiher (2003 in Gleave, 2009) ha definito “insularizzazione” dell’infanzia. Un ambiente urbano differenziato, infatti, nel quale le attività svolte dai bambini (principalmente in luoghi istituzionalizzati – “le isole dell’infanzia”) non sono dislocate nelle immediate vicinanze delle abitazioni, ma distribuite su tutto il territorio cittadino, richiede un’attenta pianificazione oraria della giornata eseguita in anticipo e l’accompagnamento, effettuato prevalentemente in automobile, da parte di adulti.
I risultati di una ricerca empirica condotta in Danimarca hanno messo in evidenza come la vita quotidiana dei bambini di età compresa tra 6 e 10 anni si svolga prevalentemente all’interno del cosiddetto “triangolo istituzionalizzato”: una figura avente come angoli le case private, le scuole e le istituzioni ricreative e come lati i percorsi circolari che li legano. (Rasmussen, 2004).
Dalle constatazioni appena descritte, si può dedurre che:
• i bambini di città trascorrono molto tempo in auto, come passeggeri9, negli itinerari verso le “isole” delle loro varie attività quotidiane;
• la necessità di essere accompagnati da adulti in automobile riduce le possibilità di sperimentare i propri spazi in autonomia;
• il recarsi quotidianamente in luoghi distanti dalla propria abitazione non favorisce lo sviluppo di quel senso di comunità e di appartenenza che può derivare soltanto da una pratica assidua dei luoghi e delle persone;
• la vita quotidiana dei bambini risulta segregata e separata rispetto al mondo degli adulti dal quale è esclusa.
9 Secondo Sibley, “l’automobile funziona (…) come una capsula protettiva dalla quale il bambino osserva il
mondo, di cui egli non ha però un’esperienza diretta attraverso incontri con altri” (1995, in James et al. 1998, p. 51).
La segregazione spaziale che caratterizza la condizione dell’infanzia risponde alla necessità pedagogica di proteggere il bambino al fine di salvaguardare le sue opportunità di sviluppo personale, sociale e culturale (De Visscher e Bouverne-‐De Bie, 2008).
Il dilemma tra la volontà di proteggere e la volontà di sviluppare l’autonomia del bambino è ben conosciuto nella letteratura sull’uso dello spazio da parte dei bambini (Fotel e Thomsen, 2004). Valentine (1997) sostiene che molti genitori sono costretti a fare gli equilibristi oscillando tra l’essere ansiosi perché ci si comporta in maniera iperprotettiva e il temere di aver messo in pericolo i propri bambini concedendogli l’indipendenza. Per ragioni di protezione i bambini sono costretti a trascorrere la maggior parte della loro vita in spazi chiusi ermeticamente nei confronti dell’ambiente naturale, separati dai luoghi di azione degli altri gruppi d’età, obbligati dietro “muri, barriere, confinamenti o qualsiasi altra forma la nostra mente protettiva possa immaginare” (Qvortrup 2003, p. 6).
Ma, secondo alcuni, la protezione, se riferita al rapporto che lega i bambini con l’ambiente urbano, deve essere considerata, a causa della doppia concezione dell’infanzia come
troubled o troubling, in un duplice aspetto: protezione dei bambini e protezione dai
bambini (Griffin 2001 in De Visscher e Bouverne-‐De Bie, 2008; Valentine, 1996 in Harden, 2000). Molti adulti, infatti, temono che gli spazi pubblici vengano invasi da adolescenti violenti e indisciplinati che sono considerati una minaccia per la sicurezza personale dei bambini più piccoli, delle donne e degli anziani e perturbatori dell’ordine morale delle strade (Valentine, 1997a).
La partecipazione dei bambini negli spazi pubblici è controllata e limitata in diversi modi. Ci sono restrizioni formali, spesso legali, sui luoghi nei quali i bambini hanno il permesso di andare. Poi ci sono i confini posti dai genitori che limitano le esperienze dei bambini in merito al con chi, cosa, dove, quando e perché prendere parte alla vita pubblica (Harden, 2000).
L’evidenza che cambiamenti nelle condizioni sociali e spaziali delle città costringano i bambini a crescere in ambienti sempre più urbanizzati, privatizzati e segregati (De Visscher e Bouverne-‐De Bie, 2008) non deve far passare in secondo piano, però, l’importanza che riveste il tempo trascorso nelle strade della città. Gli spazi pubblici, infatti, forniscono luoghi dove i bambini possono sperimentare contatti con i pari, incontrarsi, imparare gli uni dagli altri e apprendere dagli adulti vicini. Abu-‐Ghazzeh (1998), a proposito del gioco in strada, afferma che, ad esempio, gli spazi di gioco
appositamente progettati possono aggiungere importanti opportunità di gioco ed essere fonte di attrazione, ma non possono sostituire, nell’immediatezza, la funzione della strada. Infine, bisogna ricordare che esistono molte differenze tra adulti e bambini nella percezione e nell’uso delle strade: per gli adulti le strade sono risorse funzionali, mentre per i bambini queste rappresentano degli spazi di gioco, da scoprire e da assorbire. Infatti, al contrario di quello che accade agli adulti, ci si può imbattere frequentemente in bambini che, nei loro spostamenti “jumping, climbing, skating, sliding, running, chasing, sitting and leaning” (Abu-‐Ghazzeh 1998, p. 10).
Concludendo, si concorda con Spencer e Blades quando affermano che “i bambini non si proteggono limitandone la libertà di spostamento o sottostimandone abilità e conoscenza, ma permettendo loro di interagire con il loro ambiente di vita anche perché la conoscenza di un ambiente produce senso di sicurezza” (1985 in Rissotto e Tonucci 2002, p. 11). 3.2.1 Una protagonista importante: la paura
I risultati di molte ricerche hanno dimostrato che gli spazi e l’autonomia di movimento dei bambini subiscono costantemente limitazioni a causa dei pericoli percepiti dai genitori in merito alla sicurezza dei figli (Rissotto e Tonucci, 2002).
Esistono molte definizioni di cosa si debba intendere con il termine “paura” ma nella maggior parte di loro si fa riferimento alla sua inevitabilità nella vita di ciascun individuo a qualsiasi età e alla sua funzione protettiva contro i pericoli reali (Taimalu et al., 2006). Collegato al concetto di paura è il concetto di rischio definito da Boholm (2003 in Christensen e Mikkelsen, 2008) come una situazione o un evento dove qualcosa che abbia valore umano (inclusi gli esseri umani stessi) viene messo in gioco e dove l’esito è incerto. Il rischio, la sicurezza e il pericolo, secondo Green (1997 in Backett-‐Milburn e Harden, 2004), sono create e ricreate come realtà socialmente costruite. Esiste anche una relazione tra rischio e territorio: i rischi trasformano gli spazi e gli spazi, conseguentemente, portano a cambiare la natura dei rischi stessi (November, 2008). Negli ultimi anni si assiste ad un aumento dei livelli di preoccupazione circa la salute e la sicurezza dei bambini che ha portato ad intensificare gli sforzi per proteggerli dai rischi. Ma alcuni autori sostengono che familiarizzare con i rischi è un’attività essenziale per lo sviluppo, per la salute e per un’attiva partecipazione dei bambini nella società. La possibilità offerta ai bambini, infatti, di correre rischi, commettere errori e trovare
soluzioni rappresenta un momento importante del loro apprendimento (Christensen e Mikkelsen, 2008).
Nonostante questo, però, molti genitori, al fine di preservare l’integrità dei propri figli, ne controllano10 e limitano attivamente l’uso dello spazio. I confini individuali stabiliti dai
genitori dipendono dalla percezione dell’età, dal genere e dalle capacità del bambino ma anche dalle caratteristiche sociali e fisiche del quartiere, dall’ora del giorno o dal momento dell’anno, dalla conoscenza di incidenti locali e dai propri valori sociali e culturali (Valentine, 1997). Il controllo da parte dei genitori può avvenire anche “a distanza” o attraverso l’uso di strumenti tecnologici quali i telefoni cellulari o attraverso restrizioni comportamentali (es. insegnare ai bambini ad attraversare alcune strade in alcuni punti precisi, ecc.). L’uso del telefono cellulare quale strumento di controllo, permette una maggiore autonomia di spostamento dei bambini. Ciò vuol dire che le limitazioni all’indipendenza dei bambini derivano principalmente dalla percezione che i genitori hanno dei rischi, piuttosto che da rischi reali. La possibilità di controllare, seppur a distanza, i movimenti dei propri figli, infatti, riduce la percezione del rischio e non il rischio stesso poiché, in caso di necessità le eventualità di intervenire risultano limitate dalla distanza (Fotel e Thomsen, 2004).
Le paure principali dei genitori, che incidono sull’opportunità di concedere o meno spazi di autonomia ai propri figli, fanno riferimento ai pericoli derivanti dal traffico, ai pericoli sociali (con un ruolo preminente dello stranger danger) e alla sregolatezza dei bambini (Kytta, 2004).
Nonostante le statistiche ufficiali degli ultimi decenni riportino una riduzione nel numero di incidenti stradali che vedono coinvolti i bambini, in molte ricerche si registra un aumento, da parte dei genitori, della preoccupazione circa la sicurezza stradale dei propri figli (Fotel e Thomsen, 2004). A ciò si aggiunga che, secondo Hillman et al. (1990), non sono le strade ad essere diventate più sicure, ma sono i bambini che sono scomparsi dalle strade a far abbassare i tassi di mortalità dovuti ad incidenti stradali. Le strade, dunque, continuano ad essere pericolose e, come conseguenza, i bambini continuano ad essere
10 Harden (2000) ha evidenziato, però, come i bambini siano in grado di mettere in atto, attraverso forme
dirette o indirette di negoziazione, molte strategie per sovvertire sia le limitazioni legali sia quelle genitoriali; alcuni esempi di tali strategie sono: mentire, omettere informazioni ai genitori, infrangere le regole, accordarsi con amici o fratelli per ingannare i genitori, persistere nel domandare ai genitori, mostrarsi di malumore con i genitori, guadagnare il diritto di uscire dimostrando responsabilità, mettere i genitori l’uno contro l’altro.
esclusi dal loro utilizzo ma, fintanto che i bambini continueranno a stare lontani dalle strade le strade saranno sempre più pericolose perché, come sostiene Tonucci (2005), la presenza dei bambini nelle strade le rende più sicure.
Nell’attuale clima sociale il mondo esterno è visto come “pericoloso” per bambini e adolescenti. Da numerose indagini emerge che la preoccupazione circa lo stranger danger ha raggiunto livelli molto alti (Granville et al., 2002). Probabilmente anche a causa dell’attenzione esagerata prestata dai media ad episodi di violenze ai danni di bambini compiuti da persone estranee, è stato stimato che lo stranger danger rappresenta la più grande paura per il 98% dei genitori. Tale dato contrasta con l’evidenza dei fatti dai quali si evince che tra il 1984 e il 1994, nel Regno Unito, meno di sei bambini di età inferiore a 14 anni sono stati uccisi da estranei ogni anno, mentre approssimativamente 600 bambini all’anno sono morti in incidenti avvenuti in casa (Moran et al., 1997 e Harker e Moore, 1996 in Harden, 2000). Hillman et al. (1990) suggeriscono una spiegazione per questa paura dell’estraneo. Poiché la maggior parte del tempo gli individui (adulti e bambini) la trascorrono nei tranquilli “bozzoli” rappresentati dalle abitazioni e dalle automobili private, il mondo esterno diventa sempre più impersonale. Nel momento in cui le strade si riempiono di veicoli, tendono a svuotarsi di persone, e nel momento in cui la vita negli spazi pubblici si ritira, il mondo esterno diventa più minaccioso.