Dipartimento di Scienze Umane, Storiche e
Sociali
Dottorato di Ricerca in
“Promozione e tutela dei diritti dell’infanzia”
I bambini nella gestione quotidiana del
proprio spazio: quale autonomia?
Anno accademico 2009-2010 TUTOR/RELATORE
Prof.ssa Silvia Piccinini
COORDINATORE Prof. Alberto Tarozzi
CANDIDATA Antonella Stefanelli
(Matricola 141136) Ciclo: XXII S.S.D.: SPS/07
INDICE
Premessa 3
1. Introduzione alla problematica 6
1.1 Definizione del problema 6
1.1.1 La diminuzione di autonomia dei bambini 6 1.1.2 Un esempio di disuguaglianza sociale 8
1.2 Conseguenze del problema 10
1.2.1 Sui bambini 10
1.2.2 Sulla società 12
2. Cornice concettuale 15
2.1 Chi sono i bambini 15
2.1.1 Il bambino attore sociale: i New Childhood Studies 15
2.1.2 Le caratteristiche dei bambini 17
2.1.3 Le capacità e le competenze 18
2.2 Cos’è lo spazio 20
2.2.1 L’importanza dello spazio: la Geografia dei bambini 20
2.2.2 La categorizzazione dei luoghi 22
2.2.3 Gli spazi pubblici e gli spazi privati 23
2.2.4 La città 25
3. Spazio pubblico e autonomia 30
3.1 Definizioni di autonomia 30
3.1.1 L’autonomia nella vita dei bambini 31 3.2 Tra protezione ed esclusione: il bambino in città 32 3.2.1 Una protagonista importante: la paura 35
3.3 Lo stato della ricerca 37
4. Uno studio a Campobasso 40
4.1 Il disegno della ricerca 40
4.2 La rilevazione 42
4.2.1 Definizione delle unità di analisi 42 4.2.2 Strutturazione degli strumenti di rilevazione 43
4.2.3 Raccolta dati 47
4.2.4 Controllo, validazione, codifica, registrazione ed elaborazione dei dati 51
4.3 Opportunità e limiti dell’indagine 59 5. I risultati: la vita quotidiana dei bambini 61
5.1 La popolazione studiata 61
5.1.1 Andamento di partecipazione 61
5.1.2 Le caratteristiche socio-‐demografiche 64 5.2 Le caratteristiche della vita quotidiana 76
5.2.1 L’articolazione delle 24 ore 76
5.2.2 L’uso dello spazio 85
5.3 L’autonomia 94
5.3.1 Profili di autonomia 94
5.3.2 Un modello di autonomia 98
5.3.3 L’autonomia e i luoghi quotidiani 102
6. Conclusioni 108
Riferimenti bibliografici 111
Appendice 123
Allegato 1 – Strumenti di rilevazione
Allegato 2 – Codici Diari
Allegato 3 – Variabili
Allegato 4 – Aggregazione Codici Diari
Allegato 5 – Correlazioni
Allegato 6 – Modello di autonomia
Premessa
Il lavoro di ricerca qui presentato si pone tre obiettivi principali: conoscere le pratiche della vita quotidiana dei bambini “raccontate” dalla voce dei bambini stessi, verificare la presenza e i livelli di autonomia di cui i bambini dispongono nella loro quotidianità e, infine, individuare eventuali relazioni esistenti tra modalità di utilizzazione dei propri spazi e livello di autonomia disponibile.
I protagonisti-‐oggetto della ricerca sono i bambini frequentanti la classe V elementare delle scuole della città di Campobasso nell’anno scolastico 2009/2010. Tali bambini sono quelli che si possono incontrare nei negozi, sui mezzi pubblici, nelle strade, nella vita quotidiana (non quelli aventi particolari caratteristiche come ad esempio bambini con disabilità, immigrati, ecc.) e della vita dei quali, probabilmente, si ignorano una molteplicità di aspetti utili a comprendere meccanismi non necessariamente legati solo e soltanto alle problematiche infantili. L’assunto di base dal quale si parte è la presenza di “una sorta di segregazione dell’infanzia”, dovuta al “controllo esercitato su di essa dalla società adulta sullo spazio esteriore-‐fisico (quello della città e quello della casa) e interiore (quello della psiche e dei comportamenti) […] attraverso la costituzione di localizzazioni separate” (controllo dell’adulto sullo spazio) e “la definizione di orari che ne regolamentano gli usi” (controllo dell’adulto sul tempo) (Belloni 2006, p. 24). Il punto focale dell’indagine è la vita quotidiana dei bambini stessi: le attività svolte, i luoghi frequentati e le persone coinvolte nelle varie attività. Per la raccolta di tali tipologie di informazioni è stato utilizzato, quale strumento principale, il Diario di Uso del Tempo, corredato da due questionari ausiliari, uno compilato dagli stessi bambini e l’altro dai genitori, indispensabili per conoscere dati di contesto non altrimenti desumibili dal Diario. Nell’elaborazione degli strumenti di indagine adoperati, in particolare per quel che riguarda il Diario, si è tenuto conto delle esperienze provenienti dalle varie Time-‐Use Survey condotte a livello internazionale e nazionale; nello specifico, il modello adottato si conforma, nella sua impostazione generale, al Diario utilizzato dall’Istat nell’ultima Indagine Multiscopo Uso del Tempo del 2003 adeguato, in alcune sue parti, alle caratteristiche dei piccoli
compilatori e agli scopi propri del lavoro di ricerca.
Gli esiti del lavoro forniscono un interessante contributo alla conoscenza dei “piccoli attori sociali”. Nello specifico, la circoscritta Popolazione esaminata (i bambini di classe V della città di Campobasso), fissando alcune variabili socio-‐demografiche, ha consentito di analizzare in maniera più dettagliata altre variabili di interesse. Inoltre, i risultati dell’indagine e la metodologia utilizzata, sviluppati con altre tipologie di analisi non effettuate in questa sede, potrebbero essere un valido apporto per calibrare ulteriormente lo strumento “Dario” destinato ai bambini.
Infine, la ricerca è ricca di spunti di riflessione e la mole di dati prodotti, alcuni dei quali non sono stati analizzati poiché esulavano dalle finalità specifiche del lavoro, rappresenta materiale utilizzabile per approfondimenti futuri.
Considerata la complessità dell’indagine e la novità della stessa, l’attività di ricerca è stata condotta in collaborazione con la dottoranda Padulo Katia nelle fasi di definizione del progetto di ricerca, raccolta, validazione e codifica dei dati ma l’analisi1 e l’interpretazione dei risultati ha seguito percorsi differenti, seppur
complementari, in vista di un lavoro completo ed organico.
Il lavoro è articolato in tre parti principali: la prima parte fornisce un’introduzione all’argomento trattato, una breve panoramica della cornice concettuale di riferimento, le definizioni teoriche e lo stato attuale della ricerca sugli elementi oggetto dell’indagine. La seconda parte descrive il disegno della ricerca e gli strumenti e la metodologia adottati. Infine, la terza parte contiene i risultati emersi dalla ricerca.
Nel dettaglio della prima parte: il capitolo uno individua il problema che si intende contribuire a conoscere e a risolvere: la scarsa autonomia di movimento dei bambini negli spazi pubblici e le sue implicazioni nei livelli micro e macrosociali. Il capitolo due traccia i presupposti teorici alla base del presente lavoro rintracciabili, principalmente, nei New Childhood Studies e nella Geografia dei Bambini. Il capitolo tre, infine, fornisce definizioni del concetto di autonomia e presenta brevemente i risultati derivanti da ricerche condotte sull’argomento.
1 Si precisa che il capitolo 4, il paragrafo 5.1 e i sottoparagrafi 5.2.1, 5.3.1 e 5.3.2 del presente lavoro,
La seconda parte è costituita integralmente dal capitolo quattro nel quale sono descritte, in maniera dettagliata le varie fasi dell’indagine: il disegno e la rilevazione vera e propria.
L’ultima parte, il capitolo cinque, è diviso in tre macro-‐sezioni: una nella quale si descrive l’andamento generale dell’indagine e le principali caratteristiche socio-‐ demografiche della Popolazione analizzata; una contenente i risultati emersi dalle analisi degli elementi caratterizzanti la vita quotidiana dei bambini: attività principali svolte, persone presenti, stati d’animo sperimentati, luoghi frequentati e mezzi di trasporto utilizzati; un’ultima sezione dedicata allo studio dell’autonomia.
1. Introduzione alla problematica
1.1 Definizione del problema
L’origine del presente lavoro di ricerca può essere individuata nella constatazione che, rispetto al passato, significativi cambiamenti stanno interessando la struttura e l’organizzazione sociale e fisica della vita della comunità. Tra le manifestazioni “visibili” di tali cambiamenti due sembrano offrire spunti particolarmente interessanti per un’analisi sociologica: la “scomparsa” dei bambini dagli spazi pubblici e la “scomparsa” degli spazi pubblici dalle città contemporanee. Entrambi gli aspetti sono strettamente dipendenti l’uno dall’altro e, a loro volta, rappresentano al tempo stesso gli esiti e le cause di una complessa rete di fattori che sembra seguire un movimento circolare senza una fine. Nel tentativo di contribuire alla comprensione dei processi in atto, il lavoro analizza la mancanza di autonomia dei bambini, uno dei fattori di cui sopra che, secondo alcuni, può essere ritenuto causa e conseguenza sia della “scomparsa” dei bambini dalla città sia della “scomparsa” degli spazi pubblici. A ciò si aggiunga che, la scarsa autonomia dei bambini, pone anche un problema di disuguaglianza sociale tra le generazioni.
1.1.1 La diminuzione di autonomia dei bambini
La notizia della “scomparsa” dei bambini dagli spazi pubblici non ha destato molto scalpore nell’opinione pubblica, ma potrebbe essere facilmente verificata osservando i luoghi della nostra vita quotidiana. Se, infatti, lo sguardo indugiasse sulle strade, sulle piazze e sugli altri “posti comuni” delle città2 sarebbe difficile non notare l’assenza dei
piccoli cittadini (Prezza et al., 2010).
Purtroppo non si tratta soltanto di un’impressione poiché numerosi studi e ricerche hanno confermato una progressiva privatizzazione e istituzionalizzazione dell’infanzia che, di fatto, ha allontanato i bambini dagli spazi di libero accesso (James et al., 1998; Corsaro, 1997; Qvortrup et al., 1994). I bambini, dunque, trascorrono sempre più tempo in istituzioni come la scuola o in altri luoghi dove svolgono varie attività, di solito strutturate,
2 Il riferimento è alle città dei paesi cd “industrializzati” poiché si è pienamente consapevoli che nel resto
sotto la supervisione (e sorveglianza) di uno o più adulti, in giorni e tempi stabiliti (Belloni e Carriero, 2004).
L’istituzionalizzazione degli spazi frequentati dai bambini, spazi generalmente progettati e controllati dagli adulti, è associata alle nozioni di controllo, regolazione ed esclusione (Barker, 2003). Ciò vuol dire che, non solo oggi è più difficile incontrare i bambini nelle strade ma, soprattutto, è difficile incontrarli da soli, cioè senza un adulto a “scortarli” (Gleave, 2009).
Sembra che il fenomeno sia abbastanza diffuso: Kytta (2004) sottolinea come, negli ultimi decenni, si stia assistendo ad una diminuzione della possibilità che i bambini si muovano autonomamente in molti Stati come la Gran Bretagna (Hillman et al., 1990; O’Brien et al., 2000), l’Australia (Tranter, 1993; Tandy, 1999), gli Stati Uniti (Gaster, 1992), la Svezia (Bjorklid), e la Finlandia (Syvanen).
L’esempio riportato più spesso in letteratura, e forse più evidente, delle restrizioni alla mobilità autonoma è rappresentato dalle modalità di spostamento utilizzate nel tragitto casa-‐scuola. Fyhri e Hjorthol (2009) citano studi effettuati in molti paesi europei che mostrano un significativo aumento dell’uso dell’automobile per andare a scuola nel corso degli ultimi 10-‐15 anni (Bradshaw, 2001; Gilhooly and Low, 2005; Jensen et al., 2004; Mackett, 2002; Mackett et al., 2005; Prezza et al., 2001). Da ciò consegue una complementare diminuzione di bambini che vanno a scuola a piedi e, soprattutto, da soli o con coetanei (Gleave, 2009). In Italia, per esempio, il 71% dei bambini tra 7 e 12 anni effettua il percorso per e da scuola sempre accompagnato da adulti (Prezza et al., 2001). Il fenomeno sembra assumere maggiore rilievo se confrontato con il passato. Nel Regno Unito il permesso di attraversare la strada da soli -‐ una delle “licences” di Hillman et al. (1990) – apparteneva ai tre-‐quarti dei bambini nel 1971 e soltanto alla metà nel 1990 e la percentuale di bambini di 10/11 anni che andavano a scuola autonomamente è drasticamente scesa dal 94% del 1970, al 54% del 1990 al 47% del 2000 (O’Brien et al., 2000).
Le restrizioni alla libertà di movimento e all’uso degli spazi pubblici comportano anche una riduzione delle aree e delle modalità possibili di gioco. Come indicato da Bell et al. (2003) molti studi concordano nel riconoscere ai bambini contemporanei una riduzione nelle opportunità di gioco all’aperto concesse, invece, alle precedenti generazioni (Aitken, 1994; Valentine, 1996a, 1996b; Valentine e McKendrick, 1997; Kong, 2000). E sono i
genitori stessi dei bambini ad ammettere un deterioramento delle occasioni di gioco per i figli con una differenziazione delle esperienze rispetto agli anni della loro infanzia (Valentine, 1997).
La situazione appena descritta peggiora notevolmente se si volge lo sguardo alle bambine che sperimentano livelli di autonomia di movimento ancora inferiori rispetto a quelli appena descritti e per le quali, dunque, si assiste ad una deprivazione nella deprivazione (Karsten, 1998; Katz, 1993 citati in Karsten, 2002).
La preoccupazione espressa da più parti (riportata in Davis e Jones, 1996) è che questa perdita nella mobilità indipendente minacci la qualità di vita dei bambini con implicazioni per la salute, la psicologia e l’ambiente degli stessi (Fotel e Thomsen, 2004 citati in Fyhri e Hjorthol, 2009).
D’altro canto, mentre da un lato si assiste alla sempre maggiore dipendenza dei bambini nella sfera pubblica (dipendenza intesa anche come minori opportunità di sperimentare significative responsabilità), dall’altro lato emerge una loro crescente autonomia nella sfera privata – nella loro espressione di sé in ambito privato, specialmente per quanto riguarda le attività della vita quotidiana, il proprio aspetto e la sfida ai genitori (Rutherford, 2009). Ciò potrebbe significare che è in atto una modificazione sostanziale del ruolo rivestito dai bambini, sia a livello macro sia a livello micro-‐sociale, i cui esiti necessitano ancora di ulteriori approfondimenti.
1.1.2 Un esempio di disuguaglianza sociale
La mancanza di autonomia di movimento di cui sono “vittime” i bambini, pone un problema di fruizione della “cosa comune” poiché li relega in una posizione subalterna rispetto agli adulti e, di fatto, li esclude dalla vita sociale. Freeman (1998, p. 440) afferma:
dependency implies a sufficient justification to suspend basic rights to privacy, respect and individual choice. Dependency should not be a reason to be deprived of choice and respect. […] moral agency and citizenship rights require as a pre-‐condition that a person be independent, totally autonomous.
Il limitato accesso dei bambini agli spazi pubblici (limitazione purtroppo estendibile anche ad altri gruppi sociali come, ad esempio, le persone con disabilità) rende evidente un difetto nella gestione democratica della collettività: un gruppo (o più gruppi) non gode delle stesse prerogative riconosciute ad altri membri della comunità. In altre parole i bambini sono emarginati da una società adultocentrica. Essi sperimentano inique
relazioni di potere con gli adulti che controllano e limitano molti aspetti delle loro vite: la complicazione principale non deriva dall’incapacità dei bambini, ma dalla posizione che viene loro assegnata (Alderson e Goodey, 1996 in Punch, 2002).
Il punto di partenza è, allora, il bisogno di riconoscere i bambini quali cittadini al pari degli adulti (Valentine, 1997) e di considerare le relazioni esistenti tra diritti diversi alle risorse, alla protezione e all’autodeterminazione o autonomia (Alderson e Goodwin, 1993).
Hillman et al. (1990) ricordano che la CRC3 definisce i bambini quali individui con diritti
inalienabili di non minor valore rispetto a quelli degli adulti. Il principio del superiore interesse del fanciullo, contenuto nell’art. 3 della stessa CRC, implica un’attenzione al bambino in tutto ciò che viene fatto con e per il bambino stesso e ne rafforza, secondo Bradshaw et al. (2007), il ruolo come cittadino nei propri diritti.
A tal proposito risulta illuminante l’affermazione di Freeman (2007, p. 7):
Rights are invisible and inter-‐dependent. Rights are important because they recognise the respect their bearers are entitled to. To accord rights is to respect dignity. The most fundamental of rights is the right to possess rights.
Freeman nota che nessun diritto viene liberamente elargito ma è necessario “combattere” per ottenerli. Nel caso dei bambini, per gli adulti detentori del potere, i diritti dei più piccoli rappresentano un inconveniente poiché, ad esempio, rendono i processi decisionali più lenti, meno economici, meno efficienti e meno certi: sarebbe meglio per gli altri, forse per i loro genitori o i loro insegnanti, o, addirittura per la società intera se questi loro diritti non esistessero. L’importanza dei diritti risiede nella possibilità che offrono agli individui che li possiedono di essere protagonisti e di “agire” sulla società. Gli attori sociali, infatti, possono negoziare con altri, sono in grado di alterare relazioni e decisioni e possono modificare assunti sociali e vincoli. Gli attori sociali sono decision-‐makers, in quanto portatori di diritti, possono partecipare e la partecipazione è uno dei diritti umani fondamentali poiché consente di richiedere altri diritti. Il riconoscimento dei diritti permette ai bambini di creare la propria vita piuttosto che subire vite create per loro da altri (Freeman, 2007).
Sulla stessa lunghezza d’onda si pongono anche De Visscher e Bouverne-‐De Bie (2008), secondo i quali, i bambini imparano ad essere cittadini come conseguenza della loro
3 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
partecipazione nelle reali pratiche di costruzione delle loro vite (citizenship-‐as-‐practice). Ne deriva che una effettiva inclusione sociale necessita di una buona combinazione tra l’individuo con le sue abilità, i suoi mezzi e le sue limitazioni e l’ambiente con le sue infrastrutture, le sue richieste e le sue risorse (Bradshaw et al., 2007). Ma nella realtà dei fatti esiste questa “buona combinazione”?
Utilizzando gli aspetti legati alla mobilità quali indicatori di inclusione lo scenario che ne emerge è caratterizzato da una forte polarizzazione tra coloro che hanno i mezzi per spostarsi e che quindi possono essere parte dello space of flow e coloro che, invece, tali mezzi non li hanno e, pertanto, risultano molto più vincolati ai luoghi (Bauman, 1998; Beckmann, 2001; Castells, 1996 citati in Fotel e Thomsen, 2004). I bambini rientrano in tale ultima tipologia ma è giusto considerarli solo come immobilized other (Fotel e Thomsen, 2004)? Il risultato della suddetta polarizzazione è esplicitato chiaramente da molti autori: “la libertà di movimento dei bambini è ridotta a vantaggio della accresciuta libertà degli adulti di guidare le proprie automobili” (Qvortrup, 2003). Hillman et al. (1990) affermano che le politiche legate ai trasporti, in tutti i paesi “motorizzati”, hanno trasformato il mondo a beneficio degli automobilisti ma al costo della libertà e dell’indipendenza dei bambini di spostarsi in sicurezza da soli e di scegliere. Quel che più deve far riflettere, proseguono Hillman et al., è che “this change has gone largely unnoticed, unremarked and unresisted” (1990, p. 110).
Secondo Fotel e Thomsen (2004), inoltre, l’aumento della mobilità privata degli adulti, e il relativo isolamento che comporta non solo nelle vite dei bambini, potrebbe avere degli effetti sulla società civile e sulla sfera pubblica, in particolare sui suoi valori etici e sul collante sociale.
1.2 Conseguenze del problema
La mancanza di autonomia dei bambini e la loro esclusione dalla vita comunitaria possono avere ripercussioni sui singoli bambini, sugli altri individui, principalmente sui loro genitori e, infine, possono avere effetti anche sulla società genericamente intesa.
1.2.1 Sui bambini
Gli esiti della riduzione dell’autonomia di movimento e della limitazione dell’accesso agli spazi pubblici possono avere un impatto notevole sulla vita quotidiana dei bambini e sullo sviluppo di alcune abilità. Gli effetti potrebbero essere così diversificati che,
probabilmente, ancora non si conoscono completamente (Fotel e Thomsen, 2004). Allo stato attuale, comunque, dalle analisi effettuate da alcuni studiosi, le conseguenze negative della progressiva scomparsa dei bambini dagli spazi urbani possono essere ricondotte a quattro categorie principali (in Prezza et al., 2010) riguardanti la salute fisica (Cooper et al., 2005), lo sviluppo cognitivo (Rissotto e Giuliani, 2006), lo sviluppo sociale (Huttermoser, 1995; Prezza et al., 2001), il senso della comunità e il senso di solitudine (Prezza e Pacilli, 2007) dei bambini.
In riferimento alla salute fisica Fyhri e Hjorthol (2009) affermano che l’aumento dell’uso dell’automobile quale mezzo di trasporto quotidiano dei bambini, riducendo la possibilità di effettuare una seppur minima forma di esercizio fisico, potrebbe essere un fattore importante nell’insorgenza dell’obesità infantile.
Nell’ambito dello sviluppo cognitivo, Tonucci (2005) è fermamente convinto che le città contemporanee precludono ai bambini esperienze importantissime quali l’avventura, la ricerca, la scoperta, il rischio, il superamento degli ostacoli e i sentimenti connessi di soddisfazione, frustrazione ed emozione. Inoltre, Rissotto e Tonucci (2002) sostengono che “la diminuzione dell’autonomia può avere importanti conseguenze per lo sviluppo delle abilità spaziali dei bambini (Munroe e Munroe, 1971; Nerlove et al., 1971; Hart, 1979)”. Infatti, si pensi che solo quando il bambino effettua uno spostamento in modo autonomo è posto nelle condizioni di raggiungere un proprio obiettivo, in vista del quale deve manipolare e gestire le informazioni necessarie per operare delle scelte e risolvere i problemi, non solo strettamente spaziali, che incontra, ed elaborare ed attuare un piano di viaggio. L’importanza di sperimentare l’ambiente esterno e il ruolo svolto dalle caratteristiche di quest’ultimo sono sottolineate da Abu-‐Ghazzeh (1998) per il quale in ogni società i bambini hanno bisogno di spazi che forniscano una gamma di scelte ed esperienze e che siano fonte di stimoli e sfide. Ciò implica la fornitura di strutture, colori, suoni ed estetica i cui messaggi hanno effetti positivi sui bambini e sono indispensabili per il loro sviluppo. Naturalmente gli stimoli appena descritti possono essere rintracciati soprattutto in un ambiente esterno alla propria abitazione. L’impossibilità di sperimentare gli spazi pubblici per proprio conto è stato associato anche ad uno scarso sviluppo del senso dell’orientamento (Granville et al., 2002; Fyhri e Hjorthol, 2009) dell’autostima e della capacità di giudizio (Hillman et al., 1990). Inoltre, Hillman et al. (1990, p. 80) avvertono:
if he is not able to avail himself of opportunities for independent action as and when they arise -‐ is overprotected -‐ his horizons may be narrowed and he may find himself in difficulties when he is no longer protected.
I bambini “privatizzati” vedono ridurre anche le opportunità e le modalità di interazione con i loro pari, riduzione che condiziona un corretto sviluppo delle abilità sociali (Granville, 2002; Gleave, 2009). Se si fa riferimento, ad esempio, al percorso casa-‐scuola e viceversa non è difficile individuare le differenze in termini qualitativi e qualitativi del ventaglio di scelte disponibili per un bambino che si reca a scuola in auto ed un altro che, invece, la raggiunge a piedi e senza essere accompagnato da adulti. A tal proposito Gleave (2009) riporta un’indagine illuminante dalla quale si può evincere l’importanza che gli stessi bambini riconoscono alla possibilità di andare a scuola da soli. Secondo i bambini, infatti, effettuare il tragitto casa-‐scuola senza adulti, fornisce tempo prezioso per se stessi, potenziali occasioni di gioco, la possibilità di scoprire ed usare nuovi luoghi dove giocare e significativi contributi alle relazioni di amicizia.
Infine, relativamente allo sviluppo del senso di comunità o di solitudine Fotel e Thomsen (2004) si domandano come possono i bambini, trasportati nel privato space-‐bubble dell’automobile, sviluppare il senso di una vita pubblica e democratica, nella vita di tutti i giorni. Kytta (2003 in Fyhri e Hjorthol, 2009) parla di glass-‐house childhood riferendosi alla situazione in cui vengono a trovarsi i bambini che possono familiarizzare con l’ambiente esterno solo attraverso l’aiuto dei genitori. Inoltre Karsten (2003) sostiene che la conoscenza intima e dettagliata delle caratteristiche sociali, culturali e fisiche di uno spazio pubblico trasforma lo status di una persona da semplice visitor a resident. Non permettere ai bambini, dunque, di conoscere in maniera approfondita il proprio ambiente (fisico e sociale) vuol dire non accettarli in qualità di “residenti” ma semplicemente tollerarli quali avventori occasionali.
Alla luce di quanto appena esposto in merito ai legami esistenti tra ambiente, autonomia e bambini, si può parlare di declino della qualità della vita dei bambini (Aitken, 1994 in Valentine 1997a)?
1.2.2 Sulla società
La ridotta autonomia spaziale dei bambini, come detto, non ha conseguenze soltanto sulla loro vita e sul loro sviluppo ma incide in maniera significativa anche sulla vita dei loro genitori e su alcuni aspetti, non secondari, della vita comunitaria.
L’aumento delle restrizioni imposte ai bambini obbliga i genitori a dedicare sempre più risorse, soprattutto temporali, alle attività connesse al controllo e all’accompagnamento dei figli. Il riferimento più evidente è nell’aumento di tempo richiesto dall’attività di
chauffering (Kytta, 2004). Tale richiesta aggiuntiva di tempo, secondo Hillman et al.
(1990), riduce e condiziona le opportunità dei genitori (in particolare delle mamme), incluse la possibilità di svolgere un lavoro e la necessità di scegliere tra un lavoro full-‐time o un lavoro part-‐time. Paradossalmente, proseguono Hillman et al., per i genitori i benefici derivanti dal possesso di un’automobile sono stati sostanzialmente compromessi dalle restrizioni imposte alla loro libertà a causa dell’aumentata necessità di accompagnare i figli.
Anche Rutherford (2009) sostiene che il bisogno di una costante supervisione dovuta ai bambini impegna i genitori per un tempo considerevole. Ad esempio, Hillman et al. (1990 in Valentine 1997a) hanno stimato che gli inglesi, nell’anno 1990, hanno trascorso 900 milioni di ore impegnati in attività di accompagnamento dei bambini.
A ciò si aggiunga che non sempre i genitori vivono questi “obblighi” con serenità anzi, come mostrato da Fotel e Thomsen (2004), i genitori esprimono sentimenti di impotenza nei confronti della “logica dell’automobile” e descrivono l’esperienza dello chauffeuring come un’attività stressante.
Allargando lo sguardo alle ripercussioni dei comportamenti privati di genitori e bambini sulla società più in generale, l’effetto principale riguarda sicuramente l’aumento nei volumi di traffico. Un esempio emblematico, per tutti, può essere osservato quotidianamente nei pressi delle scuole (purtroppo non soltanto delle scuole elementari) in corrispondenza degli orari di ingresso e di uscita degli alunni dagli edifici scolastici. Il traffico connesso con i viaggi legati alla scuola crea seri problemi (Kytta, 2004). Si pensi che uno studio condotto dal Consiglio della Città di Edimburgo ha mostrato che, semplicemente eliminando il traffico legato alla frequenza scolastica, la congestione del flusso veicolare delle ore di punta si ridurrebbe significativamente (Granville et al., 2002). Strettamente collegato all’aumento di traffico è, inoltre, il problema dell’inquinamento ambientale che risente anche del notevole numero di automobili e delle non trascurabili distanze percorse per il trasporto dei bambini (Fyhri e Hjorthol, 2009).
Infine, secondo Fotel e Thomsen (2004), nel lungo periodo la mobilità privatizzata potrebbe anche influire sulle caratteristiche della società civile portando ad una riduzione
della fiducia sociale e della partecipazione democratica. Il continuo declino della vita vissuta nelle strade della città comporta, infatti, una diminuzione della possibilità di incontri con persone esterne alla propria cerchia ristretta di conoscenti e un parallelo aumento nel numero di persone da considerare come “sconosciuti”, nonché una maggiore dispersione nell’uso del territorio e nei modelli di attività compiute all’esterno della propria abitazione (Hillman et al., 1990).
2. Cornice concettuale
2.1 Chi sono i bambini
L’analisi dell’autonomia dei bambini non può prescindere da un maggiore approfondimento in merito alle caratteristiche proprie dei bambini, i protagonisti principali del presente lavoro, e in merito al modo in cui questi ultimi vengono considerati nella letteratura scientifica. Il presente lavoro utilizza il paradigma dei New Childhood Studies quale cornice di contesto per lo studio di uno degli aspetti della vita quotidiana dei bambini contemporanei, il rapporto tra spazi e autonomia.
2.1.1 Il bambino attore sociale: i New Childhood Studies
Negli ultimi anni del secolo scorso è iniziata a diffondersi una certa insofferenza nei confronti della concezione riduttiva del bambino utilizzata dalle tradizionali discipline accademiche. Tale insofferenza, unita ad un rinnovato interesse proveniente dal mondo della ricerca e dell’insegnamento, ha dato vita ad un nuovo filone di opinioni e di studi sul bambino e sull’infanzia che hanno assunto un ruolo di catalizzatore per molti aspetti della ricerca applicata, delle analisi politiche e per lo sviluppo di pratiche professionali, specialmente di quelle riguardanti i diritti e il benessere dei bambini (Woodhead, 2009). Gli Studi sull’Infanzia, guadagnato il riconoscimento accademico, rappresentano un ambito di ricerca multidisciplinare ed interdisciplinare che contribuisce all’emergere di un nuovo paradigma4 caratterizzato dallo studio e dalla teorizzazione di modalità diverse
di guardare al bambino e all’infanzia. Come sostenuto da James et al. (1998, 159): Il lavoro analitico sui nuovi studi sociali è a buon punto per continuare l’esplorazione produttiva di questo territorio attraverso una ulteriore concertazione tra le discipline. Sociologi, antropologi, psicologi, geografi sociali, storici, filosofi e teorici di studi socio-‐ legali, possono tutti contribuire molto al mosaico globale della nostra conoscenza sui bambini e sull’infanzia, essendosi ognuna di queste aree disciplinari utilmente dedicata ai diversi aspetti teorici.
Il nuovo “Childhood Paradigm” può essere efficacemente rappresentato attraverso una rapida descrizione di quelle che, secondo Qvortrup et al. (2009) sono le sue caratteristiche principali.
4 Per Kuhn “un paradigma scientifico rappresenta l’intera costellazione di convinzioni, valori, tecniche ecc.,
In primo luogo, lo studio dell’infanzia si è diretto verso una ricerca di base avente quale obiettivo l’acquisizione di conoscenza e comprensione dell’infanzia e dei bambini nei vari contesti e sotto diversi aspetti ma nella loro normalità. Il fine, dunque, non è fornire risposte a pressanti questioni sociali.
In secondo luogo, il paradigma si distingue per la posizione critica assunta nei confronti della convenzionale prospettiva della socializzazione: lo scopo è quello di mettere in luce che i bambini dispongono di una vita anche mentre sono bambini, nel presente, e non soltanto una volta diventati adulti, nel futuro. Osservare le vite dei bambini solo in prospettiva della loro vita futura da adulti, infatti, non permette di comprendere, accettare e riconoscere i bambini nei loro mondi vitali e nei loro diritti. Il ribaltamento di prospettiva, al contrario, consente di considerarli per ciò che essi sono: human beings piuttosto che human becomings (si veda anche Rogers in Alderson e Goodwin, 1993) e dotati di una propria “completezza” e “competenza”.
In terzo luogo, i bambini sono stati tradizionalmente considerati individui vulnerabili e da proteggere, sicuramente non in grado di partecipare attivamente alla vita sociale, partecipazione che è ritenuta una delle prerogative riconosciute agli adulti. Uno dei compiti degli Studi dell’Infanzia è verificare se e quanto la necessità di proteggere, e dunque di escludere, i bambini derivi da una “mancanza” di capacità dei bambini o, piuttosto, sia il risultato di pregiudizi da parte degli adulti.
In quarto luogo, un punto focale del nuovo paradigma è rappresentato dal riconoscimento dei bambini quali parte integrante e costituiva della società più ampia. Tale riconoscimento è stato reso possibile grazie all’abbattimento dei vincoli strutturali che relegavano l’infanzia nei mondi familiari o, al massimo, locali.
Infine, una delle particolarità riguarda la metodologia utilizzata nelle indagini che ripropone gli ordinari metodi delle scienze sociali: i bambini, infatti, sono essere umani al pari degli adulti, e non strane creature appartenenti ad una “specie” diversa, per questo motivo devono essere studiati in quanto tali.
Quel che preme sottolineare in questa sede è l’enfasi che la sociologia dell’infanzia pone sulla posizione del bambino quale “attore sociale” e quale utente “creativo ed inventivo” del mondo che lo circonda e che ha stimolato approfondimenti concettuali ed empirici delle competenze e dell’azione sociale dei bambini nei diversi contesti (James and Prout, 1990; Qvortrup et al., 1994 in O’Brien et al., 2000). Molte ricerche, infatti, hanno
dimostrato il contributo fornito dai bambini ai processi di riproduzione sociale e culturale (Qvortrup et al., 2009) confermando il loro ruolo di attori:
Children as actors: not only actors in the meaning of playing children, for instance, but rather as constructive, and even value-‐producing actors.
(Qvortrup et. 1994, p. 23) Come anche James, Jenks e Prout riconoscono: il bambino così riscoperto non occupa più una posizione marginale ma può essere considerato come un attore sociale e politico, una persona con delle opinioni e un decision-‐maker (Freeman, 1998).
2.1.2 Le caratteristiche dei bambini
A questo punto è lecito interrogarsi su ciò che contraddistingue i bambini rispetto agli adulti. Considerando che molti bambini superano molti adulti per taglia, forza, intelligenza e in alcuni tipi di esperienza, secondo Alderson e Goodwin (1993), non sono questi gli aspetti da osservare per individuare eventuali differenze nei confronti degli adulti ma è l’incompetenza la caratteristica distintiva dell’infanzia. Altri elementi da considerare sono le minori risorse materiali, psicologiche e relazionali di cui i bambini dispongono (Freeman, 2007). Essi, inoltre, sono sottoposti a regole e norme create in modo specifico per loro e che non si applicano ai membri di altre categorie sociali (Handelman in Qvortrup et al., 1994); sono molto più soggetti ai vincoli ambientali e non sono completamente liberi di decidere da soli il loro comportamento o le loro azioni (Belloni e Carriero, 2004). Dai bambini, ancora, non ci si aspetta né è consentita la loro completa partecipazione in vari ambiti della vita sociale (Handelman in Qvortrup et al., 1994). E, infine, soprattutto nella letteratura sulla sicurezza stradale dei bambini, ricorre il comportamento “infantile” quale caratteristica distintiva e deprecabile (Hillman et al., 1990).
Da quanto emerso finora si può affermare che i bambini non sono considerati semplicemente diversi dagli adulti ma “inferiori” rispetto agli adulti (del resto già il termine “minori”, utilizzato in Italia per indicarli, poteva destare qualche sospetto in proposito). Come affermato da Waksler (1986 in Valentine, 1997), gli adulti danno per scontato che i bambini conoscono meno rispetto agli adulti, hanno meno esperienze, sono meno seri e meno importanti degli adulti. Alanen (1990 in Valentine, 1997) chiarisce ancora di più il concetto: il bambino viene definito in negativo, non per quello che è ma
per quello che non è ma che si avvia a diventare (successivamente sarà); egli è pre-‐sociale, potenzialmente sociale, nel processo di diventare sociale.
Allora, la più importante caratteristica di una bambino è che non è (ancora) un adulto (Handelman in Qvortrup et al., 1994). L’immagine di due mondi distinti rende bene il concetto: i bambini vivono in un mondo che, seppur spazialmente vicino a quello degli adulti, può esservi culturalmente separato (Ben-‐Arieh, 2005).
2.1.3 Le capacità e le competenze
I New Childhood Studies, come detto, assegnano al bambino il ruolo di attore sociale in forza del riconoscimento delle sue capacità e delle sue competenze. Ma a cosa ci si riferisce?
Gillic (in Alderson e Goodwin, 1993) definisce competente un bambino che raggiunge un livello di comprensione e intelligenza sufficiente per capire pienamente cosa viene proposto e che ha anche una sufficiente capacità di discernimento che gli permette di fare una saggia scelta nel proprio interesse. A tal proposito, Alderson e Goodwin (1993), riportano il concetto di uomo razionale secondo Locke e Kant, i quali lo identificano come una persona che, capace di ragione pura e con conoscenza della corretta risposta alle questioni morali, è in grado di controllare la propria vita senza interferenze (da questa definizione vengono escluse le donne e i bambini poiché considerati irrazionali). Alderson e Goodwin fanno riferimento anche al principio enunciato da Mills del diritto sovrano dell’individuo sul suo corpo e sulla sua mente di prendere decisioni sagge o sciocche (il principio del libero arbitrio) fintantoché queste decisioni non nuocciano agli altri (anche in questo caso i bambini sono nuovamente esclusi).
Beauchamap e Childress (2001 in Freeman, 2007) individuano un “percorso” che porta verso la competenza caratterizzato dai seguenti sette livelli successivi di incompetenza:
• incapacità ad esprimere una preferenza o fare una scelta;
• incapacità di comprendere una particolare situazione o analoghe situazioni pertinenti;
• incapacità di comprendere informazioni manifeste; • incapacità di fornire una motivazione;
• incapacità di fornire una motivazione razionale;
• incapacità di pervenire ad una decisione ragionevole, come quella, per esempio, alla quale perviene una “standard” persona ragionevole.
Freeman (2007) si chiede: quanti adulti supererebbero tutte le prove di “incompetenza” appena elencate? E prosegue: se il possesso di diritti fosse legato al possesso di competenze di uno dei più alti livelli descritti, pochi sarebbero gli adulti ai quali riconoscere dei diritti; al contrario, esistono dimostrazioni che i bambini possono essere molto competenti, tecnicamente, cognitivamente, socialmente e moralmente. “I stress can because many are not. But some can be agents” (Freeman 2007, p. 13).
In merito alla relazione intercorrente tra competenze, bambini e spazio gli esiti di alcune ricerche aiutano a fissare dei punti fermi. In primo luogo, i bambini sono in grado di capire dove vivono, i bisogni emergenti e possibili soluzioni ai problemi che li circondano. Essi possono essere validi sostenitori dei cambiamenti. Possono spesso cambiare le proprie vite, come anche aiutare ad effettuare un cambiamento negli atteggiamenti che gli adulti hanno nei loro confronti, se viene loro data la possibilità di farlo (Gallagher, 2004).
In secondo luogo, Harden (2000) sostiene che i bambini non solo comprendono le dinamiche della propria famiglia e il loro ruolo all’interno di essa, ma dimostrano anche una certa competenza nella valutazione e nella gestione di alcuni tipi di rischi.
In terzo luogo, in città i bambini dotati di una certa autonomia nel loro ambiente “costruito” possono essere acuti osservatori e pensatori altamente qualificati visivamente e spazialmente, nonostante di solito essi vengano fraintesi e non vengano presi in considerazione come risorsa per la comprensione dei problemi del quartiere (Gallagher, 2004).
In quarto luogo, alcuni genitori affermano che i bambini non hanno le competenze sociali o il “fiuto” per distinguere tra persone “buone” e “cattive” e, di conseguenza, sono troppo ingenui e non abbastanza responsabili o maturi da riconoscere situazioni potenzialmente pericolose e affrontarle adeguatamente (Valentine, 1997).
Infine, i bambini vogliono essere, e sono, molto competenti e capaci di gestire i propri mondi vitali (Valentine, 1997).
Se poi dovesse esserci ancora bisogno dell’ennesima prova delle loro capacità: nel corso di un’indagine molti bambini hanno descritto i loro genitori come persone irrazionali, incoerenti e scorretti ma anche come troppo ingenui, fiduciosi e facili da manipolare (Valentine, 1997).
Si può concludere, allora, affermando che i bambini sono spesso come gli adulti e gli adulti come i bambini nella loro razionalità, maturità e interdipendenza (Alderson e Goodwin, 1993 in Valentine, 1997).
2.2 Cos’è lo spazio
Per comprendere il ruolo importantissimo svolto dallo spazio, ovviamente non inteso soltanto quale mero luogo fisico, nella vita degli individui, e in quella dei bambini in particolare, si accennerà brevemente al modello ecologico messo a punto da Brofenbrenner (Brofenbrenner e Morris, 1998 in Bradshaw et al., 2007). L’autore propone di considerare lo sviluppo del bambino come un insieme di cerchi concentrici in relazione tra loro: il bambino, con tutte le sue caratteristiche personali, interagisce in primo luogo con la famiglia, ma anche con una serie di persone e sistemi diversi: gli amici, i vicini di casa, la scuola, ecc. Queste interazioni dirette formano il microsistema del bambino, il livello con la più forte influenza diretta sul bambino stesso. Le connessioni tra le diverse strutture all'interno del microsistema, ad esempio, genitori -‐ scuola, rappresentano il mesosistema. Ad un livello superiore si trova l’esosistema che, pur non coinvolgendo direttamente il bambino, ha delle influenze sui livelli a lui più vicini; è questo il livello del contesto in cui le famiglie vivono e include, ad esempio, le reti sociali dei genitori e le condizioni della comunità locale. L’ultimo cerchio, il macrosistema, è il contesto sociale costituito dalle norme e dai valori culturali, dalle politiche, dalle condizioni economiche e dagli sviluppi a livello mondiale.
2.2.1 L’importanza dello spazio: la Geografia dei bambini
Il riconoscimento del bambino come attore sociale ha dato vita ad un crescente interesse da parte della disciplina “geografia” verso il bambino e, parallelamente, verso la dimensione spaziale del bambino da parte della sociologia dell’infanzia (Holloway e Valentine, 2000). Il punto focale è il riconoscimento delle competenze dei bambini che fornisce ai bambini stessi il ruolo di attori sociali e li dichiara adatti a gestire il proprio spazio e il proprio tempo5 (Valentine, 1997). L’attenzione ai “luoghi dei bambini”, dunque,
5 Esempi includono i bambini che fungono da interpreti per i loro genitori, quelli che sono in grado di
maneggiare attrezzature elettroniche e computer che confondono gli adulti meno esperti, oppure i bambini che scelgono i propri trattamenti medici (Alderson e Goodwin, 1993 in Valentine, 1997).