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. Nella plurisecolare trattazione del mito dei Labdacidi la rap- presentazione dei fratelli nemici, Eteocle e Polinice, subisce un’evo- luzione. Già a partire da Eschilo ed Euripide assistiamo a mutamen- ti di prospettiva. Nei Sette a Tebe Eteocle è connotato positivamen- te, quale difensore accanito ed eroico della sua terra, mentre Polini- ce è connotato negativamente, nella sua volontà rabbiosa di distrug- gere la patria. Nelle Fenicie invece la caratterizzazione è capovol- ta: Eteocle è il tiranno che non si cura della giustizia ma solo del

 Lo schema generale delle Fenicie euripidee è il seguente: Prologo: Gio-

casta racconta del suo matrimonio incestuoso e delle sciagure che ne so- no derivate. Antigone sale sull’alto del palazzo e si fa indicare dal pe- dagogo i condottieri dell’esercito argivo. - Parodo. - Primo episodio: Polinice, entrato in Tebe, si incontra con Giocasta. Giunge Eteocle, e Giocasta tenta invano di riconciliare i figli, che dopo un violento scon- tro verbale si ripromettono di ritrovarsi l’un contro l’altro in battaglia.

Primo stasimo. - Secondo episodio: Eteocle discute con Creonte della

disposizione delle truppe e dà gli ultimi ordini prima dello scontro de- cisivo. - Secondo stasimo. - Terzo episodio: Tiresia rivela a Creonte che gli dei esigono la morte di suo figlio Meneceo per salvare Tebe. Creonte vorrebbe salvare Meneceo, ma questi lo inganna e va volontariamente a morire. - Terzo statismo. - Quarto episodio: Un messo annuncia a Gio- casta il sacrificio di Meneceo e le descrive la battaglia alle sette porte. La informa pure dell’imminenza del duello fratricida. Giocasta invita An- tigone a seguirla sul campo di battaglia per un estremo tentativo di rap- pacificazione. - Quarto stasimo. - Quinto episodio: A Creonte che pian- ge la morte di Meneceo viene detto che Giocasta e Antigone sono uscite dalla città per tentare di riconciliare Eteocle e Polinice. Arriva un messo che annuncia la morte dei due fratelli, ne descrive il duello, e annuncia altresì il suicidio di Giocasta sul cadavere dei figli. - Duetto corale di

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potere, a cui non vuole a nessun costo rinunciare; Polinice difende il suo buon diritto, ama la patria di cui ha profonda nostalgia, è ca- pace di commozione e affetti.

Cinque secoli più tardi il mito è rivisitato da Seneca e Stazio. Se- neca, autore anche di un Oedipus, nelle sue Phoenissae riprende ma- teriale da Euripide, con alcuni spunti da Sofocle. Le Phoenissae so- no, nel corpus tragico senechiano, un testo anomalo nella sua brevità (664 versi) e nella sua apparente frammentarietà. L’insieme si com- pone di due parti: vv. -6, con Edipo come protagonista; vv. 6- 664, con Giocasta come personaggio centrale. Seguendo uno dei pri- mi editori moderni, Rudolph Peiper (867), alcuni critici hanno ipo- tizzato che si tratti di frammenti di due diverse tragedie, di cui solo la seconda corrisponderebbe al rifacimento delle Fenicie euripidee. Altri, sulla scia dell’editore Friedrich Leo (878-879), ritengono che le Phoenissae siano il risultato della fusione di due pezzi decla- matori indipendenti. Oggi in genere si pensa che si tratti di un’uni- ca tragedia, trasmessa incompiuta, la cui struttura è la seguente: a)

dopo una lunga discussione (vv. -9) fra Edipo, disperato, e Anti- gone che cerca di dissuadere il padre dal darsi la morte, vi è un bre- ve dialogo fra Edipo e un nuntius tebano (vv. 0-6) che informa il vecchio re della guerra fratricida dei figli e lo prega di interveni- re: invano, perché Edipo non solo non accoglie l’invito del nuntius, ma maledice i figli; b) dopo una presentazione dei fatti dal punto di vista di Giocasta e l’evocazione delle truppe nemiche schierate da- vanti a Tebe (vv. 6-49) iniziano i tentativi della madre di mette- re pace tra i figli, tentativi che culminano nel dialogo con Polinice (vv. 40-664). Fonte principale di Seneca sono le Fenicie di Euripi- de: Phoen., 6-44 fonde due scene euripidee, la teicoscopia (Eu- rip., 87-9) e la scena in cui un messo invita Giocasta ad accorrere sul campo di battaglia per porre fine alla carneficina (Eurip., 7- 8); Phoen., 44-664 riprende da Euripide, molto liberamente e

di Polinice (rivendicando di eseguire le disposizioni di Eteocle) e minac- cia Antigone che protesta. Infine Antigone decide di accompagnare Edi- po nel suo esilio.

 Cfr. th. hirschBerg, Senecas Phoenissen, Einteilung und Kommentar,

Berlin, de Gruyter. 989.

sintetizzando, l’incontro della madre con i figli (Eurip., 0-67), in particolare il dialogo con Polinice. Dall’Edipo a Colono di Sofocle deriva l’immagine che apre la prima parte, quella di Antigone che guida Edipo cieco («Caeci parentis regimen et fessi unicum / patris leuamen, nata, etc.», Phoen.,  segg.). A differenza però dell’Edipo

Coloneus, l’ Edipo delle Phoenissae, ritenendo di non avere suffi-

cientemente espiato, vorrebbe uccidersi sulle pendici del Citerone: variante questa suggerita probabilmente dall’Edipo re e fondamen- to del successivo dialogo fra Antigone e il padre, in cui si dibatte il tema, caro a Seneca e agli stoici, del suicidio.

Nella connotazione dei fratelli nemici Seneca segue Euripide. Polinice viene rappresentato desideroso di rivendicare i diritti del- la giustizia calpestata («Sceleris et fraudis suae / poenas nefandus frater ut nullas ferat?», Phoen., 64b-644) è convinto che la cadu- ta dal regnum alla servitus sia la peggiore delle sventure, ma nello stesso tempo appare accessibile ai sentimenti, al punto di dichiarar- si disposto ad accogliere l’invito della madre in cambio della possi- bilità di ritornare in patria:

Ut profugus errem semper? Ut patria arcear opemque gentis hospes externae sequar? Quid paterer aliud, si fefellissem fidem? Si peierassem? Fraudjs alienae dabo poenas, at ille praemiurn scelerum feret? Iubes abire? Matris imperio obsequor - da quo reuertar. Regia frater meus habitet superba, parua me abscondat casa. Hanc da repulso; liceat exiguo lare pensare regnum. Coniugi donum datus arbitria thalami dura felicis feram

humilisque socerum lixa dominantem sequar? In seruitutem cadere de regno graue est.

 Phoenissae, 586-598 in L. annæi senecae, Tragoediae, recognovit bre-

vique adnotatione critica instruxit O. Zwierlein, Oxford, At the Claren- don Press, 986, pp. 9-0 (a questa edizione si farà riferimento con la sigla S).

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In riscontro Eteocle (vv. 65b-664) non solo viene rappresen- tato come assetato di potere, ma cinico teorizzatore di un’autori- tà tirannica che disdegna il consenso dei sudditi e i limiti impo- sti dal diritto4. Peraltro nelle Phoenissae sono molto pochi i versi

consacrati alla rappresentazione dei fratelli: la maggior parte del- l’episodio nel testo senechiano è occupato dalle battute di Gioca- sta e tende alla rappresentazione della madre, nella cui dispera- zione si riflette l’orrore della situazione.

Nella Thebais di Stazio Polinice conserva la caratterizzazione di maggiore umanità e di disponibilità alla commozione, addirit- tura viene introdotto il motivo delle lacrime, estraneo alla prece- dente tradizione. Per un momento, prima di replicare con ira al- l’ira del fratello, Polinice piange di fronte ad Antigone, mentre il suo furor comincia a elanguescere:

[...] His paulum furor elanguescere dictis

coeperat, obstreperet quarnquam atque obstaret Erinys; iam summissa manus, lente iam flectit habenas, iam tacet; erumpunt gemitus lacrimasque fatetur cassis; hebent irae, pariterque et abire nocentem et uenisse pudet [...]5.

Per quanto invece concerne l’episodio del duello fratricida – assente in Seneca a causa dell’incompiutezza delle Phoenissae –, esso è oggetto di una rappresentazione (in Euripide ad opera di un messaggero6) che assume valore di exemplum riguardo la

4 Anche in questa rappresentazione di Eteocle Seneca è fedele alla pro-

spettiva delle Fenicie Euripidee (cfr. vv. 54-55, ed. D.J. Mastronarde Cambridge, At the University Press, 994, p. 8: «ei[per ga;r ajdikei`n

crhv, turannivdoı pevri / kavlliston ajdikei`n, ta[lla d∆eujsebei`n crewvn [E se bisogna commettere ingiustizia, ebbene, se è per il potere, è splen- dido commettere ingiustizia! Per il resto poi sii pio e buono!]»).

5 statii, Theb., XI, 8-87, ed. R. Lesueur, Paris, Les Belles Lettres,

990-994, vol. III, p. 95.

6 La descrizione del duello viene offerta solo da Euripide nelle Fenicie

(vv. 59-44) e da Stazio (Theb., XI, 497-57). Nei Sette a Tebe di

forza invincibile dell’odio. Qui la connotazione dei due fratelli non è più differenziata, poiché entrambi si identificano nella vio- lenza e nella volontà pervicace di vicendevole distruzione.

. La ripresa del mito dei frères ennemis in Francia avviene nel Cinquecento ad opera di Robert Garnier. Questi pubblica nel 580 una tragedia, Antigone ou La Pieté7, che nei primi tre atti ri-

percorre la vicenda di Eteocle e Polinice e negli ultimi due quel- la di Antigone mandata a morte per avere celebrato il rito fune- bre in onore del fratello. Nel suo Argument Garnier richiama tut- ti gli antecedenti classici del mito:

Ce subjet est traitté diversement, par Eschyle en la Tragedie inti- tulee Des sept Capitaines à Thebes, par Sophocle en l’Antigone, par Euripide aux Phenisses, et par Seneque et Staces en leurs The- baides (G, pp. 60-6);

ma, in realtà, nei primi tre atti segue unicamente le Phoenissae di Seneca8 (a. I e II) e la Thebais di Stazio (a. III)9. E sarà a sua volta,

Eschilo (vv. 79-89) il messaggero non descrive il duello, ma si limita ad annunciare la morte che i fratelli si sono vicendevolmente inflitta.

7 Antigone, ou la pieté, tragedie de Rob. Garnier, à Paris, par Mamert Pa-

tisson, 580; r. garnier, Antigone ou La Pieté, vv. 90-95, éd. critique

par J.-D. Beaudin, Paris, Champion, 997, pp. 9-94 (a questa edizione si farà riferimento con la sigla G).

8 Jean-Dominique Beaudin riconosce due loci euripidei in Garnier. G

468-47 riecheggia verosimilmente i primi versi delle Fenicie di Euri- pide, G 474-475 riecheggerebbero Eurip., 79. Di recente Daniela Dalla Valle ha attirato l’attenzione su un’altra tragedia trascurata dalla critica, quasi contemporanea della pièce di Garnier, la Thebaïde di Robelin, del 584 (cfr. d. dalla valle, Polinice nella «Thébaïde» di Jean Robelin,

in aa.vv., Per Antigone: Vittorio Alfieri nel 250° anniversario della na-

scita, «Atti del Convegno di studi dell’Università di Torino: 5 e 6 feb-

braio 999», a cura di P. Trivero, Torino, Studio Lexis, 00, pp. 55-67), che tratta lo stesso mito.

9 Per ciò che concerne il quarto e quinto atto della pièce di Garnier – quelli

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sempre unitamente a Seneca e Stazio, fonte dell’Antigone di Rotrou (68), quest’ultimo fonte della Thebaïde di Racine (664)0.

Tuttavia Garnier sembra introdurre un mutamento di prospet- tiva nella caratterizzazione di Polinice (Eteocle non compare di persona nella pièce francese). Fino a G 905 Polinice conserva la duplice connotazione presente in Seneca, il quale per parte sua la deriva da Euripide: noi riscontriamo, con qualche lievissima variante che non altera minimamente il senso del testo senechia- no, assoluta fedeltà di resa in G 468-909 rispetto a S 6-65a. Da un lato, infatti, il desiderio di rivalsa di Polinice su Eteocle poggia sulla difesa del diritto: non la bramosia del potere in se stessa, ma la volontà di punire il fratello per il suo tradimento («[...] Madame, il faut qu’il soit puny / de m’avoir traistrement de ma terre banny», G 904-905) rende Polinice saldo sulle sue posizioni. D’altro canto, come nelle Phoenissae, scopriamo un temperamento sensibile, fortemente emotivo, aperto agli affet- ti, che per nostalgia di patria sarebbe anche disposto ad abban- donare il potere («Qu’il jouisse de tout, qu’il ait seul le Royau- me, / et qu’on me baille aumoins quelque maison de chaume, / ce sera mom palais, je me pourray vanter / d’avoir quelque ma- noir sans ailleurs m’absenter», G 854-857) e sarebbe pronto a mutare la regia superba, il palais, con la parua casa, la maison

de chaume, pur di evitare l’umiliazione di una dipendenza dalla

moglie e dal suocero. Un temperamento, se si vuole, contraddit- torio, che oscilla tra amore – dedizione addirittura, come abbia- mo visto in Seneca, e disponibilità all’obbedienza nei confron-

babilità, è non tanto il testo greco originale, quanto il rifacimento della tragedia sofoclea ad opera di Jean-Antoine de Baïf (57).

0 Anche Racine nella Préface alla Thébaïde (cfr. il testo in racine, Œu- vres complètes: I. Théâtre – Poesie, édition présentée, établie et annotée

par G. Forestier, Paris, Gallimard, «Bibliothèque de la Pléiade», 999, p. 9: a questa edizione si farà riferimento con la sigla Ra) dichiara di

avere seguito il plan di Euripide, ma, come ha chiaramente evidenziato Roy C. Knight (Racine et la Grèce, Paris, Nizet,974 [a ed. 950], pp.

48-58), si tratta di un’ostentazione di classicismo che non corrisponde a verità, in quanto il modello è Rotrou, e attraverso Rotrou Seneca.

ti della madre – e risentimento per l’ingiustizia subita: non per nulla, nel momento stesso in cui piange sulla sua condizione di

profugus, homme exilé e dichiara di acconsentire a cedere il re-

gno al fratello, Polinice prorompe nella deprecazione di una sor- te che penalizza la lealtà e premia il tradimento («Doy-je souf- frir le mal / que devroit endurer un cœur si desloyal? / Faut-il qu’il ait profit de sa fraude et malice?», G 848-850).

A partire da G 90 il testo francese cambia profondamente la connotazione di Polinice. Conviene raffrontare attentamente S 65b-664 e G 90-95:

[...] ete. Numeret, est tanti mihi / cum regibus iacere. Te turbae exulum / ascribo. io. Regna, dummodo inuisus tuis. / ete. Regnare non uult, esse qui inui- sus timet: / simul ista mundi con- ditor posuit deus, / odium atque regnum: regis hoc magni reor, / odia ipsa premere. Multa domi- nantem uetat / amor suorum; plus in iratos licet. / Qui uult amari, languida regnat manu. / io. Inuisa numquam imperia retinentur diu. / ETE. Praecepta melius imperii reges dabunt; / exilia tu compone. Pro regno uelim - / io. Patriam penates coniugem flammis dare? / ETE.

Imperia pretio quolibet constant bene (S 65b-664).

po. Ii ny a tel malheur que perdre

son empire. / io. Qui fait guerre

à son frere est encore un pire. / po. De poursuivre un parjure

appellez-vous malheur? / io. Il

est vostre germain. po. Mais ce

n’est qu’un volleur, / un volleur de Royaume. io. Il est plus agrea-

ble / aux citoyens que vous. po.

Et moy plus redoutable. / io. Les

voudriez-vous regir contre leur volonté?/ po. Un peuple contumax

par la force est donté. / io. En la

haine des miens je ne voudrois pas vivre. / po. Ne regne, qui voudra

de haine estre delivre. / Car avec le Royaume est la haine tousjours, / tousjours elle se voit dans les royales Cours: / et croy

 Giancarlo Giardina nella sua edizione edita così: vv. 65b-65 «Io. Te

turbae exulum / ascribo. - Regna, dummodo invisus tuis»; v. 66 «exi- lia tu dispone» (l. annaei senecae, Tragoediae, recensuit praefatione et

apparatu critico instruxit I.C. Giardina, Bologna, Editrice Compositori, 966, vol. I. pp. 76-77).

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que Jupiter sur les Cieux ne com- mande, / sans estre mal-voulu de la celeste bande. / Ne me chault de me voir de mes peuples haï, / movennant que je sois et craint et obeï. / io. C’est une grande

charge, un faix insupportable. / po. Il n’est rien de si doux, ny

de si delectable. / Pour garder un Royaume, ou pour le conquerir / je ferois volontiers femme et enfans mourir, / brusler temples, mai- sons, foudroyer toute chose: / bref il n’est rien si saint, que le ne me propose / de perdre mille fois, et mille fois encor, / pour me voir sur la teste une couronne d’or. / C’est tousjours bon marché, quelque prix qu’on y mette. / Nul n’achette trop cher qui un Royaume achette (G 90-95).

Nella Phoenissae, dopo avere rievocato la maledizione che gra- va sui Labdacidi e sul trono tebano, da nessuno mai occupato im-

pune – maledizione che fa del regnare in Tebe un castigo («regna-

bit. Est. haec poena») –, Giocasta depreca la nuova infamia: l’ul- timo re detiene il potere in spregio ai patti, fide rupta, e tra i fedi- fraghi deve essere annoverato («numeres licet inter istos»). A que- sto punto, nella pièce di Seneca, compare Eteocle che, irridendo alla madre, riprende tracotante il numeres di Giocasta («Numeret, est tanti mihi cum regibus iacere [Mi annoveri pure in questa serie:

 Il corsivo segnala addizioni e varianti di Garnier rispetto al testo di Se-

neca.

 Cfr. S 645-65a: «Ne metue, poenas et quidem soluet graues: / regnabit.

Est haec poena. Si dubitas, auo / patrique crede: Cadmus hoc dicet tibi / Cadmique proles. Sceptra Thebarum fuit / impune nulli gerere - nec qui- squam fide / rupta tenebat illa: iam numeres licet / frattem inter istos».

tanto mi è prezioso anche solo giacere morto tra i re]»). Continuan- do poi nel suo atteggiamento di sfida, Eteocle propone una conce- zione «nera» della sovranità, affermando il nesso inscindibile fra potere assoluto e terrore, odium atque regnum, mentre si dichiara pronto a pagare pretium quodlibet per l’imperium. Così le battute conclusive delle Phoenissae (S 65b-664) definiscono Eteocle co- me tipo del tiranno, e nello stesso tempo come personaggio privo di incertezze ed esitazioni, quelle incertezze che ritroviamo invece nell’umanità contraddittoria e infelice del fratello. Noi non sappia- mo quale sviluppo avrebbe avuto il personaggio in una eventuale prosecuzione della tragedia, ma, secondo Alessandro Barchiesi, in questa rapida evocazione di Eteocle «Seneca ha estremizzato la ri- flessione sul potere proposta dal tiranno euripideo, depurando que- sto modello da tutti gli elementi ‘deboli’ (opportunismo, falsità di- plomatica, propensioni sofistiche). Ne risulta un modello di tiran- no antirealistico, concentrato e assoluto, che non sfigurerebbe nep- pure presso il più importante eroe nero di Seneca, l’Atreo del Tie-

ste. Eteocle si segnala per la sua astratta devozione al potere, tale

da profilare quasi una modernissima ‘riduzione all’assurdo’ appli- cata al tradizionale tipo del tiranno da palcoscenico».

Nell’Antigone di Garnier Eteocle non compare e le battute di quest’ultimo sono spostate su Polinice, il che introduce un evidente e profondo mutamento nella caratterizzazione del personaggio. In effetti la sostituzione non è un’innovazione del tragediografo fran- cese, bensì deriva dalla traditio del testo senechiano e dalla vulgata delle edizioni cinquecentesche. Tali edizioni, di cui si poteva servi- re Garnier, sono concordi, sulla base d’altronde del consensus co-

dicum, nell’offrire un dettato che ignora l’attribuzione a Eteocle di

battute che, invece, vengono riportate a Polinice. Valga come esem- pio di una tradizione che perdurerà a lungo, con alcune varianti nel- la suddivisione del testo4, l’edizione aldina del 57:

 Cfr. seneca, Le Fenicie, a cura di A. Barchiesi, Padova, Marsilio, 988,

pp. 0-.

4 Tra queste varianti ricordiamo, ad esempio, l’attribuzione, nelle cin-

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[...] PO. Numero, et est tanti mihi

Cum regibus iacere. IO. Te turbæ exulum

Ascribo, regna, dummodo inuisus tuis.

PO. Regnare non uult, esse qui inuisus timet.

Simul ista mundi conditor posuit deus Odium, atque regnum: regis, et magni, reor Odia iste premere. Multa dominantem uetat Amor suorum; plus in iratos licet.

IO. Qui uult amari languida regnet manu. Inuisa nunquam imperia retinentur diu; Præcepta melius imperij reges dabunt: Exilia tu dispone. PO. Pro regno uelim Patriam, penates, coniugem flammis dare. Imperia pretio quolibet constant bene5.

Gli studiosi hanno raggruppato i manoscritti del Seneca tragi- co (circa 400, in gran parte risalenti al Tre-Quattrocento) secon- do due recensioni, indicate come E e A, risalenti forse a un iperar- chetipo comune del III secolo6. Ora, in nessun testimone mano-

scritto di entrambe le recensioni – e neppure nelle edizioni quat- tro-cinquecentesche, peraltro derivate da codici della recensione

A – compare il personaggio di Eteocle: le notae personarum sono

concordi nell’escluderlo e mantengono ferma l’indicazione Poly-

a Polinice ora a Giocasta. Così pure, per quanto concerne la tradizione manoscritta, il v. 663 («Patriam penates coniugem flammis dare») reca l’attribuzione a Giocasta nella recensione E, nessuna attribuzione nella recensione A.

5 l. annæi senecæ, Tragrediæ veterum exemplarium collatione recognitæ et emendatæ, Venetiis apud Aldum, 57, ff. 55v-56r.

6 Per i problemi connessi alla storia del testo cfr. le edizioni citate di Giar-

dina, Zwierlein e Barchiesi (quest’ultima per le note); così pure l’edizio- ne di François-Régis Chaumartin (Paris, Les Belles Lettres, 996). Cfr. anche i lavori di Otto Zwierlein, in particolare Prolegomena zu einer

kritischen Ausgabe der Tragödien Senecas, Wiesbaden, Steiner, 984, e Kritischer Kommentar zu den Tragödien Senecas, Mainz, Akademie der

Wissenschaften und der Literatur, 986.

nices. È Ugo Grozio7 nel Seicento che emenda l’attribuzione dei