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Il trattamento delle nazionalità

Il Caucaso nell’orbita russa

2.6 Il trattamento delle nazionalità

Durante lo zarismo vigeva il rifiuto di riconoscere autonomia alle minoranze e il territorio venne suddiviso in governatorati non su base etnica, cercando così di limitare i rischi di separatismo. All’indomani della rivoluzione la discussione sulle nazionalità ebbe maggiore seguito ed è importante notare che tutti i partiti, tranne Lenin, sottovalutarono la questione e i bolscevichi, grazie alla promessa di indipendenza a tutti i popoli non russi dell'Impero, riuscirono ad ottenere in cambio il sostegno delle etnie non russe.

Stalin già nel 1913 era stato autore de “Il marxismo e la questione nazionale e coloniale”, dove erano presenti i punti chiavi della teoria.23 Anche Lenin del resto, in

23 Cfr. I. Stalin, op. cit., Il marxismo e la questione nazionale e coloniale, pp. 170 ss., G. Einaudi,

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quel periodo, si occupò intensamente delle problematiche inerenti la questione nazionale: a Berna, Lenin scrisse le "Tesi sulla questione nazionale"24 tenendo poi, nel mese di luglio del 1920, quattro conferenze sullo stesso argomento a Zurigo, Ginevra, Losanna e Berna. Essi, secondo la concezione marxista, concepivano lo stato e la classe dominante come un dominio esterno ed erano sostenitori del diritto all’autodeterminazione dei popoli e fermamente contrari a nazionalismo e patriottismo, intesi come fenomeni borghesi.25

Il trattamento delle diverse etnie presenti nell’Unione Sovietica prese il nome di “politica delle nazionalità”, espressione delle volontà del partito e di Stalin stesso, Segretario Generale del Partito Comunista dal 1922 al 1952 e Commissario del popolo per le nazionalità dall'indomani della vittoria rivoluzionaria fino al 1923.

La “politica delle nazionalità” indica un innovativo metodo di suddivisione amministrativa del territorio che si discostava dallo zarismo, in quanto si voleva che tutti i popoli godessero di pari diritti e libertà e che finissero gli scontri interetnici in modo da garantire la stabilità dell'Unione multietnica.

I punti chiave erano semplici: ad ogni territorio dell’URSS doveva corrispondere un’etnia e un adeguato riconoscimento culturale e amministrativo, secondo il principio che le culture stesse dovessero essere “nazionali nella forma e socialiste nel contenuto”.26 Ciò che nella teoria sembrava facile, tuttavia, nella realtà

ebbe non poche difficoltà di applicazione: in zone dove erano presenti forti minoranze queste vennero a volte completamente ignorate dal partito, che finì per favorire le minoranze più vicine e fedeli al partito.

24 Terza Internazionale, 2° Congresso – Seduta del 26 luglio 1920, intervento di Lenin sulla

“Questione nazionale e coloniale”, Dall’archivio della sinistra, Partito comunista Internazionale, consultabile al: http://www.international-communist-party.org/Italiano/Document/20LenQNC.htm

25http://www.treccani.it/enciclopedia/marxismo_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/ 26 Cfr. N. Riasanovsky, op. cit., Storia della Russia. Dalle origini ai giorni nostri, a cura di S.

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C’era il timore, inoltre, che la concessione di autonomia culturale potesse evolversi in nazionalismo e infine in separatismo. Stalin e il politbjuro, infine, non cessarono mai di sottolineare la centralità della lingua russa e del ruolo storico che i “grandi russi” ebbero nella formazione dello stato multinazionale.

La struttura amministrativa dell'Unione Sovietica prevedeva la suddivisione dei territori in zone di autonomia decrescente partendo dalle repubbliche federali, con il massimo livello di autonomia, seguite da repubbliche autonome, regioni e infine distretti, chiamati okrug. Nel Caucaso l'appellativo di Repubblica Federale venne attribuito alle tre nazionalità storiche caucasiche, le cosiddette "nazionalità titolari"27: Georgia, Armenia e Azerbaigian. Agli altri popoli fu riconosciuta minore autonomia e i loro territori vennero denominati repubbliche autonome o regioni autonome.

Negli anni '20 il partito istituì ulteriori territori autonomi corrispondenti alla distribuzione etnica nel Caucaso Settentrionale, che, nel giro di vent'anni, sarebbero tutti divenuti Repubbliche o Territori Autonomi; solo il Daghestan non fu smembrato, per la sua estrema complessità etnica, e perché lo si volle mantenere maggiormente legato al centro.

I circassi si ritrovarono invece divisi in tre regioni, così come i balcari furono tenuti separati dai karačai, e i ceceni dagli ingusci (uniti però nel '34 nella Repubblica Autonoma di Cecenia-Inguscezia). Questa suddivisione portò negli anni un'inaspettata conseguenza: l'evoluzione del tipico sentimento di identità limitatamente clanico- tribale e (dove l'islam era presente) pan-islamica delle popolazioni nord-caucasiche verso un inedito sentimento di identità “micro-nazionale”, che ha peraltro integrato i primi due.

Anche nel Caucaso Meridionale, dove la complessità etnica esistente era minore, si poté assistere ad alcune particolari ripartizioni: la regione della Giavachezia, prevalentemente armena, restò al distretto georgiano; il Nakhichevan, a popolazione

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mista azera-armena, e il Nagorno Karabakh, abitato prevalentemente da armeni, andarono al distretto di Baku, in quanto Mosca preferì favorire gli azeri per mantenere buoni rapporti con la Turchia.

Nel marzo 1922 il partito stabilì di riunire, infine, le repubbliche federali nella Repubblica di Transcaucasia, al fine di tentare di stabilizzare la situazione locale. All'interno di essa assunsero la denominazione di Repubblica Autonoma solo l'Abkhazia, il Nakhichevan e l'Agiaria (regione della Georgia a religione musulmana), e quella di Territorio Autonomo fu assegnata a Ossezia Meridionale e Nagorno Karabakh, tralasciando completamente altri territori “contesi”.

Mentre negli anni Venti le minoranze etniche ottennero nelle varie Repubbliche ampi diritti culturali regionali e locali, esercito e partito funsero da elementi unificatori per l’Unione Sovietica. Dal momento che i funzionari russi erano pochi, vennero coinvolti nell’amministrazione i gruppi mobili diasporici, con Ebrei e Armeni in particolare, così come le minoranze che vennero integrate nei governi locali con la politica del “radicamento” (korenizacija). Lingue e culture locali vennero favorite e, al fine di combattere l’analfabetismo, vennero anche fondate numerose scuole.

Già nel decennio successivo Stalin applicò nei confronti delle nazionalità una politica più repressiva: i funzionari furono selezionati tra i Russi, la collettivizzazione colpì maggiormente i non Russi e iniziò la liquidazione forzata dei kulaki. Negli anni Trenta le Repubbliche erano completamente sottomesse al centro, con l’unificazione dei sistemi scolastici e l’imposizione del patriottismo sovietico e del nazionalismo russo.28

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