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TRIBUNALE ORDINARIO E GIUDICE TUTELARE

Relatore:

Dott.ssa Giovanna MARCAZZAN

Consigliere della Corte di Appello di Roma

Premessa.

I criteri di ripartizione delle competenze tra gli organi giudiziari legittimati ad emettere provvedimenti civili nell’interesse dei soggetti minori di età non sono oggi facilmente riconducibili – a mio avviso – a scelte ponderate e razionali ma appaiono piuttosto il frutto di una progressiva evoluzione del diritto minorile e della famiglia, che si è tradotta nel tempo in modifiche sostanziali della struttura ordina-mentale previgente e nell’introduzione di leggi disciplinanti specifiche materie (solo per citare le più importanti: legge sull’adozione e l’affi-damento, riforma del divorzio, legge sull’interruzione volontaria della gravidanza ecc.), che hanno avuto come effetto quello di una eccessi-va frantumazione delle competenze, sì che oggi si verificano, nono-stante gli sforzi della prassi giudiziaria e della giurisprudenza, incon-gruenze nel quadro normativo e sovrapposizioni di interventi che pos-sono risultare di fatto pregiudizievoli proprio per la tutela di quel dirit-to del minore ad una corretta e serena evoluzione della personalità, nell’ambito di un sistema familiare e relazionale affettivamente ed educativamente valido, che appare il principio ispiratore della disci-plina legislativa in materia minorile.

Nè ci si può illudere che la frantumazione di competenze tra vari organi giudiziari comporti esclusivamente difficoltà di ordine pratico (difficoltà per gli utenti di individuare l’autorità competente, possibile sovrapporsi di interventi contrastanti ecc.), poiché essa invece sotten-de una difficoltà; di pervenire a scelte precise di carattere sostanziale e programmatico nel campo del diritto minorile e della famiglia, scel-te che mi sembrano invece ormai improcastinabili.

A ben vedere – al di là delle affermazioni di principio e della famo-sa regola secondo cui ogni decisione relativa al minore deve essere

assunta con riferimento esclusivo all’interesse del medesimo, ritenuto preminente rispetto a tutti gli altri interessi o diritti in gioco – non può non rilevarsi una persistente difficoltà del nostro ordinamento ad abbandonare definitivamente, in campo minorile, una visione della giurisdizione intesa quale risoluzione del conflitto tra i diritti sogget-tivi degli adulti – ed in cui i diritti del bambino sono comunque in fun-zione della prospettafun-zione fattane dai genitori (tipico esempio si ha nel procedimento di separazione e divorzio) – a favore di una giuri-sdizione, invece, di piena garanzia dei diritti relazionali del bambino, complessivamente e globalmente considerato in tutte lo sue esigenze e necessità (affettive, educative, psicologiche e materiali) e quale ne sia il contesto familiare di provenienza (famiglia tradizionale fondata sul matrimonio, famiglia naturale fondata sulla convivenza di fatto, fami-glia allargata ecc.). La difficoltà di pervenire finalmente ad una rifor-ma organica del diritto minorile e della famiglia che preveda la con-centrazione delle attuali competenze frantumate in un organo giudi-ziario, preparato competente e specializzato, che preveda al suo inter-no oltre che professionalità e cointer-noscenze diverse anche una differen-ziazione delle competenze tra giudice monocratico e collegiale, e la difficoltà di stabilire alcune precise regole procedurali a garanzia del-l’effettività del contraddittorio e dei diritti di difesa tecnica delle parti anche nel campo della c.d. “volontaria giurisdizione”, è a mio avviso sintomo di una non ancora operata scelta sostanziale e di fondo e del-l’incapacità del nostro ordinamento di prendere atto con la necessaria tempestività delle profonde e rapide modificazioni intervenute nel contesto sociale (si pensi solo al sempre maggiore affermarsi della famiglia di fatto), oltre che dell’affacciarsi di nuove tematiche, che non possono essere affrontate con gli strumenti tradizionali (e qui mi rife-risco alle nuove tecniche di procreazione artificiale).

Ne esce un sistema sbilanciato. Da un lato abbiamo un ordina-mento quasi schizofrenico nella ripartizione delle competenze tra Tri-bunale per i Minorenni, TriTri-bunale Ordinario e Giudice Tutelare nel campo della protezione dei diritti sia personali che patrimoniali del minore (la tripartizione delle competenze si perpetua infatti anche in campo patrimoniale, come poi vedremo), tanto che sono state indivi-duate 55 tipologie di decisioni attribuite alla competenza del Tribuna-le per i Minorenni, 27 al TribunaTribuna-le Ordinario e 48 al Giudice Tutelare, d’altro lato persiste invece un vuoto legislativo nell’affrontare sia vecchi nodi irrisolti (quale quello dell’esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori) che i nuovi temi imposti dall’evolversi del costume sociale.

Non può poi non rilevarsi che i tradizionali schemi di

suddivisio-ne delle competenze tra Tribunale per i Minorenni (giudice dell’ab-bandono e dell’adozione, del comportamento pregiudizievole del geni-tore e degli interventi ablativi o limitativi della potestà genitoriale) Tribunale Ordinario (giudice della separazione e del divorzio e dell’af-fidamento del minore in tale sede) e Giudice Tutelare (preposto alla tu-tela del minore orfano, alla autorizzazione di atti di natura patrimo-niale e alla vigilanza sui provvedimenti dal T.M. e dal T.O. assunti in tema di esercizio della potestà ed amministrazione dei beni del mino-re), se pure in linea generale tutt’ora validi, appaiono da un lato scal-fiti dall’attribuzione al Tribunale Minorile di competenze, prima estra-nee, in materia più prettamente contenziosa (si pensi solo alle azioni di stato per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità natu-rale, ed ai connessi provvedimenti in tema di mantenimento del mino-re) e d’altro lato dall’estensione al Tribunale Ordinario della possibilità di far ricorso agli istituti – quale quello dell’affidamento etero-familia-re petero-familia-revisto dalla L. 184/83 – che, modellati per l’intervento di altetero-familia-re au-torità giudiziarie (T.M. e G.T.) e richiedendo un controllo ed una vigi-lanza continua, mal si attagliano ad un giudice che, con l’emissione della Sentenza di separazione o divorzio, si spoglia della cognizione del procedimento.

Egualmente per quanto sostiene al G.T., l’attribuzione di compiti di vigilanza sugli istituti che ospitano minori, con obbligo di segnala-zione al T.M. di eventuali situazioni di abbandono, la previsione di competenze in tema di affidamento familiare c.d. consensuale, la non chiara funzione per quanto attiene alle tutele provvisorie dei minori dichiarati adottabili, le delicate ma non meglio specificate funzioni di vigilanza attribuitegli dall’art. 337 c.c., il mancato coordinamento di alcune disposizioni in tema di protezione in campo patrimoniale, l’ag-giungersi di ulteriori delicati compiti in tema di integrazione della volontà del minore, non accompagnate nè da una previsione di esclu-sività delle funzioni nè da chiare norme di coordinamento con l’atti-vità del Tribunale per i Minorenni o del Tribunale Ordinario, rendono a volte difficile delimitarne i campi di intervento.

Sotto altro profilo, di natura sostanziale, la trasformazione rapi-dissima del contesto sociale e l’avvenuta sempre maggiore affermazio-ne, accanto alla famiglia tradizionale fondata sul matrimonio, della fa-miglia di fatto, rende ormai insoddisfacente la sopravvivenza della tra-dizionale distinzione tra filiazione legittima e filiazione naturale che tutt’ora permea la nostra legislazione e che è un’altra delle linee guida della ripartizione delle competenze tra Tribunale per i Minorenni e Tribunale Ordinario.

Se pure equiparati sotto il profilo dei diritti sostanziali, non sem-bra potersi dubitare che persiste, nel nostro ordinamento, una diver-sa considerazione dell’interesse del minore, a seconda che si tratti di figlio legittimo o naturale, che si traduce non tanto nell’attribuzione della competenza a decidere sull’affidamento ad autorità giudiziarie diverse (Tribunale Ordinario e Tribunale per i Minorenni ex art. 317-bis), quanto nel carattere meramente eventuale e non obbligato dal-l’intervento dell’autorità giudiziaria nell’ipotesi di cessazione della convivenza dei genitori naturali (con rilievo ai fini dell’esercizio della potestà anche della situazione di mero fatto ed addirittura della prio-rità del riconoscimento) e soprattutto nell’omessa valutazione globa-le delgloba-le esigenze e necessità del minore, con il persistere, a mio avvi-so non più tollerabile, della distinzione tra esigenze affettive ed edu-cative ed esigenze di carattere alimentare e materiale (tema su cui poi tornerò).

Un’altra considerazione, cui ho sopra accennato, si impone. Se da un lato viene vista con sempre maggior favore l’attribuzione di ogni competenza in materia minorile ad un giudice realmente ed effettiva-mente specializzato o comunque l’applicazione generalizzata ad ogni procedimento che coinvolga il minore (anche se attribuito alla cogni-zione di un giudice diverso) del rito della camera di consiglio (rite-nuto per le sue caratteristiche, il più adeguato alla specificità della materia), d’altro lato persiste invece una assoluta insufficenza ed ina-deguatezza delle norme procedurali che regolano detto rito, sì che viene in sostanza rimesso alla discrezionalità del singolo giudice, ed in campi importantissimi, la garanzia del diritto alla difesa tecnica delle parti.

Pur non nascondendomi la complessità del problema, che coinvol-ge sia la sfera delle private convinzioni morali ed etiche che la sfera dell’interesse pubblico ed in cui convergono troppi temi e paure anche inconscie (timore di una eccessiva intrusione dei giudice nell’ambito della famiglia e delle scelte educative operate dai genitori, timore di una abnorme dilatazione delle competenze del Tribunale per i Mino-renni con creazione di un giudice separato ed isolato dalla magistra-tura ordinaria, timore di accentuazione di presunte tendenze egemo-niche del giudice minorile, ecc.) ritengo che sia però ormai indispen-sabile ed urgente ricondurre a coerenza ed unità un sistema che ormai ne è privo, creando finalmente quel Tribunale dei Minori e della fami-glia, di cui da anni tutti parliamo.

Fatta questa premessa e nell’affrontare più specificamente il tema che mi è stato affidato, cercherò non tanto di esaminare tutte le varie

competenze, attribuite all’una o all’altra autorità giudiziaria, dando per scontata la conoscenza da parte di tutti voi dell’attuale disposto dell’art. 38 disposizioni di attuazione del codice civile (così come mo-dificato dall’art. 68 della L. 184/83) che costituisce la norma portante del sistema di ripartizione, quanto di soffermarsi sugli aspetti più pro-blematici o sugli ambiti di possibile maggiore interferenza degli inter-venti e delle decisioni attinenti ai minori ed alla famiglia. Certo non può non sottolinearsi l’anomalia di una modifica della ripartizione delle tradizionali competenze introdotta, quasi incidentalmente, da una legge programmativamente destinata a disciplinare esclusiva-mente l’adozione e l’affidamento etero-familiare del minore, il che spiega forse alcune delle incongruenze che mi sforzerò di sottolineare.

Non mi occuperò quindi nel mio intervento né del tema dell’ab-bandono e dell’adozione (in cui è pacifica la competenza esclusiva del T.M.) né del tema della tutela in senso tecnico dei minori orfani e degli interdetti (demandata al G.T.) ed anche ai provvedimenti del T.M., limitativi o ablativi della potestà genitoriale ex artt. 330 e 333 c.c., accennerò nei limiti della possibile interferenza con le compe-tenze del T.O..

La famiglia unita: le scelte di indirizzo della vita familiare, l’intervento del giudice e le competenze.

La riconosciuta parità tra i coniugi e l’esercizio congiunto della potestà sui figli introdotta dalla legge di riforma del diritto di famiglia del ’75, hanno indotto il legislatore ad ipotizzare il possibile insorgere di contrasti sull’indirizzo della vita familiare e sulle decisioni di mag-giore importanza per i figli, offrendo alcuni schemi di soluzione del conflitto, di cui non è facile comprendere la logicità.

L’art. 145 c.c., la cui collocazione nel capo attinente alla regola-mentazione dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio, sem-brerebbe limitare l’àmbito del conflitto ai soli coniugi (ma ciò è smen-tito dalla prevista possibilità dei giudice di sentire i figli conviventi che abbiano superato il sedicesimo anno di età) prevede un anomalo inter-vento da parte addirittura del Pretore, cui viene attribuita in prima battuta, una funzione conciliativa ed, in seconda battuta, una funzio-ne decisoria, ma solo ove sia richiesto espressamente e congiunta-mente da entrambi i coniugi. Sull’utilità di tale norma (di fatto abba-stanza desueta) ed in specie sull’opportunità di una competenza del Pretore è lecito dubitare.

L’art. 316 c.c. prevede invece, ove il contrasto attenga all’esercizio della potestà sui figli, l’intervento, sempre su ricorso dei genitori, del Tribunale per i Minorenni riconoscendo peraltro la legittimazione del padre, in caso di incombente pericolo di pregiudizio per il figlio, all’a-dozione dei provvedimenti urgenti ed indifferibili (e qui certo potreb-be dubitarsi della legittimità costituzionale di tale previsione) e d’altro lato attribuendo al T.M. non già un potere di decisione (il T.M. si limi-ta a suggerire le determinazioni che ritiene più utili) ma di delega della decisione (se il contrasto persiste attribuisce il potere di decisione al genitore che, nel caso specifico, ritenga più idoneo a curare l’interesse del figlio). Anche in questo caso la formulazione della norma suscita perplessità così come non è facile stabilire il confine (specie per il rife-rimento al pericolo di grave pregiudizio per il figlio) tra l’intervento del T.M. ai sensi dell’art. 316 c.c. e quello, con ben più ampi poteri, previsto dall’art. 333 c.c..

L’art. 318 c.c. (e se ne parla qui per evidenti ragioni di connessio-ne) attribuisce invece agli G.T., sempre su ricorso dei genitori, il com-pito di richiamare il figlio che si sia allontanato senza permesso dalla casa familiare. Ora la fuga del minore è non solo spesso sintomo di una situazione di grave disagio o di scelte educative genitoriali del tutto inidonee (scelte su cui il G.T. peraltro non ha competenza alcu-na per intervenire) ma è indicativa comunque di ualcu-na situazione di rischio che, a mio avviso, merita l’attenzione, ben più incisiva quanto alla possibilità di assumere i necessari provvedimenti del Tribunale per i Minorenni. Se da un lato è chiara la timidezza del legislatore, for-s’anche giustificata, nell’intervenire nei contrasti intra familiari e la finalizzazione delle disposizioni citate alla preservazione dell’unità della famiglia, d’altro lato non è facile individuare la logica della dif-ferenziazione di competenze.

La frattura della coppia genitoriale: i provvedimenti sull’affidamento del minore e sull’esercizio della potestà.

Sembra addirittura superfluo ricordare che attualmente il Tribu-nale Ordinario è competente in tutti i casi di separazione, divorzio e annullamento del matrimonio sia per l’affidamento dei figli sia per la determinazione del contributo per il mantenimento a carico del geni-tore non affidatario. Nei casi di cessazione della convivenza di fatto, invece, il Tribunale per i Minorenni è competente in ordine all’affida-mento dei figli, mentre il Tribunale Ordinario è competente per le

sta-tuizioni economiche. Al G.T. è poi attribuito dall’art. 337 c.c. un com-pito di vigilanza sull’osservanza delle condizioni stabilite dal Tribuna-le per l’esercizio della potestà genitoriaTribuna-le e l’amministrazione dei beni dei minori. Detta norma, che, per la sua ubicazione (è infatti situata in chiusura di una serie di disposizioni che prevedono provvedimenti li-mitativi o ablativi della potestà genitoriale emessi dal Tribunale per i Minorenni), sembrerebbe riferirsi ai soli provvedimenti del T.M. è stata interpretata estensivamente così da ricomprendere anche la vigi-lanza su tutte le condizioni stabilite dal Tribunale Ordinario – nel cor-so dei giudizi di separazione e divorzio – in punto affidamento dei figli minori e connessi diritti ed obblighi dei genitori.

Non mi soffermerò ulteriormente sull’esigenza di garantire l’uni-tarietà dell’intervento giudiziario nei confronti dell’intero nucleo familiare nei casi di disgregazione della coppia genitoriale e sulla mancanza di giustificazione delle attuali diversità di competenze per l’affidamento dei figli nelle ipotesi di separazione della coppia coniu-gata e di cessazione della famiglia di fatto (problema che attiene all’auspicata riforma), limitandomi a rilevare che proprio nell’ambito della frattura del matrimonio, pur essendo apparentemente chiara sotto un profilo giuridico astratto la suddivisione delle competenze, di fatto, si verifica poi il maggior rischio di interferenza tra gli inter-venti del Tribunale Ordinario, del Tribunale per i Minorenni e del G.T.. È infatti assai frequente, in caso di separazione conflittuale, il contestuale ricorso delle parti in conflitto a tutte e tre le autorità giu-diziarie (al Tribunale Ordinario per la modifica dei provvedimenti, al Tribunale per i Minorenni per gli interventi ex artt. 330 e 333 c.c. e al G.T. per l’intervento di vigilanza ex art. 337 c.c.) con possibilità di decisioni contrastanti e comunque con l’indubbio pericolo di incre-mentare anziché di risolvere la conflittualità, a tutto discapito dei fi-gli minori pesantemente coinvolti.

Emblematico in tal senso è il tema della revisione dei provvedi-menti del giudice della separazione. Nonostante sia stato più volte af-fermato che la competenza a conoscere della domanda di revisione delle disposizioni relative all’affidamento dei figli adottate dal giudice civile in sede di separazione, di scioglimento o di nullità del matrimo-nio spetta al Tribunale Ordinario e non al Tribunale per i Minorenni, cui devono ritenersi riservate esclusivamente le ipotesi in cui, come causa della modifica delle condizioni di affidamento, si richieda un intervento ablativo o limitativo della potestà genitoriale a norma degli artt. 330 e 333 c.c., non vi è dubbio che è poi in pratica e spesso diffi-cile individuare criteri certi di distinzione delle competenze. Nella

maggior parte dei casi, a fondamento della richiesta di modifica del-l’affidamento o delle modalità di frequentazione, viene assunto il com-portamento pregiudizievole dell’uno o dell’altro genitore nei confronti del figlio minore, per cui difficilmente può farsi riferimento al criterio della causa petendi. Ma egualmente ardua risulta l’applicazione del criterio del petitum, ove si consideri l’estrema indeterminatezza dei provvedimenti riservati alla competenza del Tribunale per i Minoren-ni ai sensi dell’art. 333 c.c..

Eguali problematiche si pongono con riferimento alla determina-zione della competenza a decidere sul ricorso del genitore non affida-tario avverso le decisioni che ritiene pregiudizievoli all’interesse del figlio. È indubbio che l’art. 155 c.c. radica la competenza avanti al Tri-bunale Ordinario, ma anche in questo caso, e specie ove il proce-dimento di separazione non sia più pendente (dovendosi in linea gene-rale ritenere eccezionale un intervento del T.M. nel corso del giudizio avanti al Tribunale Ordinario), appare non semplice la distinzione tra scelta e condotta pregiudizievole. Il pericolo di decisioni contradditto-rie e di strumentalizzazione dell’attività dei vari giudici appare evi-dente.

Sempre sotto il profilo della distribuzione delle competenze, mi sembra poi abbastanza incoerente con il sistema disegnato dall’ordi-namento e con le stesse connotazioni dell’istituto, come ho già accen-nato all’inizio, la riconosciuta possibilità del Tribunale Ordinario di adottare un provvedimento di affidamento etero-familiare del minore ex lege 184/83 (art. 6, comma 8, della legge sul divorzio applicabile an-che in sede di separazione).

Ove infatti venga accertata l’inadeguatezza di entrambi i genitori e la conseguente impossibilità di procedere all’affidamento del figlio all’uno o all’altro, sembrerebbe evidente la necessità per il giudice civi-le di declinare la propria competenza a favore del Tribunacivi-le per i Mi-norenni.

La necessaria indicazione della presumibile durata dell’affida-mento etero-familiare di natura giudiziale, la necessità della vigilanza continua e dell’individuazione del servizio territoriale a ciò delegato, con obbligo di riferire al giudice, ed in particolare la prevista cessa-zione dell’affidamento con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, sono tutti elementi, a mio avviso, incompatibili con una competenza destinata a risolversi con l’emissione del provvedimento.

Quanto meno andava previsto un qualche raccordo con la disci-plina dettata dai primi 5 articoli della L. 184/83, nel rispetto della distinzione ivi effettuata tra affidamento c.d. consensuale e

affida-mento c.d. giudiziale. Ed invece salta fuori inopinatamente una com-petenza del G.T..

La disposizione del 10° comma dell’art. 6 della legge sul divorzio (nel testo modificato dalla l. n. 74/87 che, dopo aver stabilito che all’at-tuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento provvede il giudice del merito ed in caso di affidamento etero-familiare anche d’ufficio, prevede poi “che a tal fine (quale?) copia del provvedimento di affida-mento sia trasmesso al G.T.” mi è sempre parsa incomprensibile.

Intendo soffermarmi un attimo su detta norma perché è sintoma-tica del vezzo del nostro legislatore di introdurre, quasi di straforo, importanti princìpi in ordine alle competenze senza alcun

Intendo soffermarmi un attimo su detta norma perché è sintoma-tica del vezzo del nostro legislatore di introdurre, quasi di straforo, importanti princìpi in ordine alle competenze senza alcun