CORSI DI FORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE PER I MAGISTRATI
IL PROCESSO CIVILE MINORILE
FRASCATI, 22-24 giugno 1995, 9-11 giugno 1996, 9-11 giugno 1997, 18-20 giugno 1998
ROMA, 29 settembre-3 ottobre 1998, 13-17 ottobre 1997
QUADERNI
Consiglio Superiore della Magistratura del
QUADERNI DEL
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Anno 2000, Numero 109
Pubblicazione interna per l’Ordine giudiziario curata dalla Nona commissione tirocinio
e formazione professionale
INDICE
Premessa . . . 9
IL PROCESSO CIVILE MINORILE
CAPITOLOI
IL PROCESSO CIVILE DAVANTI AL TRIBUNALE PER I MINORENNI
Giuseppe TRISORIO LIUZZI – L’attuazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa nel processo civi-
le minorile . . . 13 Elisa CECCARELLI – Il processo civile minorile . . . 49 Cesare CASTELLANI – Il processo civile minorile . . . 81 Giovanna MARCAZZAN – Ripartizione delle competenze
tra Tribunale per i Minorenni, Tribunale Ordinario e Giudi-
ce Tutelare . . . 103 Alfio FINOCCHIARO – Il giudizio per la dichiarazione giu-
diziale per la genitura naturale. Rito applicabile. L’istrutto-
ria . . . 119 Maria Lidia DE LUCA – L’audizione del minore nel proces-
so civile come diritto e come strumento probatorio . . . 165 Anna Maria DELL’ANTONIO – L’ascolto del minore nei pro-
cedimenti civili . . . 185
Franco OCCHIOGROSSO – Il ruolo del P.M. nei procedi-
menti civili minorili . . . 195 Paola DE BENEDETTI – Il ruolo dell’avvocato nei procedi-
menti civili minorili . . . 275
CAPITOLOII I SERVIZI SOCIALI
DENTRO E FUORI DEL PROCESSO Francesco MAZZA GALANTI – Giudice minorile e servizi
sociali . . . 283 Antonio SCARPULLA – I rapporti con i servizi amministra-
tivi territoriali . . . 297 Paolo VERCELLONE – I rapporti del Tribunale Ordinario,
del Tribunale per i Minorenni e del Giudice Tutelare con il
mondo dei Servizi Sociali . . . 313
CAPITOLOIII
LA TUTELA INTERNAZIONALE DEI DIRITTI DEL MINORE
Giuseppe SALMÈ – Il minore nelle norme di diritto interna-
zionale privato . . . 335 Andrea BONOMI – Provvedimenti concernenti minori e
diritto internazionale privato. Il problema della legge appli-
cabile al minore straniero . . . 347 Francesco MALAGNINO – Le nuove competenze dell’Auto-
rità Centrale previste dalla L. 64/1994 . . . 405 Lamberto SACCHETTI – Protezione del minore e diritto in-
ternazionale. In particolare: la sottrazione del minore . . . . 429 Oscar KOVERECH – Esperienze e pratica delle Autorità Cen-
trali convenzionali in materia di sottrazione dei minori . . . 441
CAPITOLOIV
L’ESECUZIONE DEI PROVVEDIMENTI Elisa CECCARELLI – L’esecuzione dei provvedimenti relati-
vi alla persona del minore . . . 475 Ignazio PATRONE – Strategie esecutive degli obblighi di
mantenimento del minore tra tutela civile e tutela penale . . 497
CAPITOLOV
IL GIUDICE TUTELARE
Piercarlo PAZÉ – Le tutele dei minori e degli interdetti e la
promozione dei nuovi diritti degli incapaci . . . 519 Giovanna MARCAZZAN – Gli interventi di volontaria giuri-
sdizione di competenza del Giudice Tutelare nel rettore dei
rapporti patrimoniali dell’incapace . . . 551 Antonino Luigi SCARPULLA – Le altre competenze del Giu-
dice Tutelare previste nelle leggi speciali . . . 565
CAPITOLOVI
ADOZIONE E AFFIDAMENTO
Gustavo SERGIO – Consulenze, relazioni tecniche, apporti dei componenti privati in tema di affidamento e di adozio-
ne dei minori . . . 577 Marco LAGAZZI – Consulenze, relazioni tecniche, apporti
dei componenti privati in tema di affidamento e di adozione
dei minori . . . 597 Maria Grazia RUGGIANO – L’affidamento consensuale e l’in-
serimento del minore negli istituti . . . 611 Lamberto SACCHETTI – Affidamento preadottivo, diritto e
metodologia, questioni di varia natura . . . 629
Carmela CAVALLO – Adozione e affidamento “dietro le
quinte” . . . 643 Francesco VILLA – Adozione e affidamento “dietro le
quinte” . . . 679 Anna Maria DELL’ANTONIO – Gli adottati stranieri . . . 687 Paola RONFANI – Adozione e affidamento nella prospettiva
antropologica e sociologica . . . 707 Marisa MALAGOLI TOGLIATTI – I minori e le famiglie
multiproblematiche . . . 721
CAPITOLOVII
MINORE E MASS MEDIA
Gustavo SERGIO – Libertà d’informazione e tutela dei sog- getti deboli. La tutela del minore, l’attuazione del diritto di
uguaglianza, la garanzia della dignità personale . . . 735
APPENDICE
Risposta del C.S.M. al quesito circa l’esistenza di compe- tenze civili della Sezione di Polizia Giudiziaria della Procu-
ra presso la Pretura circondariale . . . 763 Delibera dell’Assemblea Plenaria del C.S.M. 20 maggio 1998
sui componenti privati del Tribunale per i Minorenni . . . . 768
PREMESSA
Vengono raccolte in questo volume dei Quaderni del C.S.M. le relazioni svolte in numerosi incontri di studio dedicati al diritto civi- le minorile ed alla formazione dei magistrati dei Tribunali per i Mino- renni (incontri di studio per giudici minorili del 22-24 giugno 1995, 9-11 giugno 1996, 9-11 giugno 1997, 18-20 giugno 1998; incontro di aggiornamento professionale per lo svolgimento delle funzioni di giu- dice minorile, 29 settembre-3 ottobre 1998; incontro di studio per uditori giudiziari in tirocinio mirato, 13-17 ottobre 1997); le stesse rappresentano un importante momento di riflessione, svolto anche con il prezioso apporto di esperti in discipline extragiuridiche, sulle problematiche fondamentali del processo minorile (la garanzia del contraddittorio, il diritto di difesa, il rito applicabile, il ruolo dei vari soggetti processuali, il rapporto con i servizi sociali), sull’adozione e sull’affidamento, sulla tutela internazionale del minore e sulle que- stioni da affrontare e risolvere allorquando il minore da tutelare è straniero.
In appendice vengono riportate, per comodità di consultazione, il parere dell’Ufficio Studi sull’utilizzo della P.G. delle sezioni della Pro- cura presso la Pretura, e la Circolare del C.S.M. sui componenti ono- rari dei Tribunali per i Minorenni.
Siamo dunque di fronte ad uno spunto per l’approfondimento e ad un valido strumento operativo per la risoluzione di molti proble- mi che l’attività giurisdizionale in un settore tanto delicato pone.
C
APITOLOI
IL PROCESSO CIVILE DAVANTI AL TRIBUNALE
PER I MINORENNI
L’ATTUAZIONE DEL PRINCIPIO
DEL CONTRADDITTORIO E DEL DIRITTO DI DIFESA NEL PROCESSO CIVILE MINORILE (*)
Relatore:
Dott. Giuseppe TRISORIO LIUZZI
Associato di teoria generale del processo nell’Università di Bari
SOMMARIO: 1. Premesse. – 2. La competenza del Tribunale per i Minorenni ed il rito applicato. – 3. L’applicazione generalizzata del rito camerale – 4. La Corte Costituzionale e il rito camerale. – 5. Il procedimento camerale e alcune prassi “autoritarie”. – 6. Il principio del contraddittorio ed il diritto di dife- sa costituiscono punti fermi anche nel processo camerale. – 7. La difesa tec- nica. – 8. L’instaurazione del contraddittorio. – 9. I diritti e le facoltà delle parti. Il diritto alla prova. – 10. L’emanazione dei provvedimenti tempora- nei. – 11. La motivazione del provvedimento ed il reclamo. – 12. I poteri ufficiosi del giudice. Il giudice delegato. – 13. Conclusioni.
1. – Premesse.
Si afferma comunemente che il fine principale del processo civile minorile è il perseguimento degli interessi del minore (1).
Tanto è vero che la Convenzione sui diritti del fanciullo sottoscrit- ta a New York il 20 maggio 1991, n. 176, nel fissare un vero e proprio statuto del giusto processo legale in materia familiare, statuisce all’art.
3 che “in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse del fan- ciullo deve avere una considerazione preminente”.
Sta di fatto che la stessa Convenzione non si limita a tale enun- ciazione, ma in altre successive disposizioni prevede che il minore non
(*) Relazione presentata all’incontro di studio sul tema “I giudici minorili” svol- tosi a Frascati nei giorni 9-11 giugno 1997 organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura.
(1) V. per tutti SERGIO, Rottura dell’unità familiare e tutela giuridica dei figli mino- ri: competenza e procedura, in Questione giustizia, 1986, 399.
deve essere separato dai genitori contro la loro volontà, “a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudi- ziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che que- sta separazione è necessaria nell’interesse preminente del fanciullo”
(art. 9, 1° comma); che, in caso di separazione del minore dai genito- ri, le parti interessate “devono avere la possibilità di partecipare alle deliberazioni e di far conoscere le loro opinioni” (art. 9, 2° comma);
che il minore ha “il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa”, opinione che deve essere presa in considerazione “tenendo conto della sua età e del suo grado di matu- rità”, sicché lo stesso minore deve essere posto in condizione “di esse- re ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo con- cerne” (art. 12) (2).
Ecco allora che a fronte dell’interesse preminente del minore si pone comunque l’esigenza di assicurare ai soggetti che risultano coin- volti dal provvedimento giudiziale, soggetti che sono titolari di diritti soggettivi e di status, il diritto di far valere le proprie ragioni, ossia di garantire il diritto di difesa.
Non voglio assolutamente nascondere la particolare delicatezza del problema, atteso che un rafforzamento delle garanzie del contrad- dittorio ben può incidere sull’efficienza e sulla rapidità dell’intervento;
ma neppure penso che sia possibile escludere che, proprio dal con- fronto fra gli interessi del minore e quelli degli altri soggetti coinvolti dalla decisione giudiziale, il giudice possa meglio intervenire e risolve- re la situazione concreta sottoposta al suo esame nell’interesse premi- nente del minore.
2. – La competenza del Tribunale per i Minorenni ed il rito applicato.
Ho ritenuto opportuno iniziare questa relazione con l’individua- zione delle materie attribuite alla competenza del Tribunale per i Mi- norenni, al fine di porre in evidenza come vi siano situazioni nelle quali non si tratta soltanto di gestire e risolvere gli interessi dei mino- ri, ma risultano coinvolti soggetti titolari di veri e propri diritti sogget- tivi e di status, nei confronti dei quali si pone il problema di assicura-
(2) Sulla Convenzione di New York v., per tutti CIVININI, I procedimenti in came- ra di consiglio, in Torino, 1994, II, 515; GRAZIOSI, Note sul diritto del minore ad essere ascoltati nel processo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1992, 1281.
re la loro partecipazione nel processo civile minorile (3). L’art. 38, 1°
comma, disp. att. c.c., norma modificata prima con la legge 19 mag- gio 1975, n. 151 (art. 221) e successivamente con la legge 4 maggio 1983, n. 184 (art. 68), assegna alla competenza del Tribunale per i Mi- norenni una serie di provvedimenti e precisamente quelli contemplati negli artt. 84 (ammissione al matrimonio del minore che abbia com- piuto sedici anni allorché ricorrono gravi motivi) (4), 90 (nomina di un curatore speciale che assista il minore nella stipulazione delle conven- zioni matrimoniali), 171 (amministrazione del fondo patrimoniale in presenza di minori, con la possibilità di attribuire loro una quota dei beni), 194, 2° comma (costituzione dell’usufrutto a favore di un coniu- ge sui beni dell’altro in relazione alle necessità ed all’affidamento della prole), 250 (“consenso” al riconoscimento del figlio minore da parte di un genitore in caso di opposizione dell’altro genitore), 252 (affida- mento del figlio naturale ed inserimento nella famiglia legittima), 262 (attribuzione del cognome del padre al figlio minore), 264 (autorizza- zione all’impugnazione del riconoscimento e nomina di un curatore speciale), 316 (determinazioni in tema di esercizio della potestà dei ge- nitori, quando fra i genitori vi sia contrasto; v. anche l’art. 320), 317-bis (esclusione della potestà in caso di figlio naturale), 330 (decadenza del genitore dalla potestà), 332 (reintegrazione nella potestà del genitore decaduto), 333 (provvedimenti alternativi alla decadenza e allontana- mento dalla residenza familiare), 334 (rimozione dei genitori dall’am- ministrazione del patrimonio del minore e nomina di un curatore), 335 (riammissione nell’esercizio dell’amministrazione), 371, 2° com- ma (autorizzazione alla continuazione dell’esercizio provvisorio del- l’impresa), 269, 1° comma (dichiarazione giudiziale di paternità o ma- ternità naturali in caso di minori) (5).
(3) V. al riguardo di recente CIVININI, I procedimenti camerali in materia familia- re e di protezione degli incapaci, in Famiglia e diritto, 1996, 161 ss., nonché della stessa Autrice I procedimenti, cit., II, 519 ss..
(4) Per un caso recente v. Trib. Min., 5 giugno 1995, in Dir. famiglia, 1996, 183 ed ivi numerose indicazioni di dottrina e di giurisprudenza.
(5) La competenza è attribuita con riferimento al giudizio di merito; la giurispru- denza e la dottrina hanno tuttavia esteso la competenza del Tribunale per i Minorenni anche al giudizio di ammissibilità dell’azione, di cui all’art. 274 c.c., che costituisce l’an- tecedente necessario della successiva fase che investe il merito della causa, V. su tale aspetto, fra gli altri, LA GRECA, Tribunale per i Minorenni, voce del Noviss. Dig. It., Ap- pendice, VII, Torino, 1987, 876; A. FINOCCHIARO-M. FINOCCHIARO, Disciplina del- l’adozione e dell’affidamento dei minori, Milano, 1983, 552; CIVININI, I procedimenti, cit., II, 809; Cass. 9 giugno 1989, n. 2797, in Foro it. Rep., 1989, voce Filiazione, n. 49.
Altre ipotesi di competenza sono previste negli artt. 34 disp. att.
c.c. (che rinvia all’art. 279, 1° comma, domanda del figlio naturale per ottenere il mantenimento, l’istruzione e l’educazione), 35 disp. att. c.c.
(in tema di riconoscimento di figli incestuosi – 1° comma che rinvia all’art. 251, 1° comma, c.c. – e di legittimazione del figlio naturale – art. 282 c.c.) e 40 disp. att. c.c. (in tema di interdizione del minore emancipato e interdizione o inabilitazione del minore nell’ultimo an- no della minore età), nonché nella legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione e di affidamento dei minori.
Infine l’art. 45 disp. att. c.c. stabilisce la competenza del Tribuna- le per i Minorenni sui reclami avverso i decreti del giudice tutelare, ad eccezione dei provvedimenti indicati negli artt. 320, 321, 372, 373, 374, 376, 2° comma, 386, 394 e 395 c.c..
A questa ampia attribuzione di competenza per materia (6) (nel corso degli anni si è assistito ad un progressivo aumento della compe-
Nel senso che “la competenza generale sulla modificazione delle condizioni di eserci- zio della patria potestà dei genitori sui figli (quali previste in sede di separazione con- sensuale, di separazione personale, di annullamento, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio), appartiene al Tribunale Ordinario, mentre rimangono nella competenza del Tribunale dei Minorenni, oltre ai provvedimenti che incidono sulla titolarità della potestà dei genitori ex art. 330 c.c., anche quelli che incidono sul suo esercizio nell’àmbito della fattispecie dell’art. 333 c.c.” v. da ultima Cass. 11 aprile 1997, n. 3159, Guida al diritto, 1997, 19, 49, che precisa inoltre che “la fattispecie del- l’art. 333 c.c. si distingue da quella degli art. 155 e 317, 2° comma, c.c. per il fatto che quest’ultima presuppone la famiglia legale fondata sul matrimonio, nonché la penden- za (o l’avvenuta definizione con omologa o con sentenza nei casi di modifica), di una causa di separazione consensuale, di separazione legale, di annullamento, di sciogli- mento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili, mentre l’art. 333 dispone sol- tanto per i casi di matrimonio senza separazione legale, o comunque per i casi di sepa- razione di fatto dei genitori, coniugati o non”. Con la suddetta decisione la Cassazione fa propria l’interpretazione prospettata dalle Sezioni Unite con la sentenza 2 marzo 1983, n. 1551, in Foro it., 1983, I., 896 con nota critica di CIVININI. Su tale punto v.
inoltre LUISO, Una giurisdizione per i minori, in Riv. Dir. Civ., 1995, I, 182 ss.; CIVINI- NI, I procedimenti, cit., II, 532 ss. ID., I procedimenti camerali in materia familiare, cit., 167; PAZÉ-VERCELLONE, L’intervento del Tribunale per i Minorenni per il figlio di geni- tori separati, in Dir. Famiglia, 1984, 1132.
(6) Per quanto concerne la competenza per territorio l’art. 49 del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 stabilisce che “il Tribunale per i Minorenni ha giurisdizione su tutto il ter- ritorio della Corte d’Appello, nei limiti ti competenza determinata dalla legge”. V. anche l’art. 3 R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404, per il quale “il Tribunale per i Minorenni ha giu- risdizione su tutto il territorio della Corte d’Appello o della Sezione di Corte d’Appello in cui è istituito”. Su tale aspetto v. LUISO, Una giurisdizione, cit., 185; MORO, Mi- norenni (Tribunale per i), voce dell’Enc. dir., XXVI, Milano, 1976, 573; CIVININI, I pro- cedimenti, cit., I, 107.
tenza in campo civile del Tribunale per i Minorenni, se si fa eccezione per la legge che, abbassando la maggiore età da ventuno a diciotto anni, ha inevitabilmente comportato la devoluzione di una fetta di questioni al Tribunale Ordinario (7)) fanno riscontro poche e scarne disposizioni in tema di rito, di procedura da applicare alla materia de qua, disposizioni a volte di non sempre agevole individuazione.
Così l’art. 38 disp. att. c.c. al terzo comma stabilisce che “in ogni caso il Tribunale provvede in camera di consiglio sentito il Pubblico Ministero”. La previsione della camera di consiglio la ritroviamo ripe- tuta negli artt. 84 (ove si richiede che siano sentiti il Pubblico Mini- stero, i genitori o il tutore) e 264.
Qualche dato in più è previsto nell’art. 336 c.c., rubricato, peral- tro, “procedimento”, che, a proposito dei provvedimenti contemplati negli artt. 330-335, dopo avere indicato i soggetti legittimati (1°
comma), statuisce che “il Tribunale provvede in camera di consiglio, assunte sommarie informazioni e sentito il Pubblico Ministero. Nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questo deve essere sentito”.
La previsione della camera di consiglio la ritroviamo inoltre nella legge 4 maggio 1983, n. 184 relativamente sia all’affidamento (art. 4, che rinvia agli artt. 330 e segg. c.c.), sia all’adozione (artt. 10 – dichia- razione di adottabilità; 23 – affidamento preadottivo; 25 – dichiara- zione di adozione, 29 – adozione di minori stranieri). Dalla lettura di tutte queste disposizioni si evince che il rito previsto per i procedi- menti dinanzi al Tribunale per i Minorenni è quello camerale (8).
(7) Legge 8 marzo 1975, n. 39.
(8) Anche il procedimento previsto dall’art. 250 c.c., che pure si conclude con sen- tenza, deve ritenersi che debba svolgersi in camera di consiglio (così CIAN-TRABUC- CHI, Commentario breve al Codice Civile, Padova, 1997, 449; in senso contrario, V. però TOMMASEO, Rito camerale e giudizio di merito nel reclamo di stato di figlio naturale davanti al Tribunale Minorile, in Famiglia e Dir., 1996, 311; LANFRANCHI, Il ricorso straordinario inesistente e il processo dovuto ai diritti, in Giur. it., 1993, IV, 3 ss.). Si discute se l’appello debba svolgersi nelle forme camerali (Cass. 14 gennaio 1981, n. 327, in Foro it., 1981, I, 687; 22 aprile 1981, n. 2383, id., Rep., 1981, voce Filiazione, n. 37) oppure nelle forme del processo ordinario o di cognizione (Cass. 16 giugno 1990. n.
1990, n. 6093, in Giust. civ., 1990, I, 2286, 3 dicembre 1988, n. 6557, in Dir. famiglia, 1989, n. 64; 13 ottobre 1986, n. 5980, in Giust. civ., 1987, I, 582 e in Nuova giur. civ.
comm., 1987, I, 460 ss. con nota di COMOGLIO, Modelli decisori e forma del gravame nel procedimento camerale. L’impugnazione della sentenza ex art. 250 c.c.).
Su tale aspetto v. inoltre le considerazioni di CIVININI, Dichiarazione giudiziale di genitura naturale e rito applicabile innanzi al Tribunale per i Minorenni, in Foro it., 1996, 3076.
Alla base di tale scelta legislativa hanno influito con ogni proba- bilità la crisi (le lungaggini e le disfunzioni) del processo ordinario di cognizione, nonché la particolarità della materia e degli interessi coinvolti, che hanno indotto il legislatore ad optare per un rito, diffe- rente da quello ordinario, caratterizzato da minori formalismi e da maggiore celerità, da un lato, e da maggiori poteri e da un più largo margine di discrezionalità dell’organo decidente, dall’altro; un rito che è in grado di giungere in un tempo ragionevole (se non proprio rapido) alla tutela dell’interesse preminente del minore. Particolarità della materia e degli interessi in discussione che hanno spinto il legi- slatore ad assegnare la materia minorile ad un giudice specializzato (art. 102 Cost.) (9). Qualche perplessità, come è noto, è sorta riguardo al procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità e mater- nità nel caso di minori, in quanto ad una tesi, seguita anche in alcune pronunce dalla Cassazione (10), che afferma che in questo caso il pro- cedimento dinanzi al Tribunale per i Minorenni deve svolgersi nelle forme contenziose, attenendo allo status di figlio naturale, si contrap- pone un altro orientamento, seguito da altre decisioni della Cassazio- ne (11), per il quale il rito applicabile è quello camerale, un orienta- mento, quest’ultimo, che trova un autorevole sostegno nella decisione con cui la Corte Costituzionale (12) ha dichiarato manifestamente in-
(9) V. per tutti ANDRIOLI, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, I, 106, il quale appunto sottolinea come “la genericità della formula” dell’art. 102 “non impedirà al legislatore di cogliere la particolarità della materia nella peculiarità degli interessi poli- tici sociali ed economici, che ne rappresentano il substrato”.
(10) Cass. 14 febbraio 1994, n. 1448, in Foro it., 1994, I, 1018; 25 luglio 1992, n.
8981, id., Rep. 1992, voce Filiazione, n. 78; 6 maggio 1991, n. 4997, id., Rep., 1991, voce Appello civile, n. 47. Per la giurisprudenza di merito v. App. Perugia, 1° agosto 1988, id., Rep. 1989, voce Competenza civile, n. 48; Trib. Min. Roma, 15 giugno 1985 e Trib. Min.
Catania, 9 marzo 1985, in Giust. civ., 1985, 2603; In dottrina v. TOMMASEO, Rito ca- merale e giudizio di merito, cit., 308 ss.; A. FINOCCHIARO, La forma ed il procedimento dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale innanzi al Tri- bunale per i Minorenni, in Giust. civ., 1985, I, 2606 ss.; CIVININI, Dichiarazione giudi- ziale, cit., 3076; CARLINI, Diritto di difesa nel procedimento avanti al T.M. per l’accerta- mento della paternità e maternità naturale, in II nuovo diritto, 1987, 405 ss.; MANERA, Questioni ricorrenti in tema di dichiarazione giudiziale di paternità, id., 1987, 854 ss..
(11) Cass. 7 febbraio 1996, in Foro it., Mass., 1996, 105; 11 settembre 1993, n.
9477, id., Rep. 1993, voce Filiazione, n. 75; 25 febbraio 1993, n. 2326, ibid., n; 74; 19 marzo 1992, n. 3416, in Dir. famiglia, 1992, 619; 27 gennaio 1992, n. 864, in Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 66; 6 agosto 1991, n. 8567, id., Rep. 1991, voce cit., n. 63; 29 marzo 1989, n. 505, id., Rep. 1989, voce Competenza civile, n. 46.
(12) Corte Cost. 30 giugno 1988, n. 748, in Giur. Cost., 1988, 3439.
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, 3° com- ma, d.a.c.c., nella parte in cui stabilisce che sulle domande di dichia- razione giudiziale di paternità o maternità di figli naturali minori il Tribunale per i Minorenni “provvede in camera di consiglio”. Il con- trasto è stato risolto dalle Sezioni Unite con sentenza 19 giugno 1996, n. 5629 (13), le quali hanno affermato la natura camerale del giudizio di merito, non senza che ulteriori critiche fossero avanzate dalla dot- trina (14).
3. – L’applicazione generalizzata del rito camerale.
Se si analizzano con attenzione le varie fattispecie attribuite alla competenza del Tribunale per i Minorenni, si può vedere come il legi- slatore abbia previsto il rito camerale indistintamente non solo per quelle ipotesi nelle quali il provvedimento del giudice è destinato ad essere dato nei confronti di una sola parte, ossia quella che ha dato impulso al procedimento e che la dottrina ha indicato come “procedi- menti camerali unilaterali”, ma anche per quelle nelle quali il decreto è dato in confronto di più parti, che pertanto devono partecipare al procedimento e che in dottrina sono indicati come “procedimenti camerali bi o plurilaterali” (15).
Non solo; va infatti sottolineato che il rito camerale è stato previ- sto sia per quei casi nei quali si pone un problema di gestione di un interesse, di un affare dei minori, nei quali il giudice effettua una valu- tazione di mera opportunità in merito a quell’affare, senza incidere su diritti altrui, situazioni che il legislatore ben poteva anche non affida- re al giudice (pensiamo alla ammissione al matrimonio del minore ultrasedicenne, art. 84 c.c.; alla nomina di un curatore speciale che
(13) In Foro it., 1996, I, 3070 con nota critica di CIVININI.
(14) TOMMASEO, Riro camerale, cit., 308 ss.; CIVININI, Dichiarazione giudiziale, cit., 3076.
(15) La distinzione dei procedimenti in camera di consiglio in procedimenti uni- laterale e bi o plurilaterali si deve a FRANCHI, L’incompetenza nella giurisdizione volon- taria, in Riv. dir. civ., 1955, I, 117 e ad ANDRIOLI, Il processo civile non contenzioso, in Ann. Dir. comp., 1966, 266 ss.; ID., Diritto processuale civile, Napoli, 1979, I, 51 ss.. Tale distinzione può dirsi oggi generalmente recepita. V. fra gli altri PROTO PISANI, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990, I, 409 ss.; LAU- DISA, Camera di consiglio (dir. proc. civ.), voce dell’Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988, V, 2; ARIETA, Procedimenti in camera di consiglio, voce del Digesto, Disc. Priv., XIV, Tori- no, 1996, 454; CIVININI, I procedimenti, cit., I, 78.
assista il minore nella stipulazione delle convenzioni matrimoniali, art. 90 c.c.; all’autorizzazione alla continuazione dell’esercizio provvi- sorio dell’impresa, art. 371 c.c.; alle determinazioni che il giudice ritie- ne più utili ex art. 316, 5° comma, c.c.), sia per quelle situazioni nelle quali la gestione dell’interesse del minore finisce per incidere su dirit- ti e status, quali ad esempio i diritti e gli status dei genitori (pensiamo alle ipotesi della rimozione dall’amministrazione del patrimonio, art.
334, della decadenza dalla potestà, art. 330, dell’allontanamento dalla residenza familiare, art. 333; dell’affidamento dei minori ex art. 4 L.
184/1983) sia procedimenti che hanno ad oggetto diritti soggettivi o status (pensiamo al giudizio di ammissibilità dell’azione per la dichia- razione giudiziale di paternità o maternità naturale, art. 274, alla stes- sa azione per la dichiarazione suddetta, art. 269; al provvedimento che tiene luogo del consenso al riconoscimento del figlio naturale, art. 250 alla dichiarazione dello stato di adottabilità di cui agli artt. 8 e segg. L.
184/1983; alla dichiarazione di adozione ex artt. 25-28 L. 184/1983).
Tale adozione generalizzata ha fatto sorgere in parte della dottri- na più di una perplessità, in quanto si ritiene che la regola nel nostro sistema giudiziario deve essere quella per la quale “la tutela giurisdi- zionale dei diritti e degli status si realizza attraverso processi a cogni- zione piena destinati a concludersi con sentenze … aventi attitudine al giudicato formale e sostanziale” (16). Con la conseguenza che, allor- ché si discute di diritti e di status, il modello da seguire deve essere quello della cognizione piena, in quanto solo tale modello può assicu- rare “che le parti siano titolari, anche nel corso dello svolgimento del processo e non solo di quello della sua messa in moto, di poteri pro- cessuali e non unicamente di soggezioni; che la cognizione … sia nella sua massima parte controllabile in iure (ex art. 360, n. 4, c.p.c.) e non
(16) Così PROTO PISANI, Usi ed abusi, cit., 398. Analoghe perplessità vengono sollevate, fra gli altri, da FAZZALARI, Procedimento camerale e tutela dei diritti, in Riv.
dir. proc., 1990, 909; MONTESANO, Sull’efficacia, sulla revoca e sui sindacati conten- ziosi dei provvedimenti non contenziosi dei giudici civili, in Riv. dir. civ., 1986, 591; “Do- vuto processo” su diritti incisi da giudizi camerali e sommari, in Riv. dir. proc., 1989, 915 ss.; MANDRIOLI, C.d. procedimenti camerali su diritti e ricorso straordinario in cassa- zione, in Riv. dir. proc., 1988, 924; CERINO CANOVA, Per la chiarezza di idee in tema di giurisdizione volontaria e procedimento camerale, in Riv. dir. civ., 1987, I, 485; LAN- FRANCHI, Il ricorso straordinario inesistente e il processo dovuto ai diritti, in Giur. it., 1993, IV, 521 ss.; ID., La cameralizzazione del giudizio su diritti, ID., 1989, IV, 33; CIVI- NINI, I procedimenti, cit., I, 331 ss.; ARIETA, Procedimento in camera di consiglio, cit., 435 ss.; PAGANO, Contributi allo studio dei procedimenti in camera di consiglio, Napo- li, 1996, 28 ss..
rimessa alla discrezionalità del giudice con il suo solo obbligo di moti- vare in modo logicamente corretto (ai fini del controllo ex art. 360, n.
5, c.p.c.) il perché delle sue scelte” (17). Infatti, la differenza che esiste fra i due modelli, quello a cognizione piena e quello camerale, è che nel primo vi è predeterminazione legale del modello di processo, nel senso che il legislatore ha previsto un complesso sistema di regole, di forme e di termini ed ha attribuito alle parti ed al giudice taluni pote- ri, facoltà e doveri, e nel secondo, destinato a concludersi con un prov- vedimento inidoneo al giudicato, le forme e i termini di svolgimento del processo sono per lo più rimessi alla discrezionalità del giudice (18), il quale ha ampi poteri svincolati dall’iniziativa delle parti.
Tali dubbi e perplessità espressi dalla dottrina li ritroviamo anche in alcune decisioni di giudici di merito, i quali, sul presupposto che il rito camerale “non assicura il pieno soddisfacimento del diritto di difesa con tutte le garanzie come pure esigerebbe la natura contenziosa dell’azione di cui si discute” (19), hanno sollevato questione di legittimità costitu- zionale di alcune disposizioni che prevedono l’adozione del rito came- rale anche per alcuni giudizi, aventi natura contenziosa, quali ad esem- pio quello per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità natu- rale in caso di minori (20) o quello per la dichiarazione dello stato di adottabilità di cui agli artt. 10-16 della legge n. 184 del 1983 (21).
(17) Così PROTO PISANI, Usi e abusi, cit., 414, nonché CIVININI, Dichiarazione giudiziale, cit., 3077.
(18) PROTO PISANI, Usi e abusi, cit., 411 s.; CIVININI, Dichiarazione giudiziale, cit., 3077. V. inoltre CIPRIANI, Procedimento camerale e diritto alla difesa, in Riv. dir. proc., 1974, 200, il quale dubita dell’opportunità sul piano politico legislativo che anche “affari bilaterali, contenziosi, volontari o misti che siano” si svolgano con il rito camerale.
(19) Trib. Min. Napoli, 4 dicembre 1986, in Il nuovo diritto, 1987, 401.
(20) Trib. Min. Napoli, 4 dicembre 1986, cit. alla nota precedente; Trib. Min. Bolo- gna, 6 luglio 1985, in Giust. civ., 1986, I, 115. Va ricordato che tale questione è stata in- vece ritenuta manifestamente infondata da Cass. 9 agosto 1985, id., 1986, I, 115, con nota di A. FINOCCHIARO, Costituzionalità della competenza del Tribunale per i Mino- renni in tema di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale e problemi di diritto intertemporale, da Cass. 29 aprile 1992, n. 5141, in Foro it., Rep. 1992, voce Filia- zione, n. 70, da Cass. 29 marzo 1989, n. 1503, id., 1989, voce cit., n. 44, nonché, succes- sivamente, dallo stesso Trib. Min. Napoli, 25 giugno 1987, in Il nuovo diritto, 1987, 845.
(21) Trib. Min. Napoli, 19 settembre 1994, in Famiglia e diritto, 1995, 61 con nota di VULLO, Dubbi alla legittimità costituzionale del procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità. Ma per la manifesta infondatezza della questione di legitti- mità costituzionale delle stesse norme v. Cass. 7 aprile 1993, n. 4151, in Giust. civ., 1993, I, 2377; 28 maggio 1987, n. 4778, in Foro it., Trib. Min. Torino, 11 marzo 1986, in Dir. famiglia, 1986, 632.
4. – La Corte Costituzionale ed il rito camerale.
Da parte sua la Corte Costituzionale, chiamata più volte a pro- nunciarsi al riguardo, ha chiarito che l’adozione del procedimento in camera di consiglio può riguardare anche situazioni tipiche di giuri- sdizione contenziosa, idonee a concludersi con provvedimenti deciso- ri, e che tale adozione “risponde a criteri di politica legislativa, inerenti alla valutazione che il legislatore ha compiuto in relazione alla natura degli interessi regolati ed all’opportunità di adottare determinate forme processuali” (22). Infatti, “il procedimento in camera di consi- glio non è, di per sé, contrastante con il diritto di difesa sancito dal- l’art. 24 Cost.” e ciò che è essenziale è che “vengano assicurati lo scopo e la funzione, cioè la garanzia del contraddittorio, in modo che sia escluso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti”; in particolare che è necessario assicurare che le parti siano convocate in giudizio, siano sentite e possano esporre le loro ragioni; possano farsi assistere da un difensore, il provvedimento conclusivo sia motivato e vi sia un congruo termine per l’impugnazione.
E, con specifico riguardo al procedimento previsto nell’art. 269 c.c. per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità in caso di minori, la Corte Costituzionale con ordinanza del 30 giugno 1988, n.
748 (23), dopo avere riconosciuto che “l’ordinamento conosce vari casi di provvedimenti decisori adottati in camera di consiglio, in cui la pro- cedura è disposta anche in presenza di elementi della giurisdizione contenziosa”, che “l’adozione di tale procedimento … risponde a cri- teri di politica legislativa, inerenti alla valutazione che il legislatore ha compiuto in relazione alla natura degli interessi regolati ed all’oppor- tunità di adottare determinate forme processuali”, che “il procedimen- to in camera di consiglio non è, di per sé, contrastante con il diritto di difesa sancito dall’art 24 Cost.”, che ciò che è rilevante è che l’adozio- ne di siffatto procedimento “non si risolva nella violazione di specifici precetti costituzionali e non sia viziata da irragionevolezza”, che in ta- le procedimento sia assicurata “la garanzia del contraddittorio, in mo- do che sia escluso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti”, ha
(22) Corte Cost. 10 luglio 1975, n. 202, in Foro it., 1975, I, 1575. V. altresì, fra le altre, Corte Cost. 19 dicembre 1966, n. 122, id., 1967, I, 6; 1 marzo 1973, n. 22, in Giur.
Cost., 1973, 253; 17 aprile 1985, n. 103, id., 1985, 639; 30 dicembre 1987, n. 621, id., 1987, 3728; 30 giugno 1988, n. 748, id., 1988, 3439.
(23) In Giur. Cost., 1988, I. 3439.
dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità sol- levata con riferimento al procedimento previsto dagli artt. 269 e segg.
c.c., in quanto da un lato “la difesa è pienamente garantita non solo per ciò che riguarda l’instaurazione del contraddittorio (art. 274-276), ma anche con riferimento all’esperibilità di ‘ogni mezzo’ di prova (art.
269 comma 2°), il che rende possibile … ogni opportuna ‘integrazione del materiale probatorio in funzione delle domande hinc et inde spie- gate’, così da far escludere la temuta riduzione delle ‘modalità di espli- cazione del diritto di difesa se rapportate a quelle vigenti nell’ordina- rio processo di cognizione contenzioso”.
Ecco allora che per la Corte Costituzionale l’adozione del procedi- mento camerale è ben possibile anche allorché si tratta di incidere su diritti e status, a condizione che venga garantito il diritto di difesa san- cito nell’art. 24 Cost.. Ed infatti, il giudice delle leggi, con alcune deci- sioni, ha dichiarato l’incostituzionalità di alcune norme dettate a pro- posito di procedimenti camerali, sia pure in materie differenti da quel- la che stiamo esaminando, allorché la concreta disciplina si presenta- va in contrasto con i principi costituzionali. Ad esempio con sentenza 27 giugno 1968, n. 74 è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 2, 2° comma, legge 14 febbraio 1904, n. 36, sui manicomi e gli alienati, nella parte in cui non permette la difesa dell’infermo nel procedimen- to che si svolge innanzi al tribunale ai fini dell’emanazione del decre- to di ricovero definitivo (24). Sottolinea la Corte in questa decisione che “non è ammissibile che il ricovero definitivo sia ordinato sul fon- damento di istruttorie che all’infermo non è consentito di seguire o di contestare” e che il potere riconosciuto al Tribunale di assumere infor- mazioni ai sensi dell’art. 738 c.p.c., “ai fini del controllo della verità delle prove esibite” non “soddisfa il precetto dell’art. 24, 2° comma, della Costituzione, non potendo tal potere implicare il dovere di con- testare all’infermo l’istruttoria acquisita e di ammetterlo ad una difesa anche ai fini dell’acquisizione di eventuali prove nuove o contrarie”.
Con sentenza del 10 luglio 1975, n. 202 la Corte ha dichiarato l’inco- stituzionalità dell’art 9, 2° comma, legge 1° dicembre 1970, n. 898 (di- sciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nella parte in cui non consente il nominale esercizio della facoltà di prova, dal momen- to che il legislatore ordinario si era limitato a prevedere l’assunzione di informazioni da parte del giudice, una formula ritenuta troppo restrittiva dalla Corte (infatti secondo la Corte per “assunzione di
(24) In Foro it., 1968, I, 2056.
informazioni” doveva intendersi “un mezzo di indagine non formale, ma atipico, consistente tradizionalmente nell’acquisizione di dati for- niti, a richiesta, dalla polizia giudiziaria o dalla pubblica amministra- zione”) (25). Con sentenza 23 marzo 1981, n. 42 la Corte ha inoltre dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 26 del R.D. 16 marzo 1942, n.
267 (disciplina del fallimento) nella parte in cui, pur prevedendosi il reclamo, “non assicura adeguata tutela giurisdizionale ai diritti sog- gettivi coinvolti … Significativa, al riguardo, è soprattutto la somma- rietà del contraddittorio propria di siffatto procedimento, essendo pre- visto che il Tribunale investito del reclamo abbia soltanto la facoltà, e non l’obbligo, di sentire in camera di consiglio le parti” (26).
5. – Il procedimento camerale e alcune prassi “autoritarie”.
L’indagine fino ad ora svolta mostra come, nonostante le critiche sollevate da parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione abbiano mantenuto una posizione costante e ferma a favore della generalizzata adozione del procedimento camerale, sicché mi sembra più realistico prendere atto di tale situazione (fra l’altro il procedimento camerale per la sua par- ticolare e snella struttura meglio si presta a disciplinare la materia dei minori) e concentrare l’attenzione sul procedimento camerale dinanzi al Tribunale per i Minorenni, al fine di verificare se e fino a che punto il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa possano essere attuati, nel rispetto delle esigenze di tutela degli interessi del minore e di celerità, in un procedimento nel quale manca la predeterminazione legale di forme e termini.
Nel passare ad esaminare il procedimento camerale, si deve porre in risalto che esso, se si fa eccezione per il giudizio di opposizione alla dichiarazione dello stato di adottabilità, per il quale è dettata una re- golamentazione specifica nella legge n. 184 del 1983 (27), è discipli- nato in modo scarno negli artt. 737 e segg. del c.p.c.. Le disposizioni dettate indicano la forma che deve assumere la domanda (ricorso: art.
(25) In Foro it., 1975, I, 1575.
(26) In Foro it., 1981, I, 1228.
(27) CERINO CANOVA, Commento all’art. 17 della legge 184/1983, in Commenta- rio al diritto italiano della famiglia diretto da CIAN-OPPO-TRABUCCI, Padova, 1993, VI, 2, 181 ss.; TOMMASEO, Commento all’art. 10-16 della legge 184/1983, id., 98 ss..
737); la figura di un giudice relatore (che riferisce in camera di con- siglio: art. 738, 1° comma); la necessità di trasmettere gli atti al Pub- blico Ministero, allorché questi debba essere sentito (art. 738, 2° com- ma); il potere di “assumere informazioni” (art. 738, 3° comma); la for- ma del provvedimento conclusivo (decreto, salvo che la legge disponga alimenti: art. 737); il reclamo avverso il decreto (entro dieci giorni dalla comunicazione o dalla notificazione: art. 739); l’irreclamabilità del decreto reso dal giudice del reclamo (art. 739, 3° comma); la modi- fica e la revoca del decreto (salvi i diritti dei terzi in buona fede; art.
742); l’efficacia del decreto (una volta scaduti i termini per il reclamo, salvo i casi urgenti: art. 741). Nulla prevedono quelle norme riguardo alla fase introduttiva, alle modalità di attuazione della convocazione, ai termini a comparire, ai rapporti fra il giudice relatore ed il collegio, soprattutto in ordine alla eventuale fase istruttoria, ai poteri delle parti di chiedere mezzi di prova o di produrre documenti o di consultare atti; al potere di farsi assistere da un difensore, ecc..
La situazione non muta se spostiamo l’attenzione alle altre norme sparse nel codice civile: l’art. 336, 2° comma, prevede, in più, che deb- bano essere sentiti il Pubblico Ministero ed il genitore nei cui confron- ti è chiesto il provvedimento.
Di fronte a tale situazione si è affermato che “nel silenzio del legi- slatore è da ritenere che la disciplina di queste pur delicatissime fasi sia rimessa al potere discrezionale del giudice, e sia soggetta all’unico requisito di congruenza della forma con lo scopo di cui agli artt. 1221 e soprattutto 156 c.p.c.” (28).
La scarna disciplina dettata negli articoli suindicati, la mancanza di forme e di modalità predeterminate dalla legge e l’ampia discrezio- nalità riconosciuta del giudice hanno fatto sì che si siano affermate delle prassi molto differenti fra loro, anche in materia di attuazione del contraddittorio e del diritto di difesa. Prassi che hanno dato luogo a critiche e ad allarmi circa la violazione di tali principi costituziona- li. Ad esempio Piercarlo Pazé, in un articolo apparso alcuni anni fa su Questione giustizia (29), ha posto l’accento su talune diffuse “prassi che, in nome dell’efficacia, … hanno accentuato l’impostazione inqui- sitoria ed autoritaria” del sistema legislativo. In particolare, si sono poste in evidenza “prassi degenerative”, come vengono definite:
(28) PROTO PISANI, Usi e abusi, cit., 417 s..
(29) Il processo minorile di volontaria giurisdizione tra prassi autoritarie e incerte prospettive, in Questione giustizia, 1988, 61 ss..
– relativamente ai provvedimenti, di urgenza previsti nell’art. 336, 3° comma, c.c., riguardo ai quali si sottolinea un’inflazione dei prov- vedimenti “assunti al di fuori di reali situazioni di necessità e urgen- za, ma definiti urgenti solo perché non preceduti dal sentire le parti e il Pubblico Ministero”, una “dequalificazione delle informazioni rite- nute sufficienti per fondare i provvedimenti, sempre più spesso rece- pite dall’eterno e non seguite da verifiche interne al processo, cosicché talora il Tribunale per i Minorenni costituisce sostanzialmente il brac- cio secolare delle richieste dei servizi sociali e della polizia”; una “dila- tazione nel tempo dei provvedimenti confermativi, in modo che i prov- vedimenti temporanei predeterminano sostanzialmente la soluzione senza possibilità per le parti di opporsi” (30);
– relativamente all’intervento dei servizi, nel senso che si è assisti- to ad “un ingresso massiccio dei servizi socio sanitari nel processo”, con conseguente accentuazione della posizione dei servizi socio-sani- tari e alterazione dell’equilibrio delle parti nel processo, anche in con- siderazione del fatto che le c.d. informazioni che il giudice assume sono spesso demandate appunto ai servizi, i quali acquistano così una rilevanza notevole nel processo minorile, potendo condizionare la decisione del giudice (31);
– relativamente alla perdita sostanziale della collegialità nella fase istruttoria, dal momento che si è generalizzata una prassi di nomina di un Giudice Istruttore che dispone ed assume prove, al punto che lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura con una circolare del 12 ottobre 1984, n. 7771 ha deliberato di ammettere l’impiego dei giudi- ci non togati nell’attività istruttoria, non come componenti del colle- gio, ma come singoli magistrati (32).
A me sembra che anche nel giudizio minorile il perseguimento dell’interesse del minore, che sicuramente il nostro legislatore privile-
(30) Per porre un limite a tale prassi, PAZÉ, op. loc. cit., pone in evidenza come alcune sezioni minorenni di Corte d’Appello abbiano ritenuto ammissibile il reclamo avverso tali provvedimenti, finendo però per allungare la durata del procedimento.
(31) V. inoltre le preoccupazioni manifestate da GALUPPI e GRASSO, Servizi terri- toriali e Tribunali per i Minorenni: ambiguità e rischi connessi a violazioni del principio del contraddittorio, in Dir. famiglia, 1995, 720 ss.. Sul ruolo dei servizi sociali v., fra gli altri, CASCIANO, Rapporti tra giudice per i minorenni e servizi sociali, in Dir. famiglia, 1993, 1316 ss.; OCCHIOGROSSO, Giudici e servizi territoriali nella prassi e nelle pro- spettive di riforma, in Questioni giustizia, 1986, 458.
(32) A tale proposito sottolinea PAZÉ, op. cit., 65 che “la realtà è andata ancora oltre, per la presenza di prassi sempre più distanti dalla legge e violatrici di ogni regola
gia, non possa legittimare il sacrificio di garanzie costituzionali, quale il diritto di difesa. È stato efficacemente detto che “il privilegiamento dell’interesse del minore non deve indurre ad ignorare l’esistenza di altri interessi, eventualmente contrastanti (basti pensare a quello dei genitori o dei parenti qualificati), i quali non sono estranei al mondo del diritto ma traggono origine – spesso con rilievo costituzionale – da funzioni, potestà e status giuridici, e su di esso incidono” (33).
Ecco allora che, anche in relazione a quelle prassi, più o meno dif- fuse, si pone l’esigenza di fissare alcuni punti nell’ambito del processo minorile, con l’avvertimento che il riconoscimento di garanzie minime non deve comunque sacrificare la specialità della materia e soprattut- to non deve portare a dimenticare che fine principale è pur sempre l’interesse del minore, la cui tutela è prioritaria rispetto a tutti gli altri interessi coinvolti. In altri termini, bisogna individuare quel minimo di garanzie a favore delle parti destinatarie del provvedimento giudi- ziale, che si pone come limite dei poteri del giudice minorile, senza peraltro dare vita ad un eccesso di forme o formalismi. Certamente non è possibile pensare di prendere a modello il processo ordinario, che la realtà di ogni giorno porta a non considerare come “giusto pro- cesso”.
6. – Il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa costituiscono punti fermi anche nel processo minorile.
Il momento centrale è rappresentato dal principio del contraddit- torio previsto dall’art. 101 c.p.c., che costituisce uno degli aspetti es- senziali del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., principio che ha sulla portata generale nel nostro ordinamento, nel senso che esso deve ritenersi essenziale per ogni tipo di processo, compreso quello came- rale e dunque anche quello minorile (34). Come è stato sottolineato,
di giudice naturale, come deleghe a pluralità di giudici “istruttori” nello stesso procedi- mento, subdeleghe da parte del giudice delegato ad altro giudice per atti singoli, giudi- ci “istruttori” che non sono poi giudici “relatori” non facendo parte del collegio che deci- de, utilizzo dei componenti privati come “vicepretori” delegati per il lavoro di routine”.
(33) DUSI, Presentazione, in Questione giustizia, 1986, 388.
(34) V. fra gli altri e per tutti, Cass. 7 febbraio 1996, n. 986, in Foro it., Mass., 1996, 105; 17 ottobre 1973, n. 2619, in Giust. civ., 1973, I, 1821; CIVININI, I procedimenti, cit., II, 165 ss., GALUPPI e GRASSO, Servizi territoriali, cit., 750; MANERA, Questioni ricorrenti, cit., 857.
tale principio “domina ogni figura di processo, e, manifestando non altro che la partecipazione degli interessati all’iter formativo di un at- to, trascende … lo stesso àmbito dell’attività giurisdizionale, in corri- spondenza alla rilevata diffusione degli schemi processuali anche al di là del campo della giurisdizione, per la garanzia costante che (proprio in grazia del contraddittorio) detti schemi sono idonei ad offrire” (35).
Con il contraddittorio si vuole assicurare che tutti i soggetti che sono destinatari del provvedimento conclusivo partecipino al proces- so, esercitando tutta una serie di poteri e di facoltà, affinché prima della emanazione della decisione giudiziale ogni parte possa avere detto la sua.
Il contraddittorio va attuato ed assicurato anche nel procedimen- to che si svolge dinanzi al Tribunale per i Minorenni, non solo perché l’art. 101 c.p.c. è dettato nel primo libro, atteso che tale disposizione prevede anche l’eccezione, “salvo che la legge disponga diversamente”, quanto perché, come si è detto, costituisce uno degli aspetti essenzia- li del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (da considerare che l’art. 250 c.c.
dispone espressamente che il giudice “sentito il minore in contraddit- torio con il genitore che si oppone”). Ciò non significa che il contrad- dittorio deve essere attuato nello stesso modo in cui viene realizzato nel processo ordinario, ma solo che deve essere attuato.
La previsione di particolari poteri in capo al giudice e il carattere inquisitorio che si riconosce al processo minorile non possono tutta- via indurre a ritenere che in tali procedimenti non operi il contraddit- torio.
Come esattamente è stato rilevato, “l’eventuale mancanza di limi- tazione al potere giudiziale d’indagine non rileva affatto, e se mai
(35) Così COLESANTI, Principio del contraddittorio e procedimenti speciali, in Riv.
dir. proc., 1975, 581. V. nello stesso senso, fra i tanti, ANDRIOLI, Diritto, cit., I, 231; Il processo civile non contenzioso, cit., 266; CERINO-CANOVA, Per la chiarezza di idee, cit., 445, PROTO PISANI, Parte (dir. proc. civ.), voce dell’Enc. dir., XXXI, 1981, 938 ss.;
CIPRIANI, Procedimento camerale, cit., 195; CARPI, I provvedimenti temporanei ed ur- genti del giudice tutelare e gli affidamenti familiari, in Affidamenti familiari, Padova, 1973, 187; TROCKER, Processo civile e costituzione, Milano, 1974, 367, 401; LAUDISA, Camera di consiglio, cit., 4; ARIETA, Procedimento, cit., 449, 456; CIVININI, I procedi- menti, cit., 79, 178. In giurisprudenza v. Cass. 20 maggio 1987, n. 4607, in Foro it., 1987, 3285 7 Ottobre 1982, n. 5139, id., 1983, I. 2214 con osservazioni di TRISORIO-LIUZ- ZI; 3 aprile 1973, n. 913, id., 1973, I, 1007 con nota di ANDRIOLI, e in Giur. it., 1974, I, 93 con nota di MANDRIOLI, Il diritto alla difesa nei procedimenti ad iniziativa uffi- ciosa e/o camerali (c. 95).
accentua l’esigenza di garantire agli interessati l’esplicazione del dirit- to di interloquire nel corso del procedimento” (36). La previsione con- tenuta nell’art. 24 della Costituzione non consente a mio avviso alcu- na limitazione al diritto di difesa ed alla attuazione del contradditto- rio nel Processo Civile Minorile.
Ciò che bisogna fare è dare attuazione al principio del contraddit- torio aspettando le peculiarità proprie del Processo Civile Minorile.
Come si è in precedenza affermato vi sono provvedimenti resi in came- ra di consiglio che possono essere dati nei confronti di una sola parte o nei confronti di più parti.
Nel primo caso indubbiamente parlare di contraddittorio può es- sere eccessivo, in quanto manca la presenza di più soggetti e la do- manda ha come unico destinatario il giudice; in questi casi il contrad- dittorio va inteso come possibilità per il ricorrente di esporre al giudi- ce le proprie ragioni e di far valere il proprio punto di vista. Nel secon- do caso, poiché il provvedimento viene chiesto da un soggetto nei con- fronti di un altro, inevitabilmente vi è la partecipazione di più sogget- ti, con la conseguenza che tutti devono essere chiamati in giudizio ed essere posti nella condizione di partecipare.
Accertato che il contraddittorio va attuato nel processo minorile, bisogna ora individuare “il contenuto minimo del contraddittorio, in- teso come il minimo irriducibile della partecipazione degli interessati al procedimento; e, correlativamente, il minimo di struttura formale, necessaria appunto per assicurare la possibilità di una effettiva, e non meramente episodica, partecipazione degli interessati all’iter formati- vo del provvedimento” (37), anche in considerazione del fatto che la violazione del contraddittorio determina nullità del procedimento, che si estende al provvedimento conclusivo, nullità che può essere fatta va- lere per la prima volta in sede di legittimità (38).
(36) COLESANTI, Principio del contraddittorio, cit,. 598. V. altresì MANDRIOLI, Il diritto alla difesa, cit. 96, per il quale “il diritto costituzionale alla difesa … va rico- nosciuto anche nei procedimenti che si svolgono per iniziativa ufficiosa, come anche nei procedimenti che si svolgono col rito camerale. Ciò che equivale a dire che tale diritto va riconosciuto indipendentemente da quella sua coordinazione col diritto di azione, che è di solito, universalmente affermata come una delle sue caratteristiche essenziali”.
(37) COLESANTI, Principio del contraddittorio, cit., 599, il quale parla anche di
“nucleo ideale” del contraddittorio. V. altresì PAZÉ, Il processo minorile, cit., 766 s..
(38) V., con riferimento a situazioni verificatesi nel corso di un processo dinanzi al Tribunale per i Minorenni, Cass. 16 febbraio 1981, n. 938, in Foro it., Rep. 1981, voce Filiazione, n. 73.
7. – La difesa tecnica (39).
Strettamente collegato al principio del contraddittorio ed al dirit- to di difesa è il diritto della parte di nominare un proprio difensore, che possa assistere e rappresentare il soggetto durante tutto il corso del processo (40). Orbene, per guanto riguarda la difesa tecnica, si di- scute se essa sia oppure no obbligatoria. Nei procedimenti, sia unila- terali sia bi o plurilaterali, nei quali si tratta soltanto di gestire gli inte- ressi del minore, a mio avviso si può escludere l’obbligatorietà del ri- corso al difensore – che è stato considerato “un lusso inutile” (41) – e ad ammettere invece la facoltatività (42). La semplicità del rito came- rale e il particolare oggetto del procedimento de quo inducono infatti a ritenere non necessario il ricorso al difensore, dovendosi riconosce- re alle parti la facoltà di una autodifesa. A favore di questa lettura si possono richiamare l’art. 145 c.c., per il quale “ciascuno dei coniugi può chiedere, senza formalità, l’intervento del giudice”, e l’art. 316, 3°
comma, dove si prevede che “il giudice, sentiti i genitori ed il figlio, se maggiore di anni quattordici, suggerisce le determinazioni …”.
Il problema si pone invece per quei processi nei quali la tutela del minore finisce per incidere su diritti soggettivi e su status; ed infatti ad una tesi che afferma anche in tali casi la facoltatività della difesa tec- nica (43) se ne contrappone un’altra che ritiene che la difesa sia obbli- gatoria, proprio in considerazione del fatto che sono in discussione diritti soggettivi e status (44). La tesi dell’obbligatorietà della difesa
(39) Sul ruolo dell’avvocato nelle procedure di tutela della famiglia v. le relazioni al primo Congresso per la famiglia e per i minori in Roma, pubblicate su Famiglia e di- ritto, 1995, 79 ss., di POCAR, FADIGA, GALIZIA DANOVI, GULOTTA, PALOMBA, OC- CHIOGROSSO, DUSI, VINCENZI AMATO.
(40) Nel senso che nel procedimento camerale è garantita la difesa tecnica v. CI- PRIANI, Procedimento camerale, cit., 192 s..
(41) PAZÉ, Il processo minorile, cit., 74.
(42) PAZÉ, Il processo minorile, cit., 74; COSENTINO, Prassi dei Tribunali per i Minorenni, cit., 796; PAZÉ e VERCELLONE, L’intervento del Tribunale per i Minorenni, cit., 1143; CIVININI, I procedimenti, cit., I, 88.
(43) V. in generale REDENTI, Diritto processuale civile, III, Milano, 1957, 354;
FAZZALARI, Giurisdizione volontaria (dir. proc. civ.), voce dell’Enc. dir., XIX, Milano 1970, 362; MONTELEONE, Camera di consiglio, voce del Noviss. dig. it., Appendice, I, Torino, 1980, 987; CHIARLONI, Contrasti tra diritto alla difesa e obbligo della difesa: un paradosso del formalismo concettualista, in Riv. dir. proc., 1982, 646.
(44) V. in generale SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1971, IV, 25; ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1964, IV, 435 s.; MANDRIOLI, In tema di onere del patrocinio nei procedimenti camerali, in Giur. it.,
tecnica ha, comunque, sollevato delle perplessità in chi ha rilevato la estrema pericolosità di ricollegare alla distinzione, per nulla agevole, tra processi camerali relativi alla gestione di interessi e processi came- rali incidenti su diritti soggettivi e status la necessità della difesa tec- nica, “giacché la necessità o no di tale requisito extraformale finireb- be per dipendere non dal dato formale del procedimento adottato ma da complesse e molto spesso incertissime indagini relative al suo con- tenuto” (45).
Infatti, la conseguenza di un difetto di difesa tecnica comporta, secondo la giurisprudenza costante, la nullità insanabile che può esse- re rilevata in ogni stato e grado del processo. Anche alla luce di tali considerazioni ma soprattutto con riguardo alla materia che ci occu- pa ritengo che il ricorso al difensore non sia necessario, ma solo facol- tativo. Ciò che è essenziale, come ha stabilito la Corte Costituzionale, è che sia sempre data alla parte la possibilità di farsi assistere in giu- dizio da un difensore (46).
E proprio a tale riguardo risalta, a mio avviso, in tutta la sua gra- vità la mancanza di una seria disciplina del patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti relativi ai minori, la mancanza di forme di pubblicità, idonee a far conoscere al cittadino la possibilità di farvi ricorso, anche perché la realtà di ogni giorno mostra che è soprattut- to negli strati meno agiati della popolazione che si presentano quelle situazioni che determinano l’intervento del Tribunale per i Minorenni.
Al riguardo penso alla legge 30 luglio 1990, n. 217, che ha previsto il patrocinio a spese dello Stato nel processo penale (ordinario, militare
1988, I, 1, 979; LAUDISA, Camera di consiglio, cit., ARIETA, Procedimenti in camera di consiglio, cit., 456.
(45) Vd., PROTO PISANI, In tema di disciplina delle nullità causate da difetto (o da visi) della difesa tecnica, in Foro it., 1990, I, 1243, il quale pone in evidenza che la solu- zione al problema potrebbe essere di sottoporre tali vizi al principio generale della sanabilità in via retroattiva, “ove l’atto nullo per difetto (o vizio) della difesa tecnica sia rinnovato entro il termine perentorio all’uopo fissato dal giudice” (c. 1243).
(46) Corte Cost. 10 luglio 1975, n. 202, in Foro it., 1975, I, 1575. V. altresì Corte Cost. 22 giugno 1989, n. 351, id., 1991, I, 51, a proposito dell’art. 10, 5° e 6° comma, l.
n. 184/1983, afferma che “la mancata previsione dell’assistenza di un difensore non significa divieto ai genitori (od al tutore) di avvalersene, ma soltanto che essa non è ob- bligatoria”, aggiungendo che “in ragione delle speciali caratteristiche del singolo atto o procedimento preso in considerazione, il diritto di difesa deve ritenersi sufficiente- mente garantito anche da norme che, come quella in esame, consentono alla parte la possibilità di tutelare in giudizio le proprie ragioni facendosi assistere da un difenso- re, senza rendere obbligatoria tale assistenza”. V. inoltre GALIZIA DANOVI, Il difenso- re nel processo minorile, in Famiglia e diritto, 1994, 573.
e minorile) e in quello civile per il risarcimento dei danni e le restitu- zioni da reato (47).
Altro e differente problema è se sia ammissibile vietare al difenso- re tecnico o alla parte che si difenda personalmente il compimento di taluni atti o la possibilità di assistere a determinate attività, come in alcuni casi è stato segnalato (48). Se è indubbiamente esatto afferma- re che il giudice ha nel procedimento camerale una ampia discrezio- nalità, che non è dato riscontrare nel processo ordinario, tuttavia non sembra legittimo limitare il diritto del difensore della parte o della stessa parte costituita personalmente ad assistere ad alcune fasi od attività od atti del processo (49). Il rischio, lo si comprende bene, è consentire che il giudice possa disporre senza alcun controllo del pro- cesso in nome dell’interesse del minore.
D’altra parte, nella pratica in molti casi sono stati trovati accorgi- menti che, senza ledere il diritto del difensore, hanno evitato situazio- ni traumatiche per il minore; come ad esempio il caso, segnalato da PAZÉ (50), di chiedere al difensore “di non presenziare, rimettendo la decisione alla valutazione del difensore, quasi sempre sensibile ad una sollecitazione motivata, subito dopo però lasciando i risultati dell’esa- me a disposizione del difensore per le sue valutazioni” (51).
8. – L’instaurazione del contraddittorio.
Il primo momento in cui si pone l’esigenza di attuare il contrad- dittorio è rappresentato dalla convocazione delle parti. Un siffatto pro- blema si pone evidentemente nei procedimenti bi o plurilaterali, non
(47) Su tale aspetto v. CIPRIANI, Il patrocinio dei non abbienti in Italia, in Foro it., 1994, V, 83 ss..
(48) PAZÉ, Il processo minorile, cit., 71, il quale segnala l’esclusione del difensore riguardo sia all’esame psicologico di un bambino da parte di un componente privato e sia all’interrogatorio dell’altra parte.
(49) Nello stesso senso PAZÉ, Il processo minorile, cit., 71; COSENTINO, Prassi dei Tribunali per i Minorenni, cit., 796.
(50) PAZÉ, op. loc. cit..
(51) Ad avviso di SALMÈ, Dalla parte dei figli, in Politica del diritto, 1980, 27 ss., il giudice, senza violare i princìpi costituzionali potrebbe negare alle parti ed ai difenso- ri di partecipare alla consulenza tecnica di ufficio, a condizione che gli stessi possano concordare con il consulente il modo di procedere, valutare con il consulente le risul- tanze della consulenza prima della redazione della relazione scritta e proporre osser- vazioni circa la relazione.
anche in quelli unilaterali, non essendo in questi casi la domanda pro- posta nei confronti di un altro soggetto (52). Analizzando tutte le norme dettate dal legislatore, sia quelle inserite nel capo dedicato alle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio (art. 737 e segg. c.p.c.), sia quelle previste nelle norme sparse del codice civile e nelle leggi speciali (4 maggio 1983, n. 184) è possibile appurare che il legislatore si è posto siffatto problema soltanto per il procedimento di dichiarazione di adottabilità, avendo nell’art. 12, 1° comma, previsto che il presidente del Tribunale per i Minorenni “con decreto motivato fissa la … comparizione, entro un congruo termine, dinanzi a sé o ad un giudice da lui delegato” dei genitori o dei parenti entro il quarto grado che abbiano mantenuto rapporti significativi con il minore.
La mancanza di qualsiasi altra disposizione in ordine al modo in cui vanno convocate le parti che saranno destinatarie del provvedi- mento giudiziale non può significare assolutamente non necessità della loro convocazione, dal momento che l’essere informato sull’esi- stenza del procedimento e sul suo oggetto costituisce la condizione minima per la difesa in giudizio. D’altra parte, atteso che in molte disposizioni si prevede che le parti debbono essere sentite, è evidente che le stesse debbono essere chiamate in giudizio (53). Il silenzio del legislatore pone soltanto, a mio avviso, la necessità di accertare quali sono le modalità in concreto dell’attuazione di tale convocazione.
La forma della istanza è sicuramente il ricorso (artt. 737 c.p.c.;
250, 274, 336 c.c., 171. 4 maggio 1983, n. 184) (54), che viene deposi- tato nella cancelleria del giudice (55); ne consegue che l’attuazione del
(52) Sulla legittimazione attiva e passiva v., per tutti, CIVININI, I procedimenti, cit., I, 79.
(53) Così CIPRIANI, Procedimento camerale, cit., 195.
(54) V., nello stesso senso COSENTINO, Prassi dei Tribunali per i Minorenni: orga- nizzazione delle procedure e modo di conduzione delle indagini nella volontaria giurisdi- zione, in Dir. famiglia, 1995, 791; CIVININI, I procedimenti, cit., I, 158; CORDOPATRI, Ricorso (dir. proc. civ.), voce dell’Enc. dir., XL, Milano, 1989, 731 ss.. Peraltro si ritiene pacificamente che l’adozione della citazione, in luogo del ricorso, non comporti alcu- na nullità, con la conseguenza che il giudice deve comunque procedere in merito: Cass.
19 marzo 1992, n. 3416, in Dir. famiglia, 1992, 619; 11 settembre 1993, n. 9477, in Foro it., Rep. 1993, voce Filiazione, n. 75.
(55) L’art., 316, 2° comma, c.c. stabilisce che “ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice, indicando i provvedimenti che ritiene più idonei”. Ne con- segue che, in questa ipotesi, deve riconoscersi l’ammissibilità dell’istanza verbale, nel qual caso va redatto processo verbale ex art. 135 c.p.c., nelle forme e con il contenuto dell’art. 126 c.p.c.. Da considerare che Trib. Min. Roma, 12 giugno 1996, in Dir. fami- glia, 1996, 1485 ha affermato che un’istanza in carta libera, sia pure accompagnata dal