• Non ci sono risultati.

Trust testamentario in Italia: limiti e spazi di operatività

Nel documento Rilievi in materia di Trust (pagine 108-119)

3.1 Trust e diritto delle successioni

3.1.2 Trust testamentario in Italia: limiti e spazi di operatività

Art. 458. Divieto di patti successori.

“Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti,è

nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi”.

Ora, l’indicazione della natura pattizia dell’atto vietato nel nostro ordinamento, confliggendo con l’asserita unilateralità del negozio di

trust, sembrerebbe scongiurare in apicibus la possibilità di sussumere

il trust testamentario entro i rigidi confini di tale divieto.

La tesi contraria all’ammissibilità del trust suddetto, tuttavia, tralasciando la questione ritenuta poco significativa sulla natura (bilaterale o meno) dell’istituto, chiede di concentrare l’esame sul suo contenuto sostanziale. In particolare, solo dopo aver individuato la

ratio del divieto di cui all’art. 458 c.c., sarà possibile dire se il trust

(128) Il testo integrale della sentenza è reperibile all’indirizzo: http://www.mpotrustee.it/wp-content/uploads/2011/11/Tribunale-Urbino-sentenza- 10-11-2011.pdf. [Corsivo mio].

110 realizzi o meno quella attribuzione patrimoniale mortis causa che il nostro legislatore ha perentoriamente tacciato di nullità.

La delazione ereditaria può avvenire per testamento secondo la volontà del de cuius (successione testamentaria con il solo limite delle quote di legittima), o per legge in assenza di testamento (successione legittima), senza quindi l’ipotizzabilità di un tertium genus come il patto successorio.

La ratio sottesa alla formulazione di un divieto di convezioni successorie, da parte del legislatore, va ricercata per i patti c.d.

istitutivi o confermativi, cioè quelli “con cui taluno dispone della

propria successione”:

- nell’esigenza di tutelare fino all’ultimo momento la libertà testamentaria e la libertà di revoca delle disposizioni testamentarie; - nel rispetto del principio di tipicità delle cause di delazione ereditaria.

Per i patti c.d. dispositivi con cui “taluno dispone di diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta”, e per quelli c.d. rinunziativi “con cui rinunzia ai medesimi”, la ratio del divieto risiede:

- nella ripugnanza sociale che solleverebbe attività speculativa verso l’eredità di soggetti ancora in vita (si potrebbe ingenerare nello stipulante, con evidente contrarietà alla morale pubblica, il desiderio della morte del testatore);

- nella tutela di soggetti “deboli”, che potrebbero essere tentati di dilapidare anticipatamente ciò che riceverebbero in un contesto successorio.

Unico strumento per disporre del proprio patrimonio post mortem è il testamento; da un punto di vista strettamente sostanziale il beneficiario non riceve alcunché dal testatore in vita, perché ogni disposizione trova il fondamento causale nella morte di quest’ultimo.

111 Per quanto concerne, infine, la lesione del principio di tassatività delle causa di delazione ereditaria, sebbene il trust sia un atto unilaterale di volizione non può e non deve essere identificato con il testamento.

Esistono due fattispecie rilevanti di trust testamentario:

- una nella quale il disponente istituisce, appunto per testamento, il trust e nomina il trustee;

- l’altra in cui il disponente istituisce un soggetto erede, con l’onere per questi di istituire un trust.

Quest’ultima tipologia di trust testamentario, com’è intuibile, solleva non pochi interrogativi e difficoltà di inquadramento.

Una disposizione del genere sarebbe destinata ad incorrere in nullità se fosse indeterminata ed ancor più se fosse “in bianco”, cioè se rimettesse nel trustee la scelta dei beneficiari o delle finalità del

trust, ledendo il principio di personalità delle disposizioni

testamentarie.

Il nostro codice contempla, all’art 627 c.c., un’ipotesi di fiducia che merita la nostra attenzione.

Art. 627: Disposizione fiduciaria:

“Non è ammessa azione in giudizio per accertare che le

disposizioni fatte a favore di persona dichiarata nel testamento sono soltanto apparenti e che in realtà riguardano altra persona, anche se espressioni del testamento possono indicare o far presumere che si tratta di persona interposta.

Tuttavia la persona dichiarata nel testamento, se ha spontaneamente eseguito la disposizione fiduciaria trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore, non può agire per la ripetizione, salvo che sia un incapace. ...(omissis)…”.

112 Senza addentrarci nel merito dell’interpretazione non pacifica di questa norma, ne daremo conto limitiamoci a rilevare quelli che ictu

oculi sono i tratti di smaccata divergenza rispetto al trust.

L’art. 627 nega, più che l’accertamento, l’ammissibilità in giudizio della prova della disposizione fiduciaria, salvo la previsione del terzo comma che ammette l’azione nel caso in cui l’istituto sia utilizzato in violazione di norme inderogabili in materia di incapacità a ricevere.

Il secondo comma (esecuzione spontanea della disposizione fiduciaria) implica che il fiduciario sia erede, e che per adempiere alla disposizione debba trasferire il bene alla persona voluta dal testatore; l’esecuzione dell’incarico fiduciario assume la portata di atto dovuto (obbligazione naturale), pertanto, l’indicazione del beneficiario (ovviamente non contenuta nel testamento ma nel patto fiduciario) non potrà essere considerata nulla per difetto della forma testamentaria.

Qualche autore ritiene che, nel caso dell’art. 627 c.c., non si debba parlare di obbligazione naturale ma di un’ipotesi di simulazione relativa soggettiva.

Il trust testamentario consente di superare i limiti della disposizione fiduciaria: l’esecuzione dell’incarico fiduciario (cioè il trasferimento dei beni alla persona designata) non è coercibile inter

partes, ma (solo nei casi previsti) protetta con la soluti retentio ex art.

2034,2 c.c., a meno che il fiduciante – ricorrendone i presupposti – non possa avvantaggiarsi del rimedio dell’art. 2932 c.c.(129

).

(129) Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto. Interessante, e strettamente connessa all’esperibilità del rimedio ex art. 2932 c.c., è poi la discussione sulla trascrivibilità del pactum fiduciae, di per sé del tutto informale se non addirittura meramente orale, avente ad oggetto beni sottoposti a regimi di pubblicità ex lege.

113 La dottrina ritiene che l’art. 627 vieti sia la fiducia testamentaria propria (in cui il carattere fiduciario risulta dal testamento) sia quella impropria (che non risulta dal testamento).

Nulla risulta la nomina di un fiduciario, che non sia né erede né legatario, o di un esecutore testamentario gravato da obblighi fiduciari; tale nullità deriverebbe dalla carenza della forma testamentaria e dall’art. 631 c.c., il quale prevede la nullità delle disposizioni testamentarie che facciano dipendere dall’arbitrio di un terzo l’indicazione dell’erede o del legatario.

Con l’istituzione dell’erede come trustee, la regolamentazione del

trust e la designazione dei beneficiari, oppure, con l’istituzione

dell’erede o del legatario come trustee nel testamento e l’indicazione del “programma” del trust in un documento distinto, il limite del “non

è ammessa azione in giudizio” è superato, in quanto: il trustee assume

obbligazioni coercibili (enforceable), opponibili ai suoi creditori ed aventi causa, derivanti dalle norme del trust e dalla legge ad esso applicabile.

Art 692: Sostituzione fedecommissaria

“Ciascuno dei genitori o degli altri ascendenti in linea retta o il

coniuge dell’interdetto possono istituire rispettivamente il figlio, il discendente, o il coniuge con l’obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni anche costituenti la legittima, a favore della persona o degli enti che sotto la vigilanza del tutore hanno avuto cura dell’interdetto medesimo …(omissis)… In ogni altro caso la sostituzione è nulla”.

Il tenore della norma sembra essere quello di un divieto generale di sostituzione fedecommissaria, come d’altra parte era nel codice del 1865, con un’unica eccezione espressamente prevista: soltanto quando la sostituzione sia funzionale alla protezione di un familiare interdetto, è ammissibile una doppia vocazione successiva.

114 Enucleiamo i dati caratterizzanti della sostituzione fedecommissaria e mettiamoli a confronto con quelli del trust:

- mentre nella prima si ha una doppia istituzione con ordine

successivo ed il primo istituito (erede) ha l’obbligo di conservare e restituire i beni, il trustee non può essere considerato un primo

istituito ed è titolare dei beni seppur non possa disporne nel proprio interesse;

- il sostituto fedecommissario è tenuto a conservare per consegnare al sostituito lo stesso bene, il trustee come sappiamo, se non altrimenti indicato dal disponente, può trasferire al beneficiario beni di natura del tutto diversa in virtù dei suoi notevoli poteri amministrativi(130); - ex art 692 c.c. la seconda istituzione è anch’essa mortis causa, il beneficiario finale del trust – invece – riceve l’attribuzione di beni dal

trustee per atto tra vivi.

Si noti bene: nel caso di trust testamentario, il trustee potrebbe ricevere l’incarico di destinare il reddito dei beni successivamente ad A – B – C e di attribuire la proprietà all’ultimo nato di C.

Un problema (fortemente dibattuto in dottrina) resta quello della qualificazione della posizione giuridica del trustee ovvero se questi, per la peculiare funzione cui assolve nel trust testamentario, sia (o meno) erede(131). Ci limitiamo a riportare una convincente posizione del Lupoi a riguardo: poiché il trustee è soggetto necessario del trust, e dato che non è possibile ricoprire l’ufficio di trustee senza essere titolare dei beni in trust, “non vedo come, nel caso di istituzione di

(130) Oggigiorno sono proprio le capacità gestorie professionali del trustee a sospingere verso un frequente ricorso al trust.

(131) Per un approfondimento, a favore della qualificazione del trustee come erede o piuttosto come legatario: S.BARTOLI, La natura dell’attribuzione mortis

causa al trustee di un trust testamentario, in Trusts e Attività fiduciarie, n. 1/2004,

58 ss.; contra, G. CONTALDI, Il trust nel diritto internazionale privato italiano, Milano, 2001, 176.

115

trust testamentario, si possa ipotizzare un trustee che non sia erede o

legatario(132)”.

In un celebre precedente del 23.9.1997, il Tribunale di Lucca (sentenza confermata in Appello) affrontò e risolse la questione della qualificazione di una fattispecie testamentaria “anomala” e del rapporto di questa con il diritto del foro, nei seguenti termini: spiegò che nel diritto angloamericano la trasmissione ereditaria ha luogo ordinariamente tramite l’interposizione di un fiduciario (personal

representative) tra il de cuius ed i beneficiari, con la particolarità che

il fiduciario è titolare dei beni relitti con poteri dispositivi fino all’estinzione delle passività.

Questo il caso: di fronte al giudice fu prodotto un testamento redatto secondo la lex loci statunitense. La prova che il testamento fosse valido, immune da vizi secondo la legge del luogo nel quale era stato compiuto, fu derivata da elementi fattuali oggettivamente sintomatici (in specie: scheda testamentaria sottoscritta dal testatore, in presenza di due testimoni ed un notaio, conferma dello schema fiduciario predisposto per l’amministrazione dei beni ereditari da parte della Corte distrettuale di Jefferson, Kentucky). La disposizione con cui il testatore dichiarava di "lasciare in eredità" ogni suo avere al fiduciario, in proprietà assoluta ma a beneficio della figlia, non fu interpretata come un’ipotesi di sostituzione fedecommissaria (quindi vietata!), ma come disposizione istitutiva di trust. L’asserita lesione delle aspettative del legittimario non convinse, perciò, il giudice a dichiarare la nullità del trust bensì a prospettare la possibilità di applicare le disposizioni di diritto interno strumentali alla reintegrazione della quota di riserva.

In ragione di ciò, prendendo atto della frequenza e della crescente incidenza di casi di trust testamentario in Italia, va data

116 un’interpretazione dell’articolo 15 della Convenzione ancor più pregnante e completa: l’art 15 non solo fa salva l’applicazione delle norme di diritto interno a tutela dei legittimari ma, al contempo, chiede al giudice del caso concreto di non escludere a priori il trust, cercando di realizzarne gli obiettivi con tutti i mezzi giuridici idonei di cui disponga(133).

Senz’altro possono essere rinvenuti numerosi tratti comuni tra le figure dell’esecutore testamentario e del trustee.

Sia l’esecutore testamentario (art. 710 c.c.), sia il trustee, possono considerarsi titolari di un ufficio privato che può essere assunto da chi è provvisto della capacità di agire; l’ufficio può essere assunto anche da chi è erede o legatario (art. 701, secondo comma c.c.), può essere o meno gratuito (art. 711 c.c.), ha connotazioni fiduciarie (l’art. 710 c.c. prevede l’esonero dell’esecutore testamentario dal suo ufficio per il venir meno della fiducia). È possibile per entrambi gli istituti prevedere la sostituzione (vedi, per l’esecutore testamentario, l’art. 700 c.c.), entrambi devono curare che venga eseguita la volontà del testatore (art. 703 c.c.) o del disponente, entrambi devono amministrare e gestire i beni e li possono alienare (art. 703 quarto comma c.c.), entrambi devono rendere conto della gestione (art. 709 c.c.), in entrambi i casi si ha un effetto segregativo.

Detto ciò si devono registrare anche le tutt’altro che marginali differenze tra le due figure.

La gestione dell’esecutore testamentario può essere esclusa (art. 703,2 c.c.), si ritiene che il potere di disporre dell’esecutore testamentario subisca la concorrenza dell’uguale potere dell’erede, l’esecutore testamentario è soggetto ad un controllo di volontaria giurisdizione (art. 703,4 c.c.); il trustee è proprietario dei beni mentre

(133) Il testo integrale della sentenza è reperibile all’indirizzo: http://www.il-trust- in-italia.it/ Area_Riservata/giurisprudenza_italiana/ TribLucca%2023set97.pdf.

117 l’esecutore testamentario ne ha il possesso, il trustee non è soggetto ai limiti di durata previsti per l’esecutore testamentario (art. 703,3 c.c.), il trustee è soggetto necessario del trust mentre l’esecutore testamentario è meramente eventuale.

Appare evidente la maggiore complessità della disciplina del trust rispetto a quella, assai meno articolata, che sorregge la figura dell’esecutore testamentario(134

).

Qual è dunque, in ultima analisi, il giudizio del nostro ordinamento rispetto al trust testamentario?

La ricerca di strumenti che consentano di risolvere i problemi successori è oggi vieppiù sentita ed instancabile. Molte sono le critiche rivolte all’intero sistema di norme in materia di successione, non più capace di rispondere appieno ai vertiginosi cambiamenti ed alle attuali richieste del tessuto sociale.

Partiamo dall’assunto che il testamento di per sé è poco utilizzato in Italia, in parte perché sono ritenute sufficienti le norme sulla successione legittima, in parte a causa dell’unilateralità imposta all’atto e del divieto dei patti successori, che escludono la partecipazione dei successibili alla formazione della volontà del testatore; non ultimo c’è da considerare il fatto che le norme sulla successione necessaria sono praticamente non superabili tramite testamento.

L’erede può certamente essere gravato anche oltre il valore dei beni ricevuti e, qualora tema il rischio di dover rispondere col proprio patrimonio dei debiti ereditari e dei legati, potrà ricorrere all’accettazione col beneficio di inventario: se trustee fosse un erede,

(134) Sulla figura del trustee vedi G.F. CONDÒ, Negozi di destinazione, negozi di

affidamento fiduciario, trusts, lezione tenuta nel corso 27-29 ottobre 2006 presso

118 egli potrebbe trovarsi a dover destinare l’intero attivo ereditario alle finalità perseguite dal testatore.

Il testatore dovrà sottoporre l’istituzione del trust alla condizione risolutiva dell’accettazione della funzione di trustee e, per il caso in cui l’erede-trustee non volesse o non potesse accettare l’eredità, prevedere opportune sostituzioni per il caso di mancato inverarsi della condizione.

Il testatore dovrà non solo indicare nel testamento tutte le regole del trust ma, ovviamente, scegliere anche la legge (straniera) regolatrice; tutto questo senza aggirare i dettami imposti dalle norme inderogabili sulla successione necessaria.

L’erede-trustee dovrà accettare l’eredità ex art. 470 c.c. e, in assenza di sue limitazioni (peraltro molto opinabili perché è nulla la dichiarazione di accettazione sotto condizione o a termine ex art. 475,2 c.c.), tale accettazione implicherà anche l’accettazione della funzione di trustee con conseguente trascrizione(135).

È l’art. 457,2 c.c. ad affermare quel principio di intangibilità della riserva che non consente al trust di operare indisturbato: le disposizioni testamentarie “non possono pregiudicare i diritti che la

legge riserva ai legittimari”. All’art. 549 c.c. troviamo ribadito il

medesimo principio: il testatore e, quindi il trust testamentario, non può diseredare i legittimari o imporre pesi o condizioni sulla quota loro spettante, pena l’originaria inefficacia delle disposizioni limitative previste.

Sarà vietata – e quindi nulla – la costituzione in trust dell’intera quota di un legittimario: un legittimario non potrà essere mero trustee della sua quota.

(135) G.F. CONDÒ, Lezione sul Trust, Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Lecco, 28 giugno 2011.

119 I legittimari lesi, invece, da disposizioni a favore di altri eredi o legatari-trustee, potranno essere reintegrati nella quota loro spettante tramite azione di riduzione.

Non scevra di criticità sarà, però, l’individuazione del soggetto legittimato passivo all’azione di riduzione. La struttura di quest’azione prevede che essa sia rivolgibile contro chi ha ricevuto dal disponente nel proprio interesse: il trustee invece riceve, per definizione, per un interesse altrui. Il beneficiario o i beneficiari, da parte loro, potranno opporre che nulla riceveranno direttamente dal settlor, che quanto riceveranno sarà deciso dal trustee e che, se convenuti in giudizio (qualora l’attribuzione non sia ancora effettuata, o sia stata effettuata solo in parte) nulla abbiano ricevuto, o abbiano ricevuto solo una quota non lesiva della legittima.

Ancora più problematica si profila, com’è facilmente intuibile, la tutela dei legittimari quando si tratti di un trust discrezionale: un trust in cui al trustee è attribuito il potere di designare i beneficiari e/o di determinare l’entità delle quote di spettanza di ciascuno.

In casi del genere, l’erede legittimo si troverebbe ad essere titolare di un diritto ferito dall’eterogeneità del trust rispetto al nostro ordinamento e, probabilmente, presto abbattuto dalle norme che vietano le disposizioni testamentarie e le donazioni rimesse all’arbitrio altrui (artt. 631 e 778 c.c.).

Concludiamo con le parole di un ficcante intervento del Lupoi(136): «..Finalmente abbiamo trovato una fattispecie che reclama l’applicazione dell’art. 13 della Convenzione de L’Aja: “quel trust non dovrà essere riconosciuto”; più precisamente la disposizione fatta in favore del trustee sarà nulla per mancanza di causa. (…) La legge straniera, di per sé, non tocca i diritti dei legittimari; peraltro, essa consente il prodursi di effetti che la nostra legge non riesce a

120 rimuovere: allora interviene l’art. 13 e la legge straniera non trova applicazione. Il cd. “mancato riconoscimento del trust” significa propriamente disapplicare la legge straniera che gli conferisce validità».

Laddove le ragioni dei legittimari non risultino in concreto tutelabili, altro non resterà che concludere (alla luce dell’art. 13 della Convenzione de L’Aja) che quel trust non potrà essere riconosciuto nel nostro ordinamento.

3.2 Trust e diritto delle persone e della famiglia

Nel documento Rilievi in materia di Trust (pagine 108-119)

Documenti correlati