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A partire dagli anni ‘60, fecero la loro entrata in campo imprenditoriale, studiosi di psicologia e sociologia che iniziarono a studiare l’imprenditore come individuo che possiede personalità e tratti caratteristici.

L’economia, aveva fornito numerosi contributi alla teoria imprenditoriale, che vennero assimilati e assorbiti da altre discipline, ma spesso, tali contributi associarono al concetto di successo personale e ottenimento di un profitto, il concetto di contribuzione alla crescita sociale.

L’accento, veniva dunque posto principalmente sul processo “creative

destruction, alertness to opportunity, equilibrating the market”, piuttosto che

sul soggetto che dà vita a tale processo, altrettanto importante per la società.

Di conseguenza, le pubblicazioni e ricerche successive si concentrarono nel delineare chi fosse questo soggetto, piuttosto che su cosa questi facesse.

Si iniziò così, ad indagare ed enfatizzare le caratteristiche della sfera motivazionale e della la personalità imprenditoriale ritenute tipiche.

In questo modo sarebbe stato possibile individuare ex ante i possibili imprenditori e dunque stimolare l’imprenditorialità per apportare beneficio all’intera comunità.

David McClelland (1917-1988), psicologo americano, pioniere nel presentare studi empirici sull’imprenditorialità basati su una teoria comportamentale, diede vita al trait approach.

Egli ipotizzò e dimostrò che esistono tre tipologie di motivazioni che spingono gli esseri umani a raggiungere i propri obiettivi: need of

achievement (esigenza di raggiungere traguardi importati), need of power,

(desiderio di essere influente, di imporsi, di comandare, di essere responsabili sugli altri), need of affiliation (aspirazione di instaurare rapporti con altri individui con cui comunicare e passare del tempo).

In ogni persona, nell’opinione dello studioso, tali valori si configurano in maniera differente e ne caratterizzano le propensioni, il comportamento e lo stile lavorativo.

Secondo la visione di McClelland, l’imprenditore è stimolato da need of

achievement (mentre il manager dal need of power) (McClelland &

Burnham, 1976, 2003: 109) ed è inoltre caratterizzato da i seguenti tratti piscologici:

1. Capacità di rischio, come conseguenza di abilità e non di fortuna 2. Capacità innovativa di tipo strumentale

3. Responsabilità individuale

4. Conoscenza degli esiti e decisioni assunte 5. Previsione e anticipazione delle possibilità future 6. Abilità organizzative. (G. Scidà, 2004:134)

Il lavoro dello psicologo americano, influenzò numerosi studiosi che si concentrarono nei tratti caratteristici dell’imprenditore4, tuttavia tale

produzione si rivelò poco consistente nell’individuare come l’entrepreneur si differenzi dagli altri attori.

William B. Gartner, nel celebre articolo “Who Is an Entrepreneur?" Is the

Wrong Question” (1988:47) scrisse:

[...]I believe the attempt to answer the question "Who is an entrepreneur?," which focuses on the traits and personality characteristics of entrepreneurs, will neither lead us to a definition of the entrepreneur nor help us to understand the phenomenon of entrepreneurship [...] When certain psychological traits are carefully evaluated, it is not possible to differentiate entrepreneurs from managers or from the general population based on the entrepreneur’s supposed possession of such traits. [...]

Era dunque necessario abbandonare l’analisi del comportamento dell’imprenditore poiché, per Gartner, l’imprenditorialità si sostanziava nella

creazione di nuove organizzazioni ed era a quest’ultime che doveva essere prestata attenzione. (Garner, 1988, 62)

“[...] Entrepreneurs do not cause entrepreneurship, but rather entrepreneurship causes entrepreneurs [...] ” (Garner 1989)

Garner citando il poeta drammaturgo Yeats “How can we know the dancer from the dance?”, nel suo articolo, esplicitò l’importanza di analizzare la

danza piuttosto che il ballerino, sottolineando così la necessità di studiare

l’imprenditore come “a role that individuals undertake to create organizations” (Garner 1988:64).

Anche Jenks (1950) e Kilby (1971), criticarono fortemente gli studi che andavano alla ricerca di un profilo comportamentale imprenditoriale, affermando che tale approccio si reggeva su assunzioni semplicistiche della personalità e del comportamento.

Carsrud & Krueger (1995) invece, in tempi più recenti, dimostrarono come sia difficile stabilire una correlazione tra tratti caratteristici e performance dell’imprenditore, poiché bisogna considerare l’influenza di numerose variabili (Herron,1990).

Nonostante disaccordi e dispute, le ricerche in ambito imprenditoriale basate sull’ approccio comportamentale non vennero meno.

Landstrom, (1999) a tal proposito, individuò due correnti di pensiero principali che si svilupparono a seguito del lavoro di McClelland:

1. la ricerca analitica, orientata ad identificare le qualità dell’imprenditore (scuola di pensiero che vede in Rotter il massimo esponente);

2. la ricerca psicoanalitica, orientata ad indagare il comportamento imprenditoriale che deriva dall’esperienza acquisita sin dalla gioventù5.

Il numero di qualità e tratti imprenditoriali identificati e definiti in letteratura 6

è via via cresciuto, i più comuni sono riassunti nella figura 5.

Figura 5: caratteristiche più comunemente attribuite agli imprenditori dalla scuola di pensiero comportamentista

Fonte: Fillon 1997

Tuttavia, nonostante i notevoli apporti di numerosi studiosi, la ricerca in questo campo ha spesso portato a risultati contradditori e, fino ad ora, non è stato possibile identificare un profilo scientifico basato sui tratti individuali dell’imprenditore (Fillion, 1997:6).

Altri studiosi successivamente hanno dimostrato che l’imprenditore è un

social being, un attore sociale che è fortemente condizionato dal contesto,

dai prodotti, dal periodo storico e dalla regione in cui è inserito. 7

Anche Nicolai Foss e Peter Klein, nel recente libro “Organizing

Entrepreneurial Judgment: A New Approach to the Firm” (2012) esposero

la loro definizione di imprenditorialità.

Essi scrissero che il cammino da percorrere per una completa definizione di imprenditore e per far definitiva chiarezza nella relazione entrepreneur-

firm, è ancora lungo.

Concordemente con la filosofia della scuola austriaca, i due professori posero in evidenza come, sia nella letteratura economica che in quella

6 Cfr. Filion 1997; Timmons 1978; Blawatt 1995. 7 Cfr. Ellis 1983, Gibb & Ritchie 1981

manageriale, la concezione neoclassica abbia tagliato fuori il ruolo dell’imprenditore attivo all’interno dei mercati.

Le assunzioni legate ai concetti di funzione di produzione e di concorrenza perfetta, infatti, relegano produttori e consumatori a rispondere ad un modello predeterminato.

Nella vita reale, spiegarono gli studiosi, gli imprenditori non sono inseriti in un contesto di concorrenza perfetta e non hanno una funzione di produzione da seguire passivamente, bensì devono intraprendere azioni che ritengano possano portare risultati positivi per l'azienda.

La ricerca di Foss e Klein passò in rassegna la letteratura classica e contemporanea chiedendosi se e come, secondo ogni teoria, l’imprenditore avesse bisogno di un’impresa.

Vennero individuate 3 prospettive: 1. Prospettiva occupazionale, 2. Prospettiva strutturale, 3. Prospettiva funzionale.

La prima definisce l’imprenditorialità come self-employment, in cui si considera l’individuo come l’unità d’analisi e si indagano le caratteristiche dei soggetti che avviano un proprio business. La seconda considera l’industria o l’impresa come unità d’analisi e si descrivono le dinamiche industriali, i clusters, i networks e la crescita. La terza descrive l’imprenditore o l’imprenditorialità, non come un outcome o come fenomeno, ma come un fondamentale aspetto del comportamento economico, come un modo di pesare, come un modo di agire, come un modo di ragionare. (Peter Klein & Nicolai Foss, 2012:23-30).

La terza prospettiva è quella abbracciata dalla scuola austriaca e, in particolare, dai due professori.

In seguito i due economisti si chiesero quale fosse esattamente la funzione imprenditoriale e individuarono in letteratura più risposte:

2. Entrepreneurship as imagination or creativity; 3. Entrepreneurship as innovation;

4. Entrepreneurship as alertness to opportunities; 5. Entrepreneurship as the Ability to Adjust; 6. Entrepreneurship as Charismatic Leadership; 7. Entrepreneurship as Judgment;

Quest’ ultimo approccio è quello condiviso da Foss e Klein.

L’ entrepreneurship viene definita come una funzione economica che

assume ruolo specifico all’interno della società che si sostanzia nel “judgmental decision-making under conditions of uncertainty” (Foss& Klein ,2012: 40-42) ovvero nella capacità di prendere decisioni, su come le risorse devono essere impiegate per produrre i beni richiesti dai consumatori. Il Judgement viene descritto come “decisive action about the deployment of economic resources when outcomes cannot be predicted according to known probabilities. (ibid.)

L’imprenditore dunque è un soggetto attivo e creativo che funge da coordinatore, che combina le risorse, le trasforma in un prodotto che il consumatore desidera.

4. Conclusioni

Il presente capitolo si proponeva di illustrare un breve excursus di autori che hanno apportato contributi rilevanti nella teoria imprenditoriale.

Come si evince dalle pagine precedenti, la tematica imprenditoriale ha suscitato ampio interesse in specialisti provenienti da differenti discipline, soprattutto negli ultimi vent’ anni, ma non si è mai giunti ad una definizione di entrepreneur o entrepreneurship univoca e indiscutibile.

È nostra opinione, che l’apparente ambiguità nella definizione di imprenditore e di imprenditorialità, rifletta essenzialmente la logica e le culture di queste diverse discipline.

Nonostante la mancanza tra i ricercatori di una definizione comunemente accettata di imprenditorialità, sembra esserci accordo generale, nel asserire che di questa, è auspicabile raggiungere più alti livelli, dal momento che l'imprenditorialità è associata a sviluppo economico e crescita sociale.

Sembra probabile che, nei prossimi decenni, la tematica dell'imprenditorialità diventerà un punto cardine di raccolta delle scienze. Da qui, si ritiene, che data la natura diversificata ed eterogenea della materia, sia necessaria la delineazione o ridefinizione del dominio di ricerca accademico, anziché la definizione del termine come tale.

Autori come Shane & Venkataraman non sono stati ricordati nel corso del capitolo perché, a nostro avviso, il loro studio va ben oltre la definizione del fenomeno imprenditoriale, in quanto proposero per la prima volta, la circoscrizione del dominio di ricerca e meritano quindi una citazione a parte. “[...] The scholarly examination of how, by whom, and with what effects opportunities to create future goods and services are discovered, evaluated, and exploited (Venkataraman, 1997). Consequently, the field involves the study of sources of opportunities; the processes of discovery, evaluation, and exploitation

of opportunities; and the set of individuals who discover, evaluate, and exploit them [...]” (Shane & Venkataraman, 2000: 218)

Successivamente anche Gartner (2001) presentò una definizione del dominio di ricerca accademico:

“[...] Specific Domain: the creation and management of new businesses, small businesses, and family businesses, and the characteristics and special problems of entrepreneurs. Major topics include: new venture ideas and strategies; ecological influences on venture creation and demise; the acquisition and management of venture capital and venture teams; self-employment; the owner- manager; management succession; corporate venturing and the relationship between entrepreneurship and economic development [...] ” (Gartner, 2001: 30).

Ed inoltre Davisson scrisse (2005):

“[...] Starting from assumptions of uncertainty and heterogeneity, the domain of entrepreneurship research encompasses the study of processes of (real or induced, and completed as well as terminated) emergence of new business ventures, across organizational contexts. This entails the study of the origin and characteristics of venture ideas as well as their contextual fit of behaviors in the interrelated processes of discovery and exploitation of such ideas, and of how the ideas and behaviors link to different types of direct and indirect antecedents and outcomes on different levels of analysis [...] ” (Davisson, 2005: 21)

Dall’analisi fin qui maturata, non risulta dunque chiaro e univocamente condiviso che tipo di “creatura” l’imprenditore sia; quello che è certo, è che questa è una “creatura” fruttuosa e molto utile e che quindi debba essere mantenuta e ben nutrita. (H.J. Ahl,2002:46)

Capitolo II: i fattori decisivi per la nascita e crescita