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Un cambio di prospettiva nella politica estera americana

Le elezioni presidenziali del 1976 coincisero con l’anno in cui gli Stati Uniti celebrarono il bicentenario della loro nascita come Stato e con un periodo di profonda crisi dell’America.318 Fu una crisi dei valori che si era sviluppata nel decennio precedente, i Sixties e che era esplosa con la guerra del Vietnam e con il Watergate. “Ci insegnavano che i nostri eserciti erano invincibili ed i nostri fini giusti, poi abbiamo sofferto l’agonia del Vietnam”,319 sottolineò Carter. E in uno dei primi discorsi alla Nazione, il neo-Presidente annunciò l’avvio di programmi di formazione al lavoro, destinati principalmente ai reduci del Vietnam, fra i quali era più alta la percentuale di disoccupazione.320

L’America e l’Europa attraversavano una profonda crisi economica, dai connotati più strutturali che congiunturali. Era finita l’età dell’oro e la stagnazione economica, l’incremento dei prezzi delle materie prime e del petrolio in particolare, oltre all’inflazione, dimostravano il fallimento dell’illusione modernista della crescita ininterrotta, quell’illusione che aveva plasmato la politica economica di ogni paese del mondo. L’idea che l’economia fosse avviata in un crescendo virtuoso senza fine, che il benessere, dai paesi più ricchi travasasse inevitabilmente versi quelli più poveri, e che il Terzo Mondo avrebbe importato, appreso ed attuato i modelli democratici e sociali americani, era basata sul presupposto che i governanti fossero tutti illuministi colti e generosamente attenti alle esigenze dei popoli. L’esperienza pratica aveva dimostrato l’esistenza di egoismi privati, di tensioni tribali o religiose, la molteplicità culturale e religiosa dei nazionalismi e la frequente inadeguatezza morale delle élite politiche. Il secondo

318 G. Mammarella, Storia degli Stati Uniti…, op. citata, pg. 230

319 Jimmy Carter, Public Papers of the President, 15-7-1979, consultabili sul sito www.presidency.ucsb.edu 320Jimmy Carter, Report to the American People on Energy, febbraio-2-1977, consultabili sul sito

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presupposto della crescita economica virtuosa era dato dalla possibilità di reperire sempre mano d’opera a basso costo e materie prime in grande quantità.321

Ma la necessità di smaltire la produzione industriale stimolò la corsa al consumismo e, sotto l’influenza della competizione bipolare dei modelli economico-sociali USA-URSS e dei sindacati, nuovo soggetto politico, produsse l’esigenza di una sempre più equa redistribuzione della ricchezza e l’aumento consistente dei costi della mano d’opera, soprattutto nei paesi più industrializzati e più ricchi. Negli Stati Uniti la Great Society johnsoniana aveva causato un forte aumento della spesa pubblica destinata al Welfare, che in un decennio era passata da 6,4 a circa 50 miliardi di dollari. L’inflazione, nell’ultimo quadrimestre del 1974, salì al 13,7 per cento ed il tasso della disoccupazione toccò la cifra record dell’ 8,2 per cento. Come conseguenza dell’inflazione e della deindustrializzazione, si allargò il divario economico fra ricchi e poveri ed aumentò il degrado dei centri urbani. L’economia americana, pur rimanendo la più alta ed industrializzata del mondo, non riusciva più a crescere e la “nuova società tecnocratica”322

descritta da Brzezinski come società post-industriale, stentava ad affermarsi.323

Il prezzo del petrolio era sfuggito al controllo delle multinazionali che ne gestivano lo sfruttamento, e si era trasformato in un’arma della lotta politica internazionale. La consapevolezza che il pianeta Terra avrebbe esaurito le sue risorse naturali divenne il tema dei dibattiti ed il rischio di scarsità delle materie prime fece emergere i “limiti dello sviluppo”.324

Il passaggio ad una nuova epoca fu rappresentato dalla guerra dello Yom Kippur e la conseguente azione politica dei paesi dell’OPEC, attuata attraverso il prezzo del petrolio, produsse effetti che anche la gente comune percepì nel quotidiano.325 L’aumento del prezzo del petrolio ebbe gli effetti più drammatici sulle economie dei paesi del Terzo Mondo, i quali, dovendo pagare

321

Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali…, op. citata, pg. 1224 322 G. Mammarella, Storia degli Stati Uniti…, op. citata, pg. 230

323 Ibidem

324 Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali…, op. citata, pg. 1225 325

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prezzi proibitivi per la produzione di energia, furono costretti a rallentare o a sospendere le loro politiche di sviluppo.

Con l’elezione di Jimmy Carter, l’America dimostrò il desiderio di “volersi rifare un immagine”326 e la volontà di rompere con il passato e con i compromessi di un establishment politico corrotto. Il popolo americano era stanco dei sacrifici intrapresi negli anni precedenti ed aveva perso fiducia nei propri rappresentanti politici, che vennero accusati di avere spinto quella che agli occhi del mondo appariva una superpotenza e un esempio da seguire, “sull’orlo di un baratro di cui non si scorgeva il fondo”.327 Il nuovo Presidente promise al popolo una svolta politica, strategica e culturale che avrebbe trasformato, non solo la politica interna, ma anche le prospettive e le finalità della politica estera americana.328 Carter era intenzionato a mantenere le promesse fatte in campagna elettorale e riteneva che occorresse abbandonare la diplomazia segreta, i backchannel e optare per una politica estera chiara e “alla luce del sole”.

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Solo dopo quattro mesi dall’entrata in carica, nel maggio del 1977, Carter, nel corso di un discorso tenuto all’Università di Notre Dame, enunciò il suo programma di politica estera: controllo democratico delle scelte strategiche; diffusione dei diritti umani nel mondo; particolare attenzione, non più ai rapporti Est-Ovest oramai consolidati, bensì ai rapporti Nord- Sud; superamento dell’irrazionale paura del comunismo e dell’effetto prodotto, il contenimento; rilancio della distensione nei rapporti USA-URSS.330

Secondo il Presidente, era necessario riorganizzare la politica estera, sottraendola al rigido schema della Guerra Fredda, per ottenere, attraverso una nuova strategia, il consenso interno ed internazionale. Bisognava uscire dalla crisi di egemonia di cui soffrivano gli Stati Uniti;

326 Giancarlo Giordano, La politica estera…, op. citata, pg. 213 327

Ibidem

328 Mario Del Pero, Libertà e impero…, op. citata, pg. 367 329 Giancarlo Giordano, La politica estera…, op. citata, pg. 213

330 Jimmy Carter, 22-5-1977, Public Papers of the Presidents, Jimmy Carter http://www.presidency.ucsb.edu/ws/index.php?pid=7552

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bisognava andare oltre le convinzioni anticomuniste, che avevano indotto la Casa Bianca ad allearsi con i dittatori e a rinunciare ai propri principi di moralità; bisognava uscire da quel sistema di paure e di fraintendimenti, che avevano provocato la Guerra Fredda. Era giunto il momento di basare la politica estera sui valori etici e sull’ottimismo, che avevano da sempre caratterizzato la storia americana331: “[…] Our policy must reflect our belief that the world can hope for more than simple survival and our belief that dignity and freedom are fundamental spiritual requirements. Our policy must shape an international system that will last longer than secret deals. We cannot make this kind of policy by manipulation. Our policy must be open; it must be candid; it must be one of constructive global involvement, resting on five cardinal principles.[…]”.332

Era giunto il momento di andare oltre l’idea che “ […] Soviet expansion was almost inevitable but that it must be contained, beyond that inordinate fear of communism which once led us to embrace any dictator who joined us in that fear, beyond the tendency to adopt the flawed and erroneous principles and tactics of our adversaries, sometimes abandoning our own values for theirs, beyond the crisis of confidence produced by Vietnam […]”.333

Ai tempi della presidenza Truman, gli Stati Uniti avevano basato l’egemonia sulla superiorità economica, morale e militare. La lotta contro l’Unione Sovietica era diventata una competizione in cui c’era posto solo per un solo vincitore, ed ogni teatro veniva considerato vitale per il contenimento del comunismo. Negli anni Sessanta, gli elementi che avevano consentito agli Stati Uniti di divenire una superpotenza erano stati sfidati e vinti. Con Nixon l’America si era scontrata con la realtà e aveva dovuto ammettere i propri limiti: non si poteva essere presenti ovunque e non tutti gli obiettivi erano vitali. Nixon, con la sua politica estera, aveva ricercato principalmente gli interessi nazionali e la salvaguardia dell’egemonia

331 John Lewis Gaddis, Strategies of containment…, op. citata, pg. 343

332 Jimmy Carter, 22-5-1977, Public Papers of the Presidents, Jimmy Carter, consultabile sul sito http://www.presidency.ucsb.edu/ws/index.php?pid=7552

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americana, mentre al tempo stesso operava per contenere l’espansionismo sovietico. Attraverso la detente, il linkage ed una politica estera molto vicina alla strategia usata dai leader europei Nixon era riuscito a concludere il tragico capitolo del Vietnam, ad instaurare rapporti con la Cina e a stipulare con l’URSS gli accordi SALT I.

Carter, in contrasto con la Realpolitik delle precedenti amministrazioni, optò per un ritorno all’idealismo, ponendo al centro della propria strategia politica il rispetto per i diritti umani, al fine di recuperare la superiorità morale degli Stati Uniti. Secondo il Presidente, lo scopo del governo americano avrebbe dovuto essere quello di fornire servizi utili agli americani, di mantenere e di preservare la pace, di alleviare le disuguaglianze e di correggere le ingiustizie. L’enfasi di Carter nel porre al centro della sua politica il tema dei diritti umani rifletteva la sua fede per i valori morali, ma la messa in atto di ciò che aveva promesso nel suo discorso inaugurale, “our commitment to human rights must be absolute”, non fu semplice e favorì molte critiche. 334 Secondo Carter, la difesa dei diritti umani avrebbe dovuto sostituire il “confronto USA-URSS”335 fondato sulla paura del comunismo, avrebbe ribadito l’importanza della moralità nella gestione della politica estera e reiterato l’obiettivo wilsoniano dell’esportazione della democrazia nel mondo. Già nel discorso inaugurale aveva enfatizzato la “nuova dimensione dell’American Dream”,336

e, anche se la tutela dei diritti umani avrebbe dovuto essere condotta in modo selettivo ed inizialmente in via diplomatica riservata, Carter scrisse: “siamo impegnati affinché i diritti umani siano presi pienamente in considerazione nel determinare se i programmi di assistenza militare siano utili per la sicurezza nazionale e gli obiettivi di pace”.337 Per l’amministrazione Carter la promozione dei diritti umani non era un semplice

334 Gaddis Smith, Morality, Reason and Power. American diplomacy in the Carter Years, New York, Hill and Wang, 1986, pg. 50.

335 Mario Del Pero, Libertà e impero..., op. citata, pg. 368 336 Giampaolo Valdevit, I volti della potenza…, op. citata, pg. 148

337 Lettera, Jimmy Carter a Tim O’Neill, 28-3-1977, WHCF-Subject File: Box FO-25, Folder FO 3-2, Jimmy Carter Library, consultabile sul sito www.jimmycarterlibrary,org

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ritorno all’idealismo, ma, come sottolineò Vance, “un lungo viaggio”338

, un impegno in cui valutare selettivamente le modalità più coerenti e vantaggiose di intervento. Furono ridotti gli aiuti economici in favore di Argentina, Cile e Nicaragua e furono imposte sanzioni commerciali all’Uganda. Per contrastare la politica segregazionista del Sud Africa, Carter dispose il blocco dell’esportazione americana di forniture militari. La nomina ad ambasciatore americano all’ONU del leader afroamericano Andrew Young, che era stato collaboratore di Martin Luter King, dimostrò la volontà di Washington di operare a favore dell’integrazione razziale ovunque nel mondo.339 Carter usò l’arma della sospensione degli aiuti laddove le violazioni dei diritti umani erano conclamate, ma la storia degli Stati Uniti insegna che in politica estera non sempre è possibile perseguire i valori morali, perché ogni mossa deve essere innanzitutto analizzata sotto l’aspetto del “national advantage”,340

motivo per cui in alcune parti del mondo la tutela dei diritti umani fu subordinata agli interessi strategici americani imprescindibili: in Medio Oriente al petrolio, in Cina alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche, nel Sud-Est asiatico alla delicatezza degli equilibri geopolitici. La scelta di adottare comportamenti diversi, a seconda dell’importanza del Paese che violava i diritti umani, fu oggetto di molte critiche e dimostrò al mondo politico internazionale una delle tante incongruenze che caratterizzarono la Presidenza Carter.

La Realpolitik sembrava superata a favore di un ritorno all’idealismo, mentre era solo cambiata l’enunciazione teorica della politica estera, perché gli elementi di continuità con l’amministrazione Nixon-Ford furono numerosi. La restituzione del Canale di Panama, la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con la Cina ed i negoziati SALT II erano obiettivi che l’amministrazione precedente aveva avviato e che intendeva perseguire. Quella di Carter fu

338 Giampaolo Valdevit, I volti della potenza…, op. citata, pg. 149 339 Ibidem

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una “moralità senza potenza”341 ed il suo discorso idealista e minimalista, fondato sulla tutela dei diritti umani, fu privo di una visione ottimista e bloccato dall’impossibilità di agire efficacemente sulla violazione quotidiana dei diritti nell’area comunista.342 La mancanza di coerenza della svolta in politica estera prefigurata da Carter trovò espressione e causa nei disaccordi che si vennero a creare fra i suoi più stretti collaboratori.

Cyrus Vance, che fu nominato segretario di Stato era favorevole a rilanciare la distensione con Mosca, recependo in ciò le aspettative di quella parte dell’opinione pubblica statunitense che, nella distensione, aveva visto quasi la fine della Guerra Fredda e l’inizio di un’epoca di pace e di stabilità. Vance concordava con Carter nel sostenere che gli Stati Uniti avevano commesso svariati errori in politica estera e che fosse necessario cambiare lo schema di atteggiamento fino ad allora utilizzato. E non condivideva la strategia del linkage, utilizzata da Kissinger e da Nixon soprattutto nei rapporti con l’Unione Sovietica. Un elemento fondamentale nella visione politica di Vance era la limitazione delle armi nucleari. Il segretario di Stato era convinto che la riduzione degli arsenali statunitensi e sovietici dovesse essere slegata da altre problematiche. Sebbene la tutela dei diritti umani e le relazioni economiche fossero questioni importanti, Stati Uniti ed URSS avrebbero dovuto perseguire l’obiettivo di limitare i propri arsenali, indipendentemente da qualsiasi altra problematica si producesse fra le due superpotenze.343 Vance non era contrario a priori all’uso della forza militare, che considerava un elemento fondamentale sulla scacchiera delle relazioni internazionali, tuttavia pazienza e diplomazia erano strumenti che riteneva preferibili. Zbigniew Brzezinski, nominato consigliere per la Sicurezza nazionale, era sempre stato critico della detente e sollecitava una politica di maggior fermezza nel confronti dell’Unione Sovietica ed il ritorno al contenimento.344

Brzezinski disapprovava il moralismo di Woodrow Wilson e sottolineava l’importanza della forza militare

341 Mario Del Pero, Libertà e impero..., op. citata, pg. 369 342 Ibidem

343 Gaddis Smith, Morality, Reason…, op. citata, pg. 41 344

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in politica estera.345 La posizione di Brzezinski si avvicinava molto a quella di Dean Acheson e di Truman, perché riteneva che la natura e l’esistenza del potere sovietico fossero i principali ostacoli per la costruzione di un mondo democratico e pacifico.346 Brzezinski era convinto che l’URSS stesse affrontando un periodo di crisi e che per poterne uscire avrebbe cercato di espandere la propria azione politica “in ogni punto del pianeta”. 347

Quando in Africa e in Asia si svilupparono movimenti rivoluzionari, il capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale accusò Mosca e si dichiarò favorevole ad una risposta dura da parte statunitense.

Carter riteneva di riuscire a mediare tra queste due forti e contrastanti linee di pensiero, ma il risultato che ottenne fu una politica estera incoerente e spesso definita “errabonda”.348

Sostanzialmente, durante i primi anni di mandato, il Presidente raggiunse importanti traguardi diplomatici, tra cui i Trattati per il Canale di Panama e gli Accordi di Camp David, ma successivamente la politica estera americana subì un forte cambio di prospettiva e il Carter degli anni 1979-1980 contraddisse i valori e le convinzioni che aveva precedentemente difeso e sostenuto. In seguito all’elaborazione della Dottrina Carter, la Casa Bianca pose fine al periodo della distensione e ritornò alla politica contenuta nell’NSC-68, enfatizzando l’ostilità americana nei confronti dell’Unione Sovietica.

345 Gaddis Smith, Morality, Reason…, op. citata, pg. 36 346 Ibidem

347 Giancarlo Giordano, La politica estera…, op. citata, pg. 215 348

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Il successo di Panama e gli accordi di Camp David

Alla fine di novembre del 1976, Carter e Mondale incontrarono Kissinger per le consuete consultazioni relative al passaggio di consegne fra le amministrazioni nuova ed uscente e venne, fra gli altri, affrontato il tema del Canale di Panama.

Già negli anni Sessanta l’America aveva mostrato disponibilità a modificare l’assetto amministrativo del Canale, ma la guerra del Vietnam, i rapporti con l’URSS e le varie crisi mondiali avevano imposto a Washington priorità diverse.

Vance era uno strenuo sostenitore della necessità di risolvere la vertenza sul Canale, per dare avvio ad un nuovo corso nelle relazioni diplomatiche con l’America Latina. Kissinger riteneva che i Trattati del 1903 e del 1936 avessero concesso agli Stati Uniti giurisdizione, non sovranità sulla zona del Canale. Carter, che condivideva l’interpretazione di Kissinger, confermò nell’incarico di ambasciatore a Panama, Ellswort Bunker, che aveva lavorato e reso possibile l’accordo Kissinger-Tack del 1974 e gli affiancò Sol Linowitz.349

Gli ambasciatori Bunker e Linowitz, nel mese di agosto, raggiunsero un accordo con il governo di Panama su due Trattati separati: il Panama Canal Treaty ed il Neutrality Treaty. Gli Stati Uniti avrebbero mantenuto il controllo del Canale e dell’area circostante fino al 31 dicembre 1999, quando vi sarebbe stato il passaggio di consegne previsto per il 2000 e Panama, coerentemente con la Dottrina Nixon, avrebbe contribuito alle operazioni di difesa militare.

I Trattati furono firmati a Washington il 7 settembre 1977 e Carter sfruttò mediaticamente l’occasione, per trasmettere un’immagine benevola degli USA a tutta l’America Latina e per migliorare nel mondo la credibilità degli Stati Uniti come paese esportatore di democrazia e di libertà. Il successo e l’enfasi internazionale data all’evento conferirono a Carter e all’America grande prestigio: la restituzione del Canale era un risultato in linea con la strategia politica

349 Lettera, Z.Brzezinski a Gene Snyder, 22-3-1977, WHCF-Subject File: Box FO-15, Folder FO-3-1, Jimmy Carter Library, consultabile sul sito www.jimmycarterlibrary.gov

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espressa da Carter durante la campagna elettorale ed era il coronamento del lavoro di quattro amministrazioni precedenti, due democratiche e due repubblicane, durato quasi venticinque anni. Fu il più significativo successo nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l’America Latina dalla politica del buon vicinato inaugurata da Franklin D. Roosevelt.350 E l’impegno di Carter in merito alla questione del Canale di Panama rappresentò l’esempio migliore della sincerità nelle intenzioni del Presidente di modificare l’atteggiamento americano nei confronti delle nazioni emergenti in America Latina e in Africa. Tuttavia la volontà di Washington di dare agli Stati Uniti una nuova immagine non ottenne tutti gli effetti sperati.351 In Cile, in seguito al colpo di Stato che aveva rovesciato il governo Allende, si riprese a parlare della diplomazia del Big Stick utilizzata da Roosevelt nei confronti della linea politica di Pinochet. La Casa Bianca ritirò ogni forma di sostegno alle autorità di Santiago e, contemporaneamente, offrì ospitalità a molti esuli.352 Ci fu un blando tentativo da parte di Carter di riavvicinarsi a Cuba e a Fidel Castro. Alcuni incidenti diplomatici, fra cui l’operazione della Baia dei Porci, avevano comportato il deterioramento delle relazioni diplomatiche fra i due paesi e rinsaldato i rapporti fra Fidel e l’Unione Sovietica. Appoggiato da Vance, che sosteva che era giunto il tempo di “move away from our past policy of isolation”353, Carter decise di eliminare il divieto per gli Americani di recarsi a Cuba e, nel marzo del 1977, le due nazioni firmarono un accordo sulla pesca. Ma la nuova linea diplomatica americana terminò presto, in seguito alla severa condanna di Carter per l’invio di truppe cubane in Angola e alla decisione di richiedere ai servizi di intelligence una maggiore attenzione nelle comunicazioni tra Urss e Castro. L’occasione per dimostrare il nuovo orientamento diplomatico statunitense venne offerto anche dalla situazione che si sviluppò in Nicaragua e in Salvador. Il Presidente non fu in grado di sfruttare pienamente le opportunità, anche a causa delle due contrastanti linee di pensiero sostenute da Vance e da Brzezinsky e le

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