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LE DOTTRINE TRUMAN, NIXON, CARTER E BUSH IN POLITICA ESTERA A CONFRONTO

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INDICE

Abbreviazioni 3

Introduzione 5

Capitolo I : La Dottrina Truman

1.1 La situazione politica alla metà del XX secolo 8

1.2 Verso l’elaborazione della Dottrina 17

1.3 La Dottrina Truman 22

1.4 Il Piano Marshall, il Blocco di Berlino e il Patto Atlantico 28 1.5 La militarizzazione della Guerra Fredda con l’NSC-68 34

1.6 Le critiche alla Dottrina Truman 41

Capitolo II : La Dottrina Nixon

2.1 Verso la Realpolitik 49

2.2 La Dottrina Nixon 53

2.3 Il Vietnam 64

2.4 La strategia della distensione: i rapporti con l’Unione Sovietica 69

2.5 L’apertura verso la Cina comunista 76

2.6 L’anno dell’Europa 81

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Capitolo III : La Dottrina Carter

3.1 Un cambio di prospettiva nella politica estera americana 97

3.2 Il successo di Panama e gli accordi di Camp David 105

3.3 I rapporti con la Cina 111

3.4 I rapporti con l’URSS: dal SALT II all’invasione dell’Afghanistan 114 3.5 La questione degli ostaggi in Iran e l’invasione dell’Afghanistan 118

3.6 La Dottrina Carter 124

3.7 Le critiche alla Dottrina Carter 130

Capitolo IV: La Dottrina Bush

4.1 La situazione politica alla fine del XX secolo 136

4.2 Il governo Bush 148

4.3 La Dottrina Bush 151

4.4 La guerra in Afghanistan 166

4.5 L’intervento militare in Iraq 169

4.6 Le critiche alla Dottrina Bush 174

Capitolo V : Un confronto tra le Dottrine 182

Conclusione 204

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Abbreviazioni

ABM – Anti-Ballistic Missile

CIA – Central Intelligence Agency

D-59 – Presidential Directive 59

ERP – European Recovery Program

FED – Federal Reserve

ISAF – International Security Assistance Force

MAD – Mutual Assured Distruction

NATO – Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord

NSC – National Security Council

NSC-68 – United States Objectives and Programs for National Security

ONU – Organizzazione delle Nazioni Unite

OPEC – Organization of the Petroleum Exporting Countries

PIL – Prodotto interno lordo

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SALT – Strategic Arms Limitation Talks

UE – Unione europea

URSS – Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche

USA – United States of America

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Introduzione

L’argomento trattato all’interno di questa tesi è scaturito dall’interesse di porre a confronto le Dottrine e le idee in politica estera di quattro grandi presidenti degli Stati Uniti: Truman, Nixon, Carter e Bush.

Le prime tre figure storiche analizzate appartengono al periodo storico della Guerra Fredda, mentre il Presidente George W. Bush ha governato gli Stati Uniti nel XXI secolo.

Sebbene questi Presidenti appartengano a periodi storici differenti, è possibile riconoscere nelle loro Dottrine e nelle loro strategie d’azione sia differenze, sia alcuni tratti comuni.

Una delle variabili più importanti che verranno esaminate nella tesi sono proprio gli strumenti e i mezzi utilizzati per raggiungere gli obiettivi che la Casa Bianca negli anni si poneva.

Per poter comprendere a fondo le differenze e le caratteristiche simili di queste Dottrine è stata scelta una chiave di lettura basata sulla teoria delle strategie di difesa, proposta da John Lewis Gaddis. John Lewis Gaddis sostiene che, fondamentalmente, vi siano due macro categorie di risposta alle minacce subite da Washington: la risposta simmetrica e la risposta asimmetrica. La risposta simmetrica si basa sulla convinzione che tutti gli interessi siano vitali, tutte le minacce siano ugualmente pericolose, e che l’economia americana abbia le capacità di sostenere lo sviluppo di ogni mezzo necessario per sconfiggere l’avversario, su qualsiasi teatro. Questo tipo di strategia offre una risposta adeguata alle minacce incrementali e contro tutti pericoli nei teatri periferici, che potrebbero mettere in discussione l’equilibrio delle relazioni internazionali: “Simmetry offered protection against incremental threats, agains the danger that peripheral challenges to the balance of power might become major ones […] It made available multiple levels of response. […]”1

1 John Lewis Gaddis, Strategies of containment, a critical appraisal of american National security policy during

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Implica la possibilità di utilizzare diversi strumenti di risposta, e richiede la capacità di essere presenti su più teatri contemporaneamente, ma costringe lo Stato a sforzi economici enormi e potenzialmente illimitati. Inoltre, la risposta simmetrica permette all’avversario di scegliere la natura e il teatro della competizione.

La risposta asimmetrica, invece, parte dal riconoscimento dei limiti: uno Stato non avrà mai risorse economiche e fisiche tali da poter affrontare più conflitti, di pari potenza, su più teatri contemporaneamente. Questa strategia si basa sull'attenta scelta dei teatri e delle singole risposte da utilizzare nelle varie situazioni da affrontare.

Un’analisi accurata delle relazioni internazionali e delle capacità dei singoli avversari permette allo Stato di scegliere solo i teatri più importanti e le questioni più rilevanti, così da poter concentrare le forze in un tipo di risposta più efficace ed efficiente. Questo tipo di strategia richiede, inoltre, la capacità di sapere distinguere tra interessi vitali e secondari: “Asymmetry recognize the reality of limited resources, stressing the need to pick anch choose the manner of one’s response […] It concentrated less on a multiplicity of options than on a variety of means, emphasizing the need to act in circumstances at times […]”.2

L’utilizzo di una risposta non implica l’esclusione dell’altra e, spesso, nell’analisi delle Dottrine descritte, si potrà notare un cambio di strategia dovuto a fattori di natura economica, politica o sociale.

Truman, Nixon e Carter svolsero tutti la loro presidenza durante la Guerra Fredda.

La Guerra Fredda è un periodo storico compreso tra il 1947 ed il 1989 caratterizzato dalla competizione di due grandi potenze: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. La competizione vedeva contrapposti non solo due Stati, ma due sistemi politici, economici e sociali completamente differenti. Le linee guida della politica estera di quegli anni si potrebbero riassumere in due semplici parole: contenimento e deterrenza.

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Un fattore che unisce le Dottrine Truman, Nixon e Carter fu proprio l’Unione Sovietica, il nemico contro cui Washington dovette confrontarsi durante gli anni della Guerra Fredda.

La presidenza di George W. Bush si inserisce, invece, in un contesto storico diverso: cambiarono le problematiche, lo stesso scacchiere internazionale, le sfide che l’America dovette affrontare e, soprattutto, cambiò la concezione stessa di nemico.

Nonostante i periodi storici e le minacce affrontate siano differenti, i tipi di strategie adottate (risposta simmetrica e asimmetrica), il rapporto con le variabili economiche e sociali, il concetto dell’apparenza e le tecniche utilizzate per conquistare il consenso sono molto simili in tutte le Dottrine analizzate.

Truman, Nixon, Carter e Bush nei discorsi tenuti al Congresso e alla Nazione, durante l’annuncio delle loro Dottrine, utilizzarono spesso termini come “democrazia”, “pace” e “libertà” per avvalorare le loro posizioni.

Il problema dell’apparenza, la necessità di dover dimostrare e assicurare al mondo e ai propri Alleati che gli Stati Uniti erano in grado di ottemperare agli impegni assunti e di difendere i popoli in difficoltà è una preoccupazione che ogni Presidente sopra descritto dovette affrontare. E anche il fattore economico giocò un ruolo da protagonista nel determinare la scelta per un’opzione piuttosto che l’altra.

Questo elaborato ha come obiettivo quello di sottolineare come i Presidenti Truman, Nixon, Carter e Bush abbiano dovuto affrontato problemi di politica estera molto simili e che la scelta di utilizzare la risposta simmetrica o asimmetrica dipenda da variabili riconoscibili in tutte le Dottrine affrontate.

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La Dottrina Truman

La situazione politica alla metà del XX secolo

Il 12 aprile 1945, alla morte del Presidente Roosevelt, la Seconda guerra mondiale stava volgendo al termine ed il vice-Presidente Harry S. Truman ebbe il compito di affrontare una situazione mondiale molto complessa. Il sistema internazionale si stava evolvendo velocemente verso un bipolarismo assai diverso dal progetto immaginato da Roosevelt, nel quale al primato globale statunitense avrebbe dovuto corrispondere un equilibrio tra le altre grandi potenze: Gran Bretagna ed URSS.3

Le scelte fatte da Roosevelt negli anni precedenti il 1945 avevano implicato un cambiamento radicale nella politica estera americana. Se nel 1933 il tema principale della politica americana era stata la national salvation, ovvero, la scelta di isolarsi dal contesto europeo per salvaguardare la libertà e la democrazia4; nel 1937, con il discorso sulla quarantena “Quarantine Address”5

, Roosevelt, richiamandosi ai temi wilsoniani e denunciando la minaccia del fascismo, aveva deciso di abbandonare l’isolazionismo.6

Roosevelt e i suoi più stretti collaboratori avevano attentamente studiato la dottrina di Wilson, ed era opinione del Presidente che l’America non potesse continuare ad essere la guardiana ed il modello del mondo, senza incominciare ad esercitare un’influenza globale.7

Il grand design di Roosevelt mirava all’affermazione della leadership americana nel panorama mondiale, perché la sicurezza degli Stati Uniti sarebbe stata possibile solo se essi stessi avessero provveduto a rendere il mondo più sicuro. La pax americana si sarebbe basata su due pilastri fondamentali: la libertà di

3 Mario Del Pero, Libertà e Impero? Gli Stati Uniti e il mondo 1776-2011, Roma, Editori Laterza, 2011, pg. 271 4

Giuseppe Mammarella, Destini incrociati. Europa e Stati Uniti 1900-2003, Bari, Editori Laterza, 2005, pg. 93 5 Franklin Delano Roosevelt, Great Speeches, New York, Dover Editions, 1999

6 Ibidem

7 John L. Gaddis, La Guerra fredda cinquant’anni di paura e di speranza, Cles (TN), Oscar Mondadori, 2008, pg. 21

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commercio, che avrebbe garantito la pace e lo sviluppo, e la soluzione pacifica delle controversie tra Stati. 8 Roosevelt proponeva un modello di società fondato sui principi liberal-democratici del capitalismo e del multilateralismo, che lasciava ampi spazi di manovra in campo politico ed economico-finanziario agli altri soggetti del sistema economico internazionale, purché agli Stati Uniti venisse riservato il ruolo di guida.

Affermando il concetto del multilateralismo, Roosevelt aveva modificato l’opinione che l’America aveva avuto del mondo. Adams era partito dal presupposto che nessuna nazione fosse o sarebbe mai stata simile all’America e che la distanza stessa rappresentasse una difesa. Wilson aveva ritenuto che l’esportazione della democrazia e del capitalismo avrebbero avuto come conseguenza automatica la sicurezza dell’America. Secondo la strategia di Roosevelt, la cooperazione multilaterale avrebbe garantito le priorità e l’egemonia statunitensi ed avrebbe recato vantaggi a tutti, se avesse prodotto strutture capaci di prevenire futuri conflitti.9 Le istituzioni che vennero create grazie al suo impegno, la Carta Atlantica, il Fondo monetario internazionale, la Banca Mondiale e le Nazioni Unite si basavano infatti sui principi dettati da Wilson.10

Il 14 agosto del 1941 Churchill e Roosevelt firmarono, a bordo dell’incrociatore Prince of Wales ancorato al largo di Terranova,11 il documento programmatico più importante della Seconda guerra mondiale12, la Carta Atlantica, una rielaborazione dei 14 punti di Wilson e delle libertà umane essenziali che conteneva, in otto punti, l’enunciazione dei principi sui quali avrebbero costruito il futuro ordine internazionale: divieto di espansioni territoriali, autodeterminazione di tutti i popoli, democrazia, pace intesa come liberazione dalla paura e dal

8 Giuseppe Mammarella, L’eccezione americana. La politica estera statunitense dall’Indipendenza alla guerra in

Iraq, Roma, Carocci, 2005, pg. 134

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John Lewis Gaddis, Attacco a sorpresa e sicurezza: le strategie degli Stati Uniti, Milano, Editore Vita e Pensiero, 2005, pg. 52

10 Giuseppe Mammarella, L’eccezione americana..,op. citata, pg. 135 11 G. Mammarella, Destini incrociati…, op. citata, pg. 105

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bisogno, libertà di commercio e di navigazione, rinuncia all’uso della forza per dirimere le vertenze internazionali, istituzione di un sistema di sicurezza volto a promuovere il disarmo. Con la firma della Carta, Churchill aveva accettato il principio liberista del libero scambio commerciale, uno degli obiettivi principali della politica di Roosevelt, nonché una necessità per salvaguardare l’economia americana. Harry Hawkins,13

già nel 1944 sosteneva: “La cooperazione in materia commerciale ci aiuterà enormemente. Come tutti sanno, avremo nel dopoguerra una produzione industriale quasi raddoppiata, e il mercato interno americano non potrà assorbirla indefinitamente. Non c’è alcun dubbio che avremo bisogno di grandi mercati esteri.”14

Benché Churchill e Roosevelt avessero visioni diverse in materia di economia e di mercato, la concessione britannica agli interessi statunitensi, era dettata dall’assoluta necessità che il Regno Unito aveva avuto di ricevere gli aiuti degli Stati Uniti e dalla preoccupazione di Churchill di rimuovere ogni ostacolo all’entrata in guerra degli USA.15

La Gran Bretagna, che all’inizio del XX secolo era stata un impero globale a cui gli immensi territori coloniali avevano garantito il primato politico, economico e commerciale, aveva liquidato molti investimenti all’estero e si era fortemente indebitata. Era pertanto prevedibile che, al termine della guerra, sarebbe stata in gravi difficoltà finanziarie.16 La Gran Bretagna voleva sopravvivere ad ogni costo, anche a condizione di cedere a Washington la leadership della coalizione, di sacrificare in parte l’Impero e di collaborare con Stalin e con un regime che Churchill, anni prima, aveva sperato di annientare.17

13 Harry Hawkins, direttore della Sezione economica del Dipartimento di Stato ed uno dei più fidati collaboratori di Roosevelt

14

Giuseppe Mammarella, L’eccezione americana…, op. citata, pg. 136

15 Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali dal 1918 ai giorni nostri, Roma, Editori Laterza, 2008, pg. 422

16 G. Mammarella, Destini incrociati…, op. citata, pg.122 17

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Le difficoltà che i tre grandi incontrarono per individuare un terreno comune furono dovute alla diversità degli obiettivi bellici e postbellici che le potenze alleate si erano date. Vincere la guerra era stato l’unico imperativo condiviso.

L’ultima Conferenza a cui Roosevelt partecipò fu la Conferenza di pace tenutasi a Yalta, in Crimea, nel febbraio del 1945. In quell’occasione gli Alleati avevano pianificato le fasi finali del conflitto, definito la struttura delle nuove Nazioni Unite, ribadito la necessità di imporre agli sconfitti la “resa incondizionata”,18

avevano iniziato a stabilire gli importi e le modalità di pagamento delle riparazioni per i danni di guerra, e progettato la smilitarizzazione della Germania.

Roosevelt non ostacolò il progetto di Stalin di circondare l’URSS, in Europa orientale, di governi amici, quasi fossero un sorta di cintura di sicurezza, un cordon sanitaire, che sembrava equivalere ad un auto-contenimento. A Yalta era già evidente che nell’Europa centro-orientale l’URSS non avrebbe rinunciato ad imporre la propria volontà e non avrebbe permesso l’instaurazione di governi che non fossero filosovietici.

Il 12 aprile 1945 Roosevelt morì lasciando nelle mani di Truman una situazione mondiale complessa per la quale il vicepresidente non aveva la necessaria esperienza e preparazione. Al termine della Seconda guerra mondiale, il mondo si trovò diviso in due schieramenti: i vinti ed i vincitori, in un assetto internazionale totalmente mutato rispetto al periodo pre-bellico. Nel 1939, delle sette grandi potenze mondiali, cinque erano state europee. Il secondo dopoguerra impose un sistema basato su due sole superpotenze, attorno alle quali si schierarono, per scelta o per costrizione, tutti gli Stati europei.19

La situazione internazionale si presentava alquanto eterogenea: la Germania ed il Giappone dovevano il loro futuro alla volontà delle nazioni vincitrici; l’Unione Sovietica aveva subito grosse perdite e la popolazione era allo stremo; Francia, Gran Bretagna, Belgio, Paesi Bassi,

18 Mario Del Pero, Libertà e impero… , op. citata, pg. 271 19

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Italia, Norvegia e Danimarca dovevano ricostruire un apparato industriale seriamente danneggiato e le loro economie stavano collassando; in Cina la guerra civile stava distruggendo quei minimi standard di vita raggiunti prima della guerra; i Paesi del Terzo Mondo lottavano per contrastare l’imperialismo e per ottenere l’indipendenza. Dopo il conflitto erano fortemente modificati in Europa anche i rapporti di potenza. La Gran Bretagna era fra i paesi vincitori, ma era divenuta una potenza in declino, che, già nel 1941, con la scelta di firmare la Carta Atlantica aveva rinunciato a progetti egemonici e abdicato a favore degli Stati Uniti, accettando il principio liberista del libero scambio commerciale, pur di ricevere gli aiuti statunitensi, ritenuti essenziali per la sopravvivenza stessa del paese. Tra le superpotenze che si andavano delineando, URSS ed USA, l’America era l’unica ad essere presente in tutti i continenti.20

Per la prima volta nella storia, la guerra era stata combattuta non solo fra gli eserciti, ma nel territorio e fra le popolazioni civili, con la partecipazione delle forze della Resistenza all’invasione nazista. Pertanto era distrutto e necessitava di ricostruzione non solo il territorio della Germania e dei paesi sconfitti, ma quello dell’intera Europa. E tutta l’Europa era fisicamente e militarmente divisa in due schieramenti, Alleati ed Unione Sovietica, i quali proponevano valori e modelli ideologici opposti e conflittuali.21 L’azione della Resistenza offriva alle popolazioni europee occasione di riscatto, ma non valori sufficientemente forti e condivisi, sui quali ricostruire il tessuto morale e civile delle nazioni. Pertanto, in Europa, non si affermò una forza politica autonoma ed alternativa alle superpotenze. Per realizzare la ricostruzione, tutti i paesi europei necessitavano di aiuti economici urgenti, che l’America concesse sotto forma di prestiti, fin dall’indomani della fine del conflitto.

20 Giuseppe Mammarella, Destini incrociati…, opera citata, pg. 153 21

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Per contro, gli Stati Uniti si presentavano con un’industria intatta e a pieno regime, con poche perdite in battaglia, rispetto ai numerosi morti d’oltreoceano, con un territorio, a parte Pearl Harbor, non danneggiato dai bombardamenti e con un’agricoltura molto prospera.22

Tuttavia, terminata la guerra, la popolazione ed il Congresso chiedevano al governo di concentrarsi sui problemi di politica interna, sulla smobilitazione e sul ritorno dal fronte di milioni di soldati, tralasciando la politica estera, che non sembrava più avere carattere prioritario. Al contrario, la nascente burocrazia della sicurezza nazionale e i foreign policy makers non potevano non considerare di vitale importanza anche le questioni di politica estera, come ad esempio il mantenimento delle truppe in Giappone ed in Germania, la questione delle riparazioni tedesche, il rispetto degli accordi di Yalta, i “dilemmi della sicurezza nazionale”23

, affinché in futuro nessun potenziale avversario potesse ottenere il controllo delle risorse dell’Europa.24

La Conferenza di San Francisco fu il primo impegno ufficiale di Truman e fu indicativa del mutamento di clima fra gli Alleati. Iniziò il 25 aprile 1945, lo stesso giorno in cui fu completata l’occupazione della Germania ed in cui terminarono i combattimenti sul fronte europeo. Inizialmente l’amministrazione Truman cercò la cooperazione con Mosca per la costruzione del nuovo ordine mondiale. Vi era la convinzione che Stalin fosse consapevole della forza statunitense e che quindi si sarebbe mostrato incline ad accettare le proposte americane.25 Inoltre Truman era, almeno inizialmente, intenzionato a seguire la via tracciata da Roosevelt, perché l’Unione Sovietica era pur sempre un alleato di cui l’America aveva bisogno per concludere la guerra contro il Giappone.

22 Ivi, pg. 115

23 John L. Gaddis, La Guerra fredda…, op. citata, pg. 34 24

Melvin P. Leffler, The Specter of Communism. The United States and the origin of the Cold War 1917-1953, New York, Hill and Wang, 1994, pg. 47-48.

25 Truman scriveva “I can deal with Stalin. He is honest-but smart as hell”, mentre Harriman scriveva “If it were

possible to see [Stalin] more frequently, many of our difficult would overcome” in Melvin P. Leffler, The Specter of Communism…, op. citata, pg. 31-46.

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L’ultima grande Conferenza di pace fra i tre grandi fu quella di Postdam, che si rivelò un vero fallimento. Il rilassamento seguito alla fine delle ostilità in Europa, la percezione dell’imminenza della resa del Giappone, l’assenza della Francia che avrebbe fatto parte della Coalizione di controllo della Germania, secondo le intese di Yalta, non permisero l’imporsi di un clima di comprensione e di collaborazione, capace di risolvere le molte questioni da affrontare. Truman aveva scelto di sospendere gli aiuti all’Unione Sovietica previsti dal Lend-lease Act, perché Mosca non era più in guerra e non l’aveva ancora dichiarata contro il Giappone26 e questa decisione causò forti tensioni tra Washington ed il Cremlino. Circa la questione delle riparazioni e del pagamento dei danni di guerra, Truman era ancora più risoluto di Roosevelt nel respingere soluzioni che riducessero la Germania nell’indigenza e nel caos sociale, per timore che ciò portasse il popolo verso una deriva comunista. Stalin esigeva, da parte della Germania, il pagamento di 20 miliardi di dollari, di cui almeno 10 a favore dell’Unione Sovietica. A Postdam si trovò di fronte ad una posizione anglo-americana comune, da cui scaturì la proposta che le riparazioni fossero pagate in natura, sfruttando la produzione o smobilitando l’eccedenza degli impianti produttivi, ma garantendo comunque ai tedeschi un livello minimo di sussistenza. Ma la questione delle riparazioni in denaro aveva per Stalin un rilievo essenziale, poiché grazie ad essa intendeva finanziare la ricostruzione del sistema industriale sovietico. L’accordo che infine si trovò fu un compromesso, che non accontentò Stalin ma che gli lasciò un certo spazio di manovra: l’abbandono di ogni cifra prefissata come tetto per le riparazioni, la cui determinazione fu rinviata ai lavori di una Commissione ancora da costituire.27 L’obiettivo americano non era più lo smembramento della Germania, bensì la sua salvaguardia e la ricostruzione della sua unità economica.28 Si sviluppò la convinzione che, se la Germania fosse caduta in mano sovietica, la politica di comunistizzazione che l’Unione

26 Giampaolo Valdevit, I volti della potenza. Gli Stati Uniti e la politica internazionale nel Novecento, Roma, Carocci Editore, 2004, pg. 42

27 Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali…, op. citata ,pg. 550 e seguenti 28

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Sovietica stava attuando nella sua zona d’occupazione, si sarebbe diffusa a macchia d’olio nell’Europa, che stava affrontando gravissime crisi economiche e dei valori.29

Secondo l’analisi storica di J.L.Gaddis, la guerra era stata vinta da una coalizione i cui principali membri, USA, Gran Bretagna ed URSS, “erano già in guerra tra loro, ideologicamente e geopoliticamente, se non militarmente”30.

Se Roosevelt aveva puntato sull’internazionalismo liberista e sull’idealismo, Truman era notevolmente più realista ed incline a stipulare accordi con l’URSS sulla base degli interessi americani.31 La visione internazionalista di Truman non rigettava la condotta di Roosevelt, ma si fondeva con l’importanza data dalla forza negli affari mondiali: “The sudest guarantee that no nation would dare again to attack us is to remain strong in the only kind of strenght an aggressor understand: military power”.32 Questo atteggiamento, definito “negotiation from strength”, si basava sull’utilizzo del potere americano, inteso come variabile fondamentale con cui convincere l’Unione Sovietica a svolgere il ruolo di partner nella pax americana, e faceva leva sulla pressione economica e militare per concedere meno all’avversario.33 Connessa alla negotiation from strength vi era la cosiddetta atomic diplomacy: la convinzione che il monopolio della bomba atomica avrebbe limitato la forza contrattuale dei sovietici.

Il 21 febbraio 1947, la Gran Bretagna annunciò l’impossibilità di continuare ad aiutare la Grecia e la Turchia, a seguito della grave crisi finanziaria ed economica che stava attraversando. Il ritiro degli aiuti inglesi avrebbe permesso ai guerriglieri comunisti greci di conquistare il potere nella regione, grazie anche al supporto fornito dalla Jugoslavia di Tito. L’amministrazione Truman interpretò l’aiuto di Tito ai comunisti greci come un piano

29 John Lewis Gaddis, The United States and the Origin of the Cold War, 1941-1947, New York, Columbia University Press, 1972, pg. 328

30

John L. Gaddis, La Guerra fredda…, op. citata, pg. 12

31 Warren I. Cohen, The Cambridge History of American Foreign Relations, American in the age of Soviet Power, Cambridge University Press, Cambridge, 1993, pg. 21-26

32Truman citato in Melvin P. Leffler, The Specter of Communism…, op. cit, 1992, pg. 54 33

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strategico dietro il quale si celava l’Unione Sovietica, impaziente di acquisire sbocchi strategici sul Mediterraneo.

Le mire espansionistiche sovietiche parvero alla Casa Bianca imponenti anche verso l’Asia e diedero la percezione della volontà di Stalin di estendere a livello mondiale la propria influenza, più che il tentativo di garantire all’Unione Sovietica la sicurezza lungo i suoi confini naturali,34 contro “qualsiasi sfida le potenze occidentali potessero contemporaneamente portarle”.35

Nella Corea del Nord i sovietici, essendo meno esposti alle critiche internazionali, poiché il paese era in posizione geografica più defilata, avevano imposto un regime di stampo comunista. Nei paesi liberati quali la Birmania, la Thainlandia ed il Vietnam erano forti le influenze dei partiti comunisti. Quei paesi non confinavano con l’URSS, bensì con la Cina, nella quale era in atto una guerra civile condotta da forze di ispirazione marxista contro il governo nazionalista e corrotto di Chang Kai-shek. I successi militari ottenuti dalle forze rivoluzionarie contro il Guomintang generavano il timore di un’affermazione del comunismo in tutta l’immensa area. Il cosiddetto security dilemma portò ognuna delle due grandi potenze a definire le proprie azioni come difensive e ad interpretare quelle altrui come dichiarazioni di guerra,36 quindi l’amministrazione Truman impostò la politica estera su una relazione sfida-risposta.37

34 Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali…, op. citata, pg. 630 35 Ivi, pg. 631

36 Melvin P. Leffler, The Specter of Communism…, op. citata 1992, pag. 98-99 37

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Verso l’elaborazione della Dottrina

Roosevelt, durante la sua presidenza, commise l’errore di non coinvolgere Truman nei suoi progetti di politica estera. “He never did talk to me […] about the war, or about foreign affairs or what he had in mind for the peace after the war”38.

Inizialmente l’idea di politica estera di Truman si basava su concetti semplici: egli non credeva nell’isolazionismo americano ed era contrario ai totalitarismi. Inesperto, rispetto a Roosevelt, nel trattare temi riguardanti l’assetto mondiale, Truman decise di attuare i progetti del suo predecessore: “[…] I am trying my best to save peace and to follow out Roosevelt’s plan”.39 Però non era mai stato coinvolto nel progetti wilsoniani di Roosevelt, né aveva avuto modo di frequentare “l’ambiente sociale e culturale da cui provenivano Roosevelt e i suoi collaboratori”.40

Il neo-Presidente sostituì alla visione ottimistica di Roosevelt, basata sul sostegno alle istituzioni internazionali per conseguire una democrazia tollerante, una politica realista e scettica verso l’ottimismo di Roosevelt. Truman era determinato a concentrarsi più sugli interessi primari americani, che sull’idea di esportare la democrazia nel mondo.41

Il primo passo che indusse Truman ad elaborare la sua Dottrina fu l’avvio di un monitoraggio del perimetro del bolscevismo e della situazione europea, in seguito ad alcuni atteggiamenti dell’Unione Sovietica definiti aggressivi. Nel corso del 1946, Mosca fece pressioni sulla Turchia, con il fine di ottenere sbocchi nello stretto dei Dardanelli, e sostenne gli insorti dell’Azerbaigian contro il governo dell’Iran, per ottenere vantaggi nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi iraniani.42 Ciò che preoccupava maggiormente la burocrazia della sicurezza nazionale ed i foreign policy makers era, però, ciò che stava accadendo nelle varie

38 Melvyn P. Leffler, For the soul of Mankind. The United States, the Soviet Union, and the Cold War, New York, Hill and Wang, 2007, pg. 38

39 Ivi, pg. 42

40 G. Mammarella, L’eccezione americana…, op. citata, pg. 149 41 Ivi, pg. 149

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nazioni europee: il numero dei sostenitori del comunismo e del socialismo stava aumentando esponenzialmente.

A confermare le preoccupazioni dei foreign policy makers, il 22 febbraio 1946, il diplomatico americano a Mosca, George Frost Kennan, inviò al Presidente un telegramma che passò alla storia con il nome di long telegram. Esso conteneva un’attenta analisi basata sulle interpretazioni psicologiche dell’ambiente sovietico, in cui Kennan esponeva la geopolitica dell’URSS, l’ideologia comunista e la sua applicazione alla politica estera, ed affermava che il senso di insicurezza dello Stato russo, conseguenza delle invasioni tedesche, giustificava la strategia espansionistica di Stalin. La geopolitica e l’ideologia comunista, caratterizzata dall’internazionalismo, diventavano un’arma nelle mani dell’élite sovietica, per confermare i timori derivanti dall’accerchiamento capitalista ed il conseguente bisogno di difendersi. I leader sovietici dovevano trattare il mondo esterno come ostile, perché una presunta ostilità forniva l’unica giustificazione “alla dittatura, senza la quale non sapevano come governare, alle crudeltà che non potevano non infliggere, ai sacrifici che si sentivano in diritto di pretendere”.43 L’America avrebbe dovuto confrontarsi con due nemici: il nemico fisico rappresentato dall’URSS, e quello ideologico rappresentato dal comunismo. Bisognava quindi contenere il primo, per riuscire ad annientare il secondo. Secondo Kennan, lo scopo della politica estera americana avrebbe dovuto essere quello di produrre nelle menti degli avversarsi, così come in quelle degli Alleati, atteggiamenti capaci di favorire l’emergere di un ordine internazionale più incline agli interessi americani.44 Per realizzare questo inderogabile obiettivo la politica estera americana avrebbe dovuto procedere attraverso tre fasi:

- occorreva ricostituire la balance of power, grazie al sostegno fornito a quelle nazioni che si sentivano minacciate dall’espansione sovietica;

43 John L. Gaddis, La Guerra fredda, op. citata,, pag. 36

44 John Lewis Gaddis, Strategies of containment, a critical appraisal of american National security policy during

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- si sarebbe dovuta limitare l’influenza che l’URSS mirava ad affermare al di fuori dei propri confini nazionali;

- infine, serebbe stato necessario giungere ad una modifica comportamentale dell’Unione Sovietica e della sua concezione delle relazioni internazionali, per farle accettare il concetto di diversità.45

La strategia da seguire si sarebbe dovuta basare, quindi, su azioni mirate, obiettivi geografici e politici opportunamente scelti, e su una ferma e paziente resistenza all’espansionismo sovietico. Era da escludere, invece, l’uso diretto della forza, che l’opinione pubblica non avrebbe mai accettato a causa del particolare periodo storico e delle tragiche e ben visibili conseguenze della Seconda guerra mondiale. Secondo Kennan, l’impegno americano sarebbe stato semplicemente temporaneo, perché l’URSS avrebbe presto riconosciuto la leadership americana e si sarebbe adattata ad essa.

Questo documento divenne “la bibbia dei circoli politici e diplomatici della capitale americana”46 ed il Memorandum di H. Freeman Matthews, rappresentò il primo tentativo di elaborazione sistematica dell’approccio suggerito da Kennan. Secondo Matthews, l’America avrebbe dovuto convincere l’Unione Sovietica ad un cambio di rotta attraverso l’uso della diplomazia, ma, se questa avesse fallito, sarebbe stato necessario l’impiego della forza. A differenza di Kennan, si esplicitava il riferimento all’intervento armato, anche se circoscritto ad alcune zone, quali, ad esempio, la Finlandia, la Scandinavia, l’Europa orientale, l’Iran e l’Iraq. Zone strategiche nelle quali l’apparato militare statunitense, soprattutto Marina ed Aviazione, avrebbe potuto vincere in un ipotetico scontro contro l’Armata Rossa. Si sottolineava l’importanza dell’alleanza con la Gran Bretagna e la necessità di coinvolgere le Nazioni Unite, e si escludeva la possibilità di un intervento militare unilaterale americano. Tuttavia, il

45 Ibidem

46 Giancarlo Giordano, La politica estera degli Stati Uniti. Da Truman a Bush (1945-1992), Milano, Franco Angeli, 1999, pg. 29

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Memorandum Matthews non spiegava in che modo la portata strategica della Gran Bretagna superasse, eguagliasse o fosse funzionale agli Stati Uniti; né come le Nazioni Unite avrebbero dovuto gestire un intervento armato congiunto.47

Truman affidò a Clark M. Clifford, Consigliere presidenziale, il compito di eliminare dal lavoro di Matthews limiti ed ambiguità. Clifford ed il suo assistente Elsey non si limitarono a questo, ma estesero il lavoro fino ad elaborare un’analisi delle motivazioni e delle caratteristiche della politica e del carattere sovietici. Il 24 settembre 1946 consegnarono al Presidente un documento che venne mantenuto segreto, nel quale si affermava che, poiché i compromessi e le concessioni erano considerati dall’Unione Sovietica segno di debolezza, la politica estera statunitense avrebbe dovuto mirare a stroncare l’imperialismo militaristico aggressivo, attraverso la cooperazione degli Stati, ma senza esclusione di alcun mezzo, compresa l’azione militare. Veniva indicata nell’estensione territoriale e nella bassa densità industriale sovietica un elemento di vulnerabilità, e si esortava Washington a potenziare soprattutto l’Aviazione, le dotazioni difensive, di armi nucleari, biologiche ed altamente tecnologiche, poiché una guerra contro l’URSS sarebbe stata totale nel senso più orribile. Il Rapporto sosteneva che l’esercito sovietico era adatto a condurre una guerra veloce in Europa, nel Medio Oriente ed in Asia:48 “Il deterrente più efficace per prevenire un attacco sovietico contro gli Usa, o contro quelle aree del mondo vitali per la sicurezza americana, sarà la potenza militare di questo paese”49.

Clifford ed Elsey ritenevano inoltre essenziale, per gli Stati Uniti, sostenere ed aiutare economicamente e militarmente tutti gli Stati democratici minacciati dall’Unione Sovietica, abbattere le barriere commerciali e promuovere l’unificazione economica dei paesi divisi dagli eserciti di occupazione. Sollecitavano un coordinamento efficace nel governo statunitense, al fine di realizzare coerenti e vigorose politiche militari e civili nei confronti dell’URSS, dei suoi

47 Henry Kissinger, L’arte della diplomazia, Milano, Sperling Paperback Editore, 2004, pg. 345

48 Thomas H. Etzold e John Lewis Gaddis (a cura di), Containment. Documents on American Policy and Strategy,

1945-1950, New York, Columbia University Press, 1978, pg. 64 e seguenti

49

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satelliti, e degli Occidentali. Politiche soprattutto prive di segnali d’incertezza o di divergenza, che i sovietici avrebbero immediatamente colto e sfruttato a spese dell’America. Occorreva pianificare, non più la politica europea, la politica del Medio Oriente, la politica indiana e la politica cinese come problemi separati, affrontati da esperti di ciascun campo, bensì una sola politica unitaria di portata mondiale.50

Se per Roosevelt l’Unione Sovietica era stata un alleato ed i rapporti tra le due potenze erano considerati un elemento fondamentale per la riuscita del suo Grand Design, con Truman i rapporti si trasformarono radicalmente: l’America non avrebbe mai potuto accettare che un paese distrutto dalla guerra, sebbene ancora forte sotto il profilo militare, ostacolasse gli Stati Uniti nella realizzazione di un mondo nuovo e democratico.51

50 Ivi, pg. 64 e seguenti

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La Dottrina Truman

Il 1947 è considerato l’anno di svolta nella politica estera americana. Tutte le principali contromisure per impedire l’espandersi del comunismo e quindi per salvare la democrazia, vennero decise o pianificate tra il 1947 ed il 1948. E gli eventi che si susseguirono negli anni fra il 1948 ed il 1950, diedero carattere militare ed in blocchi contrapposti alla divisione politica ed economica.52

Il 1947 fu anche l’anno di svolta per la riorganizzazione istituzionale dell’amministrazione statunitense e della sua struttura decisionale, con la creazione del “Policy Planning Staff”, a cui venne affidata la gestione e la pianificazione della politica estera. Il Policy Planning Staff fu un’organizzazione voluta dal segretario di stato George Marshall, la cui direzione fu affidata a Kennan.

Nel febbraio del 1947 Londra comunicò a Washington la decisione di sospendere gli aiuti alla Grecia ed alla Turchia. La Seconda guerra mondiale aveva costretto la Gran Bretagna a rivedere i propri obiettivi e le proprie priorità, e l’aveva indotta a scegliere di ritirarsi da alcuni territori. Nonostante il cospicuo aiuto economico fornito dagli Stati Uniti, la ripresa economica britannica era lenta e difficile e Londra non era più in grado di mantenersi presente in tutto l’arco dell’Europa Sud-occidentale, “in difesa dei suoi interessi storici e delle sue responsabilità politiche”.53 La notizia creò forti preoccupazioni alla Casa Bianca, ed i vertici politici americani ritenevano che la guerriglia comunista appoggiata da Tito potesse prendere il controllo della Grecia, che sarebbe così diventata una nazione satellite dell’URSS. Non era solo la situazione greca a preoccupare Washington, anche la Turchia, considerata area strategica,

52 Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali…, opera citata, pg. 625 53

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non sarebbe riuscita a sopportare le pressioni sovietiche e sarebbe sicuramente caduta in mano a Stalin54.

Dean Acheson descrisse la situazione che si andava delineando molto chiaramente: “Le pressioni sovietiche sugli Stretti, sull’Iran e sul nord della Grecia hanno portato i Balcani al punto che un possibile sfondamento sovietico potrebbe schiudere alla penetrazione sovietica ben tre continenti. […] L’Unione Sovietica sta tentando l’impresa più rischiosa della storia al minimo costo: noi e noi soltanto possiamo rompere il gioco”.55 E così riuscì a convincere l’amministrazione Truman ad agire.

Mentre le potenze occidentali non avevano alcuna possibilità di intervento politico nei paesi al di là della cortina di ferro, l’Unione Sovietica riusciva ad interferire negli affari interni di paesi dell’area occidentale, grazie all’azione dei partiti comunisti, talvolta ai governi di unità nazionale, come in Francia ed in Italia, e grazie all’azione di sindacati e di organizzazioni forti, capillarmente radicati nel territorio e manovrati da Mosca. Mentre continuava l’azione di sovietizzazione dell’Europa orientale, era reale il rischio che l’Unione Sovietica espandesse la propria influenza anche nell’Europa occidentale, non attraverso l’azione militare diretta, ma attraverso il richiamo dell’ideologia comunista, esercitato in società stremate dalla guerra ed economicamente instabili. Soprattutto in paesi come Italia, Francia e Germania i partiti comunisti fedeli a Mosca avrebbero potuto andare al potere legalmente, attraverso elezioni democratiche, oppure illegalmente, attraverso le guerre civili già in atto per esempio in Italia, oppure facendo leva sull'avvilimento del popolo tedesco, che usciva distrutto dalla Seconda guerra mondiale. La crisi greca e turca indusse il presidente Truman ad enunciare la sua Dottrina il 12 marzo del 1947, nel corso di un discorso tenuto ai due rami del Congresso, riuniti in seduta comune.

54 Melvyn P. Leffler, For the soul of Mankind…, op. citata, pg. 62 55

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Truman puntò molto sulla precarietà della situazione economica greca, sulla necessità degli aiuti e sull’impossibilità per il governo greco di riceverli da altri finanziatori e si richiamò agli ideali di pace e di democrazia, che rappresentavano le fondamenta su cui poggiavano gli Stati Uniti, e sul ruolo che l’America aveva acquistato nella storia. Per ottenere il sostegno popolare, egli utilizzò l’arma più potente e più collaudata dell’arsenale retorico americano: la difesa della libertà.56

Dichiarò che la sicurezza dell’America sarebbe stata minacciata da qualunque aggressione contro la pace e la libertà.57

“The very existence of the Greek state is today threatened by the terrorist activities of several thousand armed men, led by Communists, who defy the government's authority at a number of points, particularly along the northern boundaries. […]

[…] Greece's neighbor, Turkey, also deserves our attention.

The future of Turkey as an independent and economically sound state is clearly no less important to the freedom-loving peoples of the world than the future of Greece. […]

One of the primary objectives of the foreign policy of the United States is the creation of conditions in which we and other nations will be able to work out a way of life free from coercion. This was a fundamental issue in the war with Germany and Japan. Our victory was won over countries which sought to impose their will, and their way of life, upon other nations. […] This is no more than a frank recognition that totalitarian regimes imposed on free peoples, by direct or indirect aggression, undermine the foundations of international peace and hence the security of the United States. […]

[…]At the present moment in world history nearly every nation must choose between alternative ways of life. The choice is too often not a free one.

56 Eric Foner, Storia della libertà americana, Roma, Donzelle Editore, 2009, pg. 332 57

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One way of life is based upon the will of the majority, and is distinguished by free institutions, representative government, free elections, guarantees of individual liberty, freedom of speech and religion, and freedom from political oppression.

The second way of life is based upon the will of a minority forcibly imposed upon the majority. It relies upon terror and oppression, a controlled press and radio; fixed elections, and the suppression of personal freedoms […].58

Le libertà erano indivisibili ed in quel particolare periodo storico erano a rischio, a causa della devastazione prodotta dalla guerra, a causa dei partiti comunisti e delle forze armate minori, che stavano utilizzando la forza militare e psicologica per giungere al potere con il sostegno del Cremlino, che mirava a trarne vantaggio in termini di credibilità e di influenza.59 Secondo Truman, lo stesso futuro americano era a rischio: “If Europe fails to recover, the people of these countries might be driven to the philosophy of despair of totalitarianism. Such a turn of events would constitute a shattering blow to peace and stability in the world”60. Truman, successivamente, aggiunse che se il comunismo si fosse esteso in Europa, l’America sarebbe stata esclusa dal mercato europeo e separata dalle nazioni alleate.61

Entrambi i rami del Congresso apprezzarono il discorso di Truman e furono pronti a sostenere il Presidente nella nuova fase storica della vita del paese. L’espressione di Bernard Baruch62

: “Non inganniamoci, noi siamo oggi in piena guerra fredda” 63

riassunse la sensazione, condivisa da molti, di vivere in un periodo storico critico per le sorti, non solo degli Stati Uniti, ma del mondo intero.64

58 Parte del discorso del Presidente Truman, 12 marzo 1947, www.thetrumanlibrary.org 59 Melvyn P. Leffler, For the soul of Mankind…, op. citata, pg. 63

60 Truman citato in Melvyn P. Leffler, For the soul of Mankind…, op. citata, pg. 63 61

Ivi, pg. 64

62 Bernard Baruch, stretto collaboratore del presidente fu a capo di una commissione con l’obiettivo di redigere un piano disarmo di armi nucleari

63 Giancarlo Giordano, La politica estera…, op. citata, pg. 33 64

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Il discorso del 1947 di Truman e l’enunciazione della sua Dottrina rappresentarono un momento importante nella storia degli Stati Uniti. L’anticomunismo di Truman rappresentò “più di qualsiasi altro fattore lo spirito guida della politica estera americana dopo la seconda guerra mondiale”, affermò il senatore Fulbright.65

Nel 1947 l’Unione Sovietica era considerata, di fatto, padrona del suo blocco; antagonista e non più alleata; potenza rivale. Da parte americana si temevano, soprattutto, la stanchezza, la debolezza, l’arretratezza, la crisi di valori dell’Europa continentale, per cui l’Unione Sovietica e l’area che essa controllava erano uno spazio da contenere, piuttosto che un nemico da respingere. Il containement obbligò gli Stati Uniti ad un maggiore impegno in Europa, sia sul piano militare sia su quello economico, per risolvere le fragilità economico/sociali e per contenere le derive filosovietiche in atto nei paesi europei.66

Negli Stati Uniti, Truman riuscì ad utilizzare l’anticomunismo come fattore aggregativo per le varie componenti dei repubblicani, dei democratici degli Stati del Sud e di chi si opponeva alle linee post-New Deal. Si sviluppò il sostegno del Congresso e della popolazione a favore delle azioni che il Presidente si accingeva ad intraprendere in politica estera. In un momento storico così complesso, sia i democratici sia i progressisti abbracciarono la retorica anticomunista: era troppo rischioso per la propria immagine sostenere opinioni lontane dal sentimento popolare ed era più vantaggioso accusare Truman di essere “soft on communism".67

Il messaggio di Truman colpì il cuore dell’opinione pubblica, perché riuscì a paragonare il comunismo al nazismo. Gli Stati Uniti avevano da poco terminato una guerra contro il regime tedesco ed i ricordi che richiamavano espressioni quali totalitarismo, repressione, espansione, fine delle libertà che erano state legate al nazismo, furono collegati all’ideologia comunista. Riviste e giornali (Newsweek, Life e Look) contribuirono a rendere viva l’immagine del pericolo

65 Il senatore Fulbright citato in Giancarlo Giordano, La politica estera…, op. citata, pg. 33 66 Mario del Pero, Libertà e Impero… op. citata, pag. 285 e seguenti

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comunista, divulgando storie sulla repressione stalinista, sul totalitarismo sovietico e sulle agitazioni provocate dai comunisti. La Dottrina Truman forniva una risposta ai radicali mutamenti di prospettiva che l’antagonismo con l’URSS imponeva e sedava gli smarrimenti e le paure che questi mutamenti comportavano. Soprattutto offriva una visione classicamente universalista e la possibilità di catalizzare il consenso interno, indispensabile per una politica estera attiva, interventista ed immensamente costosa qual’era quella del containement.68

Il primo passo da compiere, secondo le direttive di Kennan, sarebbe stato quello di ricostruire l’Europa, infondendo alle nazioni Alleate quella sicurezza e quella fede nel futuro che avevano perso, e quindi impedire al comunismo di Stalin di espandersi nell’Europa dell’Ovest.

La Dottrina Truman, inizialmente applicata alla Grecia e alla Turchia, ben presto venne estesa anche al di là di quei teatri, importanti ma comunque minori, per arrivare ad essere pienamente implementata grazie al conseguimento di progetti importanti quali il piano Marshall, la Nato e la soluzione della questione tedesca.

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Il Piano Marshall, il Blocco di Berlino e il Patto Atlantico

Secondo Kennan, l’annuncio di un programma di aiuti economici americano a favore degli Stati europei, avrebbe permesso alle nazioni alleate che stavano attraversando una crisi economica e di valori di non cedere al comunismo.69 Marshall sottolineò, in merito, “l’importanza di escogitare una qualche iniziativa per impedire il completo collasso dell’Europa occidentale”.70

L’Europa stava vivendo un momento difficile: in Italia, in Francia, in Germania ed in Inghilterra l’inflazione era alta, le infrastrutture rovinate o distrutte, il sistema industriale sopravvissuto alla guerra in difficoltà per i problemi della riconversione. Il valore dell’Europa non era solo geopolitico per contenere l’URSS oltre la cortina di ferro, essa era soprattutto depositaria dei valori della civiltà occidentale. Il confronto fra America ed URSS non era solo limitato a due grandi potenze, si era esteso a due concezioni diverse dell’uomo, del suo stile di vita, del suo sistema sociale, produttivo e politico.71

L’instabilità economica, prodotta dalle carenze produttive, dalla diminuzione degli scambi commerciali e dal deflazionismo, determinava l’instabilità politica, per l’incapacità di soddisfare le attese dei cittadini72 in fatto di reddito e di disponibilità dei prodotti, soprattutto alimentari.

Secondo l’interpretazione di Washington, le difficoltà economiche dell’Europa avrebbero compromesso la ricostruzione del balance of power, considerata condizione essenziale per l’attuazione del containement ed avrebbero favorito la politica sovietica.73

A pochi mesi di distanza dalla presentazione della Dottrina Truman ed in seguito alle indicazioni del Policy Planning Staff, il 5 giugno 1947, all’Università di Harvard, il segretario di Stato George Marshall sorprese l’auditorio con l’annuncio di un programma di ricostruzione

69

John Lewis Gaddis, Strategies of containment…, op. citata, pg. 36 70 John Lewis Gaddis, La Guerra fredda…, op. citata, pg. 37 71 Ivi, pg. 38

72 Giampaolo Valdevit, I volti della potenza…, op. citata, pg. 49 73

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europea,74 più esteso e meglio organizzato di quello fino ad allora attuato a favore della Grecia e della Turchia. Era la terapia d’urto statunitense, perfettamente in linea con il principio rooseveltiano della libertà dal bisogno e dalla paura: favorire il diffondersi in tutto il mondo di una sana situazione economica, considerata condizione essenziale per il mantenimento della stabilità socio-politica e della pace. “La nostra politica non è diretta contro alcun paese o dottrina, ma contro la fame, la povertà, la disperazione ed il caos”,75 affermò Marshall.

L’amministrazione Truman non intendeva imporre una strategia unilaterale: Kennan, infatti, “escogitò un approccio brillante”76

per fornire aiuti economici all’Europa. I paesi europei avrebbero dovuto presentare una lista di prodotti e di interventi che consideravano essenziali per la propria ricostruzione, sottoporla all’approvazione degli Stati Uniti, che si riservavano la facoltà di decidere quanto e come colmare il bisogno.77 In tal modo gli Stati Uniti non avrebbero dato l’impressione di ricattare o di forzare gli europei a muoversi secondo indicazioni unilaterali. Prese così avvio lo European Recovery Program, ERP, che divenne noto con il nome di Piano Marshall.

Fra la fine di giugno e l’inizio di luglio del 1947, a Parigi, si tenne una Conferenza aperta a tutti i Paesi interessati, Unione Sovietica compresa.

Gli aiuti vennero però, presentati “in such a form that the Russian satellite countries would either exclude themselves by unwillingness to accept the proposed conditions or agree to abandon the exclusive orientation of their economies”78 e Kennan era convinto che l’Unione Sovietica avrebbe rifiutato gli aiuti, costringendo anche i suoi paesi satelliti a rifiutare. Previsione che si realizzò proprio durante la Conferenza di Parigi, quando Molotov criticò aspramente il programma di aiuti americano, sostenendo che sarebbe stato inaccettabile

74

Bruno Bongiovanni, Storia della Guerra fredda, Roma, Editori Laterza, 2011, pg. 56 75 Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali…,op. citata, pg.697

76 Giancarlo Giordano, La politica estera…, op. citata, pg. 35

77 Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali…,op. citata, pg. 700 78

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sottoporre ad integrazione le varie politiche economiche dell’Unione Sovietica e dei suoi alleati dell’Europa orientale, e che pretenderlo sarebbe stata una chiara limitazione dell’indipendenza nazionale degli Stati ed un’intromissione americana nei loro affari interni.79

“Il Piano Marshall fu il figlio del contenimento”.80

Poggiava su basi che erano un chiaro esempio del modello di sviluppo americano, incompatibile con l’ideologia comunista, perché basato sulla centralità del mercato e sul ruolo dello Stato, chiamato a promuovere le condizioni per la crescita economica. Fu il principale strumento di creazione dell’egemonia americana in Europa e riuscì a conquistare il consenso europeo, perché rispose in modo chiaro e puntuale alle richieste ed alle necessità di aiuti.81 Fu uno dei principali strumenti di attuazione della Dottrina Truman, entrò pienamente in funzione nel 1948 e potenziò in Europa la Guerra Fredda.

Il Piano permise all’America di soddisfare l’esigenza di trovare un nuovo sbocco alle proprie merci, di scongiurare il rischio di crisi da sovra-produzione, e, come valore aggiunto, produsse nell’opinione pubblica europea una grandissima gratitudine nei confronti della amministrazione statunitense e dell’America82 e dimostrò al mondo intero le capacità e le risorse americane.83 Il sistema di aiuti economici sviluppato da Truman e dai suoi collaboratori rispecchiava la visione rooseveltiana riguardante la necessità di ricostruire l’economia mondiale per salvaguardare gli interessi americani. Ma il Piano Marshall andava ben oltre questo scopo: era la dimostrazione della potenza americana e fu uno dei migliori strumenti per contenere l’avanzata dell’Unione Sovietica.

Con il Piano Marshall l’Europa compiva il primo grande passo verso l’accettazione della filosofia economica americana: promuovere un unico grande mercato europeo. Offrendo il Piano Marshall, l’America conseguì uno dei “più grandi successi diplomatici americani del

79

Giancarlo Giordano, La politica estera…, op. citata, pg. 36 80 Giampaolo Valdevit, I volti della potenza…, op. citata, pg. 50 81 Ivi , pg. 52

82 Giampaolo Valdevit, I volti della potenza…, op. citata, pg. 59 83

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dopoguerra”,84 che rimase, nel pensiero politico, come sinonimo di 'intervento risolutivo e benefico per i momenti di crisi drammatica”.85 La balance of power veniva così ristabilita ed il Piano Marshall fu uno dei principali esempi di applicazione della Dottrina elaborata da Truman e del timbro che il Presidente voleva dare alla sua politica estera.

Gli effetti del containement e del Piano Marshall si fecero sentire in Germania, soprattutto a Berlino che divenne “l’epicentro della reazione sovietica”86

al Piano di aiuti economici americani.

Kennan aveva sempre fatto pressioni affinché l’amministrazione Truman considerasse l’Europa dell’Ovest come un’unica entità, perché era convinto che solamente uniti gli Stati di quella regione sarebbero stati in grado di resistere alle pressioni sovietiche.87 Già nel luglio del 1945, l’amministrazione Truman considerava interconnesse le sorti dell’Europa e quelle della Germania, grande produttrice del carbone utilizzato per la produzione di energia elettrica e dell’acciaio.

Durante la Conferenza di Postdam, gli Stati Uniti avevano riconosciuto la centralità economica e geopolitica della Germania ed avevano espresso la volontà di far ripartire il prima possibile la sua produzione industriale,88 mentre maturava ed andava sempre più consolidandosi la convinzione che nessuna collaborazione con l’Unione Sovietica sarebbe stata possibile, per affrontare la questione tedesca.89

Il blocco di Berlino fu la risposta di Stalin alla riforma monetaria postulata dal Piano Marshall, che il 18 giugno 1948 aveva introdotto il Deutschmark, quale moneta circolante nelle zone di occupazione occidentali ed orientali,90 con l’intento di favorire la riunificazione della

84 Giancarlo Giordano, La politica estera…, op. citata, pg. 37

85 Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali…,op. citata, Introduzione 86

Giancarlo Giordano, La politica estera…, op. citata, pg. 38 87 John Lewis Gaddis, Strategies of containment…, op. citata, pg. 37 88 Mario Del Pero, Libertà e Impero…, op. citata, pg. 283

89 Ivi, pg. 286 90

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Germania. Invece i sovietici auspicavano il perdurare di una sua smilitarizzazione, considerata a Yalta condizione essenziale per la pace.

Berlino era situata all’interno della zona di occupazione sovietica ed era stata a sua volta suddivisa in settori, come l’intero territorio tedesco. Poiché non era mai stato concordato un diritto di passaggio fra le zone di occupazione, il 24 giugno 1948, Mosca, con il pretesto di un incidente tecnico avvenuto lungo la linea ferroviaria, bloccò gli accessi ai settori di Berlino occupati dagli americani, dagli inglesi e dai francesi e tagliò tutti i collegamenti stradali, ferroviari ed elettrici che passavano per la zona di occupazione sovietica.91 L’amministrazione Truman non avrebbe potuto abbandonare Berlino, perché abbandonare la città nelle mani dell’URSS avrebbe significato il fallimento di tutta la politica europea elaborata dall’America.92

Per garantire i rifornimenti, le potenze alleate organizzarono un imponente ponte aereo, che costrinse Mosca a togliere il blocco il 12 maggio 1949.

Gli Stati Uniti riuscirono a risolvere la crisi di Berlino applicando ciò che Kennan aveva definito “risposta asimmetrica”: sfruttarono le debolezze sovietiche, cioè l’impossibilità di andare oltre la minaccia ed il blocco della città, e fecero affidamento sulle loro capacità economiche e tecnologiche.93

L’opinione pubblica internazionale, che aveva parteggiato per i berlinesi ed applaudito gli Alleati, considerò perfettamente coerente ed auspicabile la proclamazione della Repubblica Federale Tedesca, RFT, il 12 maggio 1949. Il primo cancelliere fu Konrad Adenauer. Essa comprendeva le zone di occupazione britannica, statunitense e francese, ebbe Bonn come capitale e divenne pienamente sovrana il 5 maggio 1955.

La crisi di Berlino, non solo rappresentava un ulteriore successo della politica estera di Truman, ma ebbe come risvolto importante quello di agevolare il cammino verso l’Alleanza Atlantica,

91 Bruno Bongiovanni, Storia della guerra fredda…, op. citata, pg. 64 92 Giancarlo Giordano, La politica estera…, op. citata, pg. 39

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progetto che si concretizzo il 4 aprile 1949, un anno dopo la presentazione del Piano Marshall. Il Patto Atlantico fu un’alleanza tra Stati Uniti, Canada, Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Portogallo. In seguito vi aderirono, nel 1951, anche la Grecia e la Turchia, nel 1954 la Repubblica Federale Tedesca, ed infine la Spagna, nel 1982. Il Patto Atlantico prevedeva che l’attacco contro uno solo dei paesi membri, dovesse essere considerato rivolto a tutti i paesi dell’alleanza. Essi si obbligavano, nel rispetto dell’Atto costitutivo delle Nazioni Unite, ad elaborare strategie difensive comuni e a fornirsi reciprocamente aiuti militari, così da rafforzare la stabilità dei confini non solo nazionali, ma dell’intera area.

Mosca accusò la Casa Bianca di voler relegare ad un ruolo marginale le Nazioni Unite e di aver creato un blocco aggressivo. Washington rispose alle accuse sostenendo che i patti regionali erano contemplati nello statuto delle Nazioni Unite e che l’Alleanza Atlantica, essendo di natura difensiva, era perfettamente in linea con i principi enunciati nello statuto dell’ONU.94

Il Trattato, tuttavia, sottolineava già la posizione marginale dell’ONU nei disegni di sicurezza collettiva americana: l’ONU rimase sede di ratifica delle decisioni di Washington ed il mezzo per legittimare determinati interventi militari, come, ad esempio, l’invio di truppe delle Nazioni Unite durante la guerra di Corea. Ma il ruolo dell’ONU venne ridimensionato e con la costituzione dell’Alleanza Atlantica il Presidente Truman si allontanò ulteriormente dalla linea politica tracciata da Roosevelt, che aveva fatto dell’ONU e del suo Consiglio di Sicurezza un pilastro della strategia in politica estera. Con il Patto Atlantico l’amministrazione Truman raggiungeva il secondo obiettivo previsto da Kennan, poiché riduceva la possibilità dell’URSS di espandere la sua influenza in Europa, già ridimensionata grazie al Piano Marshall.95

94 Giancarlo Giordano, La politica estera…, op. citata, pg. 41 95

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La militarizzazione della guerra fredda con l’ NSC-68

Fino alla metà del 1949, la politica estera della Casa Bianca sembrò aver mietuto solo successi. E gli esempi del successo erano visibili: il Piano Marshall stava ricostruendo l’Europa occidentale, la crisi del blocco di Berlino era stata superata, grazie alla messa in atto di un’ottima strategia ed il Patto Atlantico rappresentava uno strumento indispensabile per il contenimento del comunismo.

Alla fine del 1949, due avvenimenti alterarono i rapporti di forza: l’esplosione della prima bomba atomica sovietica e la nascita della Repubblica popolare cinese.96 La politica del contenimento imponeva all’America una risposta puntuale,97

e fu proprio a partire dal 1949 che Truman si allontanò dalla linea politica suggerita da Kennan e optò per una risposta molto più dura verso il comunismo, che vide come strumento guida principale il documento NSC-68. L’amministrazione Truman non aveva mai dubitato della transitorietà del monopolio nucleare, ma le stime dei servizi di intelligence statunitensi avevano previsto che l’Unione Sovietica sarebbe riuscita a dotarsi di una propria arma nucleare non prima del 1952, dando così tempo e modo agli USA di consolidare la propria posizione nel panorama internazionale.98 I consiglieri proposero a Truman tre soluzioni per fronteggiare la crisi ed egli finì con l’approvarle tutte. Vennero incrementate le forze militari convenzionali di stanza in Europa, nonostante i grandi costi finanziari che sarebbe stato necessario sostenere. Venne incrementato l’arsenale nucleare in dotazione, che nel 1949 ammontava a circa duecento ordigni, ritenuti insufficienti per fronteggiare il pericolo sovietico. Vennero finanziati gli studi per la costruzione della super-bomba, la bomba termonucleare o all’idrogeno, il cui progetto fu subito reso pubblico, per rassicurare gli europei ed il popolo americano che la sicurezza non era a repentaglio.

96 Mario del Pero, Libertà e impero…, op. citata, pg. 298 97 Giampaolo Valdevit, I volti della potenza…, op. citata, pg. 59 98

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Il 1° ottobre 1949, dopo una settimana dall’annuncio di Truman all’America dell’atomica sovietica, nella sorpresa, sia di Mosca sia di Washington, Mao Zedong proclamò la costituzione della Repubblica popolare cinese.

La destra repubblicana criticò pesantemente il Presidente per aver “perso la Cina”,99

mentre l’amministrazione Truman riteneva che fosse impossibile per Mosca esercitare il proprio controllo su una Nazione così vasta e, memori dei vantaggi portati dalla rottura URSS-Jugoslavia, sottostimarono il problema Mao. Il segretario di Stato Acheson disse che gli Stati Uniti avrebbero semplicemente “aspettato che il polverone passasse”.100

Mao si sentiva tradito dagli Stati Uniti, che avevano fornito aiuti ai nazionalisti cinesi, e sospettava, a torto, che l’America si preparasse ad invadere le aree continentali del suo paese. Egli era un devoto marxista-leninista, ed era disposto a fare riferimento a Stalin quale capo del movimento comunista internazionale. Nel giugno del 1949, Mao annunciò l’alleanza della Cina con l’Unione Sovietica e con il proletariato mondiale. 101

Truman sollecitò un riesame della strategia statunitense ed affidò il compito ad un’apposita Commissione, formata da esperti del Dipartimento di Stato e della Difesa.

“I had no confidence in the ability of men to define hypotetically in any useful way, by means of general and legal phraseology, future situations which no one could really imagine or envisage”.102 Con queste parole, Kennan sottolineò come fosse impossibile sintetizzare in un documento il delicato equilibrio delle relazioni internazionali, perché il rischio di eccessive semplificazioni e di errate valutazioni era davvero elevato. Perciò l’autore del Long telegram si rifiutò di coordinare la Commissione incaricata di sviluppare una nuova strategia, che permettesse agli Stati Uniti di mantenere e di consolidare le proprie posizioni. La guida del Policy Planning Staff del Dipartimento di Stato fu affidata a Paul Nitze.

99 Ibidem

100 John L. Gaddis, La Guerra fredda.., op. citata, pg. 44 101 Ivi, pg. 44 e 45

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