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Università di Cluj-Napoca In memoria di Teresa Ferro

3. Un secolo lungo. Nazionalismo e persecuzioni

Nell’affrontare le vicende storiche delle comunità francescane in Croazia nel XX secolo si deve prestare particolare attenzione all’orizzonte nel quale esse si collocano, con una lettura di lungo periodo per sfuggire il pericolo di formulare dei giudizi esclusivamente fondati su un singolo avvenimento tra i molti che si susse-guono; questo non significa diluire nel secolo XX i fatti, soprattutto quelli segnati da una lunga scia di sangue, come se questo fosse sufficiente a rimuovere le cause e gli effetti di questi avvenimenti, dal momento che si deve procedere a una contestualiz-zazione in grado di proporre delle ricostruzioni fondate sul ricorso alle fonti senza limitarsi a un sola fonte, tanto più se essa è testimonianza orale.

Nella complessità delle vicende che vedono coinvolti, spesso con un ruolo da protagonisti, i francescani croati, va sottolineata l’azione missionaria che i france-scani compiono nel mondo, cioè le missioni che vengono inviate là dove sono pre-senti o si stanno formando delle colonie di croati. Questa azione non riguarda solo l’assistenza spirituale, ma si configura come il tentativo di costruire un patrimonio di tradizioni condivise, nel quale la storia dei francescani croati, difensori e martiri per la fede, è uno degli elementi portanti.

La Prima Guerra Mondiale costituisce un primo significativo passaggio nella storia dei francescani croati, dal momento che il fronte balcanico coinvolge anche la Croazia, anche se la rapida caduta della Serbia e la successiva crisi della Russia spostano il fronte in altri contesti fino alla conclusione della guerra. Le vicende bel-liche sono caratterizzate dall’affermarsi del nazionalismo che sembra contrapporre i croati ai serbi da una parte e i croati agli italiani dall’altra, e in questa contrappo-sizione la tradizione francescana contribuisce a rendere evidente la peculiarità del cattolicesimo croato nei confronti del cattolicesimo italiano e, soprattutto, dell’or-todossia serba. La creazione del Regno di Serbi, Croati e Sloveni il 1 dicembre 1918 sembra prospettare una convivenza forzata che lasci a ogni singola Chiesa la capacità di muoversi liberamente, anche se non mancano le tensioni tra i gruppi nazionali, tanto più che i francescani croati si trovano ancora una volta coinvolti in un indefinito rapporto con le comunità venete viste le questioni lasciate aperte dalla conclusione della Prima Guerra Mondiale nella definizione dei confini tra l’Italia e il nuovo Regno.

Questa situazione, nella quale la Chiesa cattolica croata tutta offre un suo appor-to nell’affermazione di un’identità nazionale, precipita con l’assassinio del leader croato Stjepan Radić (1871-1928), che si era battuto per un’ampia autonomia del-la Croazia; il 3 gennaio 1929 viene procdel-lamato il Regno di Jugosdel-lavia, che mette fine ai sogni di uno Sato nel quale fosse possibile far coabitare tradizioni e culture diverse in modo paritetico; i francescani croati sono schierati contro la nascita del Regno di Jugoslavia nel nome della difesa di un’identità che hanno contribuito a creare proprio sotto l’egida di una tradizione che si richiama fortemente all’apparte-nenza alla Chiesa di Roma. Le tensioni degli anni seguenti costituiscono una sorta

di prologo al dramma della Seconda Guerra Mondiale, quando la Jugoslavia viene invasa dalla Germania, costretta alla capitolazione e smembrata, con la fondazione del Regno di Croazia, la cui corona è affidata a Aimone di Savoia-Aosta, che assume il nome di Tomislavo II, senza peraltro mai mettere piede in Croazia. L’uomo forte di questo regime è Ante Pavelić (1889-1959), un fiero oppositore del centralismo serbo, fin dalla fine degli anni ’20, tanto da essere stato tra quelli che hanno pro-gettato l’assassinio del re di Jugoslavia Alessandro I nel 1934. Il regime di Pavelić, personalmente appoggiato da Mussolini, che lo ha a lungo ospitato in Italia negli anni dell’esilio, si dedica alla sistematica eliminazione di tutti coloro che ritiene altri rispetto alla ‘razza croata’, a cominciare dai serbi fino agli ebrei13; la ferocia degli ustascia di Pavelić è tale da suscitare delle rimostranze da parte degli stessi tede-schi14. Ben presto sorgono dei campi di concentramento; il più grande è quello di Jasenovac, nel quale opera anche un francescano, Miroslav Filipović-Majstorović, ribattezzato fra Satana. Non è il solo frate francescano coinvolto nel massacro di civili e di militari, in un bagno di sangue che sembra non aver fine nella Jugoslavia, scatenando una serie infinita di vendette trasversali che non si concludono neanche con la vittoria degli Alleati. Non mi sembra questa la sede per cercare di quantificare la partecipazione dei francescani a questa politica di intollerante persecuzione dello Stato croato, cioè di entrare nel dibattito sul numero dei frati francescani realmente coinvolti e/o sul numero morti nei campi di concentramento nel Regno di Croazia; credo che sia più opportuno soffermarmi sulle conseguenze di questa partecipazione dei francescani. L’arrivo dei partigiani di Tito si trasforma in una caccia all’uomo, che produce morti e esuli, anche tra i francescani, che sono riconosciuti, come molti altri esponenti della Chiesa cattolica, come ispiratori e strumenti della politica di eliminazione dell’avversario condotta da Ante Pavelić, che è riuscito a scappare; le voci che attribuiscono il buon esisto della sua fuga in Argentina alla copertura che avrebbe goduto da parte della Chiesa non fanno altro che accentuare la politica repressiva verso i cattolici portata avanti dal regime di Tito. Dei francescani devono lasciare la Croazia per non essere arrestati e scomparire in qualche foiba; tra questi c’è il francescano conventuale Mario Raffaele Radossi, nato a Zara, nel 1887, eletto vescovo di Pola il 27 novembre 1941, e poi forzatamente trasferito alla sede di Spo-leto il 7 luglio 1948, che lascia nel 1967 dopo l’esperienza del Vaticano II, dove non ha fatto mancare la sua voce in favore della libertà religiosa.

Morti, espulsioni, persecuzioni, processi segnano profondamente la comunità francescana croata, nella quale si rafforza l’idea che i francescani siano chiamati a

13 Sulla politica di persecuzioni dell’altro, nella vasta letteratura, nella quale abbondano titoli di scarso valore scientifico ma di alto contenuto polemico, segnalo un articolo par-ticolarmente interessante e sufficientemente recente per fare il punto su alcune questioni: Biondich 2005; sulla controversa questione delle conversioni si può vedere, soprattutto per la documentazione raccolta, Grbešić 1999. Sulla terribile persecuzione degli ebrei in Croazia: Shelah 1990.

14 Sulle proteste della Wehrmacht, ricostruite grazie a recenti acquisizioni documentarie: Gumz 2001.

difendere l’identità cattolica del popolo croato nel presente così come è avvenuto nei secoli precedenti; si ha così una rivisitazione di alcuni episodi della storia dei francescani in Croazia. In questa prospettiva la politica di Tito non è altro che l’ul-timo anello di una catena di persecuzioni che hanno colpito i francescani croati nei secoli, proprio perché essi sono chiamati a testimoniare con il martirio l’appartenen-za alla Chiesa di Roma della Croazia; in questo processo si viene delineando una sempre maggiore autonomia delle comunità nelle singole province e delle province nei confronti dell’ordine.

La morte di Tito e la successiva proclamazione dell’indipendenza della Croazia, il 25 giugno 1991, introduce l’ultima convulsa e sanguinosa parte del XX secolo, nella quale, pur nella disponibilità sempre crescente di fonti documentarie e orali, risulta ancora difficile procedere a una ricostruzione storica; pur con la cautela ne-cessaria, nell’inoltrarsi in vicende che ancora non sono concluse, appare chiaro il ruolo dei francescani nella costruzione di un’identità storica della nazione croata nella contrapposizione all’altro, soprattutto quando l’altro è portatore di valori re-ligiosi, diversi da quelli della tradizione cattolica. Nel formulare questa posizione i francescani croati si pongono in forte continuità con la loro storia, rivendicando per sé il ruolo dell’unica voce cattolica sempre rimasta viva in Croazia contro ogni tentativo di islamizzazione, austriacizzazione e serbizzazione.

Conclusioni

L’esperienza della ininterrotta presenza dei francescani in Croazia segna profon-damente la regione contribuendo, in modo non secondario, alla formulazione della propria identità, tanto più se consideriamo le riletture storiche che stanno alla base di questa identità, nella quale l’appartenenza alla Chiesa di Roma è fondamentale. Di fronte alla complessità di questa presenza, così pienamente coinvolta nelle vi-cende storico-politiche nei secoli, diventa essenziale una ricostruzione che sappia distinguere gli avvenimenti storici dalle letture che ne sono state date, talvolta se-condo un’interpretazione parziale e fuorviante, che impedisce la comprensione del-la complessità, che deve sfuggire a una banalizzante ideologizzazione, falsamente semplificante.

Il rimuovere la polvere e la nebbia su alcuni passaggi delle vicende dei france-scani in Croazia, soprattutto per quanto riguarda i drammatici eventi del XX secolo, dalla formulazione di un nazionalismo esasperato, alla attiva partecipazione al Re-gno di Croazia, fino alle guerre civili jugoslave degli anni ’90, non vuole promuove-re dei processi sommari, quanto favoripromuove-re una purificazione della memoria come pri-ma, fondamentale, irrinunciabile tappa per la costruzione di una pace dinamica, che si rinnova in un confronto sempre dialettico con la storia, che non può essere usata come una cava dalla quale trarre solo pietre per lapidare l’altro, bensì piuttosto come un pozzo nel quale immergersi per comprendere le peculiarità di una presenza che tanto ha segnato la storia religiosa, culturale, spirituale della Croazia, contribuendo in modo significativo alla sua creazione nel corso dei secoli.

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