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Un viaggio che parte dal Subcontinente indiano

3.1 Il contesto di partenza: perché parlarne?.

In La doppia assenza, Abdelmalek Sayad scriveva con parole cristalline:

… immigrare è immigrare con la propria storia (perché l‟immigrazione è essa stessa parte integrante di quella storia), con le proprie tradizioni, i propri modi di vivere, di sentire, di agire e di pensare, con la propria lingua, la propria religione così come tutte le strutture sociali, politiche, mentali della propria società, strutture caratteristiche della persona e indissolubilmente della società, poiché le prime non sono che l‟incorporazione delle seconde, in breve della propria cultura (2002, p. 12).

Chi emigra non è neutro, porta con sé un intero sistema che ritiene giusto e confortevole (nel senso che porta conforto e sostiene in un ambiente che spesso è o è ritenuto, ostile). Di fronte a tragici fatti di cronaca quali gli omicidi “d‟onore” o le violenze su giovani che trasgrediscono le regole di castità femminile o che rifiutano dei matrimoni forzati, si sente dichiarare che lo straniero “deve adeguarsi al nostro modo di vivere” e se da un lato la società di approdo si aspetta comprensibilmente questo, dall‟altro non è affatto detto che tale processo di “adeguamento” prima che di “integrazione” sia semplice, lineare e, soprattutto, scontato. Quest‟individuo, come dice Sayad, incorpora le strutture della propria società, questo è il punto di partenza. Le sue strutture saranno la lente attraverso la quale guarderà e leggerà la società in cui cerca di vivere, non necessariamente di inserirsi, perché spesso l‟emigrazione serve a procurarsi i mezzi per vivere onorevolmente e rafforzare il proprio status lì40. Ma quali sono queste strutture?

40 La dimensione transnazionale dell‟emigrazione non va assolutamente sottovalutata e verrà considerata in modo particolare nel capitolo quarto. Se da un lato si assiste a un progressivo aumento numerico di migranti extra-comunitari in Europa parte dei quali trova qui una residenza definitiva, dall‟altro i mezzi di trasporto e le comunicazioni sempre più veloci ed efficienti permettono varie forme di migrazione e varie possibilità di mantenere contatti costanti con le terre di origine. La continuità è la norma e la cesura l‟eccezione.

68 3.2 Parda e „izzat nel subcontinente indiano

Le comunità41 indiana e pakistana di Brescia hanno ricostituito una presenza territoriale che richiama in parte la loro originaria macroarea si partenza: il Punjab. Al tempo della dominazione coloniale britannica, il Punjab era una vasta e florida provincia popolata dal gruppo etno-religioso musulmano (53,2 %)42, hindu (29,1 %) e sikh43 (14,9 %). Nel 1947 parallelamente all‟ottenimento dell‟indipendenza l‟India andò incontro all‟evento della Partition, ossia la divisione del territorio decolonizzato in due Stati, l‟Unione Indiana e il Pakistan, su linee di appartenenza religiosa. Il Pakistan diventava così la patria dei musulmani indiani. In seguito alla rapida delineazione dei confini, il Pakistan occidentale44 finì col comprendere le province del Khyber Pukhtunkwa45, il Baluchistan, il Sindh e una parte del Punjab. Similmente al Bengala, il Punjab vide il proprio territorio diviso tra i due Stati nascenti e assistette al più imponente e tragico esodo di massa della storia. Si stima, infatti, che circa 12 milioni di persone abbiano attraversato in direzioni opposte i confini dei due Stati

41 Il termine “comunità” riserva parecchi problemi di definizione che tratterò nel capitolo ottavo. In questo contesto lo utilizzo per economia nel senso più largamente usato, ossia come gruppo nazionale che si è insediato nel territorio italiano e precisamente nel bresciano. Laddove utilizzo il termine in corsivo (comunità) intendo segnalarne l‟accezione più complessa e problematica di gruppo di opinione e pressione che condivide, o si ritiene che condivida dei particolari valori e visione morale.

42 I dati si riferiscono al censimento del 1941, l‟ultimo dell‟era coloniale, così come riportati da Gopal Krishan (2004).

43 la religione sikh ha origine in Punjab nella prima metà del XVI secolo avviata dal Guru Nanak, cui succedono altri nove guru. Essa si presenta come una critica all‟ortodossia e al formalismo che sia l‟induismo, sia l‟islam avevano acquisito in quelle aree. In entrambe le religioni erano presenti anche delle componenti mistiche, che incuranti della forma privilegiavano la spiritualità: il sufismo per l‟islam e la via devozionale, o bhakti, per l‟induismo. A entrambe queste espressioni si rivolse il primo guru per elaborare una via di salvezza aperta che superasse i limiti dell‟induismo e l‟islam. Nella pratica e nelle scritture raccolte nel Guru Granth Sahib, il testo sacro del sikhismo, si riscontrano molti elementi derivanti dalle due religioni, ma sarebbe sbagliato definire il sikhismo una religione sincretica, in quanto l‟elaborazione del Guru Nanak fu del tutto originale (Peca Conti, 2005). Per ciò che riguarda l‟evoluzione storico-dottrinale attraverso i dieci Guru rimando all‟esauriente saggio di Rita Peca Conti (2005). In seguito alla riforma voluta dal decimo e ultimo guru, Gobind (1666-1708) che rinforzò e definì l‟idea di una distinta identità sikh anche attraverso un rituale di iniziazione e l‟istituzione di un codice di disciplina per gli iniziati che tra le varie prescrizioni, impone agli iniziati l‟obbligo di distinguersi attraverso alcuni simboli esteriori noti come “i 5 K”: kesh, cioè lasciare la barba e i capelli lunghi; kangha un pettinino che raccoglie i capelli che vanno poi radunati in un turbante; kara, un braccialetto di ferro o acciaio;

kirpan un pugnale; kach pantaloni al ginocchio.

44 La Partition non sezionò solo la porzione nord-occidentale dell‟India, ma anche quella nord-orientale. Nel 1947 il Pakistan si presentava come uno stato che riuniva due porzioni distanti oltre 1500 chilometri l‟una dall‟altra: quella occidentale che corrisponde all‟attuale Pakistan e quella orientale risultata dalla partizione del Bengala. Il Bengala occidentale rimase all‟India, mentre quello orientale, a maggioranza musulmana, aderì al Pakistan. Il Pakistan divenne dunque “a unique experiment in state-making” (Van Schendel, 2009, p. 107) poiché, unico stato postcoloniale si ritrovò contemporaneamente privo del fulcro amministrativo – interamente rimasto all‟India –, la necessità di collegare due porzioni territoriali sconnesse e l‟ambizione di fondare l‟identità nazionale su quella religiosa (Ibidem). L‟altro elemento critico era che il Pakistan orientale (così denominato dal 1956)era territorialmente meno esteso di quello occidentale, ma vantava la maggioranza della popolazione. In breve si delineò una linea politica, economica e culturale (anche linguistica) a dominanza punjabi che non tenne in nessun conto le esigenze della parte orientale. Le tensioni sfociarono nella guerra d‟indipendenza del 1971 che terminò separazione del Pakistan orientale e la nascita del nuovo stato del Bangladesh

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e si ritiene che circa un milione di esse siano cadute vittime degli scontri intercomunitari che accompagnarono la Partition (Metcalf & Metcalf, 2004, p. 197). Fino alla Partition i punjabi musulmani, sikh e indù, nonché le altre minoranze avevano vissuto insieme condividendo oltre che alla frequentazione reciproca la lingua, l‟alimentazione, i modi di vita e la medesima cultura agraria. Tale comunanza non è venuta meno malgrado la crasi territoriale e le violenze che accompagnarono la Partition.

Il Punjab inoltre si trova al centro di un‟ampia fascia di territorio che l‟antropologo americano David Mandelbaum (1988, p. 2) ha definito “purdah46 regions”, un‟area che comprende l‟Afghanistan, il Pakistan, l‟India del Nord e il Bangladesh, dove la pratica del parda, cioè della separazione dei sessi attraverso diverse forme di clausura delle donne è un elemento centrale della vita sociale (p. 2) ed è in questa aree strettamente connessa ai codici d‟onore.

L‟osservanza del parda è, con diverse sfumature, comune alle donne musulmane, sikh e indù di questa parte del mondo. Per quel che riguarda l‟India, la fascia del parda si estende nell‟area settentrionale del paese e senza una netta demarcazione si attenua verso le regioni meridionali (p. 2). Sia in India che in Pakistan, dunque, sono presenti società molto gerarchiche e stratificate. La gerarchia inizia nella famiglia sia stabilendo un ordine e diversi ruoli tra i sessi, sia tra le generazioni. Questa stratificazione si ripete nel sistema castale che pur essendo ritenuto un tratto specifico dell‟induismo ha profondamente influenzato anche gli altri gruppi religiosi presenti nel subcontinente, sikh e musulmani compresi.47 Il sistema sociale patriarcale si mantiene attraverso la trasmissione del “sangue” paterno, cioè la discendenza. Poiché il sangue “valido” ai fini della trasmissione è solo quello del padre, ma chi porta avanti la gravidanza rende possibile la nascita è la madre, si rende necessario un

46 Purdah o parda: tenda, schermo, copertura, velo…segretezza, isolamento, modestia, clausura, intimità… L‟atto di mantenere la separazione tra i sessi vivendo in aree separate della casa, frequentando spazi distinti e da parte delle donne indossando il velo in presenza di estranei o di uomini a cui portare rispetto.

47 Per casta riferita al mondo indù s‟intende un sistema di gruppi ereditari distinti per gradazione di status o gerarchia (jaat), regole che ne mirano a garantire la separazione e divisione del lavoro che implica però interdipendenza. Questi tre elementi si basano sulla contrapposizione tra puro e impuro (Dumont, 1991, p. 130), che è l‟aspetto veramente qualificante di questo sistema sociale. I musulmani pur sostenendo l‟eguaglianza di tutti gli uomini, hanno sviluppato un sistema stratificato che nel subcontinente ha assunto alcuni caratteri castali intesi come classi ereditarie distinte dal punto di vista occupazionale (d‟origine), poste in un ordine gerarchico e separato. Queste classi vengono da loro chiamate caste (zaat). Riguardo alla purità la separazione si riflette sui matrimoni e in parte nel commensalismo, o nel contatto con soggetti “impuri” (Bhatty, 1996). Un simile ragionamento vale i sikh che all‟epoca della loro fondazione avrebbero fatto del rifiuto delle caste e dell‟opposizione al divieto di commensalismo uno dei caratteri distintivi della religione, al punto tale da ritenere le cucine (langar) atte ad offrire del cibo a chiunque, una sezione costitutiva dei loro gurdwara (templi). Tuttavia nella realtà sociologica i sikh al momento di combinare i matrimoni osservano con molta attenzione le compatibilità di casta e per esempio in Gran Bretagna si assiste anche alla proliferazione di templi riservati alle diverse caste.

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sistema di custodia e sorveglianza della donna. L‟uomo deve garantire che il confine rappresentato dal corpo delle donne della sua cerchia familiare non sia mai violato. Queste ideologia del patriarcato, parentela e casta è ulteriormente consolidata dall‟ideology of guardianship o ideologia della tutela, in base alla quale una femmina, minorenne o maggiorenne, nubile o sposata che sia, è sempre sotto la custodia maschile (Chowdhry, 2007, p. 4). Ciò che va protetto non è la donna in sé, ma la sua verginità prima del matrimonio e la sua castità, ossia l‟appartenenza al solo marito una volta sposata. L‟esclusiva sul suo utero è il vero bene da proteggere. La metafora, condivisa peraltro anche dal mondo cattolico e ortodosso48, è quella della donna intesa come un campo da fecondare col seme maschile. L‟idea di una passività sessuale femminile è stata molto rafforzata nel cristianesimo grazie alla figura della Madonna, madre immacolata del figlio di Dio, ma nell‟islam prevale piuttosto il concetto di donna sessualmente attiva, potente e dotata di volontà propria (Mernissi, 2006, p. 137). L‟induismo a sua volta propone anche l‟idea di una forza vitale femminile estrema (shatki), ma l‟ideale della moglie indù è rappresentato piuttosto dalla consorte di Rama, Sita49. Il sistema patriarcale, per mantenere la propria continuità, finisce col privilegiare o l‟idea di una sessualità naturalmente femminile e quindi pacata o quella di una sessualità che va contenuta. Attraverso l‟ideologia del parda, della separazione fisica e/o visiva dei due sessi, si esprime la necessità si controllare e proteggere la donna, e con lei tutta la società che la circonda, dall‟introduzione di un seme generatore estraneo e contaminante. L‟intera struttura della società musulmana può essere vista come un attacco o una difesa contro il potere disgregante della sessualità femminile (T. S. Khan, 2006, p. 96).

La custodia della donna viene esercitata in vari modi: con la costruzione di un ambito spaziale adatto a lei entro le mura domestiche e tramite la separazione dei ruoli di genere che per la donna preveda l‟occupazione dello spazio privato: moglie, madre, casalinga. Con un abbigliamento pudico esemplificato dal velo, ma che non si riduce del tutto ad esso50. La custodia della donna è resa possibile attraverso una miscela di forza e ideologia dell‟onore. Invocando le nozioni di onore e disonore le famiglie cercano di regolare il comportamento

48 Siracide, 26,20.

49 Nel poema epico Ramayana si narrano le avventura cui va incontro Ram per ritrovare la moglie rapita dai demoni e trasferita nell‟isola di Lanka. La sfortunata Sita dovrà sottoporsi a un‟ordalia per dimostrare al marito di essersi mantenuta casta e poter tornare a Kukushetra. In una versione successiva del poema, però, i problemi di Sita non finiscono perché i cittadini temono che il rimpatrio di Sita, il cui onore rimane malgrado la prova del fuoco incerto, protestano perché ciò potrebbe essere di cattivo esempio per le loro donne, sicché Rama è costretto a mandare Sita in esilio nella giungla. Dopo vari anni Rama inviterà Sita a ritornare nella città, chiedendole però un‟ulteriore prova della sua castità. Sita per dare un segno definitivo, si farà inghiottire dalla madre terra.

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inappropriato delle donne (Vishwanath & Palakonda, 2011, p. 389). In sostanza con un sistema di parda e sharm cioè una forma di segregazione rispetto al mondo maschile unitamente a un intenso sentimento di pudore e vergogna, quest‟ultima intesa come timidezza, riserbo, si tutela l‟onore, l‟„izzat di un‟intera comunità. Fa infatti parte dell‟educazione di una ragazza indiana o pakistana acquisire una postura composta e tenere lo sguardo e la voce bassa. Si potrebbe dire che sharm sia un‟ulteriore forma, interiore e costituita dall‟atteggiamento della donna, di parda.

L‟ideologia dell‟onore è una nozione sessuata vale a dire che gli uomini e le donne incorporano nozioni d‟onore in modo totalmente diverso (Vishwanath & Palakonda, 2011, p. 386). L‟onore, che in questo senso va inteso come prestigio, delle famiglie è ascrivibile all‟appartenenza di casta, ma le singole famiglie possono guadagnare onore attraverso i soldi e il potere (Chakravarti, 2005, p. 310). Questo è il compito specifico degli uomini. Non tutte le famiglie hanno soldi e potere, sicché altri aspetti diventano critici (Chakravarti, 2005), tra questi la conservazione della purità delle donne della famiglia. Dal punto di vista sociale la questione si fa complessa, perché non si riesce a costruire una relazione diretta tra reddito/potere e osservanza dei codici di castità: in India e Pakistan si possono osservare tendenzialmente delle violazioni senza conseguenze funeste o tra le élite urbane istruite ed economicamente potenti o a livelli infimi. Sono le classi medio-basse, pertanto, ma non bassissime, ad avvertire maggiormente l‟urgenza di osservare i codici di purità, anche se ciò non rappresenta la regola assoluta. Si può quindi concludere che, al di là delle variabili individuali, laddove la persona si trova in una situazione di status elevato e soprattutto autonomo, il peso dell‟„izzat si fa sentire di meno. Questo potrebbe essere stato il caso dell‟uomo d‟affari e governatore del Punjab Salman Tasser, che fu al centro di una campagna diffamatoria su internet sui comportamenti antislamici e soprattutto irrispettosi della morale sessuale suoi e della famiglia. In particolare furono pubblicate le foto di una delle figlie che ballava e si divertiva in piscina “in presenza di uomini”51. Effettivamente una campagna del genere avrebbe potuto danneggiare l‟„izzat e la vita sociale di una persona, eppure questo non fu il caso del governatore che continuò a svolgere le sue attività senza limitare la vita sociale delle figlie fino a quando non fu assassinato nel gennaio del 2011 dalla sua guardia del corpo, non perché irrispettoso del comune senso del pudore, ma per aver preso una chiara posizione sulla necessità di abrogare la legge sulla blasfemia52 (Staff, 2011).

51 http://www.youtube.com/watch?v=KdC0leaYc6A. [Consultato il 07/02/2011]. 52 «Punjab Governor Martyred.» Daily Times. 5 gennaio 2011.

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Parimenti in India si assiste ad un mutamento di costume tra le élite e in particolare nelle aree urbane. I codici di castità sono violati da attrici e personaggi pubblici, senza che ciò abbia alcuna conseguenza, ma i casi di cronaca che hanno per vittime donne provenienti da classi benestanti, istruite e autonome non mancano come la triste vicenda di Nirupama Pathak, la giovane giornalista di una testata di New Delhi, assassinata dai familiari per essere rimasta incinta di un collega che apparteneva ad una casta inferiore (Deepu & Manoj, 2010).

Uno dei pilastri dell‟onore maschile, quindi, risiede nel dimostrare di saper difendere la purità delle proprie donne, mentre le donne hanno il compito specifico di conservare questo bene per la famiglia. La verginità/castità è un valore assoluto nel senso che deve essere conservata di per sé, indipendentemente dalla volontà o dal consenso della donna e spesso indipendentemente dalla sua stessa capacità di proteggerlo. Non di rado, infatti, si sente evocare la metafora del “drappo di seta bianca”: l‟uomo è come un pezzo d‟oro, la donna è come un drappo di seta bianca. Se sporchi l‟oro, lo puoi ripulire, se invece è un drappo di seta bianca ad essere lordato, esso non tornerà mai più come prima. Ciò introduce il tema del diverso metro di giudizio utilizzato nel considerare le trasgressioni sessuali da parte di una donna o un uomo. Le regole di purità sessuale in teoria valgono sia per i maschi per le femmine, ma la simbologia legata ai loro corpi è differente e fa sì che anche la violazione sia ritenuta diversa. Qui interagiscono tre elementi: la gerarchia castale e patriarcale (valida per gli indù, ma anche per i non indù) la simbologia di puro e impuro e, di conseguenza il senso del confine. Come osserva Mary Douglas (1993) la gerarchia della purità – che è gerarchia sociale- viene trasmessa “per via biologica”, di qui l‟importanza del comportamento sessuale cui sono particolarmente attente le caste superiori. La questione dei confini diventa centrale, poiché le donne sono fisicamente il mezzo per entrare in una casta (p. 199). Per questo motivo la purità femminile è attentamente monitorata e una donna che abbia avuto rapporti sessuali con un uomo di casta inferiore viene punita brutalmente (p. 200). Io aggiungerei che dalle etnografie emerge non solo un problema di casta inferiore ma di violazione delle regole della casta e della famiglia, che costituiscono i veri limiti. Anche l‟uomo è tenuto ad osservare delle regole di castità, ma non tanto perché, come nel caso della donna, si teme una sorta d‟invasione aliena contaminante, ma piuttosto, puntualizza Yalman (citato in Douglas, 1993), perché egli deve stare attento a non disperdere il seme. La trasgressione maschile, si risolve con un bagno rituale (Douglas, 1993, p. 200). In tal modo si esprime una volta di più tutta l‟ambivalenza del concetto di confine che da un verso è la possente barriera di protezione verso l‟esterno e dall‟altro, attraverso le sue “porte” rappresenta il vulnerabile punto d‟accesso

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che va presieduto in tutti i modi. Questo implica che l‟onore - l‟„izzat di una donna e della sua famiglia, più che del perpetratore – è compromesso anche nel caso in cui la donna sia vittima di uno stupro. In questo modo si evidenzia un aspetto paradossale e cioè quanto l‟onore non solo di un uomo ma di tutto un gruppo sia messo a repentaglio proprio assegnandone la custodia alla donna. Il soggetto “vulnerabile”, quello da proteggere e controllare è anche quello che maggiormente può minacciare l‟onore familiare. Ciò vale a dire che, in questa accezione, l‟onore maschile non dipende da propri atti ma dagli altri, anzi dalle altre. I maschi della famiglia dimostrano di riprendere il controllo della situazione, quando reagiscono e, spesso tramite l‟uso della violenza, ricorrono ad azioni di riparazione.

Un aspetto essenziale di questo modo d‟intendere l‟onore è la sua dimensione sociale: il rispetto, l‟„izzat, che è sinonimo dell‟onore famigliare, necessita di un pubblico che approvi o che biasimi. L‟„izzat non viene leso dalla violazione dei codici di castità in sé, ma dalla notizia della sua violazione. C‟è una pubblica opinione che manifesterà il proprio disprezzo verso tutti i membri della famiglia che hanno dimostrato di non aver saputo esercitare il dovuto controllo o per il semplice fatto di avere delle affinità con una persona disonorata e ai membri maschi “cadrà il turbante”, che è un‟altra immagine che segnala la perdita del prestigio maschile. Il vero problema è dunque evitare che si parli delle donne della famiglia,

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