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1. Le riforme universitarie: mutamenti (ancora) in atto

1.2. L’Università non può non comunicare

La Riforma didattica ha suggellato quelle che Morcellini definisce rivoluzioni silenziose (Morcellini, 2005, p. 43), ov- vero l’arresto della dispersione degli studi, l’incremento di immatricolazioni e l’aumento del numero di laureati tra gli studenti lavoratori. A dimostrazione del fatto che, almeno a livello simbolico e percettivo, il sistema 3+2 si palesava come stimolo alla continuazione degli studi, anche affiancati ad at- tività lavorative.

Questa nuova capacità da parte della Università di procla- marsi autonoma e in grado di sviluppare una offerta forma- tiva in funzione di un’utenza sempre più eterogenea e consa- pevole ha sancito quello che Maurizio Boldrini definisce lo “sviluppo dell’università di massa” (Boldrini, 2005, p. 23) in- tesa come messa in discussione dello storico modello della torre d’avorio, a favore di nuove forme organizzative degli Atenei.

Prima conseguenza di un così profondo mutamento è stata la presa di coscienza da parte delle Università di dover colmare una lacuna informativa fra struttura organizzativa e potenziale utenza. Ed è in questo contesto che prende il via il processo di istituzionalizzazione della comunicazione uni- versitaria sul duplice versante della trasparenza e dell’orien- tamento:

«La comunicazione ha accompagnato il processo di innovazione degli atenei, cercando di accorciare le

distanze fra l’istituzione e i suoi per lo più giovani

utenti soprattutto nei momenti critici e, in particolare, a seguito dell’avvio della riforma universitaria. Quando le matricole […] hanno cercato di orientarsi e di capire come il mondo universitario stesse cam- biando, fra lauree triennali e specialistiche, crediti e

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classi di laurea, stage e curricula, nel tentativo di fare

la scelta giusta» (Marchionne, Pattuglia, 2009, p.

206).

Quando nei primi anni 2000, gli Atenei si sono visti inve- stire da una autonomia senza pari, diverse questioni si sono aperte:

 Come comunicare l’università che cambia?  Come promuovere la propria offerta formativa?  Come dare conto dell’effettiva spendibilità del ti-

tolo che si andava a conseguire?

 Come costruire un’identità che ben si spendesse nei confronti dei potenziali pubblici?

 Come conciliare il ruolo di soggetto pubblico con una logica competitiva più legata alle strategie di un quasi-mercato?

Per rispondere a queste nuove istanze prese il via un im- ponente lavoro sulla Comunicazione universitaria. Pur non rappresentando un’assoluta novità nelle attività dell’Univer- sità, la comunicazione entra a pieno titolo fra i processi e i flussi, che i singoli Atenei devono attuare e gestire in maniera sistematica assumendo via via una strategia sempre più inte- grata.

«Di fatto, la rivoluzione dell’Università italiana av- venuta ne corso degli anni Novanta è stata significati- vamente contrassegnata dalla svolta della comunica- zione strategica […] si assiste ad una inedita atten- zione per la comunicazione e per lo scambio propria- mente relazionale con le diverse categorie di stakehol- der» (Morcellini, op. cit.).

Il mantenimento costante dei rapporti con i media, la so- cietà civile, gli stakeholder, gli altri Atenei (nazionali e non) e ovviamente gli studenti diventa un ambito strategico da

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dove presiedere in maniera strutturata. Tuttavia la capacità di rendersi trasparenti poco collimava con l’iniziale processo di apertura dell’università, secondo Boldrini infatti «il flusso informativo era unidirezionale, dall’altro verso il basso» e come se non bastasse «la comunicazione esterna era tipica- mente asettica e formulata attraverso il sottocodice del bu- rocratese» (Boldrini, op. cit.).

Tuttavia, tre profondi mutamenti investirono questo spe- cifico modo di fare comunicazione:

1. Come già preannunciato la lunga stagione dell’au- tonomia prima e la ristrutturazione degli ordina- menti didattici poi, hanno profondamente mutato l’intero sistema-università coinvolgendone non solo alcuni aspetti funzionali ma la vera e propria struttura culturale e organizzativa. Facendo della comunicazione non solo un obbligo ma una neces- sità.

2. A partire dagli anni ’90 con le leggi 142 e 241, viene introdotto l’obbligo di pubblicità nelle pubbliche amministrazioni. La 142/1990 interviene sulle au- tonomie locali e introduce nuove regole sulla tra- sparenza amministrativa. La 241/1990, estende tale obbligo a tutti gli enti pubblici ed opera sull’ efficienza, la trasparenza e la semplicità come que- stioni cardine nell’attività amministrativa.

3. Lo sviluppo e l’affermazione della cosiddetta in- formation technology ha inciso profondamente sull’agire e sulla comunicazione delle pubbliche amministrazioni. Fino al costituirsi di un approc- cio multicanale, inteso quale approccio sistemico alla gestione delle attività di comunicazione, assi- stite dall’implementazione delle ICT (Lovari, 2008, p. 23).

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E’ in questo contesto che la comunicazione iniziava ad en- trare negli atenei, pur non potendo vantare una struttura e una forma ben definite. Secondo Boldrini (2005) due erano gli elementi caratterizzanti di quegli anni: la scarsa dimesti- chezza dell’accademia di operare in una amministrazione trasparente, e la scarsa capacità delle istituzioni universitarie di fronteggiare la logica dei media.

Nonostante tali criticità però, le domande sopra citate do- vevano trovare risposta. Perché se da un lato l’autonomia aveva aperto l’università, come mai prima d’ora, dall’altro fu necessario definire una serie di elementi in grado di vagliare l’effettiva comparabilità e spendibilità dei titoli accademici. E’ in questo contesto che maturano due temi chiave: la qua- lità e la trasparenza, dove la seconda diviene componente es- senziale della prima, anche se sul piano normativo i requisiti di trasparenza si collocano nel contesto più generale dei re- quisiti necessari per l’attivazione dei corsi di studio.

«Nell’Università, la trasparenza rappresenta un requisito “multidimensionale”: il risultato, cioè, di una serie di azioni complementari che gli atenei de- vono produrre al fine di assicurare una corretta e com- pleta comunicazione verso l’interno e verso l’esterno […] Di fatto, la trasparenza attiene alla visibilità di un’organizzazione: del suo operato, dei modi in cui agisce e dei risultati che raggiunge. Rendendo possi- bile all’utenza la valutazione dei servizi e delle attività dell’organizzazione, obbliga quest’ultima a un’assun- zione di responsabilità del proprio operato» (Morcel- lini, Martino, 2007, p. 53).

La valutazione dell’operato può avere una duplice va- lenza, da un lato può risultare alla stregua di una minaccia, si pensi al già citato passaggio dall’università Torre d’avorio

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e quella di massa, dall’altro può attivamente concorrere all’accrescimento delle risorse di carattere immateriale.

Il punto di partenza è considerare la comunicazione come una leva in grado di contribuire allo sviluppo di valore, e cioè alle risorse immateriali necessarie a competere: la fiducia e la reputazione (Mazzei, 2004). Entrambe si basano sull’espe- rienza e sulla coltivazione della stessa, che viene maturata nel momento in cui i portatori di interesse entrano in relazione con l’Università.

Un momento cruciale in cui le aspettative degli studenti, e le possibilità offerte dall’università entrano in contatto è senz’altro l’orientamento, il quale deve «puntare a ridurre il più possibile le distanze tra l’istituzione e i suoi destinatari, a contrastare attivamente e in modo continuativo i gap e le asimmetrie informative che rischiano di prodursi non solo al momento della prima iscrizione, rendendo deficitario il processo decisionale che coinvolge lo studente e la sua fami- glia, ma anche in itinere ed ex post» (Morcellini, Martino, 2005, p.81).

Una lettura cioè continuativa delle attività di orienta- mento, e non solo mirata a specifici momenti antecedenti l’accesso all’Università. L’insieme delle attività deve essere non solo percepito come continuativo ma deve andare ad af- fermarsi come un vero e proprio cambiamento paradigma- tico: «un salto di qualità – l’orientamento – come stile di comportamento e vero e proprio modo di essere dell’univer- sità italiana […] uno strumento di partecipazione, forma- zione di comunità, messa in rete del sapere» (Marchione, Pattuglia, 2009).

Far sì cioè che l’orientamento non sia semplice informa- zione o che si riduca all’adempimento di obblighi di traspa- renza, mirati alla promozione dei tre fondamenti della mis- sion universitaria: didattica, ricerca e promozione culturale

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(Morcellini, Martino, 2007), ma che questi divengano ter- reno comune utile all’istaurazione di un vero e proprio «patto comunicativo» (ibidem), un’occasione strategica per riposi- zionare il sistema su una logica contrattuale e di partecipa- zione degli utenti, primi fra tutti iscritti e matricole (ibidem).

Ancora una volta l’elemento più delicato è quello degli or- dinamenti didattici, attraverso il quale lo studente si posi- ziona all’interno dell’università. La riforma degli ordina- menti didattici avvenuta con il 509 prima e il 270 poi, ha pro- dotto:

«Un riposizionamento più moderno e flessibile del sistema universitario nella società italiana, forzan- done e valorizzandone a un tempo i limiti organizza- tivi e, soprattutto, culturali. Gli stessi che, troppo a lungo, hanno ritardo il superamento dell’autoreferen- zialità e dell’elitismo, l’apertura all’ambiente circo- stante e alle istanze espresse dai “portatori di inte- resse”, il riconoscimento del ruolo che alle stesse logi- che della comunicazione e dell’orientamento spetta quasi naturalmente nella performance di organizza- zioni caratterizzate da un fine universalistico quale la formazione» (Morcellini, Martino, 2005, pp.16-17).

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2. Le tre rivoluzioni e il nuovo paradigma