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Uno sguardo nuovo sull'obbedienza nella vita consacrata

Nel documento PROPOSITUM L OBBEDIENZA CARITATIVA (pagine 52-62)

Mathew M. Vallipalam o.f.m. Cap.

Significato e comprensione del termine

Il voto di obbedienza è il tema più studiato e discusso nell'ambito della vita religiosa. Possiede un fondamento profondamente teologico ed ecclesiale, basandosi sull'esempio e l'insegnamento di Cristo, come gli altri due voti. Il significato del voto di obbedienza nella vita consacrata e la sua comprensione sono nettamente cambiati dopo il Concilio Vaticano II.

I religiosi sono chiamati ad ascoltare Dio che parla, si comunica, si rivela nella Scrittura, nell'insegnamento della Chiesa, nelle Costituzioni dell'Istituto, nei segni dei tempi e nella coscienza. Nelle sue riflessioni su “La donna consacrata e la missione”, Madre Teresa di Calcutta dice che “siamo chiamati/e ad ascoltare in modo obbediente, come lo fece Cristo, tutte le manifestazioni della volontà del Padre suo nelle persone, negli eventi e nelle cose.

Questa obbedienza suppone essere pronti a dire con Cristo “Sì, Padre” nel momento in cui la Sua volontà diventa chiara per noi.”1

L'elemento realmente innovativo nella vita di Cristo e nel suo ministero non è stato il celibato o la povertà, bensì l'obbedienza. “Perchè sono disceso dal cielo non per fare la mia In questo contesto, quando le si rivelò la volontà di Dio, Madre Teresa non disobbedì alla Congregazione di cui era membro nell'abbandonarla per fondarne una nuova dedicata completamente ai poveri, ai bisognosi e agli indesiderati. In quel momento, ciò era la cosa più necessaria a Calcutta. Detto con altre parole, Madre Teresa stava passando da uno stato di comodità ad uno stato di incomodità. “ Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che f a la volontà del Padre mio”

(Mt. 7,21).

volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato…” (Gv. 6,38).

Secondo Wittberg l'obbedienza è “un atteggiamento di apertura al piano provvidenziale di Dio”, “una vita vissuta con attenzione allo Spirito”, “una ricerca della volontà di Dio e della sua realizzazione in forme sempre nuove”, “un mezzo da sviluppare da adulti” o perfino

“la realizzazione del proprio destino.”2 In questo senso, il significato principale che viene dato all'obbedienza è quello di fedeltà. Essere obbedienti richiede l'uso delle capacità che si posseggono. Inoltre, essere obbedienti richiede contemplazione e una continua conversione. 3 Karl Rahner ha definito così l'obbedienza religiosa:

“L'accettazione del modo comune che la vita religiosa possiede di imitare Cristo, secondo una costituzione che è stata riconosciuta dalla Chiesa e che è l’espressione pratica di un’esistenza orientata verso Dio.”4

Il Concilio Vaticano II ricorda ai religiosi come devono osservare l'obbedienza: “…in spirito di fede e di amore verso la volontà di Dio, secondo quando prescrivono la regola e le costituzioni, prestino umile ossequio ai loro superiori” (P. C. 14). Nel fare voto di obbedienza i consacrati e le consacrate collaborano in un Istituto particolare alla ricerca sincera della volontà di Dio per loro e per il proprio Istituto. Secondo O’Murchu l'obbedienza, nel suo vero significato biblico, non vuol dire sottomettere la propria volontà, bensì servirsi delle risorse che Dio ci ha dato, per ascoltare più profondamente la saggezza divina, in modo da poter discernere la volontà di Dio con maggiore autenticità. L'obbedienza a Dio passa spesso attraverso entità umane che servono da intermediari, come lo sono “la Regola, i superiori, la comunità, i segni dei tempi, le attese della gente, soprattutto dei poveri.”5

Sfondo storico

E' difficile dire esattamente quando la vita degli anacoreti e dei cenobiti assunse un carattere di obbligo nei riguardi di Dio e della Chiesa. Nel IV e nel V secolo, assunse tra i Benedettini la

forma di una promessa, comprensiva di tre elementi ed includeva l'obbedienza. Nel VII secolo i Benedettini promisero a Dio di obbedire all'abate mediante un pactum che era un vero e proprio voto. Il vero voto monastico apparve sulla scena verso la fine del secolo VIII.6 Nel XII secolo, si creò la triade povertà, celibato e obbedienza che dette una forma definitiva a questa realizzazione straordinaria della secuela Christi.7

I primi monaci che con Sant'Antonio rinunciarono a tutto per seguire Cristo, praticarono poco a poco l'obbedienza considerandola un valore spirituale di enorme importanza. Perchè abbandonare la propria volontà è veramente un atto di elevazione della propria vita e un atto di suprema libertà. Nel XIII secolo San Francesco d'Assisi sottolinea l'obbedienza biblica che è evangelica nello spirito ed ha carattere giuridico. Lui voleva che i frati si sottomettessero all'autorità, al Papa e ai ministri per il bene della Chiesa.

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Il tema dell'obbedienza è trattato a fondo nella tradizione ignaziana.

Ignazio chiede di cooperare con l'opera salvatrice di Cristo e specifica l’ adesione a Cristo mediante un voto di obbedienza diretta al Papa. Secondo lui i gradi dell'obbedienza sono tre: 1) eseguire ciò che ci viene richiesto, 2) eseguire di buon cuore ciò che ci viene richiesto, e 3) fare propria la volontà del superiore in modo da condividerla.9

Obbedienza e autorità

L'idea di obbedienza abbisogna sempre di un'altra che è quella di autorità. E, secondo la logica, ci sarebbero buone ragioni per trattarla in questa sede. Quando si discute il tema dell'obbedienza religiosa, se non si discute il principio di autorità sembrerebbe di parlare a vuoto. Vediamo in primo luogo l'obbedienza e l'autorità nella tradizione indiana e poi in quella cristiana.

La tradizione indiana. In India il sistema familiare è totalmente diverso da quello dei paesi occidentali. Ha una

maggiore coesione e continuità. Malgrado gli enormi cambiamenti occorsi nella società indiana, in India le famiglie continuano ad essere unite, sono al meno in parte strutturate e non sono famiglie disintegrate come avviene nei paesi occidentali.10 Nelle famiglie patriarcali, tutta l'autorità è nelle mani del padre e tutti i membri della famiglia devono obbedirgli. Nelle famiglie matriarcali è la madre che detiene l'autorità e domina su tutta la famiglia.11

L'India, paese dove prevale il pluralismo religioso, è abitata da oltre un miliardo di persone di cui l'85% sono Induisti, il 10% sono Mussulmani, il 2.5% sono Cristiani e il resto segue il Sikismo, il Buddismo, il Jainismo, etc. Tra i vari gruppi religiosi, è assai esteso lo spirito di tolleranza religiosa e di coesistenza pacifica, anche se ogni tanto sorgono tensioni e conflitti.

Ma le famiglie patriarcali sono ancora piuttosto comuni in India.

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Nel Buddismo non esiste un voto di obbedienza formale. Nel corso della formazione iniziale i candidati devono obbedire agli anziani. Nella prima parte della loro formazione i candidati si organizzano in modo da non essere soggetti né a un solo leader, né a un gruppo o consiglio.

La cultura indiana dà un valore enorme al rispetto e all'obbedienza verso i genitori e gli anziani della famiglia.

13 A differenza dei monaci cristiani, ai monaci buddisti non viene richiesta una vita di obbedienza a un superiore, ma ci si aspetta che i monaci siano rispettosi verso i membri anziani del Sanga.14 Budda non ha specificato regole sull'obbedienza nel codice monastico. Dai monaci ci si aspetta che prendano decisioni in gruppo, per mezzo di riunioni regolari della comunità, su determinati aspetti della loro vita, come per esempio la violazione delle regole monastiche e le disposizioni circa la proprietà comune. Non hanno incarichi formali. In generale, un monaco anziano è responsabile della gestione giornaliera del monastero. In alcune tradizioni il superiore viene scelto in un monastero mediante il voto. In Tailandia il superiore è scelto dalla comunità laica.15

O’Murchu osserva che nella vita religiosa induista e buddista la figura del superiore è quasi sconosciuta. La figura centrale negli Ashrams induisti, nei Saga buddisti e nelle scuole Sufi è quella del guru o padre spirituale. Non ha nulla a che fare con il lavoro amministrativo. La sua principale responsabilità è quella di aiutare i candidati a diventare monaci, cioè uomini capaci di rispondere in modo creativo alla volontà divina. Ma oggi come oggi molti di questi guru manipolano e sfruttano le persone affidate alle loro cure. Bisogna ammettere che i sistemi monastici orientali hanno molto da apprendere dal monachesimo occidentale. O’Murchu scrive: “La caratteristica arche-tipica del voto di obbedienza è l’ascolto rispettoso e attento di Dio, dell’altro, delle circostanze della vita, della natura, delle molte chiamate che ogni giorno la vita ci rivolge; all’ascolto segue la risposta che porta alla crescita.”16

La tradizione cristiana. Nel passato, la virtù dell’obbedienza religiosa veniva spiegata in termini di disponibilità completa a compiere la volontà del superiore e generalmente costui non si aspettava il parere dei membri della comunità. Ma oggi ai superiori viene dato piuttosto il titolo di animatori o di facilitatori, e sono lì non per controllare o por comandare, bensì per aiutare.

Bisognerebbe tessere il legame di obbedienza con una gran libertà, e l’obbedienza dovrebbe essere vissuta con grande responsabilità.

Ciò non significa essere schiavi della propria volontà, bensì adattarla nel modo più perfetto possibile ai requisiti della propria realizzazione. L’obbedienza ascetica e educativa sono al servizio della propria perfezione e l’obbedienza funzionale è al servizio della comunità. Si complementano, non si oppongono.

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Un documento pubblicato non molto tempo fa dice che

“l’obbedienza a Dio è cammino di crescita e, perciò, di libertà della persona perchè consente di accogliere un progetto o una volontà diversa dalla propria che non solo non mortifica o diminuisce, ma fonda la dignità umana. Al tempo stesso, anche la libertà è in sé un cammino d’obbedienza, perché è obbedendo da figlio al piano del

Padre che il credente realizza il suo essere libero.”18

L’obbedienza esige una gran prudenza, saggezza, umiltà, amore e imparzialità da parte di un superiore. Più che mai, nel processo di condurre e guidare i membri, il/la superiore/a è il canale della parola di Dio. La consultazione deve essere un aiuto, ma può facilmente diventare meccanica e legalista nelle mani di un superiore immaturo o debole. E’ per questo che il Concilio Vaticano II ci ha chiesto di rinnovare le costituzioni dei nostri Istituti ritornando alle fonti della vita cristiana e all’ispirazione dei fondatori e delle fondatrici, e di adattarle alle situazioni in cui viviamo.

La Scrittura rivela che l’obbedienza a Dio passa spesso attraverso esseri umani perchè per intervento divino, l’autorità religiosa è considerata autorità spirituale. Ciò può esprimersi mediante la fiducia reciproca, il dialogo, la condivisione e la corresponsabilità. L’ideale della vita religiosa è portato avanti con particolare attenzione su certi punti.

San Francesco d’Assisi, il fondatore dell’Ordine Francescano non volle scrivere una regola per i suoi seguaci, ma con l’aumento dei membri nell’Ordine, si vide forzato a farlo. Non può esserci una regola senza autorità.

19 Molto spesso l’obbedienza viene usata come una mera e semplice sottomissione al potere, ma è un esercizio di libertà, sia nei confronti di Dio che per il raggiungimento del fine dell’Istituto. E’ la più alta espressione della libertà, perchè è la libera sottomissione alla causa del Regno. La libertà non è fare ciò che uno sente di fare, ma diventare ciò che siamo chiamati ad essere. Vuol dire rispondere alla presenza creativa di Dio nella persona consacrata, rispondere con amore alla sua missione e ai suoi piani. Per vivere in armonia in comunità sono necessarie alcune regole. Non hanno nulla a che fare con l’obbedienza, bensì con l’apostolato.20 Di conseguenza, l’obbedienza nella vita religiosa non è perdita della propria libertà, bensì impegno volontario per raggiungere una più alta meta.

Segni dei tempi

In ambiti ecclesiali si è constatato che nel periodo immediatamente anteriore al Concilio Vaticano II molti religiosi hanno vissuto uno stile di obbedienza da loro “considerato come troppo rigido e autoritario.”21 L’opinione personale era raramente sollecitata e l’iniziativa poco spesso incoraggiata. Ci si lagnava dell’eccessiva obbedienza ed era assai diffuso il sentimento di sfiducia nei confronti dell’autorità personale.22

L’obbedienza è una chiamata alla fedeltà e alla lealtà al Dio creativo che invita tutti noi ad essere co-creatori nella costruzione di un mondo migliore per tutto ciò che vive. La fedeltà alla coscienza fa di noi persone impegnate nella causa di Dio ed aperte al mondo.

Ci rende capaci di resistere a qualsiasi tentativo di esercitare controllo e dominio su di noi. Non ci impedisce di ascoltare la comunità e non impedisce al superiore di accettare il consiglio di un fratello o di una sorella o di imparare da chiunque possa insegnarci.

In definitiva, dobbiamo seguire la nostra coscienza ed agire in conformità.

L’amore per l’obbedienza è ora meno connesso a questioni di comando e di controllo e sempre meno centrato sui superiori. Oggi si prende molto più in considerazione il concetto soggiacente alla parola

‘ascolto’.

Il discernimento in comune è di vitale importanza nell’obbedienza, che è una chiamata al discernimento su cui nessuna autorità ha il monopolio. Oggi, in un’epoca assai più democratica rispetto al passato, i membri di una comunità prendono parte alle decisioni. Prima di chiedere e dare l’assenso, si consulta e dialoga molto. E’ pur vero che alcuni pensano che questo nuovo approccio all’obbedienza debilita l’autorità religiosa, ma altri vedono in esso il modo migliore di procedere quando la decisione raggiunta incide sulla vita stessa.

Nel passato l’obbedienza ha impedito a molti religiosi di diventare adulti capaci di prendere decisioni da soli e di agire in

modo responsabile nella loro vita, e a volte è stata per sopprimere la libertà e per creare strutture di dominio e di oppressione. Ci è stato detto che la sottomissione alle persone in autorità è una virtù, anche quando ne abusano. L’obbedienza adulta è l’atteggiamento e il comportamento verso Dio e verso il mondo di una persona spiritualmente matura.23

Nella sua storica inchiesta sul monachesimo e sugli ordini religiosi, Wittberg presenta delle osservazioni acute sull’obbedienza religiosa e la sua comprensione. Dice che il vecchio modello di sottomissione a un superiore religioso è “falso e ingenuo”. La nuova interpretazione accentua il fatto che l’obbedienza è “un atteggiamento di apertura al piano provvidente di Dio”, una “vita vissuta con attenzione allo Spirito”, una “ricerca della volontà di Dio e la sua realizzazione in forme sempre nuove,” un “mezzo per diventare adulti” o perfino “la realizzazione del proprio destino.”

Oggi l’obbedienza vuol, dire partecipazione, consultazione, complementarietà e discernimento. In molti Istituti la corresponsabilità è tornata al punto di partenza, culminando in un superiore a cui vengono affidate troppe cose. L’obbedienza richiede una apertura attenta e profonda al messaggio e al significato più profondo di tutto ciò cui ci viene richiesto di prestare attenzione.

O’ Murchu dà all’obbedienza un nome nuovo, la chiama il voto della mutua collaborazione. Richiede reciprocità che deve essere la caratteristica centrale di tutte le sue interazioni.

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Turcotte, un altro famoso studioso del tema, osserva che ai segni dei tempi veniva dato un peso uguale o maggiore che ai dettami dei superiori della comunità nel rivelare la volontà di Dio nella vita personale.

25 Secondo Burns il credere, come avveniva prima, nell’ordine divino dell’autorità comunitaria ha perso forza e un superiore è un servo pubblico piuttosto che un rappresentante infallibile di Dio. Descrive come le nuove costituzioni degli Istituti hanno ridotto il superiore religioso ad essere un funzionario, anche lui sottomesso all’obbedienza. 26 Casey lo esprime molto bene

dicendo che “essere obbedienti richiede l’uso delle proprie capacità da lui create. Essere obbedienti richiede anche contemplazione e una continua conversione.”27

Conclusioni

Negli ultimi decenni, il concetto e l’applicazione dell’obbedienza nella vita consacrata sono stati esposti ad un profondo cambiamento. Tutti subiscono le conseguenze di questo cambiamento, sia l’autorità, sia i membri. Nel passato, dominava il modello istituzionale di vita consacrata. Quando questo modello prevale, i membri perdono interesse ed entusiasmo verso l’iniziativa e la creatività, e diventano più passivi.

Quando viene chiesto all’autorità di render conto delle proprie posizioni, la responsabilità personale diventa molto importante. L’obbedienza consacrata si basa nella convinzione secondo cui lo Spirito Santo muove sia l’insieme della comunità, sia ogni singolo membro, a rispondere alla volontà di Dio con fede e generosità. Anche se la Chiesa non è un’organizzazione democratica, oggi la democratizzazione della vita consacrata è una realtà. In questo contesto, la consultazione, il dialogo, la responsabilità condivisa per prendere e portare avanti decisioni come pure le valutazioni delle loro conseguenze fanno parte della pratica dell’obbedienza.28 L’abbandono radicale della propria vita, dell’intelletto e della volontà a Dio nella comunità religiosa continua ad essere il nucleo indiscusso dell’impegno religioso. Questo impegno deve condurre al dispiegarsi della personalità umana, non alla sua oppressione. I consacrati sono discepoli adulti. I futuri religiosi vogliono abbracciare adulti obbedienti per manifestare il regno di Dio.

1 Madre Teresa di Calcutta “Women Religious and Mission”, Omnis Terra 37(2003), 408.

2 Patricia Wittberg, The Rise and Fall of Catholic Religious Orders: A Social Movement Perspective (Albany/New York: State University of New York Press, 1994), 243.

3 Ibid.

4 Karl Rahner, “Reflections on Obedience”, Cross and Currents 10(1960), 371.5 Diarmuid O’Murchu, The Changing Paradigms (Bombay: Claretian Publications, 2006), 74.

6 Congregazione per gli Istituti Consacrati e le Società di Vita Apostolica “Il servizio dell’autorità e l’obbedienza”, no. 11.

7 Elio Gambari, The Global Mystery of Religious Life (New Delhi: Society of St. Paul, 1974), 123, foot note no. 1.

8 Karl Rahner, ed., Sacramentum Mundi: An Encyclopedia of Theology, Vol.

II, (Bangalore: Theological Publications in India, 1978),277- 278

9 Antony Barnabas Monis, Religious Consecration (Mysore: Dhyanavana Publications, 2005), 117.

10 Ibid.,

11 K.L.Sharma, Indian Society (New Delhi: National Council of Educational research and Training 11th print, 2000), 81-82.

12 Ram Ahuja, Indian Social System (Jaipur/New Delhi: Rowat Publications, 1993), 26.

13 Mathew M. Vallipalam, “The Impact of Consecrated life on Indian Society”, Social Compass 48(2001), 264.

14 Austin B. Creel and Vasudha Narayan, Monastic life in the Christian and Hindu Traditions: A Comparative Study (Virginia: Edwin Mellen Press, 1990), 7.

15 Sanga è un termine che significa una comunità di persone che si sostengono nella crescita spirituale.

16 Austin B. Creel and Vasudha Narayan, op.cit.

17 Diarmuid O’Murchu, op.cit., 145.

18 Karl Rahner, ed., Sacramendum Mundi, Vol. IV, p.240.

19 Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, “Il servizio dell’autorità e l’obbedienza” n.5

20 Concilio Vaticano II, “Decreto sul Rinnovamento della Vita religiosa” no.

2

21 Joseph Mattam, Religious Life: Within a Christian Vision of Reality, (Gujarat: Gujarat Sahithya Prakash, 1994), 96-100.

22 Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Vita fraterna in comunità, (Roma Vaticano, 1994), no. 48.

23 Basil Cole O.P. and Paul Conner O.P., Christian Totality: Theology of the Consecrated Life, (Bombay: St. Paul’s Publications, 1997), 170-171

24 Kurian Kunnumpuram, “The Prophetic Dimension of Religious life”. In Shaping Tomorrow’s Church (ed.), Kurian Kunnumpuram, (Mumbai: St. Paul Society, 2006), 399.

25 Diarmuid O’Murchu, Poverty, Celibacy and Obedience: A Radical option for Life, (New York: The Crossroad Publishing Company, 1999), 88.

26 Turcotte Paul-Andre, Les Chemins de la Difference (Montreal: Les editions Bellarmin, (1985), 132

27 Burns Gene, The Frontiers of Catholicism: The politics of Ideology in a Liberal World, (Berkeley: University of California Press, 1992), 142

28 Julianna Casey,” Towards a Theology of Vows,” ed., Carol Quigley (Westminister/Md.: Christian Classics, Inc.), 78-126

29 Antony Barnabas Monis, op.cit. 119.

Mathew M. Vallipalam è un sacerdote cappuccino dell’India. E’ direttore del Centre for Religious Research, Gethsemany, Changanacherry. E’ professore dell’Istituto Pontificio St. Peter, di Bangalore e in molti altri centri per formatori. E’

consulente di varie congregazioni religiose in India. Ha lavorato per molti anni nel National Vocation Service Centre, Poona, dirigendone il programma ed è stato decano di studi del St. Francis Theological College, Kottayam. Ha scritto molto sulla vita e sulle attività di vari istituti religiosi ed ha pubblicato molti articoli sulla vocazione, sulla formazione nei seminari e nella vita religiosa. Vallipalam ha ottenuto un master presso l’Università di Kerala, ed un dottorato in Scienze Sociali presso l’Università Gregoriana, Roma. La sua tesi dottorale: “La formazione sacerdotale nella società cambiante dell’India” (St. Paul’s Publications) ha attratto l’attenzione di molti esperti in questo campo. (email: vallipalam@gmail.com)

Nel documento PROPOSITUM L OBBEDIENZA CARITATIVA (pagine 52-62)