I processi fisiologici ed idrometeorologici simulati attraverso i modelli LSS possono essere validati con una grande varietà di dati dalla scala fogliare alla scala regionale. Per esempio, i modelli per il calcolo della fotosintesi e della conduttanza stomatale possono essere valutati con misure sulla foglia, come illustrati in uno studio di Dang
et al., (1998). In tale studio i dati si riferiscono ad alberi di pino (Picea mariana) e di
abete rosso (Pinus banksiana) durante tre campagne di misura molto intense
espletate durante la stagione di crescita, e opportunamente utilizzati per stimare e calibrare i parametri richiesti dai modelli. La figura 1.6 confronta la fotosintesi fogliare osservata e modellata in risposta alla radiazione fotosinteticamente attiva , la temperatura fogliare, e la concentrazione di CO2. Il modello concorda bene con i dati osservati quando i parametri sono derivati separatamente per ogni periodo di misura. La fotosintesi modellata è linearmente correlata in modo significativo con le misure in situ e la pendenza di questa relazione non è molto differente da uno. Allo stesso modo, la conduttanza stomatale modellata è linearmente correlata con i dati osservati come si evince dalla figura 1.6.
Figura 1.6. Confronto tra la fotosintesi netta (in alto) e la conduttanza stomatale (in basso) modellati e misurati per pini e abeti rossi. Tratto da: Dang et al., 1998.
Non da meno le misure disponibili dalle flux tower (rete Fluxnet) posizionate in diverse località del globo forniscono la possibilità di testare i diversi modelli. Per esempio, Bonan et al. (1997) hanno confrontato le misure dei flussi di radiazione netta, calore sensibile, calore latente, e CO2 con i risultati modellati, per una foresta di abeti rossi. Mediando i valori ottenuti per un periodo maggiore di 23 giorni, il modello riproduce in maniera soddisfacente il ciclo diurno dei flussi energetici (fig. 1.7).
Figura 1.7. Confronto tra i valori osservati e misurati di flusso di calore sensibile, flusso di calore latente, radiazione netta, e flusso di CO2. La linea continua rappresenta il valore medio simulato.
La discrepanza più evidente con i dati osservati riguarda l’incapacità della modellazione a riprodurre la depressione del flusso di calore latente nelle ore intorno a mezzogiorno. I modelli LSS non sono modelli dettagliati per la descrizione della meteorologia forestale, ma piuttosto sono degli strumenti semplificati che riproducono a minimo costo computazionale le caratteristiche essenziali delle interazioni tra atmosfera – suolo – vegetazione, molto importante per i modelli climatici. I dati provenienti dalle torri meteorologiche sono altresì importanti per migliorare la parametrizzazione nella modellazione dei processi specifici. Per esempio la figura 1.8, confronta la radiazione netta, il flusso di calore sensibile e latente, osservati per una foresta pluviale in Amazzonia con i quelli simulati dal
Community Land Model (CLM3), descritto da Dickinson et al. (2006). I risultati mostrano che il modello sovrastima il flusso di calore sensibile e sottostima il flusso di calore latente, richiedendo pertanto una migliore parametrizzazione volta a ridurre l’evaporazione da suolo nudo ed aumentare il fenomeno della traspirazione.
Figura 1.8. Confronto tra i valori osservati (OBS) e simulati (CLM3) di radiazione netta, flusso di calore sensibile, flusso di calore latente per foreste tropicali nel sud-ovest dell’Amazzonia per il periodo compreso tra il 4-13 aprile 1993. Tratto da Bonan, 2008.
Un altro confronto interessante riguarda i risultati ottenuti, per una regione dell’est del Canada (fig. 1.9), con il Community Climate System Model (CCSM3), un modello più complesso che accoppia al modello precedente (CLM3) anche i sistemi degli oceani, dei mari e dei ghiacciai. Tale modello riproduce in maniera accettabile il ciclo annuale della temperatura, della precipitazione, del deflusso superficiale, e lo spessore dei ghiacciai. Non tutte le regioni sono simulate perfettamente, in particolare il bacino dell’Amazzonia, il quale in molti mesi dell’anno presenta una temperatura sovrastimata e una precipitazione più bassa rispetto ai valori osservati (fig. 1.9). Le foreste Amazzoniche sono conosciute per traspirare durante la stagione secca, e ciò suggerisce quindi che il modello mostra della carenze nella simulazione del ciclo idrologico.
Figura 1.9. Media mensile di temperatura dell’aria, precipitazione, deflusso superficiale, spessore dei ghiacciai confrontati con i valori osservati per una regione dell’est del Canada. I dati sono mostrati per cinque modelli climatici che differiscono in risoluzione spaziale e schematizzazione fisica. Tratto da:
Dickinson et al. (2006).
Il confronto tra diversi modelli è un modo molto importante per valutare lo stato della conoscenza. Il Progetto Intercomparison of Land - surface Parametrization Schemes (PILPS) ha confrontato i flussi energetici ed idrici simulati da numerosi
modelli LSS (Henderson - Sellers et al., 1996).
L’estensione di questi modelli dal singolo punto (scala particellare) a scala di bacino, ha mostrato che i modelli LSS possono rappresentare in modo generale il bilancio energetico ed idrologico, anche per bacini di grandi dimensioni. Alcuni studi hanno riguardato, ad esempio, l’applicazione di tali modelli su bacini grandi, come ad il bacino del fiume Red – Arkansas (566.000 km2) nel sud del Great Plains, regione
degli Stati Uniti d’America (Liang et al., 1998; Lohmann et al., 1998, Wood et al., 1998); il bacino del fiume Torne – Kalix (58.000 km2) nel nord della Scandinavia (Bowling et al., 2003b).
Figura 1.10 Media mensile di temperatura dell’aria, precipitazione, deflusso superficiale, spessore dei ghiacciai confrontati con i valori osservati per una bacino dell’Amazzonia. I dati sono mostrati per cinque modelli climatici che differiscono in risoluzione spaziale e fisica del modello. Sono mostrati anche radiazione solare, calore sensibile, calore latente, e traspirazione. Tratto da: Dickinson et al
(2006).
Il confronto di questi modelli rivela che i modelli LSS accoppiati con modelli climatici possono differire enormemente nella caratterizzazione della vegetazione e nella parametrizzazione dei flussi energetici e del ciclo idrologico. Tuttavia, esiste una chiara distinzione nella performance tra i modelli di prima, seconda, e terza generazione; infatti i primi modelli semplificati hanno avuto dei risultati sensibilmente meno soddisfacenti rispetto ai modelli successivi più complessi (Pitman, 2003); anche se in molti casi la complessità non accresce necessariamente le performance tra i modelli successivi (Pitman & McAvaney, 2002; Fox et al.,
Capitolo 2
Il processo fotosintetico
2.1 La fotosintesi in natura
2.1.1 Le piante e gli altri organismi autotrofi sono i produttori della biosfera
Direttamente o indirettamente, la fotosintesi fornisce il nutrimento quasi a tutto il mondo vivente. Un organismo acquisisce i composti organici che utilizza a scopo ener- gico e gli scheletri carboniosi di cui necessita in uno di due modi principali: la nutrizione autotrofa e quella eterotrofa. A prima vista, il termine autotrofo (dal greco
autos, da sé e trofos, nutrimento) può sembrare contraddire il principio che gli
organismi sono sistemi aperti che assumono le risorse loro necessarie dall'ambiente, esterno. Tuttavia, gli organismi autotrofi non sono totalmente autosufficienti; essi sono capaci di autoalimentarsi solo nel senso che non hanno la necessità di cibarsi di altri or- ganismi o di sostanze derivate da altri organismi. Gli autotrofi producono le proprie molecole organiche a partire dalla CO2 e da altri materiali grezzi presenti nell'ambiente e rappresentano la fonte ultima di composti organici per tutti gli organismi non autotrofi. Per questo motivo i biologi indicano gli autotrofi come i produttori della biosfera (l'ecosistema globale). Le piante sono organismi autotrofi; le uniche sostanze nutritive di cui necessitano sono il biossido di carbonio dell'aria, e l'acqua e le sostanze minerali contenute nel terreno. Più esattamente, le piante sono organismi fotoautotrofi, che utilizzano la luce come fonte di energia per sintetizzare sostanze organiche. La fotosintesi avviene anche nelle alghe, compresi certi protisti e in alcuni procarioti (fig. 2.1). Una forma molto più rara di autoalimentazione è peculiare dei batteri
chemioautotrofi, i quali producono i composti organici loro necessari senza l'aiuto della
luce, ottenendo l'energia dall'ossidazione di sostanze inorganiche come zolfo o ammoniaca. Gli organismi eterotrofi ottengono il materiale organico loro necessario attraverso la seconda delle due principali modalità di alimentazione. Incapaci di sintetizzare le sostanze nutritive di cui hanno bisogno, essi vivono di composti prodotti da altri organismi; gli eterotrofi sono gli organismi consumatori della biosfera. La forma più comune di questo "nutrimento di altri" (etero significa altro, differente) avviene quando un animale si ciba di piante o di altri animali. Tuttavia, la nutrizione eterotrofa può essere anche più sottile. Certi eterotrofi consumano le spoglie di organismi morti, decompongono resti organici, quali carcasse, feci e foglie morte, alimentandosi di questi; questi organismi sono noti come decompositori. Molti funghi e numerosi tipi di batteri ottengono il loro nutrimento in questo modo. Quasi tutti gli eterotrofi, compreso
l'uomo, sono completamente dipendenti dai fotoautotrofi per il loro fabbisogno ali- mentare e di ossigeno, un prodotto di rifiuto della fotosintesi. Possiamo quindi fare risalire all'attività dei cloroplasti gli alimenti di cui ci cibiamo e l’ossigeno che respiriamo.
Figura 2.1. Organismi fotoautrofi. Questi organismi utilizzano l’energia luminosa per alimentare la sintesi di molecole organiche a partire da biossido di carbonio e (in molti casi) acqua. Essi producono le sostanza nutritive necessarie non solo a se stessi ma anche all’intero mondo vivente. (a) sulla terraferma, le piante sono i principali produttori di alimenti. In questa immagine sono rappresentati i tre gruppi principali di piante terrestri – muschi, felci e piante con fiore. Negli oceani, negli stagni, nei laghi e in altri ambienti acquatici, gli organismi foto sintetici comprendono: (b) alghe pluricellulari come questo fuco; (c) certi protisti unicellulari come Euglena; (d) i procarioti come ciano batteri; (e) altri procarioti foto sintetici come questi batteri porporini dello zolfo.
2.1.2 I cloroplasti sono i siti della fotosintesi nelle piante
Tutte le parti verdi di una pianta, compresi i fusti verdi e i frutti non ancora maturi, possiedono cloroplasti, tuttavia, nella maggior parte delle piante, le foglie sono il sito principale della fotosintesi (fig. 2.2). I cloroplasti sono presenti in numero di circa mezzo milione per millimetro quadrato di superficie fogliare; inoltre, il colore delle foglie deriva da quello della clorofilla, il pigmento verde presente nei cloroplasti. E’
l'energia luminosa assorbita dalla clorofilla che permette la sintesi delle molecole alimentari nei cloroplasti. I cloroplasti sono particolarmente abbondanti nelle cellule del mesofillo, il tessuto presente all'interno della foglia.
Figura 2.2 La localizzazione della fotosintesi in una pianta a ingrandimenti successivi. Le foglie sono i principali organi deputati alla fotosintesi nelle piante. Queste immagini ci portano all’interno di una foglia, quindi dentro una sua cellula e finalmente all’interno di un cloroplasto, l’organulo dove avviene la fotosintesi. Gli scambi di gas tra il tessuto del mesofillo della foglia e l’atmosfera avvengono attraversi microscopici pori, gli stomi. I cloroplasti, presenti soprattutto nel mesofillo, sono circondati da due membrane che racchiudono lo stroma, un denso liquido. Le membrane del sistema dei tilacoidi separano lo stroma dallo spazio entro i tilacoidi; questi sono concentrati in pile dette grane (al centro, LM; in basso, TEM).
Il biossido di carbonio penetra nella foglia, e l'ossigeno ne fuoriesce, attraverso microscopici pori detti stomi (da un termine greco che ha il significato di "bocca"). L'acqua assorbita dalle radici arriva alle foglie scorrendo nelle nervature; attraverso le stesse, le foglie esportano zuccheri fino alle radici e alle altre parti non fotosintetiche della pianta. Una tipica cellula del mesofillo contiene circa 30-40 cloroplasti, ognuno dei quali è un organulo della forma di un'anguria delle dimensioni di circa 2-4 μm x 4-7 μm. Dopo aver descritto i siti della fotosintesi nelle piante, sarà descritto il modo con cui questi organuli trasformano l'energia luminosa assorbita dalla clorofilla in energia chimica.