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Il termine valorizzazione, con riferimento ai beni statali e con l’accezione che oggi si vuol dare, è stato introdotto, tra le prime volte, nel D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, all’art. 14868, con riferimento ai soli beni culturali.

Successivamente, sempre in merito al patrimonio culturale, lo troviamo costituzionalizzato alla lettera s), secondo comma, all’art. 117 Cost.69, ivi introdotto con la riforma del titolo V.

Tuttavia, il concetto della “valorizzazione”, ben delineato in Costituzione all’art. 117, lett. s), non ha assunto la medesima connotazione nel “federalismo demaniale” a causa dei continui provvedimenti adottati in materia di bilanciamento dei conti pubblici70.

Con riferimento, invece, ai “beni non culturali” del patrimonio pubblico, troviamo la locuzione “valorizzazione” nel D.L. 25 settembre 2001, n. 351, rubricato “disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento

68 Ora abrogato e recepito all’interno del Codice dei Beni Culturali D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42

69 Lett. s) art. 117 Cost :“tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: omissis valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali

70 In merito, diffusamente v. G. Colombini (a cura di) “Federalismo demaniale, più ombre che luci, in Il

coordinamento dinamico della finanza pubblica”, Napoli 2012, 97-131; A. Police, Il federalismo demaniale: valorizzazione nei territori o dismissioni locali?, in Giornale diritto amministrativo, 2010, 12, 1233 e R. Gallia, Il federalismo demaniale, in Rivista giuridica Mezz., 2010, 3, 972.

44 immobiliare”. Il provvedimento appena citato è stato poi modificato dalla legge finanziaria 27 dicembre 2006, n. 296, la quale utilizza nuovamente il termine “valorizzazione”. Con lo stesso tenore ricorre il termine “valorizzazione” nel D.L. 25 giugno 2008, n. 112 che all’art. 5871, rubricato “ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali” prevedeva la redazione di elenchi di beni immobili da inserire in piani di valorizzazione e dismissione.

In particolare, si evidenzia come nei provvedimenti su citati, (D.L. n. 351/2001, Legge 296/2006, e D.L. 112/2008) il termine “valorizzazione” sembri assumere il significato di “monetarizzazione” dei beni patrimoniali dello Stato.

Continuando, e come da previsione costituzionale, ritroviamo il termine “valorizzazione”, nella parte prima del Codice dei Beni Culturali, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, tra le disposizioni generali all’art. 6 che la definisce come segue: “la valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso … omissis … la valorizzazione comprende altresì la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati…”

La definizione di “valorizzazione”, riferita al patrimonio culturale, risulta coerente con il significato lessicale del termine72.

71 La Corte costituzionale, con sentenza n. 340 del 16 dicembre 2009, depositata il 30 dicembre 2009, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 58, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112

(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.

133, esclusa la proposizione iniziale: “L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente

classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica”

72 Per un approfondimento sulla valorizzazione dei beni culturali, Barbati C., “I beni pubblici tra regole di mercato e interessi generali. Profili di diritto interno e Internazionale” pag. 37 e ss., a cura di G. Colombini,

45 Altrettanto, ci si sarebbe dovuto aspettare nel principio della “valorizzazione funzionale” introdotto nel provvedimento del federalismo demaniale all’art. 1, comma 2 del D.Lgs. 85/2010: “gli Enti territoriali cui sono attribuiti i beni sono tenuti a garantirne la massima valorizzazione funzionale”.

Ma è proprio nel termine “funzionale”, al quale è stata, impropriamente affiancata la parola “valorizzazione”, che rinveniamo l’esatta intenzione del legislatore.

Ciò emerge soprattutto alla luce dei provvedimenti in materia di patrimonio e finanza pubblica adottati successivamente alla delega sul federalismo fiscale e, soprattutto, sorprende il fatto che nella Legge 42/2009, la quale avrebbe dovuto fissare i principi cardine per il Governo delegato nell’adozione del decreto legislativo sul federalismo demaniale, non vi sia il minimo cenno al principio della “valorizzazione funzionale” dei beni.

Va detto che tra il 2009 - anno della Legge delega - ed il 2010 - anno del decreto legislativo sul federalismo demaniale – è scoppiata la crisi dei debiti sovrani tanto da spingere il legislatore delegato ad introdurre nel provvedimento sul federalismo demaniale il principio della valorizzazione funzionale attribuendo, tra i vari commi dell’art. 2 del D.Lgs. 85/2010, una ambiguità nel significato73, ma richiamandola direttamente all’art. 6 (abrogato dal D.L. 98/2011), rubricato “valorizzazione dei beni attraverso fondi comuni di investimento immobiliare”.

Il conferimento dei beni assegnati ai fondi immobiliari, la cui disamina continuerà in modo completo nel paragrafo successivo,

Jovene Editore, Napoli, 2009. inoltrev. G. Colombini (a cura di) “Federalismo demaniale, più ombre che

luci, in Il coordinamento dinamico della finanza pubblica”, Napoli 2012, 97-131; A. Police, Il federalismo demaniale: valorizzazione nei territori o dismissioni locali?, in Giornale diritto amministrativo, 2010, 12,

46 era prevista all’art. 6 del D.Lgs. 85/2010, abrogato dal D.L. 98/2011, (conv. con modificazioni dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111) ed è stata ripresa all’art. 56 bis, del D.L. “fare” mediante un chiaro rimando al comma 10.

In una attenta e critica lettura dei dispositivi richiamati, emerge l’esatta dinamica della locuzione “valorizzazione funzionale”, utilizzata nel D.Lgs. 85/2010, dal quale si evince come “valorizzazione dei beni” sia “funzionale alla riduzione del debito pubblico”.

A fare da cornice a tutto ciò vi è la disciplina sulla destinazione dei proventi di cui all’art. 9, comma 5, del D.Lgs. 85/2010 ed al comma 11 dell’art. 56 bis del D.L. 69/2013. Infine, la disposizione dell’art. 2, comma 4, del D.Lgs. 85/2010, piuttosto chiara, sembrerebbe prevedere, tra l’altro, anche la sola possibilità della vendita del bene.

La definizione così data non si accosta minimamente al significato lessicale del termine “valorizzazione”74

intesa come “aumento di valore”. Ne, tanto meno, si avvicina alla definizione utilizzata all’art. 6 del Codice per i beni culturali, D.Lgs. 42/2004, in cui si parla di “maggiore fruizione pubblica del bene”.

In ordine all’obbligo di valorizzazione funzionale e al significato da attribuire a questa espressione, occorre analizzare, infine, il disposto dell’art. 2, comma 4, del D.Lgs. 85/2010 che recita “l'ente territoriale, a seguito del trasferimento, dispone del bene nell'interesse della collettività rappresentata ed é tenuto a favorire la massima valorizzazione funzionale del bene attribuito, a vantaggio diretto o indiretto della medesima collettività

74 Valorizzazione: “Azione e risultato del valorizzare; il conferire maggior valore o il mettere a frutto il valore

47 territoriale rappresentata.” Tale disposizione richiamata, dice senza mediazioni che l’ente territoriale, a seguito dell’attribuzione del bene, deve favorire la massima valorizzazione a “vantaggio diretto o indiretto della collettività territoriale”.

Parallelamente al concetto di valorizzazione monetaria, in una lettura combinata con quanto disposto dall’art.1, comma 2, viaggia la definizione di valorizzazione funzionale al soddisfacimento dei bisogni collettivi che può avvenire direttamente (uffici, ludoteche, scuole, ecc…) o indirettamente.

L’unico dubbio sorge in merito al vantaggio indiretto con riferimento alla possibilità della vendita del bene ma, si otterrebbe lo stesso risultato della valorizzazione funzionale se le risorse ricavate fossero esclusivamente destinate al miglioramento della qualità della vita e dei servizi offerti.

Rileggendo i contenuti dell’art. 1, comma 2, dell’art. 2, comma 4 e della lettera c) del comma 5 dell’art. 2, sembra che ci sia una esclusione della possibilità che la valorizzazione possa tradursi nella sola “vendita” del bene, anche se tale facoltà veniva successivamente affermata nell’abrogato art. 6, mediante la previsione del conferimento di beni in fondi comuni di investimento immobiliare.

La possibilità di vendita del bene resta comunque in forza della disposizione della lettera b), del comma 5, dell’art. 2, “b) semplificazione. In applicazione di tale criterio, i beni possono essere inseriti dalle Regioni e dagli enti locali in processi di alienazione e dismissione” contemplando, in modo esplicito, la possibilità per gli Enti territoriali di inserire i beni in “processi di alienazione e dismissione”.

48 Il criterio della “valorizzazione funzionale” rappresenta anche guida generale nella fase decisionale per l’attribuzione dei beni. Esso rappresenta un vincolo all’ente nell’utilizzo del bene attribuito, e secondo il criterio generale per l’attribuzione del bene, un Ente che non sia in grado di assicurare la giusta valorizzazione ad un determinato bene, non può nemmeno esserne destinatario facendo si che la valorizzazione risulti addirittura preventiva al trasferimento del bene.

3.3.1) La valorizzazione dei beni - i fondi immobiliari e le