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5. Un iniziale bilancio

5.1. I vantaggi di un paradigma teorico alternativo a quello dominante

Quanto verrà messo in luce in questi paragrafi può a mio avviso legittimamente venir riferito alla riflessione di Husserl. Tuttavia, dal momento che essa svolge nel nostro lavoro il ruolo di un modello teorico esemplare ad essa verrà dedica una riflessione a parte. I vantaggi di una teoria dell'esperienza e della conoscenza che non si limiti ad intendere l'intuizione come un livello di mera recettività di sensazioni sono, a mio avviso, i seguenti. In primo luogo il non ridurre la razionalità alla concettualità con- sente di interrogare la possibilità della concettualità stessa, senza essere costretti ad assumerne l'operare ed i contenuti “silenziosamente”, senza poter mettere a tema le condizioni di possibilità del loro costituirsi. Infatti non potendo il fondamento del predicativo essere di natura predicativa, se non a costo di una circolarità viziosa del discorso, occorre ammettere un elemento non concettuale in seno alla razionalità; le teorie che a questo riguardo mettono il luce l'ipotesi di un livello intuitivo relati- vamente all'accesso al senso possono offrire spunti di notevole ricchezza teorica. La possibilità di articolare quadri concettuali richiede inoltre che si sia in grado di di- stinguere la coerenza interna degli stessi, la loro non contraddittorietà e la loro per- tinenza con quanto essi intendono comprendere e descrivere. La pertinenza di un concetto a ciò che esso designa emerge come un tema di indagine non trascurabile. L'ammissione di un elemento non riducibile alla concettualità, avanzato da prospet- tive teoretiche come quella husserliana, offre a riguardo un'ipotesi teorica quanto- meno da considerare. Qualora si sia in grado di offrire spiegazioni migliori, più fon- date e meno problematiche, esse sarebbero chiaramente da accogliere. Innanzitutto

181 ci pare fondamentale non rinunciare “preventivamente” alla possibilità di indagare la relazione tra un concetto e l'elemento che esso delinea. A questo riguardo, soste- nere che in esso siano “contenuti” i caratteri qualificanti dell'oggetto indicato dal concetto ci sembra una prospettiva poco solida. A partire dalla critica quineiana di analitico e sintetico e dal conseguente ripensamento della celebre distinzione eredi- tata da Kant è stato messo in luce l'aspetto necessariamente empirico, fondato sul rinvenimento empirico di somiglianze, che opera a fondamento di distinzioni (pre- sunte) tautologiche. Sostenere dunque che i significati siano “contenuti” analitica- mente nei concetti pare una posizione difficilmente difendibile. Sulla base dei nodi sollevati da autori come S. Rosen, G. Bealer e E. Chudnoff, presi in considerazione nel primo capitolo del lavoro, ammettere una relazione, sebbene tutta da approfondire, tra espressione concettuale di un determinato significato e dato di esperienza indi- cato dal concetto in questione emerge ai nostri occhi come un effettivo desideratum. Un modello di ragione all'interno del quale il razionale venga a coincidere con il con- cettuale non sembra infatti in grado di giustificare l'articolarsi predicativo stesso. Rinunciare preventivamente a sottoporre ad indagine un aspetto fondamentale per ogni teoria della conoscenza sembra un costo teorico troppo alto. Ammettere un li- vello non concettuale interno alla razionalità pare essere un'ipotesi quantomeno non raggirabile; come comprendere questo livello e la sua relazione all'analiticità è un tema d'analisi non facilmente esauribile.

5.2. I vantaggi dell'impostazione husserliana

Relativamente alla prospettiva dell'autore moravo si individuano gli ulteriori van- taggi teorici. In primo luogo la tesi husserliana dell'intuizione del contenuto ideale offre una teoria della costituzione del concetto più solida sia di quella di matrice em- piristica dell'astrazione, sia di quella di derivazione kantiana. La fenomenologia hus- serliana, inoltre, in virtù della nozione di intuizione attribuita all'individuazione di un contenuto unitario giustifica l'apprensione di unità intuitive. Husserl dedicò sia in Philosophie der Aritmetik che nelle analisi della II. Logische Untersuchung grande attenzione a questo tema, individuando in un atto di natura intuitiva la possibilità di

182 cogliere una molteplicità come un'unità in un colpo d'occhio. Queste analisi, nelle quali E. Melandri riconobbe un momento teorico fondante della tesi dell'intuizione eidetica, consentono di far luce su aspetti altrimenti difficilmente giustificabili. Come egli sostenne, «proprio la scoperta dei momenti figurali deve aver messo Husserl sulla via dell'intuizione eidetica. Che altro è, infatti, il famoso procedimento della Wesensschau, con cui si coglie l' “invariante” nllo spoglio delle infinite “variazioni”, se non la generalizzazione e insieme la formalizzazione del caso già visto? (…) In virtù del momento figurale341, ogni Wesen può essere “dato” e “intuito”: può diven- tare Eidos»342. Della possibilità di cogliere l'unità nella molteplicità si è occupato an- che C. Majolino nel suo Les “essences” des Recherches logiques343. In questo testo l'au- tore mette in evidenza diversi aspetti del testo husserliano, a partire da un frainten- dimento portato avanti da Heidegger, il quale avrebbe preteso di intendere la rela- zione di Fundierung vigente tra intuizione sensibile e categoriale nei termini di una relazione analogica, assolutizzando in modo scorretto la prospettiva del maestro. Mediante accurate analisi relative alla relazione tra Husserl, il maestro Brentano e la lettura di quest'ultimo di Aristotele e l'interpretazione offerta da Heidegger del la- voro del maestro l'autore arriva ad inviduare nella Mannigfaltigkeitslehre una delle fucine decisive della fenomenologia husserliana. Lo stesso giudizio egli l'aveva espresso in un altro lavoro, compreso nel volume L'attualità della fenomenologia, cu- rato da C. Di Martino. Nel saggio contenuto in questo testo Majolino indica la nozione di molteplicità, accanto a quella di costituzione, come uno dei capisaldi dell'impo- stazione della fenomenologia husserliana. Un altro aspetto di fecondità teorica of- ferto dal lavoro di Husserl relativamente alla nozione di intuizione si esprime nella consapevolezza racchiusa nella nozione di barriere esperienziali. Relativamente al

341Esso viene definito come segue: «ciò che consente di cogliere la forma stessa della struttura associativa

in un atto di quasi-intuizione, che libera le relazioni dalla dipendenza degli elementi e le costituisce a contenuti». In E. Melandri, Logica e esperienza in Husserl, op. cit., p. 56.

342E. Melandri, Logica e esperienza in Husserl, op. cit., pp. 55-56. A riguardo si rimanda all'intero capitolo “Il problema dello schematismo fenomenologico”.

343C. Majolino, “Les “essences” des Recherchs logiques”, in Revue de Métaphysique et de Morale, No. 1,

Philosophie des XVI e et XVII e siècles (JANVIER-MARS 2006), Presses Universitaires de France, pp. 89-112.

183 valore dell'individuazione di argini esperienziali dell'articolazione concettuale con- cordiamo pienamente con il giudizio offerto da A. Staiti344, ad avviso del quale questo sarebbe un punto nel quale si evince la grandezza della riflessione husserliana, an- che rispetto al lavoro svolto dai colleghi neokantiani. Significativamente anche da parte di questi ultimi, in particolare da parte di un allievo di Rickert, E. Lask, vennero espresse considerazioni affini a quelle maturate dal nostro autore345. L'individua- zione husserliana di barriere esperienziali consiste nell'aver compreso da parte dell'autore la relazione vigente tra formazione dei concetti ed esperienza. La perti- nenza di un concetto ad un determinato dato d'esperienza, per esempio la perti- nenza del concetto “suono” alla risata di un bambino appena udita dalla finestra, ha a che fare con il fatto che la riorganizzazione concettuale dell'esperienza in que- stione avvenga nel rispetto delle caratteristiche essenziali del dato in questione. Non ogni quadro concettuale può essere ugualmente venir riferito al medesimo dato esperienziale. La ragione di questo riposa in articolazioni essenziali che si offrono esperienzialmente, vengono colte a livello intuitivo e possono quindi venir articolate in quadri concettuali determinati.

Questa consapevolezza affonda fin nel celebre testo husserliano del 1900-1901, nella nozione di riempimento intuitivo [intuitive Erfüllung]. Come messo in luce dall'autore nelle Logische Untersuchungen, soltanto le intenzioni signitive che tro- vano conferma intuitiva articolano il contenuto d'esperienza in modo ad essa corri- spondente. Quindi solo le intenzioni signitive che trovano riempimento intuitivo de- signano correttamente un determinato stato di cose. La verità e la falsità di una in- tenzione hanno a che fare con il trovare o meno quest'ultima conferma intuitiva. Come spiega con illuminante chiarezza Staiti nel suo testo, «not every form of con- ceptual reorganization is equally legitimate for every kind of intuition»346. Un altro

344A. Staiti, op cit, p. 121: «(...) we can also argue for a certain superiority of Husserl's position over

Rickert's: Rickert has no robust account of the boundaries imposed to concept-formation from experience». E ancora nella stessa pagina nella nota 36: «On the contrary, the idea of experiential boundaries imposed on concept-formation, if this latter is to attain essential knowledge, represents the crucial novelty that stems from Husserl's eidetics».

345A riguardo si rimanda al lavoro di S. G. Crowell, Husserl, Heidegger, and the Space of the Meaning,

Northwestern University Press, Evanston, Illinois, 2001. 346Ivi, p. 80.

184 aspetto a mio avviso di grande rilevanza offerto dal lavoro husserliano è quello che si apre a partire dall'introduzione della nozione di Typus, con la quale Husserl indi- vidua nella generalità come un aspetto proprio dell'esperienza, non riducibile alla concettualità. Come si è cercato di mostrare in questo lavoro per Husserl non si tratta dunque di sostenere che tramite l'accesso intuitivo venga colto immediatamente il contenuto di senso nella sua piena compiutezza. L'intuizione per l'autore non è il punto d'arrivo della dinamica conoscitiva. Essa, al contrario, indica un livello senza del quale i successivi, altrettanto necessari livelli, non sarebbero possibili. L'autore non nega affatto la necessità di articolare predicativamente il contenuto attinto in- tuitivamente, come è stato messo in luce riproponendo la distinzione tra Wesensschau e Wesenserkenntis. Le essenze consistono per Husserl in oggettualità logico-formali, il sostrato sulla base del quale è possibile articolare predicazioni vere o false. Esse vengono co-intuite nell'esperienza individuale di ciascuno, restando, però, nella maggior parte dei casi, non tematizzate. Soltanto la decisione di assumere l'attitudine filosofica, interrogandosi, dunque, sulle condizioni sulla base del quale l'esperienza e la conoscenza si articolano così come esse “di fatto” si articolano, con- sente di scorgere il ruolo epistemologico svolto dalle essenze, le quali, di per se stesse, sono sempre “sotto gli occhi di tutti”. Come sosteneva lo stesso Husserl, nella teoria dell'intuizione eidetica non c'è nulla di più misterioso o mistico che nella per- cezione. Ciò chiaramente non vuol dire che la comprensione teorica delle dinamiche implicate in questi processi sia qualcosa di banalmente liquidabile. Piuttosto, il pro- cesso all'interno del quale è possibile attingere all'essenza si configura come il raffi- narsi e l'esplicitarsi in quadri di crescente astrazione di contenuti essenziali in primo luogo co-intuiti a livello percettivo. Non si tratta, dunque, di passare dalla completa non chiarezza di materiali di per sé amorfi alla chiarezza cristallina del concetto, quanto di passare da un grado di chiarezza ancora embrionale, iniziale, ad uno di chiarezza esplicita. Il raggiungimento della conoscenza delle essenze richiede una vera e propria attività. Essa tutavia è dischiusa dall'essere le essenze, ovvero i carat- teri che qualificano essenzialmente un determinato dato d'esperienza, sempre attin- gibili a livello d'esperienza percettiva. Il processo di variazione dei caratteri propri dei dati esperiti, fino ad inviduare i tratti essenzialmente qualificanti verrà inteso da Husserl a partire dalle analisi svolte negli anni '20 nei termini di variazione eidetica. Questo termine, come noto, non compare nelle analisi svolte dall'autore nel testo del

185 1913. Alla componente di vera e propria attività richiesta dall'intuizione eidetica è stata dedicata grande attenzione da D. Lohmar, il quale nel suo autorevole Die phäno- menologische Methode der Wesensschau und ihre Präsizierung als eidetische Variation mette in luce come questa nozione non vada considerata come se l'autore l'avesse introdotta ex nihilo. In essa il noto studioso vede piuttosto il cristallizzarsi del risul- tato delle analisi svolte da Husserl relativamente a questo tema fin dall'inizio dei suoi lavori.

La componente di datità, ricettività ed immediatezza attribuite alla nozione husser- liana di coglimento intuitivo di contenuti generali va, dunque, rettamente compresa. Dalle analisi svolte emerge che un accento esasperato di questi aspetti rischia di comportare un fraintendimento completo della proposta teorica husserliana. Con questo non si vuol negare che la teoria in questione sia priva di nodi problematici. La nozione di intuizione, in primo luogo, è una nozione complessa e caratterizzata da una polisemia difficile da sciogliere. Il riferirsi ad essa da parte di Husserl attra- verso una ricca scelta terminologica getta luce sulla multisfaccettatura di questo li- vello d'esperienza, operativo sia a livello d'esperienza empirica che a livello di cogli- mento di contenuti ideali. In secondo luogo, l'ambizione di accedere ad un contenuto sulla base del quale comprendere il costituirsi della concettualità è segnata dal limite di potersi svolgere soltanto entro la concettualità stessa. In questo punto è stato vi- sto un grave “tallone d'Achille” del lavoro husserliano complessivamente inteso. Hus- serl era consapevole di non poter superare il limite della predicatività, all'interno della quale soltanto si costituisce l'esperienza umana e si articolano i quadri teorici. Egli riteneva, tuttavia, che la sospensione della tesi ontologica su quanto indagato consentesse di poter scorgere e mettere in evidenza i caratteri essenziali del dato o del livello d'esperienza in esame. Husserl non ambiva a cogliere “la realtà in sè”. Come egli fa notare nel primo volume di Ideen, la pretesa di attingere una realtà as- soluta è tanto valida quanto lo è un quadrato rotondo. Si tratta di una insensatezza: l'esperienza è caratterizzata strutturalmente dall'intenzionalità e ciò che viene colto lo è nel rispetto del reticolo di intenzioni signitive. Relativamente al lavoro husser- liano si rinviene un ulteriore limite. Il fondarsi dell'intero impianto sulla tesi della possibilità del coglimento visivo originario, caratterizzato da evidenza ed assenza di presupposti, del contenuto ideale presta infatti il fianco ad una critica grave. La tro- viamo espressa per esempio da Pieper, il quale nel suo “Anschauung” als operativer

186 Begriff. Eine Untersuchung zur Grundlegung der transzendentalen Phänomenologie Edmund Husserls fa notare che la nozione di Evidenz, caposaldo dell'intera prospet- tiva husserliana, non sarebbe essa stessa coglibile intuitivamente in modo compiuto. L'evidenza sarebbe un carattere qualificante dell'intuizione originaria; di essa però non si darebbe intuizione. Si tratta quindi di un presupposto teorico? Husserl tutta- via ambisce ad una fondazione teorica svolta in assenza di presupposti, sulla base della visione diretta del contenuto indagato. Come tenere insieme questi due aspetti? Tentare di offrire una risposta a questa domanda richiederebbe un lavoro a se stante. In questa sede si tenga presente che la crucialità della tesi dell'intuizione d'essenza costituisce un'arma a doppio taglio all'interno della prospettiva husserliana. In essa si fonda la validità dei risultati teorici conseguiti; qualora essa venisse messa seria- mente in discussione sarebbe l'intero edifico teorico di Husserl a subire un colpo mortale. La generale messa in secondo piano dell'indagine eidetica da parte degli addetti ai lavori trova a nostro avviso nella fragilità e al contempo crucialità di questa nozione un aspetto esplicativo. Le ricerche svolte, anche attualmente, in ambito latu sensu fenomenologico tendono ad assumere il risultato della fenomelogia husser- liana, ovvero la possibilità di un accesso fondato ai caratteri essenziali del dato in esame sulla base della descrizione di quest'ultimo, come presupposto delle proprie analisi, senza metterne in dubbio la fondatezza. Da un lato questo consente loro di rivendicare con forza la validità dei propri risultati; d'altro lato l'effettiva sostenibi- lità di quanto da loro espresso non viene approfondita. Nella tesi husserliana dell'in- tuizione dei caratteri essenziali l'attenzione si pone, a mio avviso, sul limite della razionalità umana. È possibile cogliere ciò che qualifica un certo dato in quanto tale, senza che quanto venga appreso sia in ultima analisi un prodotto storico dell'oriz- zonte i senso determinato e contingente all'interno del quale soltanto le nostre in- dagini possono essere svolte? O, detto altrimenti: accettando l'ineludibile aspetto di storicità e contingenza che caratterizza la nostra esperienza e i quadri conoscitivi che siamo in grado di erigere, ci è garantita la possibilità di maturare conoscenze extra-storiche? In questa questione si pone nuovamente a mio vedere, pur in coor- dinate teoretiche diverse, l'antichissima domanda, riformulata da Kant nel suo cele- bre, tripartito, quesito: «Che cosa posso conoscere? (Che cosa devo fare? Che cosa posso sperare?)». Husserl potrebbe confrontarsi con questa domanda, mettendo in luce che la sola conoscenza che possiamo maturare è di contenuti che innanzitutto

187 si offrano alla nostra coscienza. Negare l'offrirsi degli stessi ed il loro poter essere colti nel loro senso significherebbe contraddire il buon senso comune e recludere la filosofia ad analisi formale. L'autore moravo non avrebbe accettato nessuno dei due esiti. Che la prospettiva da lui inaugurata non sia esente da nodi concettuali proble- matici, tali da rischiare di metterne in discussione l'intero edificio teorico, non nega a mio avviso la ricchezze della analisi da lui offerte e l'efficacia delle nozioni messe in luce in questo paragrafo nell'illuminare aspetti di innegabile crucialità teorica, of- frendo a loro riguardo un'interpretazione come minimo degna di essere presa in considerazione nel rispetto del quineiano principio di carità.

188

CONCLUSIONI

Possiamo avere differenti concettualizza- zioni e interpretazioni teorico-conoscitive dei dati di cui disponiamo, ma che l'espe- rienza non sia un caos che impedisce ogni forma di concettualizzazione è una cosa che non dipende dalla nostra capacità di ri- conoscere somiglianze e uniformità esco- gitando dei particolari punti di vista dai quali guardare il materiale empirico347.

Sulla base delle analisi di S. Rosen, E. Chudnoff e G. Bealer ho ritenuto urgente ripro- porre all'interno del dibattito teorico contemporaneo un modello di ragione alterna- tivo a quello, che ritengo diffusamente imperante, derivato dalla tradizione kantiana. Entro l'impostazione in esso avanzata non troverebbero risposta diverse questioni, a mio avviso decisive ai fini di articolare una teoria della conoscenza solida. In primo luogo sarebbe difficile da chiarire la distinguibilità del vero dal falso, individuata nella definizione offerta nella Stanford Encyclopedia of Philosophy348 come il primo tratto qualificante dell'intuizione. Questa distinzione svolge un ruolo decisivo tanto a livello logico (per esempio relativamente alla considerazione del principio di non contraddizione, come messo in luce da G. Bealer), quanto ad altri livelli, per esempio nei confronti della constatazione generalmente condivisa dell'immoralità di atti cru- deli esercitati su un essere senziente sulla base della mera ricerca di divertimento (si noti a proposito quando messo in luce nella Stanford Encyclopedia of Philosophy alla voce “Intuition”). Tanto nel caso del principio di non contraddizione quanto in quello relativo all'immoralità di atti gratuitamente crudeli si tratta di cogliere un

347P. Parrini, Relativismo epistemico, peso dell'esperienza e valore della verità, in Diritto e questioni

pubbliche, Palermo, 2012, p. 281-281.

348 Pust Joel, "Intuition", The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Summer 2017 Edition), Edward N. Zalta (ed.), URL = <https://plato.stanford.edu/archives/sum2017/entries/intuition/>.

189 contenuto di senso che venga immediatamente inteso come incontrovertibile; pro- prio questo carattere di incontrovertibilità risulta difficile da comprendere in un mo- dello teorico che identifichi la razionalità con l'analiticità. In secondo luogo, l'inda- gine relativa alle condizioni di possibilità della concettualità, al suo costituirsi e alla sua relazione con l'esperienza sensibile risulta avanzabile soltanto a partire dall'am- missione di un livello di operatività della ragione che non venga ridotta a quello lo- gico-predicativo, ma che costituisca la condizione di possibilità dello stesso. L'attri- buibilità di certi predicati a certe definizioni sembra, poi, implicare l'osservabilità della loro reciproca “appartenenza”349. Infine la questione relativa alla giustifica-

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