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UNA PROPOSTA DI RIABILITAZIONE DELLA NOZIONE DI INTUIZIONE A LIVELLO GNOSEOLOGICO A PARTIRE DALLA TESI HUSSERLIANA DELLA WESENSSCHAU

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(1)

GIULIANI MARIA GRAZIA

UNA PROPOSTA DI RIABILITAZIONE DELLA

NO-ZIONE DI INTUINO-ZIONE A LIVELLO

GNOSEOLO-GICO A PARTIRE DALLA TESI HUSSERLIANA

DELLA WESENSSCHAU

(2)

«(...) wenn auch nur Ein mal: irdisch gewesen zu sein, scheint nicht widerrufbar». R. M. Rilke, IX. Duineser Elegie

(3)

INDICE ANALITICO

INTRODUZIONE ... 1

PRIMO CAPITOLO ... 3

LE RAGIONI DELL'APPELLO AD UNA RIPRESA DELLA NOZIONE DI INTUIZIONE A LIVELLO GNOSEOLOGICO ... 3

1. Il senso di una ripresa ... 4

2. Il paradigma kantiano ... 8

3. Intuizione e percezione ... 11

4. Intuizione e conoscenza ... 13

5. La rilevanza epistemologica dell'intuizione: tre autori ... 14

5.1. S. Rosen, The Limits of Analysis ... 14

5.2. G. Bealer: Intuizione ed autonomia della riflessione filosofica ... 15

5.3. E. Chudnoff: Intuizioni e conoscenza intuitiva ... 16

6. S. Rosen: il fondamento intuitivo della logicità... 17

6.1. Obiezioni e presupposti impliciti ... 17

6.2. I limiti della discorsività ... 20

7. G. Bealer e la distinguibilità del vero e del falso come condizione necessaria dell'articolazione teorica ... 24

7.1. La nozione di Intuizione ... 25

7.2. Il valore epistemologico delle intuizioni ... 27

8. E. Chudnoff: l'irriducibilità epistemologica delle intuizioni e il loro ruolo epistemico ... 30

8.1. Presentational Phenomenology, ovvero: l'irriducibilità ontologica delle intuizioni ... 31

8.2. Intuitive knowledge ... 34

9. Iniziale breve bilancio ... 41

UN'AMBIZIONE SCANDALOSA: LIMITI E CONFINI DELLA TEORIA HUSSERLIANA DELL'INTUIZIONE ... 43

(4)

1.1. L' intuizione: pietra angolare o nozione cosmetica? ... 44

2. Pietra di scandalo ... 48

3. Ex pumice aquam ... 50

4. Un ripensamento radicale ... 54

4.1. Irriducibilità alle categorie del dibattito sullo statuto degli universali ... 55

4.2. Né realismo, né concettualismo ... 56

4.2.1. I termini del discorso ... 56

4.2.2. Da un punto di vista fenomenologico ... 57

4.2.3. Un'irrinunciabile Itaca ... 62

5. Quali confini? ... 64

6. Un tema scivoloso. L'analisi di J. Hintikka ... 68

7. Un primo chiarimento ... 73

8. La Wesensschau nella Sesta Ricerca Logica ... 76

9. Wesensschau come ein Fall von Erkenntins ... 78

9.1. Il problema del Wahrheitsbezug e la teoria husserliana dell'esperienza ... 78

9.2. L'impossibilità dell'errore assoluto ... 84

11. Kategoriale Anschauung e Wesensschauung : una distinzione da non trascurare ... 94

12. Kategoriale Anschauung ... 95

12.1. Schlichte Anschauung e kategoriale Anschauung, ovvero : intuizioni individuali ed intuizione del generale ... 96

12.2. Oggettualità categoriali... 99

12.3. Kategoriale Erfüllung ... 100

13. Distinzione essenziale tra sinnlichen e kategorialen Anschauungen ... 105

13.1. La nozione di Fundierung e i suoi gradi ... 106

13.2. Il ruolo decisivo della Sinnlichkeit ... 109

(5)

14. La Wesensschau ... 118

14.1. Primi chiarimenti ... 118

14.2. Ein tätiges Anschauen: una prima caratterizzazione ... 119

14.3. Wesensschau: intuizione individuale di un oggetto generale ... 123

14.4. La fantasia ... 125

14.5. Quasi-Erfahrung e Flüssiges Individuum: limiti e possibilità dell'intuizione eidetica ... 127

TERZO CAPITOLO ... 132

FENOMENOLOGIA HUSSERLIANA E (NEO)KANTISMO: LA CRUCIALITÀ DELLA NOZIONE DI ERFAHRUNG. ... 132

1. Wesensschau, pietra angolare e sasso di scandalo ... 133

1.1. Consaguineità di intenti ... 133

1.2. Inconciliabilità di vedute ... 136

2. I termini del problema ... 138

2.1. Il coglimento delle proprietà essenziali del Tone: intuizione d'essenza o analisi concettuale? ... 140

2.3. I limiti del metodo eidetico: la critica di Natorp ... 147

3. Critiche di altri kantiani contemporanei ad Husserl ... 152

3.1. L'impossibilità dell'Unmittelbarkeit. La critica di T. Elsehnans alla tesi della Wesensschau ... 152

3.2. Distinzione tra Erfahrung e Empirie: la critica di Linke al testo di Elsenhans ... 159

4. Una risposta fenomenologica ... 163

4.1. L'urgenza di una (ri)lettura della VI. Logische Untersuchung ... 163

4.2. L'importanza di un chiarimento relativo alla nozione di esperienza sottesa. La risposta di E. Stein alle critiche dei colleghi kantiani ... 168

5. Un iniziale bilancio ... 180

5.1. I vantaggi di un paradigma teorico alternativo a quello dominante180 5.2. I vantaggi dell'impostazione husserliana ... 181

(6)
(7)

1

INTRODUZIONE

Porre una domanda sul tema dell'intuizione comporta, ad avviso di chi scrive, avan-zare una questione relativamente ai limiti e alle possibilità della ragione stessa. È alla luce di questa consapevolezza che Husserl approfondì lungamente le sue ana-lisi relative alla nozione di intuizione, termine avvolto da trame dalla complessità facilemente obliata, e tuttavia chiamato a svolgere un ruolo cruciale a livello gno-seologico. Le ragioni in nome delle quali una riconsiderazione del tema dell'intui-zione mi è parsa urgente sono al contempo di natura storica e teoretica ed affondano le proprie radici tanto nel lavoro di studiosi strettamente legati all'opera husserliana, quanto nella riflessione di osservatori in qualche modo “più esterni” al lavoro feno-menologico, i quali però, pur a partire da orizzonti teorici differenti, hanno indivi-duato nel tema dell'intuizione il vessillo di una possibile, rinnovata fecondità teorica. Alla sinfonia di voci del loro canto verrà dedicato nel presente lavoro il primo capi-tolo. Cuore dell'indagine qui presentata sarà tuttavia la nozione stessa di intuizione, indagata in questa sede a partire da un modello teoretico ben preciso, ovvero quello della fenomenologia husserliana. In quest'ultima, infatti, ho ritenuto di poter indivi-duare un paradigma filosofico fecondo al fine di interrogare le possibilità teoriche racchiuse nell'ammissione del livello intuitivo all'interno dell'indagine gnoseologica. Tradotto prevalmente in italiano con un unico termine (intuizione, appunto), relati-vamente a questa nozione si tratta di un concetto la cui radice polisemica si rivela immediatamente allo sguardo del lettore, non appena egli acceda al testo husser-liano originale, nel quale la rosa di termini avanzati (Anschauung, sinnliche

An-schauung, kategoriale AnAn-schauung, Wesensschau, WesensanAn-schauung, Wesenser-schauung, Intuition...) dischiude una ricchezza non meramente cosmetica, quanto,

invece, sostanziale. Con l'intento di far luce sulle ragioni sottese alla scelta husser-liana di attribuire alla nozione di intuizione una rilevanza cruciale all'interno dell'e-dificio teorico articolato, la prospettiva dell'autore moravo verrà approfondita e messa in dialogo con quella portata avanti in seno ai lavori svolti in ambito kantiano. Come verrà messo in evidenza, il rapporto tra Husserl ed alcuni esponenti del neo-kantismo storicamente fu segnato da una iniziale grandissima stima reciproca, testi-moniata negli espliciti riconoscimenti di cui sono ricche le testimonianze epistolari raccolte negli Archivi. La scoperta che fu proprio a partire dalla sempre maggior ri-levanza attribuita da Husserl alla nozione di intuizione relativamente ai contenuti

(8)

2

ideali che tra le due prospettive teoriche si consumò una divisione non più arginabile ha costituito ai miei occhi un aspetto di grande rilievo. A partire da questo mi sono dunque dedicata ad approfondire tanto le ragioni husserliane a difesa della nozione in questione, quanto quelle kantiane alla base delle critiche, anche dure, avanzate. Le risposte offerte da Husserl e dalla sua allieva E. Stein a riguardo mi permetteranno di mostrare come la divisione tra prospettiva fenomenologica husserliana e rifles-sione latu sensu kantiana si fondi in ultima analisi su una concezione radicalmente diversa dell'esperienza. Soltanto sulla base della comprensione della nozione d'e-sperienza implicata nel modello teorico kantiano e in quello husserliano è, dunque, a mio avviso possibile comprendere sia le diverse prospettive, husserliana e kan-tiana, sia la durezza del dissidio che tra loro si consumò. Concludendo offrirò quindi un iniziale bilancio dei costi e dei benefici teorici offerti, a mio avviso, dall' ammis-sione della nozione di intuizione a livello di indagine gnoseologica, sostenendo che i vantaggi offerti da questa scelta siano superiori ai problemi che essa solleva.

(9)

3

PRIMO CAPITOLO

LE RAGIONI DELL'APPELLO AD UNA RIPRESA

DELLA NOZIONE DI INTUIZIONE A LIVELLO

GNOSEOLOGICO

(10)

4 1. Il senso di una ripresa

Un lavoro che intenda offrirsi come il tentativo della messa in luce delle ragioni sulla base delle quali si ritiene che una determinata nozione vada riproposta deve innan-zitutto rendere conto del proprio stesso appello.

In questa sede sono stati individuati due diversi fronti teorici, i quali, sulla base di esigenze teoretiche, categorie e metodi diversi hanno a mio avviso comportato l'im-porsi di un modello di ragione sulla base del quale la nozione di intuizione viene, non sempre esplicitamente, ri(con)dotta all'esperienza percettiva.

Il primo fronte è stato riconosciuto nel paradigma gnoseologico kantiano. All'interno di questo modello, infatti, la nozione di intuizione, sebben assunta come elemento imprescindibile dello strutturarsi dell'esperienza, viene ricondotta al livello dell'e-sperienza percettiva. Nei seguenti paragrafi approfondiremo queste considerazioni; per ora intendiamo limitarci ad evidenziare i caratteri generalissimi di questo mo-dello teorico, il quale ha provocato una svolta tale a livello di categorie teoriche da costituire un punto di non ritorno per lo sviluppo del pensiero filosofico occidentale nel suo complesso. Il modello in questione è, dunque, doppiamente cruciale: sia per le nozioni di intuizione, di esperienza e di conoscenza che esso veicola, sia per la rilevanza storica e teoretica che ha sortito.

La stessa fenomenologia husserliana, alla quale verranno dedicati il secondo ed il terzo capitolo del nostro lavoro, si libra, a mio avviso, entro l'orizzonte dischiuso dalle categorie teoriche kantiane e dalla svolta inaugurata dalla Critica.

La prospettiva kantiana rivestì agli occhi dello stesso Husserl un profondo e duraturo interesse. L'autore moravo si occupò di essa sia a livello teorico, attraverso lo studio decennale dei testi del padre del criticismo e dei suoi seguaci, sia "in carne ed ossa", mediante la corrispondenza lungamente intrattenuta con diversi esponenti del neo-kantismo.

Senza voler immediatamente abbracciare la tesi avanzata dal celebre I. Kern1, ad av-viso del quale l'approfondimento della prospettiva kantiana sarebbe necessario al fine di far luce sulle ragioni alla base della riflessione husserliana, individuo nell'at-tenzione rivolta dal padre della fenomenologia alle analisi maturate in senso alla

1I. Kern, Husserl und Kant. Eine Untersuchung über Husserls Verhältnis zu Kant und zum Neukantianismus, Springer Netherlands, Copyright Inhaber:Martinus Nijhoff, The Hague, Netherlands, 1964.

(11)

5 consapevolezza avanzata dal criticismo kantiano un punto di significativa fecodità teorica, tanto più che lo stesso Husserl riconosceva esplicitamente di non aver impa-rato da nessuno tanto quanto aveva appreso dalla lettura di Kant, al quale, al con-tempo, non risparmiava nei propri testi e carteggi critiche radicali. La ripresa del dialogo tra analisi fenomenologiche e riflessioni di matrice kantiana emerge ai miei occhi come uno scrigno da cui poter attingere «cose nuove e cose antiche»2. Nella considerazione dei fondamenti teorici del modello kantiano e del dialogo tra questi e gli analoghi implicati all'interno del paradigma husserliano ho individuato un primo aspetto, alla luce delle cui analisi ritengo lecito parlare dell'assunzione della nozione di intuizione nei termini di una ripresa. Il secondo aspetto che si è a questo riguardo imposto alla mia intenzione ha a che fare con la presa in considerazione del lavoro svolto dagli studiosi husserlianim tanto di quelli “della prima ora” quanto da quelli “dell'ultima”. Come sarà mio intento mettere in luce il modello della fenome-nologia husserliana propone una teoria dell'esperienza e della conoscenza imper-neate intorno alla nozione di intuizione, la quale svolge dunque un ruolo cardine. La decisività di questa nozione pare difficilmente negabile, dal momento che proprio in essa viene fatta riposare da Husserl la condizione dell'avanzabilità dell'ambizione ad una filosofia come scienza rigorosa, cioè come scienza d'essenze, disciplina in grado di attingere a queste legalità. Tuttavia all'interno dell'opera degli studiosi hus-serliani si rileva una generale scarsa attenzione relativamente alla nozione qui in esame. Le ragioni di questo sono molteplici. Innanzitutto esse sono di natura storico-teoretica e risalgono alla ricezione del lavoro husserliano. Come noto, esso fu accolto con grande enfasi in Francia, dove diede vita ad una lunga e feconda tradizione di pensatori che riconobbero nelle analisi fenomenologiche un elemento di fecondità ed originalità teorica folgorante. Questi ultimi, tuttavia, attinsero sì a piene mani all'opera husserliana, ma a partire dalle proprie specifiche istanze teoriche, matu-rando direzioni via via riconducibili solo in senso molto generale alla fenomenologia di Husserl. L'approfondimento del ruolo dell'intuizione nella costituizione dell'espe-rienza e nell'articolarsi della conoscenza non fu un tema sul quale l'attenzione di quegli autori si concentrò particolarmente (con alcune eccezioni, come per esempio quella dell'opera di E. Levinas, sulla quale torneremo). Esso venne, dunque, non ne-cessariamente esplicitamente, messo in disparte. È un dato innegabile, inoltre, che

2Bibbia della CEI, Vangelo di Matteo 13,52.

(12)

6 la letteratura critica3 sul tema dell'intuizione eidetica sia piuttosto scarsa, soprat-tutto se considerato l'eco che questa tesi ebbe a livello storico. Con la pubblicazione del primo volume di Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenolo-gia nel 1913 il tema dell'intuizione eidetica si impose, infatti, all'attenzione del mondo filosofico, segnando profondissime divisioni sia tra i discepoli di Husserl, sia relativamente al rapporto tra Husserl ed i neokantiani, con i quali l'autore aveva in-tessuto un rapporto di grande stima. La forza d' urto provocata da questo testo ne mette in rilievo l'originalità teorica, come è stato fatto notare da A. Staiti nel suo il-luminante Husserl's Transcendental Phenomenology4. Ideen I fu dunque un'opera che divise gli animi, sortendo un effetto dirompente. Proprio per questo la quasi as-senza di rilievo attribuita dalla critica alla nozione di intuizione eidetica, elemento cardine del testo del 1913, non può non interrogare e richiedere di essere approfon-dita. Si noti, inoltre, che non è raro rinvenire gravi fraintendimenti relativamente alla considerazione della tesi in questione, come verrà messo in luce più avanti, frainten-dimenti che a mio avviso evidenziano come la tesi dell'intuizione d'essenza sia deci-siva relativamente alla comprensione complesdeci-siva del lavoro husserliano. Conclu-dendo, c'è un altro aspetto che richiede di essere considerato. L'attribuzione alla no-zione di intuino-zione di un ruolo cruciale all'interno del paradigma husserliano non trova tutti concordi. Benché la maggior parte degli studiosi riconosca nel tema dell'intuizione e nel suo accostamento al contenuto di senso ideale un aspetto capi-tale della riflessione husserliana, è doveroso riconoscere il distaccarsi da questa ge-nerale considerazione di una voce attualmente molto, molto autorevole, quella del celebre autore danese D. Zahavi5.

A partire da quanto messo in evidenza il mio lavoro si offre dunque (A) come tenta-tivo di illuminare le ragioni teoretiche sulla base delle quali la riduzione dell'intui-zione a livello percettivo, affermatasi storicamente, arrivando a cristallizzarsi in un vero e proprio modello di ragione, costituisca un costo teorico non trascurabile e (B) come l'inizio di una messa in luce del ruolo cruciale svolto dalla nozione di intuizione all'interno della prospettiva husserliana. Si tratta quindi di un duplice appello ad una

3D. Lohmar, Die phäneomenologische Methode der Wesensschau und ihre Präzisierung als eidetische

Variation, in Phänomenologische Forschungen, Feix Meiner Verlag Hamburg, 2005, p. 66.

4A. Staiti, Husserl's Transcendental Phenomenology, Cambridge University Press, 2014, con particolare

riferimento alle analisi svolte nei capitoli 3, 4, 5.

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7 ripresa in considerazione della nozione di intuizione: esso si riferisce tanto al para-digma di ragione sotteso ad un certa tradizione, impostasi storicamente e teoretica-mente, quanto alla considerazione attribuita alla nozione in questione da parte degli studiosi husserliani. A tutto ciò si aggiunga che la nozione in questione, espulsa o quantomeno messa in secondo piano relativamente al proprio rilievo gnoseologico, stia ultimamente riacquisendo interesse, a partire da diversi fronti teorici, compreso quello cosiddetto analitico, come evidenziato da G. Guttin, ad avviso del quale

Analytic philosophy had begun with rejection of intui-tion in the sense of special intellectual insights into rea-lity. (...) But in the wake of devastating critiques of ana-lyticity and of the myth of the given, analytic philoso-phers have begun to speak once again of intuitions, now meaning simply the rock-bottom beliefs they find themselves forced to take as basic in their search for philosophical truth6.

Nel primo capitolo evidenzierò dunque le coordinate generali del modello di razio-nalità kantiano, del quale a partire dalla presa in considerazione dall'appello polifo-nico ad una riabilitazione della nozione di intuizione metterò in luce i limiti.

Nel secondo capitolo approfondirò la prospettiva teoretica husserliana ed il tema dell'intuizione all'interno della stessa.

Nel terzo metterò in luce le ragioni che spinsero Husserl ad abbracciare un modello di ragione all'interno del quale la nozione di intuizione svolga un ruolo gnoseologico decisivo, segnando così un irrimediabile distacco dai colleghi neokantiani, ai quali l'autore era stato inizialmente legato da una significativa collaborazione.

Come sarà mio intento far emergere, la nozione di intuizione costituisce il cuore pul-sante della prospettiva husserliana in toto, ragion per cui rinunciare ad essa com-porterebbe il dover dismettere l'ambizione stessa della fenomenologia.

6G. Guttin, "Rethinking Intuition": A Historical and Metaphilosophical Introduction, in Rethinking Intuition:

The Psychology of Intuition and Its Role in Philosophical Inquiry, a cura di Michael DePaul e William

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8 2. Il paradigma kantiano

All'interno del paradigma kantiano la nozione di intuizione svolge un ruolo decisivo. Senza di essa, infatti, l'esperienza sensibile non avrebbe contenuto e la conoscenza non sarebbe articolabile. All'interno di questo modello percezione ed attività intel-lettuale non sono, quindi, separabili se non analiticamente, dal momento che è nella collaborazione delle due che esperienza e conoscenza sono possibili. Come detta il celebre passo kantiano,

La nostra natura è cosiffatta che l'intuizione non può essere mai altrimenti che sensibile, cioè non contiene se non il modo in cui siamo modificati dagli oggetti. Al contrario, la facoltà di pensare l'oggetto dell'intui-zione sensibile è l'intelletto.

Nessuna di queste due facoltà è da anteporre all'altra. Senza sensibilità nessun oggetto ci sarebbe dato, e senza intelletto nessun oggetto pensato.

I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche7.

E ancora : «in noi, intelletto e sensibilità soltanto in quanto uniti sono in grado di determinare gli oggetti. Tenendoli separati si hanno intuizioni senza concetti oppure concetti senza intuizioni: in un caso come nell'altro abbiamo rappresentazioni che non possono essere riferite ad alcun oggetto determinato»8.

Senza entrare in questa sede dettagliatamente nel merito della riflessione kantiana, compito che richiederebbe un lavoro a sé, intendo mettere in rilievo alcuni aspetti che ritengo cruciali relativamente alla teoria dell'esperienza e della conoscenza of-ferte dall'autore di Königsberg. Nell'Estetica, prima sezione della Critica della ragion pura, Kant indaga le condizioni generalissime dell'esperienza possibile, tanto di

7I. Kant, Critica della Ragion Pura, Logica Trascendentale, trad. ed. italiana a cura di G. Gentile e G.

Lombardo-Radice, revisione di V. Mathieu, Laterza, Roma-Bari 2010. §1. Grassetto mio. 8I. Kant, Ivi, A 258, B 314; p. 279.

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9 quella percettiva, relativa cioè alle cose del mondo esterno, quanto di quella cosid-detta interna, relativa alla nostra attività psichica. Egli rinviene nello spazio e nel tempo le condizioni generalissime che rendono possibile la sensibilità, termine con il quale l'autore indica la facoltà legata alla percezione. Si tratta, come noto, di forme pure e a priori: esse non contengono alcuna componente empirica e precedono l'e-sperienza concreta, la quale è possibile soltanto in virtù di esse.

Come chiarisce Cassirer nel suo celebre Sostanza e funzione, esse vanno intese come «premesse necessarie»9, senza delle quali non sarebbero possibili, ad avviso di Kant, né l'esperienza né la formulazione di giudizi che la concernano. Si tratta dunque di funzioni generalissime, le quali consentono l'articolarsi dell'esperienza percettiva. Esse unificano “il molteplice sensibile”, il quale non si offre quindi come una “molte-plicità caleidoscopica”, quanto, invece, come un'unità coordinata spaziotemporal-mente. Questa unità fenomenica è ciò su cui l'intelletto svolgerà la propria attività di sintesi. L'intelletto è l'altra10 importante facoltà conoscitiva individuata da Kant. Esso si occupa di svolgere una attività di sintesi relativamente ai fenomeni, ovvero alle unità spazio-temporali offerte dalla sensibilità. In questa attività sintetica, che si esplica nella formulazione di giudizi, consiste propriamente, ad avviso di Kant, la conoscenza. L' articolazione concettuale è a sua volta definita dalle categorie (o con-cetti puri). Esse sono le forme a priori della nosta conoscenza, nel rispetto delle quali il pensiero discorsivo soltanto si può articolare. In virtù delle categorie è possibile, agli occhi di Kant, il costituirsi del mondo oggettivo in generale.

Senza approfondire qui la problematicità del ruolo dell'eredità aristotelica nel qua-dro categoriale offerto da Kant, consideriamo un altro aspetto, più cruciale rispetto al presente lavoro. Si tratta del rapporto tra sensibilità ed intelletto. Chiediamoci, se la conoscenza consiste nell'applicazione delle categorie dell'intelletto al materiale offerto dalla sensibilità, su quale base questo sarebbe possibile? O, più generalmente: come sarebbe possibile individuare un collegamento tra due ambiti di per sé com-pletamente eterogenei? In risposta a questo decisivo problema Kant introduce la no-zione di schema. Con essa egli indica la capacità di immaginare sotto un concetto generale qualcosa che non sia particolare e che valga per tutti gli elementi ad esso

9E. Cassirer, Sostanza e funzione. Ricerche sui problemi fondamentali della critica della conoscenza, trad.

it. di G. A. De Toni, La Nuova Italia, 1999, p. 357.

10Non si dimentichi tuttavia la facoltà del giudizio, introdotta da Kant già nella Critica della Ragion Pura

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10 riconducibili. Nel caso del triangolo, per esempio, lo schema “triangolo” è ciò che consente di cogliere tutti i triangoli come tali. Si tratta di un nodo estremamente problematico. Kant stesso era ben consapevole delle difficoltà in esso racchiuse, tanto da sostenere che «questo schematismo (…) è un'arte nascosta nelle profondità dell'anima umana, il cui vero impiego difficilmente saremo mai in grado di strappare alla natura per esibirlo patentemente dinnanzi agli occhi»11. Nella prospettiva kan-tiana, quindi, l'esperienza percettiva è concepita come un'unità spazio-temporale, la cui articolazione sarebbe svolta dall' intelletto sulla base delle categorie pure. In questa articolazione predicativa, svolta nella forma del giudizio, consiste agli occhi di Kant la conoscenza. Ciò su cui essa verte sono, dunque, le condizioni pure a priori dell'esperienza possibile, o, detto altrimenti, dei fenomeni. Ciò che è possibile cono-scere sono quindi le condizioni nel rispetto delle quali soltanto gli oggetti dell'espe-rienza possono essere esperiti. Il rispetto dei confini dell'espedell'espe-rienza possibile, san-citi dal dominio della sensibilità, a partire dal materiale della quale l'intelletto attua i propri giudizi, consente e al tempo stesso limita l'articolarsi della conoscenza.

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11 3. Intuizione e percezione

All'interno del paradigma kantiano la nozione di intuizione indica un aspetto impre-scindibile, necessario affinché percezione e conoscenza siano possibili. Essa è intesa da Kant sotto la cifra dell'immediatezza. Sarebbe, cioè, la forma pura nella quale il materiale percettivo si offrirebbe immediatamente. Questo materiale sarebbe ac-colto dall'intuizione, facoltà che Kant ritiene ricettiva e passiva, diversa dall'intel-letto, caratterizzato da spontaneità ed attività. L'immediatezza dell'intuizione consi-ste nel suo non elaborare i dati che le sono forniti. Questa attività di elaborazione e costituzione dell'esperienza vera e propria è svolta, come già messo in luce, dall'in-telletto. L'intuizione sarebbe quindi intesa come un livello imprescindibile dell'espe-rienza e della conoscenza, vincolato però al piano percettivo, inteso come livello dell'offrirsi del materiale sul quale la sintesi intellettiva verrà ad operare. Questo materiale consiste propriamente in fenomeni e non in oggetti, dal momento che que-sta individuazione verrà svolta dall'intelletto, non dalla sensibilità. Nei termini in cui la distinzione è pensata da Holzey12, l'intuizione, pur ammessa nel modello kantiano e riconosciuta addirittura come aspetto necessario, non è affatto intesa come me-todo conoscitivo. Nei termini del padre del criticismo, all'uomo non è data alcuna intuizione intellettuale. Ciò significa che la conoscenza consiste in una attività sin-tetica, svolta dall'intelletto nel rispetto delle categorie o concetti puri. Non è data la possibilità di un accesso diretto, immediato, all' "in sè" dell'oggetto. La concezione secondo la quale l'oggettività e l'universalità della conoscenza siano, in senso tra-scendentale, soggettive, ovvero che ciò che sia possibile conoscere a priori siano le condizioni di possibilità stabilite dalle facoltà conoscitive relativamente alle quali soltanto esperienza e conoscenza sono possibili, comporta anche la seguente conse-guenza: l'esperienza, così come la conoscenza, si costituisce soltanto entro quanto dischiuso dalle facoltà soggettive. Ciò con cui siamo dunque in contatto sono feno-meni, non "cose in sè". A partire da questi parametri teorici mi pare innegabile che

12Helmut Holzhey, Neokantismo e fenomenologia: il problema dell’intuizione, in Neokantismo e

fenomenologia. Logica, psicologia, cultura e teoria della conoscenza. Atti del convegno internazionale L'Aquila 29-31 marzo 2001. A cura di S. Besoli, M. Ferrari e L. Guidetti, Quodlibet Studio, Discipline

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12 il criticismo abbia segnato un momento decisivo per lo sviluppo del pensiero filoso-fico e che la considerazione kantiana dell'esperienza abbia inciso fortemente nel ri-fiutare all'intuizione un ruolo conoscitivo proprio. Con il lavoro di Kant si è infatti a mio avviso imposto un paradigma teoretico nel cui cono di luce (o d'ombra?) il pen-siero teorico successivo non ha potuto che articolarsi13. C'è tuttavia qualcosa di cui questo modello teorico non sarebbe in grado di rendere conto? Ad avviso dei se-guenti autori, le cui tesi saranno messe in luce nei sese-guenti paragrafi, sì.

13Relativamente a questa lettura siamo debitori al lavoro del Prof. R. Pettoello, le cui lezioni abbiamo avuto

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13 4. Intuizione e conoscenza

Nei prossimi paragrafi intendo offrire un quadro degli argomenti sulla base dei quali si è ritenuto urgente riconoscere all'intuizione un ruolo decisivo a livello epistemo-logico, rifiutando, quindi, la considerazione della stessa a livello meramente percet-tivo. Prima di iniziare occorre tuttavia chiarire due cose.

Si è consapevoli (1) che la nozione di intuizione sia polisemica e problematica; (2) che gli autori, le cui argomentazioni verranno presentate, operano all'interno di oriz-zonti teorici differenti, comprendendo con il termine “intuizione” concetti che an-drebbero, in realtà, tra loro distinti. Sono inoltre cosciente che il mio ritenere di po-ter metpo-tere in dialogo prospettive diverse è problematico e richiede cautela.

Tuttavia ritengo che il tentativo qui svolto possa essere legittimo nella misura in cui l'intento con il quale esso viene in questa sede attuato sia esplicito e chiaro.

Non si tratterà di offrire qui un quadro sintetico e comparato delle diverse teorie dell'intuizione, specifiche relativamente a ciascuno dei modelli teorici che verranno messi in luce. Non si pretenderà nemmeno di ricondurre gli stessi ad unum.

Ci si propone, invece, di dar voce al consistente appello polifonico ad una ripresa in considerazione dell'intuizione a livello epistemologico. A questo fine si procederà dunque enucleando alcuni nuclei teorici cruciali, i quali, ad avviso degli autori, non sarebbero affrontabili dalla riflessione filosofica se non ammettendo di attribuire all'intuizione un ruolo non meramente percettivo, quanto epistemologico. Così fa-cendo si metteranno in primo luogo in luce i limiti teorici implicati da prospettive teoriche all'interno delle quali alla nozione di intuizione è riservato un ruolo riduci-bile a quello dell'esperienza percettiva. Esse emergeranno come non in grado di ren-dere conto di nodi teoretici a mio avviso ineludibili e decisivi per una teoria della ragione e dell'esperienza che non accetti di non poter indagare le basi stesse del pro-prio operare.

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14 5. La rilevanza epistemologica dell'intuizione: tre autori

Si è proceduto selezionando nel panorama attuale l'opera di tre autori: S. Rosen, G. Bealer, E. Chudnoff. Rispetto ai loro lavori ci si è dedicati in particolare a quanto concerne la nozione qui in esame. Non si proporrà, dunque, un quadro esaustivo della prospettiva di ciascuno; piuttosto verranno messe in luce le ragioni e gli argo-menti a partire dai quali ciascun autore individua nell'intuizione un aspetto gnoseo-logicamente ed epistemognoseo-logicamente di grande rilevanza.

5.1. S. Rosen, The Limits of Analysis

In questo suo celebre testo Rosen offre una considerazione delle ragioni sulla base delle quali si sarebbe imposto, tanto a livello storico che a livello teoretico, un deter-minato paradigma di ragione, all'interno del quale la nozione di intuizione sarebbe stata, ad avviso dell'autore, via via privata di rilevanza sostanziale. Fin dai suoi esordi i padri della filosofia avrebbero individuato nel vedere la fonte primaria della cono-scenza. Nel De Anima, per esempio, il pensare viene presentato da Aristotele come un porsi dinanzi agli occhi ciò di cui si sta parlando, nel tentativo di considerare la cosa come se la si stesse vedendo, individuando nell'intelligibilità l'aspetto sulla base del quale soltanto è possibile l'attività propriamente conoscitiva svolta dall'intelletto. Questo paradigma teorico sarebbe stato però in seguito sostituito ad un altro. La sfera del vedere, ritenuta dai padri del pensiero filosofico la sfera principe del cogli-mento del senso, sarebbe stata infatti messa in secondo piano a vantaggio di quella del tatto. Questo modello, inaugurato ad avviso di Rosen dallo stoicismo, si sarebbe trasmesso nei secoli, influenzando Bacone, Descartes, Hobbes, Locke..., veicolando una visione secondo la quale la percezione va pensata nei termini di una immedia prensione del dato, il quale sarebbe colto innanzitutto a livello tattile. La filosofia moderna e la rivoluzione industriale, la quale, come fa notare l'autore, è stata resa possibile non soltanto da determinate condizioni storiche, ma anche dall'affermarsi a livello teorico di una determinata visione filosofica14, avrebbero consacrato questo paradigma teorico, del quale avrebbero esibito l'efficacia concreta ed operativa. Con

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15 l'imporsi del criticismo kantiano si sarebbe poi sancita definitivamente la fine del primato del visivo. All'interno della prospettiva di Kant, infatti, l'intuizione non ap-partiene più all'aspetto noetico, gnoseologico. Essa è, potremmo dire, "accecata": si limita ad offrire materiale all'intelletto, il quale, "unica luce" sui fenomeni colti a li-vello percettivo, li ordina ed organizza. L'affermarsi di questo modello perdura fino ai nostri giorni, ragion per cui, evocando B. Croce, non possiamo, a mio avviso, non dirci (post)kantani. Nelle cose, nei dati di esperienza, non viene riconosciuta (più) alcuna intelligibilità: l'esperienza consiste in fenomeni, sulla base dei quali noi co-struiamo identità di sintesi e successione in virtù di operazioni intellettive. È la no-stra facoltà intellettuale che consente che l'esperienza consista non in fenomeni ma in oggetti, in unità colte secondo istantaneità e successione, riconoscibili nella loro forma e nelle loro relazioni reciproche (per esempio, la relazione di causalità). Que-sto paradigma di ragione, maturato nel corso dei secoli, troverebbe il proprio com-pimento nell'orientamento teorico contemporaneo che Rosen indica come analytical philosophy. Gli esponenti di questa corrente sarebbero, mette in evidenza Rosen, ge-neralmente accumunabili dall'ambizione di comprendere (e ricondurre) la realtà entro i termini del discorso logico, escludendo preventivamente tutto ciò che non si accordi con i confini da loro imposti. Senza essere animato dall'istanza di offrire una vera e propria teoria dell'intuizione, Rosen intende piuttosto mettere in luce come l'articolabilità stessa dei quadri teorici, anche degli stessi quadri offerti dai filosofi analitici, richieda come propria condizione di possibilità la presenza di un livello esperienziale e conoscitivo di tipo intuitivo, sulla base del quale soltanto la logicità è possibile.

5.2. G. Bealer: Intuizione ed autonomia della riflessione filosofica

Nell'intervento racchiuso nell'importante testo del 1998 Rethinking Intuition. The Psychology of Intuition and Its Role in Philosophical Inquiry Bealer individua nel rico-noscimento di un livello irriducibile tanto alla percezione sensibile quanto all'arti-colazione predicativa un aspetto fondamentale, sulla base del quale la riflessione fi-losofica sarebbe legittimata nel proprio tentativo di pretendere di essere

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conside-16 rata alla stregua di una disciplina autonoma e autorevole rispetto ai risultati che con-segue. Nei paragrafi successivi metteremo in luce le ragioni offerte dall'autore a so-stegno della propria tesi.

5.3. E. Chudnoff: Intuizioni e conoscenza intuitiva

Agli occhi dell'autore, il quale ha dedicato la propria produzione degli ultimi anni all'approfondimento della nozione di intuizione e della rilevanza epistemologica e gnoseologica della stessa, il tema qui in esame rappresenta un aspetto ineludibile per una teoria della conoscenza. Il tema della giustificazione prima facie, caro alla riflessione filosofica fin dai suoi albori, ripreso da E. Gettier e formulato nel celebre "Gettier's problem", richiede di essere affrontato, implicando, ad avviso di Chudnoff, una teoria della conoscenza all'interno della quale vengano messi in discussione an-che gli stessi presupposti categoriali sottesi alla formulazione del problema di Get-tier così come esso è stato concepito15. Inoltre anche il problema della giustifica-zione della possibilità, di fatto aperta, di formulare giudizi su contenuti astratti ri-chiede di essere indagato, dal momento che anch'esso svolge una funzione decisiva per una gnoseologia che intenda chiarire le basi della propria possibilità. Come verrà messo in luce, le analisi svolte condurranno l'autore a riconoscere nelle intuizioni un livello d'esperienza sui generis, decisivo a livello gnoseologico ed epistemologico.

15E. Chudnoff, What should a Theory of Knowledge do, in Dialectica, Vol. 65, Issue 4, December 2011, pp.

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17 6. S. Rosen: il fondamento intuitivo della logicità

Nel proprio testo Rosen si propone di mettere in evidenza le premesse teoriche im-plicite nel modello di razionalità imperante, il quale troverebbe nell'attuale analyti-cal philosophy la propria formulazione più compiuta. Al contempo l'autore evidenzia i gravi costi teorici implicati in un modello che concepisca la ragione come una fa-coltà totalmente discorsiva, misurante, analitica. L'ambizione di fondare la discorsi-vità su se stessa non è, a suo avviso, sostenibile. In primo luogo verranno mostrate le risposte offerte da Rosen alle critiche generalmente rivolte a teorie della cono-scenza che, pur assumendo al proprio interno l'intuizione, le negano tuttavia un ruolo epistemologico proprio. In secondo luogo riporteremo alcuni dei nodi teorici inaffrontabili dal modello di ragione di matrice kantiana. Così facendo intenderò of-frire un primo contributo, mutuato dal grande lavoro di Rosen, alla domanda sui li-miti del modello di razionalità ereditato dalla tradizione moderna. Seguirà poi nei paragrafi successivi l'approfondimento di alcuni elementi rinvenuti nel lavoro degli altri autori, accomunati tutti dalla tesi secondo la quale sostenere che la razionalità umana coincida in modo completo con la facoltà analitica comporti dei costi teorici seri e non trascurabili, pena lo scivolare in gravi ingenuità.

6.1. Obiezioni e presupposti impliciti

Rosen racchiude in quattro grandi obiezioni le critiche generalmente scagliate con-tro teorie epistemologiche che attribuiscano all'intuizione un ruolo conoscitivo pro-prio. Procederemo prima elencandole e poi proponendo la risposta offerta dall'au-tore a ciascuna di esse. In primo luogo le teorie che includano la nozione di intuizione vengono accusate sulla base della considerazione che (1) l'intuizione consista nel percepire unità e sintesi, e non nell'effettuare analisi concettuali. Essa dunque, in quanto intimamente connessa alla percezione, non può venir chiarita in modo ana-litico e discorsivo, dal momento che «to perceive is one thing; to explain is something else»16. L'intuizione non sarebbe dunque né è in grado di spiegare i propri risultati,

16S. Rosen, op. cit., p. 6.

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18 né di venir compresa relativamente al proprio operare. Ciò che può essere sottopo-sto ad analisi esplicativa è l'operare intellettivo predicativo. Costituendo l'intuizione un aspetto della percezione sensibile, essa è da ricondurre in ultima analisi a st'ultima, abbandonando la pretesa di una sua possibile articolazione logica. A que-sta conclusione condurrebbe anche la seconda critica, secondo la quale (2) dal mo-mento che si stenta ad individuare una struttura che caratterizzi l'intuizione e di-stingua il livello d'esperienza individuato da questa nozione in maniera positiva pare che all'intuizione non corrisponda alcuna struttura. Dal momento, però, che l'og-getto proprio dell'eleborazione teorica sarebbero soltanto le strutture, dell'intui-zione sembrerebbe non potersi dare esplicadell'intui-zione teorica alcuna. Alla non chiarezza della nozione in esame (3) conseguirebbe inoltre il non poterne distinguere la spe-cificità propria. Essa andrebbe dunque intesa come un livello in ultima analisi per-cettivo, privo non soltanto di rilevanza epistemica propria, ma anche di chiara distin-guibilità. In ultima analisi viene sostenuto che (4) l'intuizione, ammesso e non con-cesso che se ne possano individuare aspetti strutturali sostanziali che consentano di distinguerla dalla percezione sensibile, andrebbe considerata e risolta in un atto co-gnitivo, l'indagine del quale spetta alla psicologia e non alla logica. L'esito comune di tutte queste critiche, nelle loro varie e più sottili argomentazioni, sarebbe quello di espellere qualunque indagine che prenda di mira l'intuizione dall'analisi filosofica. Al fondo di queste obiezioni l'autore riconosce due importanti premesse teoretiche: (A) la filosofia consisterebbe in analisi concettuali; (B) la riflessione filosofica non dovrebbe curarsi delle condizioni della concettualizzazione, alla quale soltanto, in-tesa come “già costituita”, “caduta dal cielo”, andrebbe rivolta la nostra attenzione. Inoltre Rosen offre relativamente a ciascuna delle critiche individuate una propria risposta e controcritica. Relativamente alla prima obiezione, secondo la quale l'in-tuizione non avrebbe a che fare con l'analiticità e, quindi, non sarebbe esplicabile, l'autore propone di approfondire il concetto stesso di esplicabilità. Al cuore di questa nozione si rinviene, ad avviso di Rosen, la possibilità elementare di distinguere che una certa articolazione sia esplicativa rispetto alla struttura che si intende esplicare. Come sostiene l'autore, «we cannot see that an analysis explains a structure by per-forming an additional step in the analysis. At some point we must see that we are fi-nished. And to see and analysis is not analyze. It is rather to see an articulated struc-ture as a unity, whole, or synthesis»17. Il riconoscimento dell'appropriatezza di un

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19 quadro esplicativo rispetto a ciò che si intende spiegare non è ottenuto analitica-mente, quanto, piuttosto, intuitivamente. L'approfondimento della critica porta dun-que l'autore a riconoscere nell'intuizione una componente imprescindibile dell' ope-rare della razionalità analitica. La seconda obiezione, relativa all'essere l'intuizione un livello amorfo e quindi non elaborabile, è connessa alla prima. L'intuizione non consiste, sostiene Rosen, in un struttura formale, quanto in una attività. Il pretendere di far derivare da questo la conseguenza della sua inindagabilità riflette più le pre-messe teoriche a partire dalle quali l'orientamento analitico discende, che i risultati ricavati dall' indagine. Il termine intuizione non indica una struttura; questo non comporta tuttavia che essa non sia indagabile. Al contrario, come già evidenziato re-lativamente alla prima obiezione, proprio il poter indagare ed elaborare quadri teo-rici si fonda sulla possibilità di riconoscerne la compiutezza, l'approppriatezza, la pertinenza rispetto a ciò a cui la propria analisi di volta in volta si rivolge. L'argo-mento su cui si basa la critica potrebbe essere rovesciato: «If theory is the analysis of structure, there can be no theory of intuition. But if the identification of structure and the recognition of an appropriate analysis depend upon intuition, then tehere can be not theory of analysis». Ciò che questa espressione paradossale vuole evi-denziare è che è la concezione di teoria, di quadro teorico concettuale, che va modi-ficata. Relativamente alle ambiguità e alla problematicità della nozione di intuizione, sulla base delle quali i sostenitori della terza critica richiedono di espellere la no-zione stessa di intuino-zione dal dibattito teorico, l'autore non le nega, ma non accetta la conseguenza tratte dai critici. Egli è dell'opinione che una nozione non possa venir semplicemente espulsa dall'indagine filosofica in quanto problematica. Il costo teo-rico di questa esclusione potrebbe, come nel caso qui in esame, comportare pro-blemi teorici ben più ingenti dell'assunzione della stessa, seppur svolto nel tentativo paziente di chiarirne i vari aspetti e nella ancor meno scontata disponibilità a met-tere in discussione il modello teoretico sulla base del quale si siano maturati i risul-tati ottenuti. Rosen è persuaso che «the manifold sense of "intuition" illustrate the impossibility of a univocal or sharp definition of "sense", rather than the philosophi-cal inappropriateness of references to intuition»18. Relativamente all'ultima critica, il ritenere che abbracciare la tesi secondo la quale l'intuizione svolga un ruolo nell'articolazione concettuale consista in uno scivolamento nello psicologismo si fonderebbe agli occhi di Rosen su un fraintendimento, il quale ha a che fare con il

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20 modo di intendere l'intuizione. Se con essa si intende un aspetto della razionalità, allora l'accusa di psicologismo andrebbe estesa alla stessa attività cognitiva (come peraltro è stato fatto)19. Se si ritiene invece che la razionalità logica vada spiegata senza l'introduzione dell'elemento intuitivo, che verrebbe quindi ricondotto o alla percezione o ad un livello meramente psichico, allora occorre fronteggiare problemi non meno spinosi. Nessun discorso che verta sull'analisi di forme e strutture può prescindere dall'ammettere la capacità di cogliere forme e strutture. Se su di essa si fonda la possibilità di articolare l'analisi logica, allora questo livello di coglimento non può essere a sua volta logico. Occorre riconoscere un aspetto non logico senza del quale la logicità sarebbe "cieca e muta". L'avversione diffusa a questa conclusione si fonda, ad avviso di Rosen, sul modello di ragione che riconosce nella ragione di-scorsiva, calcolante, logica (concepita in modo speculare all'operare della matema-tica) la sola facoltà deputata ad erigere quadri teorici che ambiscano ad offrire co-noscenza fondata. Questo modello però (1) si fonda su delle premesse teoretiche forti, ovvero su una ben determinata concezione di ragione, trasmessasi nei secoli; (2) deve riuscire a sostenere una tesi molto impegnativa, cioè quella che a discorsi-vità possa reggersi su se stessa.

6.2. I limiti della discorsività

All'interno del paradigma di ragione individuato da Rosen come quello attualmente dominante si assume come premessa di fondo l'intelligibilità del mondo e la sua cor-rispondenza alle nostre leggi logiche, come, per esempio, a quella del principio di non contraddizione. L'affermarsi di questo modello di razionalità è intimamente connesso con quello che Rosen chiama "il sogno dell'Illuminismo", la cui eco sarebbe ancora riconoscibile, ad avviso dell'autore, tanto nella contemporanea filosofia ana-litica quanto nel lavoro di Nietzsche20. La tesi dell'autore può essere a mio avviso riassunta nei seguenti termini: l'analiticità (e la sinteticità, come sua altra faccia) è un aspetto dell'attività della ragione, la quale però non opera da sola. Ridurre la ra-zionalità all'analiticità sarebbe un grave errore, in quanto comporterebbe frainten-dere la dinamica della discorsività stessa e non essere in grado di renfrainten-dere ragione

19Ivi, p. 26: «It is true that intuition is a cognitive faculty. But so too is analysis». 20S. Rosen, op. cit., pp. 175-215 e in particolare p. 217-ss.

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21 dei seguenti punti. Prima di prendere in considerazione questi ultimi si tenga pre-sente quanto segue. Ad avviso di Rosen i limiti della razionalità emergono nella mi-sura in cui essa è presa in considerazione seriamente. Egli non intende contrapporre ad una teoria che vede nella ragione una facoltà analitica un'altra teoria che veda invece nella ragione una facoltà poetica-mistica, operante mediante suggestioni. Piuttosto, egli intende dedicare la propria attenzione al discorso logico stesso, alla fine di permetterci di "vedere meglio"21 ciò che tendiamo ad assumere come ovvio. Approfondendo l'operare della ragione discorsiva l'autore rileva che essa agisce sempre e soltanto all'interno di un «non-discursive context of analysis»22. Questa espressione si riferisce a diversi aspetti. In primo luogo, il portar ad espressione un concetto richiede come propria precondizione che l'unità dello stesso venga colta. Essendo questo coglimento ciò che fonda la possibilità dell'articolazione concettuale, esso non può esso esser fatto coincidere con la concettualità. In secondo luogo, il senso stesso che viene di volta in volta portato ad espressione non è, per usare un'e-spressione di Rosen, creato23 dalle definizioni. Come egli sostiene, «we cannot create sense by definition and we do not arrive at our definitions by analisys»24. Questo tema permette di gettar luce anche su un altro aspetto, riconducibile a mio avviso alla constatazione della necessità di un contesto non discorsivo, all'interno del quale l'analisi è possibile. Si tratta del problema della definizione, problema che più pro-fondamente ha a che fare con «the deeper problem of the relation between intellect and its objects»25. Definire un oggetto significa riconoscere una determinata consta-tazione come appropriata a descrivere lo stato di cose dell' oggetto in questione. Ciò comporta, nei termini di Rosen, riconoscere l'appartenere (belong) di alcuni deter-minati predicati ad un determinato "set"26. Questo riconoscimento non è svolto a livello analitico, dal momento che l'articolazione concettuale operata dalle defini-zioni richiede come propria precondizione il riconoscimento della appropriatezza delle stesse allo stato di cose che si vuole descrivere. Nei termini dell'autore,

21Ivi, p. 218. 22Ivi, p. 27-ss. 23Ivi, p. 26. 24Ibidem. 25Ivi, p. 40. 26Cfr. Ivi, p. 10.

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We know what the definition means on the basis of our intuitive knowledge of the meaning of "belonging to". The same point is obviously true of predication as well. To say that something belongs to something is to say something about something. But to say something about something is to say that something belongs to so-methings.

Le strutture formali, inoltre, possiedono un carattere sistematico. Esso viene portato ad espressione e articolato in modo discorsivo, ma solo a condizione che esso possa venir colto in una «direct visibility»27. Se le strutture formali non venissero intese in quanto tali esse non sarebbero nemmeno esprimibili a livello concettuale. La possi-bilità di questo coglimento riposa su quella che Piaget, citato da Rosen, chiama in-trinsica intelligibilità28. Se così non fosse, la ragione analitica sarebbe, esprimendoci con un aggettivo di kantiana memoria, cieca (o, come già sottolineato, “accecata”): essa non sarebbe cioè in grado di riconoscere le strutture che coglie e porta ad espressione discorsivamente. Sulla base delle proprie analisi Rosen sostiene dunque che la discorsività richieda come propria condizione un elemento non discorsivo, inteso dall'autore come intuitivo. Esso consiste in un livello di coglimento propria-mente attivo, livello che svolge un ruolo decisivo nell'articolabilità di quadri teorici, dal momento che costituisce una condizione di possibilità degli stessi. L'unica passi-vità che Rosen attribuisce all'intuizione è quella di essere riferita alla coglimento, alla comprensione. L'autore, tuttavia, come già accennato sopra, non offre una teoria vera e propria dell'intuizione, dal momento che lo scopo29 del lavoro svolto nel testo del 1980 è in primo luogo quello di mettere in evidenza l'operare di un livello non concettuale nell'articolarsi della discorsività, livello che la tradizione filosofica ha, a suo avviso, disconosciuto e progressivamente messo in secondo piano. Una proposta teorica positiva dell'intuizione, intesa come elemento dotato di specificità epistemo-logica, è stata invece offerta da altri autori, come vedremo nei prossimi paragrafi.

27Ivi, p. 27. 28Ivi, pp. 27-28.

29S. Rosen evidenzia puntualmente nel testo il proprio intento. Tra i tanti passaggi, si noti il seguente: «I

am not calling for a "theory" (in the contemporary sense) of intuition. Instead, I am calling attention to the intuitive dimension of theories». R. Rosen, The Limits of Analysis, op. cit., p. 54.

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24 7. G. Bealer e la distinguibilità del vero e del falso come condizione necessaria dell'articolazione teorica

Relativamente alla riflessione di Bealer ci si concentrerà in questa sede sul lavoro contenuto nel volume Rethinking Intuition. The Psychology of Intuition and its Role in Philosophical Inquiry, intitolato Intuition and the Autonomy of Philosophy.

In esso l'autore mette in rilievo le ragioni sulla base delle quali la riflessione filoso-fica goda, a suo avviso, di autonomia ed autorevolezza relativamente ai risultati che raggiunge. Come egli chiarisce fin dalle prime righe:

Insofar as science and philosophy purport to answer the same central philosophical questions, in most ca-ses the support that science could in principle pro-vide for those answers is not as strong as that which philosophy could in principle provide for its answers. So, should there be conflicts, the authority of philosophy in most cases can be greater in principle30.

Le ragioni sulla base delle quali avanza questa tesi sono le seguenti. In primo luogo Bealer sostiene che per poter negare la tesi della possibilità di principio di qualcosa, in questo caso dell'autonomia e dell'autorità della filosofia, occorra dover dimo-strare l'impossibilità della stessa. Infatti negare la possibilità di a implica il poterne dimostrare l'impossibilità. Questo, però, non è un compito semplice: per dimostrare che a sia impossibile, infatti, occorrerebbe dimostrare che non-a è necessario. Per dimostrare che qualcosa sia necessario occorre, però, addurre argomentazioni teo-riche; induttivamente, infatti, non è possibile ricavare conseguenze relative all'im-possibilità o alla necessità di qualcosa. Dunque la tesi relativa alla all'im-possibilità di prin-cipio di autonomia e autorevolezza della filosofia non è confutabile a livello empirico ed è quindi affrontabile soltanto da un punto di vista teorico. La filosofia emerge come la sola depositaria della responsabilità di definire il proprio dominio, che non le può venir attribuito da altre discipline, per quanto esse siano nel proprio campo

30G. Bealer, Intuition and Autonomy of Philosophy, in Rethinking Intuition, op. cit. p. 201. Corsivo e

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25 feconde ed autorevoli. Stabilito che relativamente ai limiti e alla possibilità della ri-flessione filosofica si tratti di una questione squisitamente teorica, l'autore offre come proprio cavallo di battaglia una tesi molto forte: «Intuition is the key to the defense of the Autonomy and Authority theses»31. Occorrerà ora far chiarezza su (1) che nozione di intuizione egli offra e su (2) come questa possa fondare l'ambizione di una filosofia come disciplina fondata, autonoma ed autorevole.

7.1. La nozione di Intuizione

Ad avviso di Bealer l'intuizione non è una fonte di conoscenza certa per se. Le intui-zioni individuali possono presentare limiti o rivelarsi nel loro essere erronee. Di principio, inoltre, un'eventuale ipotetica sistematizzazione teorica delle intuizioni di un ipotetico soggetto non sarebbe ugualmente esente da errori. Con "intuizione" Bealer non intende un livello di accesso al senso diretto, accesso a livello del quale il contenuto in questione si offrirebbe senza residui. Egli riconosce i limiti di un cogli-mento di tipo intuitivo, ma questo non comporta a suo avviso di dover negare ciò in cui egli ritiene si fondi la decisività di questa nozione. La nozione di intuizione illu-mina a suo avviso un livello di esperienza caratterizzato da «a strong modal tie to the truth»32. Essa è intimamente legata alla fiducia dell'autore che «to the extent that we approximate the ideal, we are able to approximate autonomous, authoritative philosophical knowledge. I believe that, collectively, over historical time, undertaking philosophy as a civilization-wide project, we can obtain authoritative answers to a wide variety of central philosophical questions»33. L'autore distingue all'interno della riflessione filosofica due fronti teorici, ciascuno dei quali, sulla base di ragioni diverse, avanza la medesima tesi relativa all'autonomia e all'autorità della filosofia. Il primo fronte è quello caratterizzato dall'argomento dell'evidenza; il secondo dall'argomento cosiddetto dei concetti. Ad avviso dei sostenitori del primo fronte l'intuizione è un livello di evidenza, conseguibile sula base di un robusto accesso alla verità, accesso tuttavia fallibile, indiretto e soggetto alle condizioni cognitive del sog-getto in questione. Il secondo fronte, invece, trova il proprio focus nel seguente

31Ivi, p. 202.

32Ibidem.

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26 gomento: possedere un concetto determinato richiede costitutivamente che le intui-zioni relative al concetto colto si trovino in una stretta relazione con la verità. Il la-voro della riflessione filosofica si fonda sul potere lavorare con concetti determinati, distinguibili tra loro e caratterizzabili con chiarezza; l'argomento in questione è, dunque, cruciale per i sostenitori di questa posizione. Relativamente alla prospett-tiva dell'autore, le intuizioni vanno innanzitutto distinte da tutto ciò che ha a che fare con una "epifania" mistica del senso, con un istantaneo "clic". L'aspetto che le quali-fica è il fatto che in essa qualcosa appaia come vero: «When you have an intuition that A, it seems to you that A»34. L'essere colto di A come vero è inteso come «a genuine kind of conscious episode»35. L'esempio di Bealer è il riconoscimento di ve-rità rispetto al contenuto che si ha di fronte alle leggi di Morgan: è possibile che al primo momento non sia cristallino, se il contenuto in questione sia vero o meno, ma «after a moment's reflection, however, something happens: it now just seems true»36. La definizione offerta da Bealer è dunque la seguente: l'intuizione è un tipo di vedere sui generis, irriducibile. Si tratta di una «propositional attitude» che si verifica episo-dicamente. Si tratta, dunque, di un aspetto della ragione, dal momento che il conte-nuto intuito è un conteconte-nuto di senso. L'autore introduce dunque un termine chiave: la nozione di intuizione, la quale svolge un ruolo decisivo rispetto alla sostenibilità o meno dell'autonomia e autorità della filosofia, va intesa come una intuizione intel-lettuale. In essa vengono attinti contenuti che godono delle tre proprietà dei conte-nuti propri della filosofia: necessità, universalità, generalità37. In essa vengono, in-fatti, attinte legalità eidetiche, per utilizzare un linguaggio più husserliano. Le leggi della logica aristotelica, come il principio di non contraddizione, offrono un chiaro esempio del tipo di legalità a cui si riferisca l'autore. Le intuizioni intellettuali hanno a che fare, dunque, con la possibilità di distinguere tra ciò che a livello logico o me-tafisico sia possibile e ciò che, invece, non lo è. L'intuizione va quindi distinta sia dalla percezione, a livello della quale non si tratta di discriminare tra verità o falsità di un contenuto colto, quanto di occuparsi di quanto venga percepito a livello sensoriale, sia dalla credenza, nella quale ciò che viene inteso non viene colto alla luce della consapevolezza della sua veridicità o falsità. Le intuizioni vanno differenziate inoltre

34Ivi, p. 207. 35Ibidem. 36Ibidem. 37Ibi, p. 203.

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27 dai giudizi [judgments], dalle supposizioni [guesses] e dai vaghi presentimenti [hunches]. Esse vanno distinte anche dall'avvertimento di luminosa chiarezza che abbiamo, per esempio, di fronte a contenuti come 25²=625. Questo contenuto, as-sunto dall'autore come paradigma di questa classe, è colto nella sua incontrovertibi-lità sulla base dello studio mnemonico in virtù del quale esso è stato appreso. Alla base di questo coglimento si individua dunque un processo preciso, senza del quale la veridicità di 25²=625 non sarebbe appresa. Non si tratta, dunque, di intuizione: «it does not seem to me that 25²=625; this is something I learned from calculation or a table»38. Al contrario «it seems to you that, if P or Q, then it is not the case that both not P and not Q»39. Nel mostrarsi nella propria veridicità si individua un ele-mento qualificante l'intuizione.

Essa non deve venir fatta coincidere nemmeno con il senso comune, il quale consiste secondo Bealer in un misto di saggezza pratica, credenze empiriche più o meno fun-zionali, credenze comunemente condivise ecc. L'intuizione si caratterizza dunque come un'esperienza sui generis, dotata di specificità propria riconoscibile, irriduci-bile tanto alla percezione, quanto alla credenza, all'immaginazione, al senso comune, al giudizio predicativo, caratterizzata positivamente dal cogliere un contenuto in modo tale che esso venga appreso come incontrovertibile.

7.2. Il valore epistemologico delle intuizioni

Assodato [granted] che le intuizioni svolgano un ruolo importante relativamente alla nostra «standard justificatory practise»40, occorre comprendere come questo av-venga. I sostenitori del fronte cosiddetto "dell'evidenza" attribuiscono questa pro-prietà delle intuizioni al loro essere caratterizzate dall'offrire contenuti dotati di evi-denza, cioè colti con una chiarezza che non si presta ad essere revocata. Ciò che viene "visto" è colto nel suo essere così e non poter essere altrimenti. Questo aspetto, in-teso come un fatto assodato, è ricondotto allo stretto legame che si ritiene sussista tra intuizioni e verità: esso sarebbe alla base dell'evidenza secondo la quale i conte-nuti colti sono intesi. Questa connessione viene intesa e giustificata in modo diverso

38Ivi, p. 210. 39Ibidem. 40Ivi, p. 214.

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28 a seconda dell'approccio teorico assunto. In questa sede mi preme mettere in evi-denza il riscontro, proprio di Bealer ed altri, di una componente di tipo intuitivo im-plicata nella giustificazione prima facie di ciò che viene portato ad espressione pre-dicativa. Si tratta di una consapevolezza che Bealer riconosce anche all'empirismo inglese41, ad avviso del quale l'esperienza fenomenale costituisce una fonte basilare di evidenza; il problema che l'autore però individua è il fatto che questo essere fonte di evidenza non è (ancora?) stato adeguatamente indagato ed esplicato. La questione viene sintetizzata da Bealer nella seguente domanda: «but why should there be such a tie to the truth?»42.

Questa domanda, alla quale ad avviso di Bealer nè gli empiristi nè i razionalisti hanno saputo offrire una risposta soddisfacente, costituisce il cuore pulsante a par-tire dal quale il lavoro svolto dai sostenitori del secondo fronte, quello cosiddetto "dei concetti", prende avvio. Ad avviso di questi autori occorre distinguere il posdere un concetto in modo soltanto nominale dal possederlo in senso forte. Nel se-condo caso, quello più rilevante per i sostenitori di questa posizione teorica, un de-terminato concetto è compreso in modo pieno, completo. I concetti fondamentali della filosofia, o quantomeno quelli che gli autori ritengono tali, ovvero «substance, mind, intelligence, consciousness, sensation, perception, knowledge, widsom, truth, goodness, duty, the virtues, love, life, happiness, and so fort»43, possono essere colti, intesi, propriamente, in modo completo, "to be possessed determinately", come si esprime l'autore ripetutamente nel testo. Difendendo con svariate analisi la propria tesi, questo fronte sostiene che la possibilità stessa di cogliere in modo determinato, compiuto, un concetto, richiede che ci debba essere un determinato legame [tie] con la verità e che questo legame sia coglibile in modo intuitivo. Prese in considerazione le tesi di questi autori enucleiamo a riguardo i seguenti aspetti, ritenuti particolar-mente rilevanti. La sensatezza del discorso filosofico riposa sulla fondatezza dei con-cetti adoperati dalla riflessione filosofica; sulla base di questa assunzione occorre allora ritenere che essi debbano essere concetti determinati, coglibili in modo pieno. Dal momento che questo si attesta come una possibilità realmente dischiusa alla ra-gione umana, la quale è in grado di distinguere la veridicità di una certa proposizione dalla falsità della stessa, occorre (1) ammettere che si dia una certa connessione tra

41Ivi, p. 221. 42Ibidem. 43Ivi, p. 222.

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29 ragione umana e verità dei contenuti portati ad espressione nei concetti; (2) intro-durre la nozione di intuizione come livello del realizzarsi di questa connessione. Questa tesi, che richiederebbe di essere ulteriormente indagata, illumina due aspetti a mio avviso decisivi. In primo luogo emerge che relativamente alla fondatezza dei concetti basilari utilizzati dalla riflessione filosofica ne va della possibilità della stessa nella sua interezza, a meno che la filosofia abdichi alla propria ambizione sor-giva ad una comprensione scientifica di quanto essa sottopone ad indagine. In se-condo luogo viene messo in luce che la possibilità, effettivamente riconoscibile (a meno di non volerla negare di principio) di cogliere un concetto in modo determi-nato, chiaro e pregnante nel suo proprio senso richiede di essere esaminata e com-presa. Aggiungendo che il fatto che, quantomeno ad avviso di Bealer, nè empiristi che razionalisti (riassumento schematicamente in questa dicotomia i due grandi fronti filosofici, storicamente contraddistinti da due impostazioni gnoseologiche antiteti-che) siano riusciti ad offrire una giustificazione teorica del dato in questione, la pro-blematicità del tema qui in esame e l'urgenza di una indagine relativa alle possibilità ed ai limiti di un chiarimento di questo aspetto della razionalità umana emergono nella loro urgenza teorica.

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30 8. E. Chudnoff: l'irriducibilità epistemologica delle intuizioni e il loro ruolo epistemico

In questa sede si approfondiranno in particolare due aspetti del lavoro di Chudnoff. Mi occuperò, infatti, di mettere in luce le ragioni sulla base delle quali l'autore so-stenga che le intuizioni siano in primo irriducibili alla percezione sensibile e in se-condo luogo decisive a livello gnoseologico. La prima domanda che occorre porsi è la seguente: «what are Intuitions?»44. Infatti «depending on what they are, they might or might not be reliable, they might or might not possibly justify beliefs about abstract matters, they might or might not be embarassed by recent studies, they might or might not be coherently foresworn»45. Chudnoff riconduce le prospettive teoriche a riguardo a due grandi orientamenti. Gli esponenti del primo fronte, cosid-detto dossastico (doxastic), abbracciano la tesi secondo la quale le intuizioni consi-sterebbero in una "inclinazione" al giudizio, una sorta di giudizi pre-teoretici e spon-tanei. All'interno di questo schieramento Chudnoff riconosce alcune differenze di ac-centi, ma ritiene che complessivamente si possa riassumere questa posizione nei termini di una assimilazione dell'intuizione al giudizio, inteso come capacità discor-siva propria della razionalità umana. Il secondo fronte è quello dei cosiddetti percet-tualisti (perceptualists). Essi sostengono che le intuizioni siano da pensare sul mo-dello dell'esperienza percettiva. A differenza di questa, esse rappresenterebbero non oggetti dell'esperienza sensibile, ma "abstract matters". Entrambi i livelli sarebbero però accomunati dall'essere due livelli pre-dossastici, ovvero ante-predicativi. Ri-spetto a dossastici e percettualisti si tratta, ad avviso di Chudnoff, di due fronti pro-fondamente distinti, relativamente ai quali la questione si porrebbe a livello ontolo-gico. Ovvero: che cosa siamo disposti ad ammettere come propriamente esistente? Per i sostenitori dell'orientamento dossastico l'esperienza è dossastica nella sua to-talità e non ci sarebbe alcuna esperienza pre-dossastica. Essi non sono, cioè, disposti a riconoscere indipendenza ontologica ad un livello d'esperienza che non sia predi-cativo. L'esperienza ante-predicativa sarebbe semplicemente un'astrazione teorica, alla quale non corrisponde alcun correlato. Gli esponenti del percettualismo, invece,

44 E. Chudnoff, What Intuitions are like, in Philosophy and Phenomenological Research, Vol. LXXXII, N.

3, 2011, pp. 625-664, p. 665. 45E. Chudnoff, Ivi, p. 625.

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